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Autore: V a l y    25/05/2007    9 recensioni
Storia nata da una vecchia fantasia dell'autrice per una coppia fuori dalla norma. Due ragazzi che avendo in comune la stessa causa si ritrovano insieme: il rosso e la cinese. Tengo veramente tanto a questa storia, sarei felicissima se magari mi aiutaste con commenti e consigli *.*
CAPITOLO 30. [Quella mattina, la famosa domenica successiva alla notte di baldoria nel quale le ragazze del passaggio a livello erano andate a trovare i balordi del covo dell’est, non fu niente di tutto questo a svegliare prematuramente Xiaoyu. Non erano stati gli schiamazzi, la musica, lo sferragliamento di nuove casse di liquori che venivano strusciate di peso sulla ghiaia. Fu lo strano, inusuale suono prolungato del clacson di un camion, un rumore assolutamente sconosciuto alla clausura della periferia est da ogni attività urbana.]
EDIT. Al solito ho inserito un'illustrazione fatta da me dopo aver aggiornato la fic. La trovate a inizio capitolo 30!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hwoarang, Ling Xiaoyu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il buio senza tempo delle nubi attraversava la periferia Est come ogni sera. Come sempre, i mascalzoni che l'abitavano festeggiavano con boccali di birra, bottiglie di whisky, schiamazzi e risate; talvolta anche con qualche amorevole pacca che poi diventava un pugno.
Niente aveva alterato la consueta routine del famoso quartiere, meno che un dettaglio: i ragazzi del rosso erano inusualmente silenziosi, mansueti, e i loro occhi erano orientati verso una sola persona. Hwoarang, come sempre, era riuscito con l'inestimabile carisma ad attirare l'attenzione di tutti.
“Ragazzi miei!” urlò sopra una piattaforma alta e non identificata coperta da un grande telo rosso. Gli uomini risposero al suo richiamo con un esaltato strepito. “E ragazze...” aggiunse languidamente, posando però lo sguardo su Mugen e scaturendo le risate di tutti.
“E non scordiamoci le bambine!” soggiunse con enfasi, indicando l'unico membro del gruppo che lui soprannominava così. Lei sorrise con supponenza a quel solito e sciocco modo che aveva lui di chiamarla.
“Prima di iniziare a festeggiare per domani, il giorno che andremo alla festa della Mishima, vorrei farvi vedere una piccola cosa...” e l'attenzione dei suoi uomini crebbe, perché, nonostante avesse affermato che ciò che doveva mostrare agli altri fosse cosa da poco, arrise furbo come una volpe. Si allettava aria di grandi sorprese.
“E cosa vuoi mostrarci, capo?” fece uno della banda, un non individuato tra i molti attorno a lui.
“Qualcosa nascosto qui sotto...” rispose emblematico il loro boss.
“Se intendi nei tuoi pantaloni, capo, lascia pure perdere che a noi non interessa!” esclamò un altro nella calca che fece sghignazzare i restanti. Hwoarang, nonostante lo scherzoso affronto, rispose più serio e serafico che mai:
“Non era quello che intendevo, ho detto che ho una piccola cosa da mostrare.”
“Vorresti dirci che avresti invece una grande sorpresa sotto i pantaloni?” domandò un tizio rasato e con un tatuaggio lungo tutta la schiena.
“Rispondo a questo quesito vietato ai minori solo se qualcuno tappa le orecchie della bambina,” scherzò il coreano. Xiaoyu aprì bocca per replicare, ma il rosso non gliene diede il tempo.
“Non tu, Mugen, che sei un porco persino con le minorenni!” gridò guardandolo di sbieco, arridendo con la stessa rassegnazione divertita di una madre che becca il proprio figlio a fare qualche monelleria.
“Ma non ho mai fatto niente di male a Xiaoyu!” contrariò bonariamente il tatuato, che effettivamente, sebbene spinto da propositi immorali, neppure una volta era riuscito a portare le sue intenzioni a fatti veri e propri.
“Solo perché ti tengo d'occhio,” esplicò Hwoarang mettendosi a braccia conserte.
“Già, cazzo...” ammise Mugen con appena un brontolato mormorio, che, sfortunatamente per lui e al contrario di ciò che aveva premeditato, fu forte quanto bastava da essere sentito dalla diretta interessata. La cinesina spalancò gli occhi sbigottita e arrossì vistosamente.
“Ma no, Xiao! E' ovvio che non l'avrei mai fatto neppure se ne avessi avuto il tempo!” affermò un po' esitante il tatuato con l'intenzione di rimediare al danno.
