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Autore: Deademia    01/11/2012    3 recensioni
Quando Stefan si rivolge a Nina Lefevre, giovane vampira francese conosciuta decenni prima a La Rochelle, per chiederle aiuto nella lotta contro Klaus, non sa quanto la sua richiesta sconvolgerà il fragile equilibrio della ragazza. Perchè Nina fugge da un passato macchiato da una colpa fugace ed innocente, un passato dove l'amore è stato oscurato dall'odio, dove il paradiso è mutato sotto i suoi occhi in un eterno inferno. Così quando arriva a Mystic Fall, si trova persa: da una parte vecchi e nuovi amici che combattono per una giusta causa, dall'altra lui, l'amore della sua vita, l'uomo per il quale anni prima avrebbe fatto follie. Per chi lotterà? Per chi metterà a repentaglio la proprio vita? Per quegli amici appena trovati, solari e vivaci, che le faranno scordare la solitudine in cui è sempre vissuta, o per Elijah, bello e dannato, che un tempo l'aveva amata come nessuno mai aveva fatto ma che ora sembra odiarla dal profondo del cuore, quello stesso cuore che lei comincia a temere non possa più provare nulla nei suoi confronti?
Genere: Azione, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. AFFOGANDO NELL’ETERNITA’

“Vi sono suicidi invisibili. Si rimane in vita per pura diplomazia, si beve, si mangia, si cammina. Gli altri ci cascano sempre, ma noi sappiamo, con un riso interno, che si sbagliano, che siamo morti.”

(Gesualdo Bufalino)

 

 
-Ciao Klaus-
La mia voce, un soffio tremante che aveva la pretesa assurda di risultare sfrontato, riempì il silenzio che si era creato. Era una concezione irreale quella, perché la radio continuava a trasmettere la canzone ed in lontananza, là dove le strade erano trafficate, il rombo dei motori riempiva l’aria di suoni dissonanti e fastidiosi, ma io non sentivo nulla. Nulla che non fosse silenzio. Si dice che anche questo, in effetti, sia un suono, sia percepibile e mai vuoto. In quel momento capii che era vero. Era pressante, opprimente, fastidioso, soffocante. Un silenzio che sapeva di paura. La mia. E lui la percepiva, fin troppo bene a giudicare dal ghigno che aveva assunto mentre mi fissava al di là del parabrezza.

-Sai dolcezza, mi chiedo cosa diamine tu ci faccia qua, visto che a ragion veduta le tue ossa dovrebbero trovarsi in Francia, consumate da più di un secolo e mezzo di tempo-

La visione macabra che mi aveva appena dato, mischiata al terrore che provavo, mi mozzò il respiro.
Dentro di me sapevo che quel giorno sarebbe arrivato, una parte remota del mio cuore, accuratamente accatastata lontano dalla mente, era consapevole che prima o poi avrei dovuto fare i conti con i fantasmi del passato, ma quei fantasmi erano troppo letali, troppo dolorosi perché non provassi a fuggirne.

-Sapevo che eri una ragazza piena di risorse, l’avevo sempre pensato e ora ne ho la conferma. Ma questo. Devo dire che mi sorprendi sempre, Nina-
Mentre continuava a parlare, immobile nella sua posizione da predatore pronto all’attacco, calcolai quante possibilità avevo prima che mi riacciuffasse, nel caso in cui fossi schizzata via dall’abitacolo prendendolo di sorpresa.
Molto poche, dovetti ammettere.
In primo luogo perché un originario lo si coglie raramente di sorpresa, Klaus in particolar modo, ma soprattutto perché era infinitamente più vecchio, ergo più forte ed anche più veloce. Non avrei potuto fare che pochi chilometri, prima di essere raggiunta.

-Sei stata particolarmente brava a non farti scovare in questi anni, vero? Sono certo che hai accuratamente evitato di incontrarci per…come dire…evitare che il compito a cui la natura non è stata in grado di adempiere, passasse nelle nostre mani. Con sommo piacere, aggiungerei- ghignò maligno, rialzando il busto ed inclinando la testa di lato, osservandomi come se dalle parole non dette che testardamente mi ostinavo ad ingoiare riuscisse a trarre un punto debole. Perché questo faceva Klaus. Analizzava, cercava il tallone d’Achille, un appiglio dove potersi ancorare per trascinare affondo , e poi annientava. Ma no glielo avrei dato.

