2. AFFOGANDO NELL’ETERNITA’
“Vi sono suicidi invisibili. Si
rimane in vita per pura diplomazia, si beve, si mangia, si cammina. Gli altri
ci cascano sempre, ma noi sappiamo, con un riso interno, che si sbagliano, che
siamo morti.”
(Gesualdo Bufalino)
-Ciao Klaus-
La mia voce, un soffio
tremante che aveva la pretesa assurda di risultare sfrontato, riempì il
silenzio che si era creato. Era una concezione irreale quella, perché la radio
continuava a trasmettere la canzone ed in lontananza, là dove le strade erano
trafficate, il rombo dei motori riempiva l’aria di suoni dissonanti e
fastidiosi, ma io non sentivo nulla. Nulla che non fosse silenzio. Si dice che
anche questo, in effetti, sia un suono, sia percepibile e mai vuoto. In quel
momento capii che era vero. Era pressante, opprimente, fastidioso, soffocante.
Un silenzio che sapeva di paura. La mia. E lui la percepiva, fin troppo bene a
giudicare dal ghigno che aveva assunto mentre mi fissava al di là del
parabrezza.
-Sai dolcezza, mi chiedo
cosa diamine tu ci faccia qua, visto che a ragion veduta le tue ossa dovrebbero
trovarsi in Francia, consumate da più di un secolo e mezzo di tempo-
La visione macabra che mi
aveva appena dato, mischiata al terrore che provavo, mi mozzò il respiro.
Dentro di me sapevo che
quel giorno sarebbe arrivato, una parte remota del mio cuore, accuratamente
accatastata lontano dalla mente, era consapevole che prima o poi avrei dovuto
fare i conti con i fantasmi del passato, ma quei fantasmi erano troppo letali,
troppo dolorosi perché non provassi a fuggirne.
-Sapevo che eri una
ragazza piena di risorse, l’avevo sempre pensato e ora ne ho la conferma. Ma questo. Devo dire che mi sorprendi
sempre, Nina-
Mentre continuava a
parlare, immobile nella sua posizione da predatore pronto all’attacco, calcolai
quante possibilità avevo prima che mi riacciuffasse, nel caso in cui fossi
schizzata via dall’abitacolo prendendolo di sorpresa.
Molto poche, dovetti
ammettere.
In primo luogo perché un
originario lo si coglie raramente di sorpresa, Klaus in particolar modo, ma
soprattutto perché era infinitamente più vecchio, ergo più forte ed anche più
veloce. Non avrei potuto fare che pochi chilometri, prima di essere raggiunta.
-Sei stata particolarmente
brava a non farti scovare in questi anni, vero? Sono certo che hai
accuratamente evitato di incontrarci per…come dire…evitare che il compito a cui
la natura non è stata in grado di adempiere, passasse nelle nostre mani. Con
sommo piacere, aggiungerei- ghignò maligno, rialzando il busto ed inclinando la
testa di lato, osservandomi come se dalle parole non dette che testardamente mi
ostinavo ad ingoiare riuscisse a trarre un punto debole. Perché questo faceva
Klaus. Analizzava, cercava il tallone d’Achille, un appiglio dove potersi
ancorare per trascinare affondo , e poi annientava. Ma no glielo avrei dato.
Avevo lentamente portato
una mano alla leva della portiera, continuando a fissarlo, senza che notasse
quel millimetrico movimento, ed aspettavo solo che continuasse a parlare per
uscire da lì, sfuggire. Perché anche se le probabilità erano basse, quasi
nulle, dovevo tentare. Rimanere significava morire, era inutile girarci
attorno. Quelli erano tutti preliminari, entro pochi attimi avrebbe distrutto
la fiancata dell’auto e mi avrebbe trascinata fuori per poi strapparmi il
cuore, gioendo come solo lui sapeva fare nella realizzazione delle vendette.
Soprattutto se queste avevano aspettato secoli per essere gustate.