“Mugen, la frittata l'hai fatta e ora sei fottuto!” urlò John con spasso.
D'improvviso, mentre ognuno era distratto dalle urla, dal chiasso e dalle risate collettive, Hwoarang balzò dall'alta piattaforma atterrando di fronte ai suoi uomini, ed essi si accalcarono per poter meglio cogliere anche un solo spiraglio del loro boss.
“Senza cincischiare ulteriormente... avete sentito? Ho detto cincischiare. Sono o non sono abbastanza aulico da poter essere scambiato per un mangiasoldi della Mishima?" domandò con aria amena al gruppo. “Insomma, senza perdere altro tempo...” e la frase si spezzò a metà, aspettando il sollevarsi dell'interesse di tutti. Era un silenzio curioso, che implorava di continuare, proprio ciò a cui ambiva Hwoarang. Quest'ultimo, con un gesto secco della mano, fece cadere il grande telo a terra scoprendo ciò che conteneva.
“Un omaggio dal buon vecchio Leonard, il suo ferrovecchio!” esclamò, e tutta la massa strepitò acclamando al quattro ruote che tanto adoravano; tutta tranne Xiaoyu, che permaneva fedele alla sua idea di ripudio per quel camioncino usato con finalità poco ortodosse.
“Stasera Leonard non c'è – o, per meglio dire alla maniera dei Mishima, non potrà deliziarci con la sua presenza –, ma ha portato per noi due suoi amici...” disse Hwoarang con persuasione. “E voi sapete chi sono i suoi amici oltre noi, vero?”
La folla, di nuovo, schiamazzò con furore, dando all'unisono la risposta al quesito:
“I sequestrati!”
“Ragazzi, hanno un nome: il signore e la signora Kobayashi, che verranno sostituiti domani da me e la bambina per entrare alla festa!” riferì il capobanda, ma prima che il resto del gruppo potesse rispondere con il solito, indomato, animalesco strepito, Xiaoyu si fece largo tra la folla con aria irritata. Per questo, sapendo bene quanto fosse pericoloso provocarla – parlando soprattutto dei tre che tempo addietro provarono per loro sfortuna la furia della ragazzina a loro spese –, gli uomini del covo si spostarono senza battere ciglio e senza che la cinese chiedesse alcun permesso.
La bambina, ora davanti al furgone, aprì le due ante. Dentro il camioncino erano state legate due persone diverse dalle ultime rapite ma con l'identico stato d'animo di terrore. Erano la signora Kobayashi, donna di mezz'età e di corporatura robusta, e il signor Kobayashi, anche lui di mezz'età, ma al contrario della moglie esile come un fuscello. Si accomunavano tra loro, oltre l'aria impaurita, per l'abbigliamento di lusso e l'agghindamento di gioielli, anelli e spille d'oro.
“Blouson noir, sei uno schifoso, infido, sadico-”
Ma Xiaoyu non poté inveire oltre, perché il suo boss chiuse prontamente la porta posteriore del camioncino guardandola serio come mai era stato prima e senza aprir bocca. La ragazza si zittì intimorita dallo strano silenzio austero del coreano.
“Siamo nei guai... ci hanno visti in faccia...” riferì sommessamente Hwoarang con voce preoccupata. Si avvicinò alla massa, che man mano si scansava da lui formando un largo semicerchio, ed emise un grosso sospiro.
“Lo sapete, l'unico modo per farli tacere... è...” e a quelle parole reclinò il capo in avanti, in una teatrale mossa di disperazione. Gli altri assentirono all'unisono.
“Il boss ha ragione, dobbiamo ucciderli...” sancì fievolmente un altro. Quelle terribili parole paralizzarono completamente Xiaoyu.
“E' l'unico modo...” convenne il rosso. “Trovate un metodo rapido e indolore.”
“Potremo gettarli in mare legati a un grosso macigno!” suggerì John.
“Ho detto un metodo rapido e indolore,” ripeté il boss.
“Una pistola! Chi ce l'ha una pistola?” chiese un ragazzone coi capelli platinati.
“Non abbiamo munizioni...” rispose quello accanto.
“Abbiamo un coltello, ma è un'arma così antiquata...” disse la sua qualcun altro.
A quelle parole ciniche e fredde, la bambina tremava e sbiancava sempre più; sembrava in punto di dover svenire da un momento all'altro. Realizzò che il blouson noir, di cui credeva sapere tutto, in realtà non lo conosceva affatto. A prima impressione era un delinquente, un mascalzone – e queste caratteristiche peculiari evidenziavano già da sole un'impronta criminale nella sua indole –, ma mai Xiaoyu l'avrebbe reputato un assassino. Che fosse stata troppo ingenua con lui e i suoi nuovi compagni?