Avevo lentamente portato una mano alla leva della portiera, continuando a fissarlo, senza che notasse quel millimetrico movimento, ed aspettavo solo che continuasse a parlare per uscire da lì, sfuggire. Perché anche se le probabilità erano basse, quasi nulle, dovevo tentare. Rimanere significava morire, era inutile girarci attorno. Quelli erano tutti preliminari, entro pochi attimi avrebbe distrutto la fiancata dell’auto e mi avrebbe trascinata fuori per poi strapparmi il cuore, gioendo come solo lui sapeva fare nella realizzazione delle vendette. Soprattutto se queste avevano aspettato secoli per essere gustate.

-Sai, piccola traditrice, vorrei davvero sapere come reagirà Elijah quando scoprirà che sei viva- avevo ancora i muscoli irrigiditi dall’attimo che precedeva lo scatto, quando la buttò lì. Ed era consapevole, maledettamente consapevole che quello era il modo per azzerare ogni mia possibile mossa, per rendermi inerme, spiazzata solamente dal suono del suo nome.  Per questo mi immobilizzai, un riflesso involontario dettato da quello sciocco muscolo voltagabbana  e morto, ormai privo di battiti, fissandolo ad occhi sbarrati

 –Non credo ne sarà felice-

Serrai le mascelle e lo fissai gelida. Se il mio piano era stato quello di non pronunciar parola per evitare di dargli stupidi spunti ai quali aggrapparsi, e fargli perdere tempo nei suoi egocentrici monologhi prima di darmela a gambe levate, beh era appena fallito miseramente.

-Che vorresti dire, con questo?-

-Oh dolcezza, non avrai per caso creduto che ti potesse accogliere a braccia aperte, come l’amore creduto perduto e poi miracolosamente ritrovato? Non avrai pensato che ti avesse perdonata?-

No, certo che no. Non ero sciocca, e soprattutto conoscevo Elijah. Sapevo le conseguenze di un tradimento nei suoi confronti, conoscevo con perfezione chirurgica quanto il perdono non fosse contemplato nel suo infinito vocabolario millenario. Non mi ero mai aspettata teatrini romantici o rosee rimpatriate.
A ben vedere, non mi ero aspettata proprio nulla.
Ero consapevole di aver sempre dedotto, con macabra ironia, che al primo incontro mi avrebbe tolta di mezzo, ma non lo credevo davvero possibile, c’era quella piccola parte di me, quella composta di soffici speranze e buone previsioni future, che aveva sempre testardamente negato l’opzione.  
Eppure avevo la certezza che anche l’opposto sarebbe stato impossibile. Per questo motivo non sapevo realmente che diamine sarebbe potuto accadere. E sempre per questo motivo temevo quel momento, perché il non sapere, dannazione, era la peggiore tra le ipotesi.

-Certo che no, Klaus, non sono la sciocca bambolina dalle frivole idee che mi reputi. Ma so anche che non accadrebbe ciò in cui tu speri, non è forse così?- oddio, dovevo essere pazza, perché sfidare così apertamente quell’ibrido dal volubile autocontrollo, per giunta con quel tono saccente ed un filino arrogante, era un vero suicidio –Non mi ha uccisa secoli fa, perché dovrebbe farlo adesso, dimmi-

Con sgomento, vidi i suoi tratti rigidi e severi distendersi in un espressione estremamente più ilare, derisoria quasi. A sottolineare la teoria, una scoppio di risa mi fece sussultare.

-Tesoro, è questo che pensi? Che ciò che l’ha bloccato decenni fa, lo bloccherebbe anche ora? Quanta illusione c’è in te…-scosse la testa fintamente amareggiato, e prima che parole taglienti mi uscissero di bocca riprese –Il braccio che ha bloccato la mia mano nel lontano 1824 prima che ti strappassi quel giovane cuore canterino che avevi nel petto era mosso da futili sentimenti umani. Elijah lo era. Assuefatto da debolezze di cui tu eri l’unica, principale causa. Dio solo sa come l’avevi ammaliato, stordito, o come diresti tu, fatto innamorare- aggiunse con un rapido e disgustato gesto della mano, facendomi quasi sbriciolare il volante tra le dita –Ma sono passati lunghi decenni dolcezza, decenni in cui ti ha giustamente creduta morta, in cui è andato avanti, dimenticandosi lentamente di te. Ora, hai la presunzione di conoscere bene mio fratello, quindi ti chiedo una cosa: quale credi che sarà il primo sentimento ad investirlo, la volta in cui ti vedrà? Quel flebile amore sfibrato durante i secoli, uno dei tanti nella sua lunga esistenza, o l’odio verso il tradimento subito, in un uomo come Elijah, dove un tradimento pesa più di mille altre parole e gesti?-