-Sai, piccola traditrice,
vorrei davvero sapere come reagirà Elijah quando scoprirà che sei viva- avevo
ancora i muscoli irrigiditi dall’attimo che precedeva lo scatto, quando la
buttò lì. Ed era consapevole, maledettamente consapevole che quello era il modo
per azzerare ogni mia possibile mossa, per rendermi inerme, spiazzata solamente
dal suono del suo nome. Per questo mi
immobilizzai, un riflesso involontario dettato da quello sciocco muscolo
voltagabbana e morto, ormai privo di battiti, fissandolo ad occhi sbarrati
–Non credo ne sarà felice-
Serrai le mascelle e lo
fissai gelida. Se il mio piano era stato quello di non pronunciar parola per
evitare di dargli stupidi spunti ai quali aggrapparsi, e fargli perdere tempo
nei suoi egocentrici monologhi prima di darmela a gambe levate, beh era appena
fallito miseramente.
-Che vorresti dire, con
questo?-
-Oh dolcezza, non avrai
per caso creduto che ti potesse accogliere a braccia aperte, come l’amore
creduto perduto e poi miracolosamente ritrovato? Non avrai pensato che ti
avesse perdonata?-
No, certo che no. Non ero sciocca,
e soprattutto conoscevo Elijah. Sapevo le conseguenze di un tradimento nei suoi
confronti, conoscevo con perfezione chirurgica quanto il perdono non fosse
contemplato nel suo infinito vocabolario millenario. Non mi ero mai aspettata
teatrini romantici o rosee rimpatriate.
A ben vedere, non mi ero
aspettata proprio nulla.
Ero consapevole di aver
sempre dedotto, con macabra ironia, che al primo incontro mi avrebbe tolta di
mezzo, ma non lo credevo davvero possibile, c’era quella piccola parte di me,
quella composta di soffici speranze e buone previsioni future, che aveva sempre
testardamente negato l’opzione.
Eppure avevo la certezza
che anche l’opposto sarebbe stato impossibile. Per questo motivo non sapevo
realmente che diamine sarebbe potuto accadere. E sempre per questo motivo
temevo quel momento, perché il non sapere, dannazione, era la peggiore tra le
ipotesi.
-Certo che no, Klaus, non
sono la sciocca bambolina dalle frivole idee che mi reputi. Ma so anche che non
accadrebbe ciò in cui tu speri, non è forse così?- oddio, dovevo essere pazza,
perché sfidare così apertamente quell’ibrido dal volubile autocontrollo, per
giunta con quel tono saccente ed un filino arrogante, era un vero suicidio –Non
mi ha uccisa secoli fa, perché dovrebbe farlo adesso, dimmi-
Con sgomento, vidi i suoi
tratti rigidi e severi distendersi in un espressione estremamente più ilare,
derisoria quasi. A sottolineare la teoria, una scoppio di risa mi fece
sussultare.
-Tesoro, è questo che
pensi? Che ciò che l’ha bloccato decenni fa, lo bloccherebbe anche ora? Quanta
illusione c’è in te…-scosse la testa fintamente amareggiato, e prima che parole
taglienti mi uscissero di bocca riprese –Il braccio che ha bloccato la mia mano
nel lontano 1824 prima che ti strappassi quel giovane cuore canterino che avevi
nel petto era mosso da futili sentimenti umani. Elijah lo era. Assuefatto da
debolezze di cui tu eri l’unica, principale causa. Dio solo sa come l’avevi
ammaliato, stordito, o come diresti tu, fatto innamorare- aggiunse con un rapido
e disgustato gesto della mano, facendomi quasi sbriciolare il volante tra le
dita –Ma sono passati lunghi decenni dolcezza, decenni in cui ti ha giustamente
creduta morta, in cui è andato avanti, dimenticandosi lentamente di te. Ora,
hai la presunzione di conoscere bene mio fratello, quindi ti chiedo una cosa:
quale credi che sarà il primo sentimento ad investirlo, la volta in cui ti
vedrà? Quel flebile amore sfibrato durante i secoli, uno dei tanti nella sua
lunga esistenza, o l’odio verso il tradimento subito, in un uomo come Elijah,
dove un tradimento pesa più di mille altre parole e gesti?-
Aveva ragione. Aveva schifosamente ragione ed io, purtroppo,
ne percepivo la consapevolezza in ogni cellula del mio corpo. Ma volevo
ignorarlo perché faceva troppo male,
stillava dolore attimo dopo attimo come una ferita sanguinante che non
smette di colare.
Guardai quel ghigno,
tipico di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico e ben conficcato
nel corpo ormai distrutto dell’avversario, e trovai la forza, la rabbia, con
cui rispondergli.