“Be', visto che è stata colpa della bambina, sarà lei a doverli uccidere,” sentenziò il coreano. Solo in quel momento la giovane scollegò del tutto il suo cervello. Era una situazione paradossale, forse la più paradossale della sua vita. Le veniva voglia di arrabbiarsi, di piangere, di fuggire, di urlare, ma non era sufficientemente lucida da riuscire in quelle imprese.
Nel momento in cui iniziò a ritornare padrona delle proprie funzioni intellettive, si accorse che tutti la stavano fissando divertiti.
Il blouson noir tentò di restare serio, ma per una persona come lui, puerile ed istintiva se si trattava di farsi quattro risate, era difficile rimanerlo per troppo tempo. Cominciò a sghignazzare, seguito a ruota dagli altri.
Xiaoyu rimase completamente spiazzata.
“Ti stavamo prendendo per il culo, bambina!” esclamò Hwoarang con le lacrime agli occhi.
Soltanto in quel momento, cosciente del brutto tiro che le aveva fatto la banda al completo, Xiaoyu riuscì a estrinsecare la propria rabbia:
“Che scherzo di cattivo gusto! Credevo che solo il capo della banda fosse un imbecille, e invece lo siete tutti!” strillò, e il pallore sul suo viso scomparve all'istante lasciando il posto a un bel colorito rosso acceso.
“Che fessa! Avresti dovuto vederti la faccia... eri così... spassosa!” continuò imperterrito il coreano, rimasto in alcun modo offeso dalle parole scontrose della cinese; aveva la mente troppo distratta dal divertimento per occuparsene. Gli unici che si sentirono in colpa furono una parte del gruppo dietro al boss, Rana, John e Mugen inclusi. Si avvicinarono a Xiaoyu e ognuno, a modo suo, la consolò: chi con carezze sulla testa, chi con pacche sulla spalla, chi con battute e chi, addirittura, offrendole sigarette o bottiglie di rum.
La cinese, calmatasi, riuscì a reprimere le lacrime che avevano cominciato a pizzicarle gli occhi.
“Vi perdonerò solo se taglierete la lingua a quello scemo del vostro capo, così da zitto sembrerà più intelligente!” urlò in preda a una crisi di nervi alla combriccola attorno a sé. Mugen fu il primo ad acconsentire alla richiesta della ragazza.
“Scusami capo, ma... se si tratta di Xiaoyu, questo e altro!” disse ammiccando alla cinese. Hwoarang stava già cominciando a scappare, ma accadde che, nel girarsi, si scontrò involontariamente contro una persona che la bambina non aveva mai visto prima.
“Hwoary!” disse questa con un sorriso luminoso.
La linea del suo corpo era più esile rispetto a quelle robuste dei balordi della periferia Est e aveva una voce acuta e cinguettante. Si trattava di una femmina, l'unica oltre Xiaoyu. Poco dopo, Hwoarang ne adocchiò altre quattro alle spalle della nuova arrivata.
“Kanna?” tentò d'indovinare il rosso, e ci prese, perché la ragazza gli rispose con un sorriso a trentadue denti. “Non dovevi venire più tardi?”
“Non avevo voglia di aspettare,” ammise lei con voce sbarazzina, girando lo sguardo attorno a sé. “Carino l'ambiente... originale!” soggiunse vivacemente dirigendosi ai falò, e ben presto si trovò con le amiche in mezzo ai malviventi della periferia.
“Capo,” disse John dopo essersi accostato al coreano, “e queste ragazze?”
“Sono studentesse universitarie trovate in giro per Tokyo.”
“Era da una vita che non ne rimorchiavi alcune e le portavi qui!” valutò il gigante con aria felice.
Di risposta, Hwoarang sfoderò un sorriso, ma questo si spense subito dopo che il ragazzo posò gli occhi sulla bambina.
La vide avvicinarsi alle nuove arrivate con quel solito modo di fare allegro e curioso per cominciare subito una chiacchierata. Ma, lo si notava dai suoi sorrisi incerti, era anche frastornata per la nuova situazione. Era strano ritrovarsi altre ragazze oltre lei nella periferia Est. Nessuna donna, da quel che Xiaoyu ricordava, aveva mai messo piede in quel quartiere maschile e caotico, ciononostante sembravano sentirsi assolutamente a loro agio.
Quando accadeva che una componente dell'altro sesso varcasse la soglia dell'area urbana per entrare nella periferia, i maschi, come da copione, facevano accomodare le nuove arrivate sui materassi e andavano a cercare bottiglie alcoliche non ancora stappate da offrire.