Aveva ragione.  Aveva schifosamente ragione ed io, purtroppo, ne percepivo la consapevolezza in ogni cellula del mio corpo. Ma volevo ignorarlo perché faceva troppo male,  stillava dolore attimo dopo attimo come una ferita sanguinante che non smette di colare.
Guardai quel ghigno, tipico di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico e ben conficcato nel corpo ormai distrutto dell’avversario, e trovai la forza, la rabbia, con cui rispondergli.

-Il mio tradimento non è mai stato tale! Ho agito nel bene, ho fatto ciò che credevo giusto e le mie azione, se a qualcuno dovevano recar torto, avrebbero dovuto farlo solamente con te. A te ho voltato le spalle, è stato il tuo nemico che ho aiutato Klaus, era la tua guerra! Elijah non c’entrava  niente, ma ti ha sempre ciecamente seguito, addossandosi i tuoi doveri, i tuoi ideali e le tue battaglie. Non è giusto che il mio atto venga considerato un’offesa nei suoi confronti,  non lo è mai stato, eppure nessuno l’ha capito. Se avessi mai voluto bene a tuo fratello, se non fossi l’ipocrita egoista privo d’amore che nulla sa fare se non pensare al proprio bene, glielo avresti fatto notare, ma eri troppo preso dai tuoi capricci per pensare al bene di tuo fratello, troppo preso dalla collera nei mie confronti per preoccuparti di placare la sua, immotivata, che l’ha reso cieco d’odio verso l’unica donna che l’abbia mai reso felice. E sì, ho la presunzione di affermare questo perché ho visto il suo sguardo, il cambiamento nei suoi occhi dal giorno in cui mi ha incontrata, e non lo puoi negare nemmeno tu, Niklaus- avevo il respiro affannato e gli occhi sgranati, collerici, mentre le unghie conficcate nei palmi tracciavano dolorose mezzelune vermiglie che tangibili dimostravano quanto mie ero sforzata di rimanere ancorata al mio posto, invece di scendere e prenderlo per il collo, mossa alquanto stupida.
Certamente comunque, il mio bel discorsetto non era stato da meno, e l’uso scellerato del suo vero nome era stato un tocco di follia che avrebbe mandato la sua furia alle stelle.

-Tu! Stupida vampira, lurida traditrice come osi?! Non permetterti mai più di insinuare simili idiozie, non sai nulla su di me e su mio fratello! Quando l’hai aiutata, non hai solamente tradito me, ma anche lui, perché siamo una famiglia, ed un’offesa nei mie confronti lo è anche nei suoi. Ti reputi la sua felicità, la sua salvezza, credi di conoscerlo tanto bene ma se non sai nemmeno che per lui l’amore familiare è al primo posto nella scala delle sue priorità, allora non sai un bel niente- mi guardò con odio, e seppi che in quel momento avrebbe davvero voluto uccidermi. Poi sorrise mefistofelico e aggirò la macchina. I suoi sbalzi d’umore erano disarmanti.
–Comunque dolcezza, ritornando al punto della questione, non devi preoccuparti di come potrebbe reagire nel vederti viva,  non credo ne avrà mai l’occasione- le ultime parole uscirono come un ringhio mentre gli occhi gli si iniettavano di sangue e i muscoli si contraevano pronti allo scatto.