-Il mio tradimento non è
mai stato tale! Ho agito nel bene, ho fatto ciò che credevo giusto e le mie
azione, se a qualcuno dovevano recar torto, avrebbero dovuto farlo solamente
con te. A te ho voltato le spalle, è stato il tuo nemico che ho aiutato Klaus,
era la tua guerra! Elijah non c’entrava
niente, ma ti ha sempre ciecamente seguito, addossandosi i tuoi doveri,
i tuoi ideali e le tue battaglie. Non è giusto che il mio atto venga
considerato un’offesa nei suoi confronti,
non lo è mai stato, eppure nessuno l’ha capito. Se avessi mai voluto
bene a tuo fratello, se non fossi l’ipocrita egoista privo d’amore che nulla sa
fare se non pensare al proprio bene, glielo avresti fatto notare, ma eri troppo
preso dai tuoi capricci per pensare al bene di tuo fratello, troppo preso dalla
collera nei mie confronti per preoccuparti di placare la sua, immotivata, che
l’ha reso cieco d’odio verso l’unica donna che l’abbia mai reso felice. E sì,
ho la presunzione di affermare questo perché ho visto il suo sguardo, il
cambiamento nei suoi occhi dal giorno in cui mi ha incontrata, e non lo puoi
negare nemmeno tu, Niklaus- avevo il respiro affannato e gli occhi sgranati,
collerici, mentre le unghie conficcate nei palmi tracciavano dolorose mezzelune
vermiglie che tangibili dimostravano quanto mie ero sforzata di rimanere
ancorata al mio posto, invece di scendere e prenderlo per il collo, mossa
alquanto stupida.
Certamente comunque, il
mio bel discorsetto non era stato da meno, e l’uso scellerato del suo vero nome
era stato un tocco di follia che avrebbe mandato la sua furia alle stelle.
-Tu! Stupida vampira,
lurida traditrice come osi?! Non permetterti mai più di insinuare simili
idiozie, non sai nulla su di me e su mio fratello! Quando l’hai aiutata, non
hai solamente tradito me, ma anche lui, perché siamo una famiglia, ed un’offesa
nei mie confronti lo è anche nei suoi. Ti reputi la sua felicità, la sua
salvezza, credi di conoscerlo tanto bene ma se non sai nemmeno che per lui
l’amore familiare è al primo posto nella scala delle sue priorità, allora non
sai un bel niente- mi guardò con odio, e seppi che in quel momento avrebbe
davvero voluto uccidermi. Poi sorrise mefistofelico e aggirò la macchina. I
suoi sbalzi d’umore erano disarmanti.
–Comunque dolcezza,
ritornando al punto della questione, non devi preoccuparti di come potrebbe
reagire nel vederti viva, non credo ne
avrà mai l’occasione- le ultime parole uscirono come un ringhio mentre gli
occhi gli si iniettavano di sangue e i muscoli si contraevano pronti allo
scatto.
Fu un riflesso
incondizionato quello di premere il pedale dell’acceleratore, non avendo più
l’originario e sbarrarmi la strada, e partire a tavoletta. A ben vedere, non
sarebbe servito a nulla, perché un’auto come quella,anche spinta al massimo, se
paragonata alla velocità vampiresca risulterebbe puerilmente lenta.
Eppure lo seminai. O per
meglio dire, non mi seguì.
Guidai in preda all’ansia,
gettando frenetiche occhiate in ogni dove certa di vederlo rispuntare da un momento
all’altro, per tutto il tragitto, e solo quando raggiunsi la camera del B&B
e mi ci sbarrai dentro riuscii a tirare un vero respiro di sollievo,
accasciandomi contro la porta e scivolando lentamente al suolo.
Dire che ero provata era
un eufemismo. E non perché avevo rischiato di morire, mi era capitato altre
volte e non avevo mai avuto reazioni
simili, quanto più per chi mi ero trovata di fronte.
Klaus.
Solo un’altra persona
sarebbe stata in grado di farmi sentire a quel modo, se non peggio, e dopo
quell’amabile chiacchierata sul diretto interessato non ero poi tanto convinta
di volerlo incontrare per il prossimo….millennio.
