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Autore: EleUndFra_    04/11/2012    4 recensioni
«No matter what happen, no matter who's president. As our Lady of Disco, the divine Gloria Gaynor, has always sung to us.. We will survive
Cosa potrà mai accadere, a distanza di un anno, nella monotona città di Pittsburgh? Quali sorprese ha in serbo il futuro ai nostri ragazzi? Basta torturarvi in cerca delle risposte. Aprite questa fottuta storia.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6.


“Buongiorno, Mikey.”
Brian si allungò oltre il bancone del negozio  di fumetti di Michael per salutare il suo amico, schioccandogli un sonoro bacio sulle labbra. Sembrava tranquillo e sereno, come se la sera prima nulla fosse stato.
“Tutto okay?”, chiese Michael con premura.
“Certo che è tutto ok. Cosa ti fa pensare il contrario?”
Ok, era fin troppo tranquillo.
“Beh, ieri sera te ne sei andato così, senza neanche salutare. Pensavo..”
“Senti, non ne voglio parlare, mh?”, troncò il discorso Brian.
“No, io.. Io devo dirti una cosa.” Michael prese un leggero respiro e sputò il rospo. “Io sapevo che Justin sarebbe venuto. Mi aveva avvertito.”
A quel punto la maschera di tranquillità e indifferenza scomparve e Brian esplose.
“Tu lo sapevi? ..Lo sapevi e non mi hai detto niente?!”
“Non potevo dirtelo, Justin mi ha pregato di non farlo!”
“E da quando soddisfi le sue richieste? Sono il tuo migliore amico, cazzo, avresti dovuto dirmelo!” In quel momento di sentiva tradito, preso in giro. “Vaffanculo, Michael.” Fece per andarsene, ma Michael lo tirò per un braccio, trattenendolo.
“Brian, calmati adesso!” Sospirò e affievolì il tono di voce; sapeva come prendere Brian in certe situazioni.
“Non prendertela con me se il ritorno di Justin ha risvegliato in te qualcosa che credevi aver seppellito.”
Brian lo guardò negli occhi, in silenzio. Il suo migliore amico lo conosceva quasi meglio di se stesso, non poteva nascondergli niente. Così lo strinse in un abbraccio sincero; era il suo modo di chiedergli scusa. Michael ricambiò l’abbraccio, accarezzandogli i capelli dietro la nuca con le dita. Sentiva che il suo amico soffriva interiormente e stava lottando contro i suoi sentimenti. Meno gli avrebbe parlato di Justin, meglio sarebbe stato. Le cose si sarebbero aggiustate, prima o dopo.
“Anch’io devo dirti una cosa, ma non deve saperlo nessun’altro.”, dichiarò Brian una volta sciolto l’abbraccio, aspettando l’ok dell’altro per parlare. “Parto per San Francisco. Hanno richiesto una sede della Kinnetic in città.”
“Cosa?! Dimmi che stai scherzando, non puoi volertene andare davvero.”, rispose Mike in un misto di preoccupazione, delusione, tristezza e rabbia.
“Senti, sono affari. E’ il mio lavoro che assicura il mio futuro.”
“E non pensi a quello che dovresti lasciare? ..Non pensi a me?” Aveva gli occhi lucidi, così Brian gli prese il viso fra le mani e appoggiò la fronte alla sua, catturando il suo sguardo col proprio.
“Ascolta Mikey, mi stai ascoltando?”
“Si, ti sto ascoltando.” , rispose velocemente, mentre tratteneva una lacrima che sentiva bruciare nell’occhio.  
“Quando partirò, tutti mi sembreranno lontani, ma non tu. Perché ovunque noi siamo, non smetterò mai di volerti bene. Niente potrà mai dividerci, ricordatelo sempre.”
Michael riuscì a malapena ad annuire, prima di lasciare una lacrima amara rigargli la guancia e gettarsi tra le sue braccia, stringendolo ancor più forte di prima.
Era fragile, sensibile, e non sapeva per quanto tempo avrebbe sofferto senza Brian; non si erano mai separati definitivamente da quando erano piccoli, erano cresciuti praticamente insieme. Debbie era stata come una mamma per Brian, data la scarsa presenza della sua vera madre. Da sempre si erano presi cura l’uno dell’altro, e qualunque cosa succedeva, potevano sempre contare l’uno sull’altro, sempre. Lui era l’unica certezza della sua vita. No, non era pronto a dirgli addio. Ma aveva Ben e aveva Hunter, e assieme a loro avrebbe superato la cosa. Ora voleva solo godersi quel weekend, Brian non sarebbe partito prima di lunedì. Non si sarebbe rovinato quella favolosa festa.