Fu un riflesso incondizionato quello di premere il pedale dell’acceleratore, non avendo più l’originario e sbarrarmi la strada, e partire a tavoletta. A ben vedere, non sarebbe servito a nulla, perché un’auto come quella,anche spinta al massimo, se paragonata alla velocità vampiresca risulterebbe puerilmente lenta.
Eppure lo seminai. O per meglio dire, non mi seguì.
Guidai in preda all’ansia, gettando frenetiche occhiate in ogni dove certa di vederlo rispuntare da un momento all’altro, per tutto il tragitto, e solo quando raggiunsi la camera del B&B e mi ci sbarrai dentro riuscii a tirare un vero respiro di sollievo, accasciandomi contro la porta e scivolando lentamente al suolo.
Dire che ero provata era un eufemismo. E non perché avevo rischiato di morire, mi era capitato altre volte e non  avevo mai avuto reazioni simili, quanto più per chi mi ero trovata di fronte.
Klaus.
Solo un’altra persona sarebbe stata in grado di farmi sentire a quel modo, se non peggio, e dopo quell’amabile chiacchierata sul diretto interessato non ero poi tanto convinta di volerlo incontrare per il prossimo….millennio.
Troppi ricordi erano tornati a galla, troppi rancori repressi e dolori soffocati, flash di una vita passata e ormai dissolta nel nulla che avrebbero dovuto rimanere sepolti nella memoria, inaccessibili e lontani.
Mi alzai e andai al lavello del bagno, sciacquandomi la faccia per poi appoggiarmi al marmo freddo del piano.
Non sarei mai dovuto andare là, ora più che mai ne ero certa. L’illusione di poter affrontare Elijah era stata sciocca ed impulsiva. Dannazione, non riuscivo ad avere un incontro col suo amabile fratello senza essere assalita dal surrogato di un attacco di panico, come avrei mai potuto affrontare lui senza soccomberne?!
Ma ormai avevo dato la mia parola a Stefan, e non avrei certo fatto la figura della codarda scarica grane per il mio sciocco lato umano e debole, attecchito a ricordi che mi rodevano l’anima e sconquassavano l’esistenza.
Alzai la testa, fissando il mio riflesso allo specchio con l’intento di dar maggior peso alla mia decisione: ero lì e lì sarei rimasta, basta fughe, basta paure, la follia l’avevo fatta, ma non si trattava più soltanto di me, quindi, come già mi ero ripetuta mille volte da quando ero atterrata, l’avrei affrontato.
E avrei fatto rimangiare a Klaus tutte le sue stronzate, sillaba dopo sillaba.

 

 
Francia, La Rochelle , 1824

 C’era il mare sotto di me, una distesa infinita di onde che si andavano a frantumare ciclicamente sugli scogli appuntiti a metri e metri di distanza da dove mi trovavo.
La schiuma bianca era l’unico sprazzo di luce in quella notte nera, anche la luna e le stelle erano velate da una nebulosa coltre di nubi dall’aria bellicosa.
Il mare, in tutta quell’oscurità, metteva i brividi.
Feci un passo avanti, attenta a non scivolare su quei sassi umidi di salsedine, e sentii i piedi nudi ferirsi con qualche pietra spigolosa, ma non me ne curai. Il vento, lassù, sibilava gelido gonfiando la leggera camicia da notte bianca che indossavo e smuovendomi con le sue repentine sferzate il capelli tutt’intorno. Sentivo lacrime silenziose colarmi lungo le guance e seccarsi poco prima di cadere nel vuoto.
Lì dov’ero, potevo udire il rumore di quella distesa d’acqua immensa. Era rilassante, ma allo stesso tempo minaccioso. Ammaliante. Sembrava chiamarmi, una musa tentatrice che lentamente mi sospingeva tra le sue braccia, avvinghiandomi con tentacoli mortali.
Aprii le braccia e guardai l’orizzonte nero.
Nero come i suoi occhi.
Volevo urlare. Ogni singola fibra del mio corpo voleva gridare il mio dolore, ma avevo la gola secca e tutto quel che riuscivo a produrre era un flebile sussurro innocuo, nulla se paragonato alla mia sofferenza. Era insoddisfacente.
Mossi un altro passo e raggiunsi il limite, là dove le rocce cadeva a strapiombo nel vuoto.
Anche il mio cuore, era al limite. Al limite dell’amore, della sopportazione, del dolore. E forse quel limite l’aveva superato, forse per questo faceva così male, perché era andato troppo oltre, ed ora la caduta era inevitabile, e mortale.
Chiusi gli occhi. Era tutto troppo nero. Troppo lui. Faceva male, male dentro.
Perché mi ha abbandonata? Perché?
Volevo smetterla di soffrire.
Volevo stare bene, essere felice. Liberarmi di quel peso, di quella tristezza soffocante, e respirare.
Perché non respiro? Aria.  Dov’è la mia aria? Dov’è lui?
Un altro passo, piccolo. In cerca di quell’aria che mi mancava, di quella felicità che non c’era più.
Volevo smetterla si soffrire.
E poi accadde.
Lo sentii, il momento preciso in cui sotto di me non vi fu altro che il vuoto. E cadevo, cadevo, e più cadevo più mi sembrava di perdere la cognizione di tutto, del tempo, dello spazio, del mio corpo, di me stessa.
Più cadevo e meno vivevo. E meno vivevo e più ero felice.
Perché quella vita era diventata sofferenza, e io non la volevo più.
Quando mi scontrai con l’acqua, fu come se mille lamine di ghiaccio mi avessero attraversato la pelle.
Mi si bloccò il respiro in gola. Sorrisi.
Sentii freddo, così freddo che fui tentata di raggomitolarmi, ma non trovavo le braccia, né le gambe. Il mio corpo era un ammasso di lame ghiacciate che non rispondevano più al mio controllo.
Era libero, finalmente, libero di non provare più nulla, libero di staccarsi da me.
Sentii l’acqua scivolare lungo la gola e annidarsi là dove l’aria le lasciava spazio.
La frenesia dei primi attimi era stata rimpiazzata da una calma sovrumana, mentre scivolavo sempre più giù, sempre più in basso.
In un ultimo atto di lucidità spalancai gli occhi, ma era ancora tutto troppo nero. Troppo lui.
Con quest’ultimo pensiero scivolai nell’incoscienza, là dove la vita cede il passo alla morte.