Troppi ricordi erano
tornati a galla, troppi rancori repressi e dolori soffocati, flash di una vita
passata e ormai dissolta nel nulla che avrebbero dovuto rimanere sepolti nella
memoria, inaccessibili e lontani.
Mi alzai e andai al
lavello del bagno, sciacquandomi la faccia per poi appoggiarmi al marmo freddo
del piano.
Non sarei mai dovuto
andare là, ora più che mai ne ero certa. L’illusione di poter affrontare Elijah
era stata sciocca ed impulsiva. Dannazione, non riuscivo ad avere un incontro
col suo amabile fratello senza essere
assalita dal surrogato di un attacco di panico, come avrei mai potuto
affrontare lui senza soccomberne?!
Ma ormai avevo dato la mia
parola a Stefan, e non avrei certo fatto la figura della codarda scarica grane
per il mio sciocco lato umano e debole, attecchito a ricordi che mi rodevano
l’anima e sconquassavano l’esistenza.
Alzai la testa, fissando
il mio riflesso allo specchio con l’intento di dar maggior peso alla mia
decisione: ero lì e lì sarei rimasta, basta fughe, basta paure, la follia
l’avevo fatta, ma non si trattava più soltanto di me, quindi, come già mi ero
ripetuta mille volte da quando ero atterrata, l’avrei affrontato.
E avrei fatto rimangiare a
Klaus tutte le sue stronzate, sillaba dopo sillaba.
La schiuma bianca era
l’unico sprazzo di luce in quella notte nera, anche la luna e le stelle erano
velate da una nebulosa coltre di nubi dall’aria bellicosa.
Il mare, in tutta
quell’oscurità, metteva i brividi.
Feci un passo avanti,
attenta a non scivolare su quei sassi umidi di salsedine, e sentii i piedi nudi
ferirsi con qualche pietra spigolosa, ma non me ne curai. Il vento, lassù,
sibilava gelido gonfiando la leggera camicia da notte bianca che indossavo e
smuovendomi con le sue repentine sferzate il capelli tutt’intorno. Sentivo
lacrime silenziose colarmi lungo le guance e seccarsi poco prima di cadere nel
vuoto.
Lì dov’ero, potevo udire
il rumore di quella distesa d’acqua immensa. Era rilassante, ma allo stesso
tempo minaccioso. Ammaliante.
Sembrava chiamarmi, una musa tentatrice che lentamente mi sospingeva tra le sue
braccia, avvinghiandomi con tentacoli mortali.
Aprii le braccia e guardai
l’orizzonte nero.
Nero come i suoi occhi.
Volevo urlare. Ogni
singola fibra del mio corpo voleva gridare il mio dolore, ma avevo la gola
secca e tutto quel che riuscivo a produrre era un flebile sussurro innocuo,
nulla se paragonato alla mia sofferenza. Era insoddisfacente.
Mossi un altro passo e
raggiunsi il limite, là dove le rocce cadeva a strapiombo nel vuoto.
Anche il mio cuore, era al
limite. Al limite dell’amore, della sopportazione, del dolore. E forse quel
limite l’aveva superato, forse per questo faceva così male, perché era andato
troppo oltre, ed ora la caduta era inevitabile, e mortale.
Chiusi gli occhi. Era
tutto troppo nero. Troppo lui. Faceva male, male dentro.
Perché mi ha abbandonata?
Perché?
Volevo smetterla di
soffrire.
Volevo stare bene, essere
felice. Liberarmi di quel peso, di quella tristezza soffocante, e respirare.
Perché non respiro? Aria. Dov’è la mia aria? Dov’è lui?
Un altro passo, piccolo.
In cerca di quell’aria che mi mancava, di quella felicità che non c’era più.
Volevo smetterla si
soffrire.
E poi accadde.
Lo sentii, il momento
preciso in cui sotto di me non vi fu altro che il vuoto. E cadevo, cadevo, e
più cadevo più mi sembrava di perdere la cognizione di tutto, del tempo, dello
spazio, del mio corpo, di me stessa.
Più cadevo e meno vivevo.
E meno vivevo e più ero felice.
Perché quella vita era
diventata sofferenza, e io non la volevo più.
Quando mi scontrai con
l’acqua, fu come se mille lamine di ghiaccio mi avessero attraversato la pelle.