———

Emmett era ormai deciso a parlare con la squadra di football degli Ironmen. Voleva ad ogni costo sapere di Drew: cosa gli era successo? Perché aveva lasciato la squadra? Come stava adesso?
Ted gli diede una pacca di incoraggiamento su una spalla, così lui prese un respiro ed entrò insieme al suo
amico nell’edificio del centro sportivo, verso l’entrata del campo dove era in corso l’allenamento. Ma un addetto alla sicurezza li fermò lungo il corridoio.
“Non potete stare qui, è riservato ai giocatori e al personale.”
“La prego, è importante, ci faccia passare!”, scongiurò Emmett in preda all’ansia.
“Mi dispiace, le regole sono chiare.”, ribadì freddo l’uomo.
I due amici sospirarono rassegnati e si allontanarono, quando a Ted venne un’idea.
Si avvicinò a un annuncio appeso alla parete, distante da Emmett, gli lanciò uno sguardo complice e attirò l’attenzione della guardia.
“Scusi, qui c’è scritto che cercate del personale tra i 25 e i 40 anni? Io sarei interessato.”, iniziò, riuscendo nell’intento di distrarre l’uomo, che superò Emmett e lo raggiunse all’annuncio. 
Allora Emmett intuì il piano dell’amico e senza perdere altro tempo percorse velocemente il corridoio ora libero, girando l’angolo. Quando arrivò alla vetrata che affacciava sul campo esterno, l’allenamento era appena finito e i giocatori stavano rientrando negli spogliatoi. Li raggiunse a passo insicuro, trovandosi fra tanti uomini nudi o seminudi, cosa che, però, non gli era mai dispiaciuta. Subito un borbottio di voci riempì il vuoto dello spogliatoio: “E lui chi è? Che ci fa qui?” “Guarda quella checca!” “Dev’essere amico di Drew!”, quest’ultima seguita da risatine.
Emmett le ignorò, era lì solo per un motivo. Bussò sulla spalla di uno dei giocatori: una montagna di muscoli dalla pelle scura e largo come un armadio.
“Ehm.. salve. Scusate l’improvvisata, so che non dovrei essere qui. Ero solo venuto per parlarvi di Drew.”
“Oh, e così adesso oltre a non farsi più vedere manda anche il suo frocetto a parlarci?”, fece sgarbato l’uomo.
“Io non sono il suo frocetto.”, gli rispose Emmett a tono, “E volevo solo chiedervi di lui. Che vuol dire che non si fa più vedere?”
“Ha lasciato la squadra. Era il quarterback e ha lasciato la squadra. Ci ha traditi! Ci ha traditi dal momento in cui ha dichiarato di essere finocchio!” L’uomo aveva alzato il tono di voce.
“Quindi secondo voi, vi ha traditi perché ha scoperto.. che gli piace il cazzo? Io credevo che in una squadra ci si accettasse a vicenda, ci si aiutasse e ci si sostenesse sempre. Ma evidentemente lui non meritava di avere dei compagni di squadra del genere. Lo conosco da meno tempo di voi, ma credetemi, so che non avrebbe mai mollato la sua passione se non ne fosse valsa la pena. Non lo biasimo per essersene andato.”
Mentre parlava, arrivò una voce da un altro giocatore.
“Non so dove sia andato, ma mi disse che voleva partire, cambiare aria.. cambiare compagnia.”
Emmett si girò a guardarlo giusto un attimo, prima di distogliere lo sguardo e concludere.
“Bene. Ho saputo quel che volevo sapere. Grazie dell’aiuto, e detto questo, vi lascio alla vostra vergogna.”
Uscì a testa alta dallo spogliatoio e ripercorse il corridoio, raggiungendo Ted fuori dal centro sportivo, con aria seccata e delusa allo stesso tempo.
“Andiamocene, Teddy. Ora so come stanno le cose. Cominciamo a pensare a come organizzare la festa di domenica, non voglio più pensare a questa storia.”
Il suo amico annuì solamente, assecondandolo, per poi incamminarsi nuovamente con lui verso Liberty Avenue, lontano da quelle strade etero e bigotte.
Emmett lasciò che i pensieri si appropriassero della sua mente. Non aveva risolto niente parlando con la squadra di football; sapeva solo che Drew se n’era andato chissà dove. Forse quella era la volta buona che non l’avrebbe più rivisto, e doveva farsene una ragione. Non era certo il tipo che si lasciava buttare giù così facilmente. Lui diceva “Quando la vita ti butta giù, fai una festa!”, seguendo il consiglio di Martha Stewart. E, guarda caso, la festa in onore della vittoria contro la Proposizione 14 cadeva proprio a pennello.