 

Sentivo voci in lontananza, grida di uomini e passi affrettati. Sentivo anche il suono strisciante del mare e qualcosa bagnarmi ritmicamente una mano. Avevo freddo.
Mi ricordai del salto, del vuoto sotto di me e poi di quel buio, così profondo, così asfissiante.
Ero morta.
Ma allora perché provavo sensazioni così…vive? Perché sentivo la veste bagnata incollata al mio corpo, i sassi appuntiti sotto di me e quel forte odore di salsedine? Perché udivo quegli uomini sempre più nitidamente?
Perché avevo…sete?
Non ero forse morta?Cos’era quello, una sorta di purgatorio, o forse l’inferno? D’altronde mi ero macchiata di suicidio, il mio destino sarebbe stato bruciare nelle fiamme eterne. Ma l’unico bruciore che sentivo proveniva da me, dalla mia gola riarsa, tanto che lentamente portai una mano al collo stringendolo come a voler placare quelle fitte mai provate prima.
Le voci si avvicinavano, ora le distinguevo bene. C’erano due uomini, forse tre. Avevano lanterne in mano e correvano verso il punto in cui mi trovavo io. Quando mi raggiunsero si chinarono al mio fianco, voltandomi per potermi guardare in volto.
Sentivo le palpebre pesanti, provai a muovere le braccia ma non rispondevano al mio comando. Rimasi immobile in balia del volere di quella gente.
Udivo le domande che si ponevano, si stavano chiedendo chi fossi, cosa avrebbero dovuto fare.
Il calore della torcia, così vicina al mio volto, mi dava fastidio. Provai a spostarmi con un mugolio, e questo attirò la loro attenzione.

-Ehi, mi sentite? Come vi chiamate? Riuscite a rispondermi?-

-N-Nina…- non so come, ma dalle mia labbra secche un flebile sussurrò riuscì ad uscire –Nina…Lefevre- 

L’uomo dovette chinare il capo per capire meglio, tanto che i suoi capelli mi solleticarono il volto. Aprii piano gli occhi, incuriosita da un rumore ritmico e…invitante. La prima cosa che vidi fu il suo collo, a pochi centimetri dalle mie labbra. Era pallido, liscio, eppure guardando meglio potei notare un piccolo movimento, là dove avrebbe dovuto esserci la giugulare. Un alzarsi e abbassarsi veloce, costante, che ebbe la capacità di incantarmi. Più lo fissavo, più il bruciore alla gola aumentava.
Persino quando si allontanò, rialzando il busto per fissare i sui compagni, non riuscii a distogliere lo sguardo.