Mi si bloccò il respiro in
gola. Sorrisi.
Sentii freddo, così freddo
che fui tentata di raggomitolarmi, ma non trovavo le braccia, né le gambe. Il
mio corpo era un ammasso di lame ghiacciate che non rispondevano più al mio
controllo.
Era libero, finalmente,
libero di non provare più nulla, libero di staccarsi da me.
Sentii l’acqua scivolare
lungo la gola e annidarsi là dove l’aria le lasciava spazio.
La frenesia dei primi
attimi era stata rimpiazzata da una calma sovrumana, mentre scivolavo sempre
più giù, sempre più in basso.
In un ultimo atto di
lucidità spalancai gli occhi, ma era ancora tutto troppo nero. Troppo lui.
Con quest’ultimo pensiero
scivolai nell’incoscienza, là dove la vita cede il passo alla morte.
Sentivo voci in
lontananza, grida di uomini e passi affrettati. Sentivo anche il suono
strisciante del mare e qualcosa bagnarmi ritmicamente una mano. Avevo freddo.
Mi ricordai del salto, del
vuoto sotto di me e poi di quel buio, così profondo, così asfissiante.
Ero morta.
Ma allora perché provavo
sensazioni così…vive? Perché sentivo
la veste bagnata incollata al mio corpo, i sassi appuntiti sotto di me e quel
forte odore di salsedine? Perché udivo quegli uomini sempre più nitidamente?
Perché avevo…sete?
Non ero forse
morta?Cos’era quello, una sorta di purgatorio, o forse l’inferno? D’altronde mi
ero macchiata di suicidio, il mio destino sarebbe stato bruciare nelle fiamme
eterne. Ma l’unico bruciore che sentivo proveniva da me, dalla mia gola riarsa,
tanto che lentamente portai una mano al collo stringendolo come a voler placare
quelle fitte mai provate prima.
Le voci si avvicinavano,
ora le distinguevo bene. C’erano due uomini, forse tre. Avevano lanterne in
mano e correvano verso il punto in cui mi trovavo io. Quando mi raggiunsero si
chinarono al mio fianco, voltandomi per potermi guardare in volto.
Sentivo le palpebre pesanti,
provai a muovere le braccia ma non rispondevano al mio comando. Rimasi immobile
in balia del volere di quella gente.
Udivo le domande che si
ponevano, si stavano chiedendo chi fossi, cosa avrebbero dovuto fare.
Il calore della torcia,
così vicina al mio volto, mi dava fastidio. Provai a spostarmi con un mugolio,
e questo attirò la loro attenzione.
-Ehi, mi sentite? Come vi
chiamate? Riuscite a rispondermi?-
-N-Nina…- non so come, ma
dalle mia labbra secche un flebile sussurrò riuscì ad uscire –Nina…Lefevre-
L’uomo dovette chinare il capo per capire
meglio, tanto che i suoi capelli mi solleticarono il volto. Aprii piano gli
occhi, incuriosita da un rumore ritmico e…invitante.
La prima cosa che vidi fu il suo collo, a pochi centimetri dalle mie labbra. Era
pallido, liscio, eppure guardando meglio potei notare un piccolo movimento, là
dove avrebbe dovuto esserci la giugulare. Un alzarsi e abbassarsi veloce,
costante, che ebbe la capacità di incantarmi. Più lo fissavo, più il bruciore
alla gola aumentava.
Persino quando si
allontanò, rialzando il busto per fissare i sui compagni, non riuscii a
distogliere lo sguardo.
-E’ la figlia del Conte!-
Sentii quell’esclamazione
sorpresa come un lontano sussurro privo di spessore.
Non mi importava più di
capire dov’ero, con chi ero o se ero ancora viva.
L’unica cosa di cui mi
importava in quel momento era il suono di quell’uomo, il suono della sua vita,
del suo sangue.
Troppo presi dalla loro
discussione, non si accorsero neanche del mio movimento, fin quando non fui completamente
seduta, all’altezza di quell’uomo.
Ci fu un secondo di totale
silenzio, ma io sentii…i loro cuori,
li potevo sentire come canti che osannavano l’arsura della mia gola. Erano
invitanti come la più dolce delle medicine, sembravano chiamarmi…ed io risposi.