———

Hunter aveva deciso di farsi coraggio e parlare con Ben. Aveva bisogno dei consigli di un adulto, dal momento che di era accorto di essersi preso una bella sbandata per Melanie.
“Posso parlarti?”
Ben rimase quasi di stucco; non glielo aveva mai chiesto prima. Doveva essere una cosa seria. Si sedette al tavolo, di fronte a lui, guardandolo leggermente preoccupato.
“Ma certo, lo sai che ci sono per qualsiasi cosa. Che succede?”
Il ragazzo prese un bel respiro e iniziò a parlare, vagamente insicuro.
“Credo.. credo che mi piaccia seriamente una, ma non so se farmi avanti e dirglielo. E’ una situazione.. un po’ complicata.” A dirla tutta, questa Lei era una mamma lesbica sposata e con due figli, ma Ben sembrava così felicemente sorpreso alla notizia, che non voleva ancora dirglielo rischiando di rovinare il suo umore.
“Ma è una cosa bellissima, Hunter, hai una cotta! Ah, quando lo saprà Michael!”
“Che cosa devo fare..?”, quasi implorò il ragazzo, ignorando la sua gioia.
“Vuoi un consiglio? Beh, indipendentemente da come andrà a finire, tu sei in dovere di provarci. Buttati, fai il primo passo, magari ti va bene. Ma devi anche prendere in considerazione un eventuale rifiuto.”
“E se non mi vuole.. perché ho l’HIV?”
Quello era il suo punto debole, Ben lo capiva. Doveva sempre prenderlo con sensibilità quando affrontava quell’argomento.
“Ascoltami, Hunter. Sei un bravo ragazzo e di così bell’aspetto. La tua sieropositività è l’ultima cosa che una ragazza guarderebbe in te.”
Quando lo rassicurò con un caldo sorriso, Hunter annuì  e abbassò lo sguardo sul tavolo, riflettendo sul consiglio che aveva appena ricevuto.
In effetti, a Melanie non sembrava dispiacere la sua compagnia, e non aveva neanche provato a scansarsi quando stava per baciarla. Purtroppo l’amore rende ciechi, e l’unica cosa che riusciva a pensare in quel momento era che forse avrebbe davvero dovuto buttarsi. Infondo, esternare i suoi sentimenti verso di lei non avrebbe potuto far male a nessuno dei due.. no?


———

“A domani, Deb.”
Era l’ora del Babylon e Brian stava uscendo dal Liberty Diner dopo aver salutato Debbie, lasciandola alle zuccherose attenzioni del suo detective.
“Non divertirti troppo, domani devi aiutarci con i preparativi!”, gli gridò la donna mentre la porta della tavola calda gli si richiudeva alle spalle.
Ignorò la sua voce e, mentre camminava per il marciapiede, tirò fuori una sigaretta dal pacchetto che teneva nella tasca della giacca e se la accese. In realtà gli unici preparativi che aveva in mente erano quelli del suo trasferimento a San Francisco. Non aveva ancora deciso definitivamente, ma più percorreva le vie di Pittsburgh, che in quel momento sembravano più monotone che mai, e più sentiva di voler cambiare aria. Eppure qualcosa ancora lo tratteneva.
Mentre camminava con lo sguardo basso, guardando distrattamente il marciapiede, incrociò per caso Justin e la sua nuova fiamma che venivano dalla parte opposta. Per poco non si gelò; il cuore perse qualche battito, ma non poteva permettersi di lasciarsi scappare emozioni equivoche. Stavolta non poteva scappare, non aveva via d’uscita, se non affrontare la situazione come suo solito: fingere che nulla fosse successo e non trasparire alcuna emozione.
“Hey, ragazzi.”, esordì una volta fermatosi davanti a loro e aver indossato la ‘maschera’, accennando un sorriso in automatico.
“Ciao.. Brian.”, rispose Justin, che invece era rimasto sbalordito e si sentiva spiazzato dal suo improvviso cambiamento di umore rispetto alla sera prima. Gli ricordò uno dei motivi per cui in passato si erano trovati in conflitto più di una volta, ma solo per un attimo. Poi incrociò il suo sguardo e lo guardò dritto negli occhi, e allora si ricordò solo i motivi per cui lo aveva amato tanto. I ricordi degli anni passati lo invasero, incrementati dalle strade di Pittsburgh, dove avevano passato la maggior parte del tempo. Perso in quello sguardo penetrante, in quelle labbra piene e morbide e in quei lineamenti perfetti che gli facevano desiderare di sfiorare il suo viso, di accarezzarlo, quasi non si accorse di avere un altro uomo accanto a sé, finchè Brian non decise di interrompere il silenzio.
“Dovete scusarmi per l’altra sera, avevo un’emergenza. Ma adesso che ho risolto, posso darvi anch’io il mio benvenuto ufficiale.. Bentornato, Justin.”
Non era stato per niente sincero, ma riusciva a sembrare comunque il cinico dall’aria strafottente di sempre. Quell’accenno di sarcasmo che usava nel tono di voce, poi, era da sempre il suo tocco di classe.
 “Allora, voi due venite al Babylon?”
Justin aprì bocca e fece per parlare, ma al posto suo rispose Connor, secco e diretto.
“No grazie, abbiamo altri programmi per stasera.”
Brian spostò lo sguardo su di lui non appena sentì la sua voce, che lo infastidì come una mosca nelle orecchie. Entrambi sollevarono appena il mento, l’uno verso l’altro; gli sguardi fissi e duri, quasi a volersi fulminare a vicenda. Brian si trovava inevitabilmente in conflitto con quell’uomo. Diceva di non conoscere la gelosia, eppure lo percepiva come una macchia di fango sui suoi jeans Gucci. Non sopportava la sensazione di quei sentimenti che combattevano un incontro di pugilato dentro di lui, ma non l’avrebbe dato a vedere, così sfoggiò un lieve sorriso, estremamente falso.
“In questo caso, passate una bella serata.”
A quel punto Connor cinse le spalle di Justin con fare possessivo, insieme oltrepassarono Brian e proseguirono per la loro strada.
  
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