-E’ la figlia del Conte!-

Sentii quell’esclamazione sorpresa come un lontano sussurro privo di spessore.
Non mi importava più di capire dov’ero, con chi ero o se ero ancora viva.
L’unica cosa di cui mi importava in quel momento era il suono di quell’uomo, il suono della sua vita, del suo sangue.
Troppo presi dalla loro discussione, non si accorsero neanche del mio movimento, fin quando non fui completamente seduta, all’altezza di quell’uomo.
Ci fu un secondo di totale silenzio, ma io sentii…i loro cuori, li potevo sentire come canti che osannavano l’arsura della mia gola. Erano invitanti come la più dolce delle medicine, sembravano chiamarmi…ed io risposi.
Quando mi avventai sul primo uomo, un pizzico di consapevolezza mi attraversò come uno squarcio, ma fu infinitamente breve che non ebbi il tempo di fermarmi. Non potevo. Gli altri li uccisi sena più un barlume di percezione della realtà negli occhi.
Durò tutto un attimo, o forse un secolo, non lo seppi con esattezza, l’unica cosa che percepii fu il sangue, tanto sangue, e le urla di uomini che lottarono per rimanere attaccati alla vita, il resto fu una macchia confusa a cui non diedi importanza.
Solo alla fine, completamente imbrattata, ferma immobile in mezzo a quei corpi ancora caldi e inermi, morti, la consapevolezza mi investì come una doccia gelata.
Capii. Capii cos’ero diventata, cosa avevo appena fatto, che razza di mostro ero stata.
Capii e desiderai morire, di nuovo.
Rimasi immobile in quella posizione per ore, gli occhi sbarrati, la bocca rossa di sangue e le vesti strappate e umide, fin quando un raggio di sole, il primo di quella nuova giornata, non mi colpì il braccio. E bruciò.
Fu un riflesso incondizionato raggiungere l’ombra, terrorizzata, fissando il punto in cui l’ustiona stava lentamente svanendo. Un miracolo. O forse la più demoniaca delle stregonerie.
Quello che feci dopo fu meccanico e atroce: seppellii i cadaveri, uno dopo l’altro, gettandoli senza sforzo in fosse scavate a mani nude. Mi sembrava ridicolo dire una preghiera, io che li avevo uccisi, io che ormai ero diventata un abominio davanti agli occhi di Dio, per questo girai le spalle senza più guardarmi indietro, fuggendo per sempre da quell’Inferno, dalla mia casa, dalla mia famiglia, e dalla mia vita.

 

 

 

- - - Angolino dell’autrice  - - -

Salve gente! Passato bene Halloween?? :)
Allora, intanto scusate l’enorme ritardo, il mio intento sarebbe stato quello di pubblicare con una cadenza settimanale, ma è evidente che così non è stato…spero di riuscire ad essere più puntuale la prossima volta, pregando che i miei impegni, prettamente scolastici, non mi rubino così tanto tempo :) Che dire? In questo capitolo c’è stato l’incontro/scontro con Klaus, e tra le righe si è potuto capire qualcosina del passato di Nina e dei fratelli Originali – momento di silenzio…- no? Beh abbiate pazienza, col tempo ogni nodo verrà al pettine :) C’è poi stato quel flashback abbastanza lunghetto, dove, beh è piuttosto chiaro cos’è successo direi, anche se lo so, mancano un po’ di fattori, del tipo chi l’ha (accidentalmente) trasformata eccetera, MA non disperate, capirete capirete… A voler essere sincera avrei voluto mettere anche la parte in cui la nostra protagonista incontra la banda alleata ai Salvatore, e magari persino Elijah (e qui un coro di sospiri innamorati XD), ma poi avevo paura venisse fuori un papiro infinito che nessuno si sarebbe sognato di leggere (avendo tutta la mia più totale comprensione ù.ù), quindi ho preferito finirla qui, e mettere il resto nel prossimo capitolo.
Bene, dopo aver detto tutto quel che c’era da dire sul capitolo, non mi resta che passare alla parte più importante del mio monologo: i ringraziamenti. Vorrei ringraziare davvero di cuore tutte quelle che si sono prese la briga di scrivere una recensione, cioè taisha e jess chan, un grazie anche a chi ha aggiunto questa storia tra le seguite, ricordate e preferite, quindi debby_88, bluesea, Bonnie98, taisha, jess chan e Lux Nox, e alle lettrici silenziose.
Poi vorrei ringrazia la mia amica/beta, che per il momento non può leggere questa storia perché è un po’ indietro con gli episodi di TVD e rischia spoiler, ma che si è impegnata nel realizzare il meraviglioso banner, Elizha, grazie davvero (e muoviti a guardarti la terza serie che devi leggerla! XD).
Ooook gente, ora ho concluso sul serio, quindi alla prossima, e mi raccomando recensite, sono curiosa di sapere cosa ne pensate :)
Deademia

  
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