Quando mi avventai sul
primo uomo, un pizzico di consapevolezza mi attraversò come uno squarcio, ma fu
infinitamente breve che non ebbi il tempo di fermarmi. Non potevo. Gli altri li
uccisi sena più un barlume di percezione della realtà negli occhi.
Durò tutto un attimo, o
forse un secolo, non lo seppi con esattezza, l’unica cosa che percepii fu il
sangue, tanto sangue, e le urla di uomini che lottarono per rimanere attaccati
alla vita, il resto fu una macchia confusa a cui non diedi importanza.
Solo alla fine,
completamente imbrattata, ferma immobile in mezzo a quei corpi ancora caldi e
inermi, morti, la consapevolezza mi investì come una doccia gelata.
Capii.
Capii cos’ero diventata, cosa avevo appena fatto, che razza di mostro ero
stata.
Capii e desiderai morire,
di nuovo.
Rimasi immobile in quella
posizione per ore, gli occhi sbarrati, la bocca rossa di sangue e le vesti
strappate e umide, fin quando un raggio di sole, il primo di quella nuova
giornata, non mi colpì il braccio. E bruciò.
Fu un riflesso
incondizionato raggiungere l’ombra, terrorizzata, fissando il punto in cui
l’ustiona stava lentamente svanendo. Un miracolo. O forse la più demoniaca
delle stregonerie.
Quello che feci dopo fu
meccanico e atroce: seppellii i cadaveri, uno dopo l’altro, gettandoli senza
sforzo in fosse scavate a mani nude. Mi sembrava ridicolo dire una preghiera,
io che li avevo uccisi, io che ormai ero diventata un abominio davanti agli
occhi di Dio, per questo girai le spalle senza più guardarmi indietro, fuggendo
per sempre da quell’Inferno, dalla mia casa, dalla mia famiglia, e dalla mia
vita.
- - -
Angolino dell’autrice - - -
Salve gente!
Passato bene Halloween?? :)
Allora,
intanto scusate l’enorme ritardo, il mio intento sarebbe stato quello di
pubblicare con una cadenza settimanale, ma è evidente che così non è stato…spero di riuscire ad essere più
puntuale la prossima volta, pregando che i miei impegni, prettamente
scolastici, non mi rubino così tanto tempo :) Che dire? In questo capitolo c’è
stato l’incontro/scontro con Klaus, e tra le righe si è potuto capire
qualcosina del passato di Nina e dei fratelli Originali – momento di silenzio…-
no? Beh abbiate pazienza, col tempo ogni nodo verrà al pettine :) C’è poi stato
quel flashback abbastanza lunghetto, dove, beh è piuttosto chiaro cos’è
successo direi, anche se lo so, mancano un po’ di fattori, del tipo chi l’ha
(accidentalmente) trasformata eccetera, MA non disperate, capirete capirete… A
voler essere sincera avrei voluto mettere anche la parte in cui la nostra
protagonista incontra la banda alleata ai Salvatore, e magari persino Elijah (e
qui un coro di sospiri innamorati XD), ma poi avevo paura venisse fuori un
papiro infinito che nessuno si sarebbe sognato di leggere (avendo tutta la mia
più totale comprensione ù.ù), quindi ho preferito finirla qui, e mettere il
resto nel prossimo capitolo.
Bene, dopo
aver detto tutto quel che c’era da dire sul capitolo, non mi resta che passare
alla parte più importante del mio monologo: i ringraziamenti. Vorrei ringraziare
davvero di cuore tutte quelle che si sono prese la briga di scrivere una recensione,
cioè taisha e jess chan, un grazie anche a chi ha aggiunto questa storia tra le
seguite, ricordate e preferite, quindi debby_88, bluesea, Bonnie98, taisha,
jess chan e Lux Nox, e alle lettrici silenziose.
Poi vorrei
ringrazia la mia amica/beta, che per il momento non può leggere questa storia
perché è un po’ indietro con gli episodi di TVD e rischia spoiler, ma che si è
impegnata nel realizzare il meraviglioso banner, Elizha, grazie davvero (e
muoviti a guardarti la terza serie che devi leggerla! XD).
Ooook gente,
ora ho concluso sul serio, quindi alla prossima, e mi raccomando recensite,
sono curiosa di sapere cosa ne pensate :)
Deademia