“A cosa questo secondo omaggio?” domandò John al rosso.
“A niente, è da tanto che non vado con una donna,” rispose il capo con la più ovvia logicità. Ma la verità era un'altra e Hwoarang la conosceva bene.
Tutto era cominciato qualche sera prima, al ristorante della famiglia Law. Lei era apparsa da dietro la porta della cucina, diversa come non mai l'aveva vista, e tutta la sua bellezza, perennemente velata da un atteggiamento infantile che la bambina ostentava ogni giorno, era inaspettatamente sbocciata con poco più che un abito rosso di seconda mano.
Era splendida. E forse lei nemmeno lo sapeva.
Quella sera, Hwoarang cominciò a provare per lei qualcosa di strano e inconfessabile. Comprendeva i desideri più intimi e istintivi che un uomo può provare per una donna. Era riuscita a catturare una sua nuova attenzione, non più di prese in giro, di risate o di amichevoli botta e risposta. Voleva rivederla con addosso il vestito di seta rosso per poi svestirla e fare con lei ciò che aveva fatto alle donne che erano state sue.
Non era niente di così tanto catastrofico e irrisolvibile. Erano solo un paio di forme del corpo che gli avevano ricordato le gioie del sesso, l'istinto umano, che si era impossessato di Hwoarang perché non andava con una donna da molto tempo. Era questa la risposta che si era ostinato tanto a trovare.
Non era da lui reprimere le proprie tentazioni, così le avrebbe scaricate su sconosciute, poi tutto sarebbe tornato come prima.
Aveva conosciuto le studentesse universitarie per strada, come con qualsiasi altra ragazza con cui aveva avuto le sue storie a metà. Con loro non era più il capo austero e sagace della periferia Est, e neanche il ragazzaccio sghembo, strafottente e cinico che amici o nemici conoscevano; quando c'era di mezzo una ragazza, Hwoarang sfoderava una parte di sé che nessun maschio avrebbe mai potuto vedere. Elargiva sorrisi irresistibili, parole tenere e discorsi divertenti sulla sua vita da motociclista scapestrato, facendo pendere tutte dalle sue labbra.
Xiaoyu, seduta in un angolo, spiava il capo mentre chiacchierava con le nuove arrivate. Non lo aveva mai visto così affabile con nessuno, men che meno con lei. Non si era degnato neppure una volta di concederle sorrisi che non fossero solamente derisori. Ricordava, però, il primo giorno in cui aveva intravisto questa parte sconosciuta del suo capo, fuori il cancello di scuola, un pomeriggio di settimane prima, quando aveva sfoggiato un sorriso smagliante ad alcune studentesse in giardino.
Probabilmente ne aveva fatti tanti nella sua vita. Xiaoyu sentiva che in qualche modo era abituato a stare in mezzo alle donne, ad averle intorno e ad adularle, e molte di loro, chissà come, cedevano spesso al suo charme ribelle.
Con lei, però, non giocava a fare l'uomo, perché la considerava la mocciosa di compagnia. O almeno, questo era ciò che lei stessa asseriva come la certezza più inconfutabile di questo pianeta. In realtà, in quei due giorni, senza che lei ne sapesse niente, il coreano aveva cercato di combattere un'atroce guerra interiore per tenere a freno la voglia di toccarla.
Kanna, la ragazza che per prima gli aveva rivolto la parola, si sedette di fianco al capobanda davanti al falò, prendendolo sottobraccio e strusciandosi ruffiana come una gatta. Hwoarang restava calmo di fronte alle sue moine. Le poche volte che lei gli diceva qualcosa, lui le rispondeva con la battuta pronta e veloce affermando sempre la cosa giusta al momento giusto, e Kanna rideva, sorrideva e cedeva sempre più.
A Xiaoyu non piaceva la strana intimità che intercorreva tra quei due. Lontana tante casse di liquore più in là, accerchiata da uomini che lei conosceva e che in quel momento neppure vedeva, si sentiva a disagio. Mentre spiava il rosso e la gatta, un fastidio profondo la dilaniava sempre più, facendola diventare accigliata e innervosita.
Ad un tratto, Kanna si staccò dal rosso per sussurrargli qualcosa all'orecchio. Hwoarang annuì sorridendo, la prese per la mano e, assieme, si allontanarono da tutti, verso uno dei tanti vicoli bui e stretti della periferia.
L'ultima cosa che udì Xiaoyu fu una risatina acuta, prima di vederli del tutto sparire nell'oscurità.
La cinese si rese conto con sconcerto che il precedente sentimento di frustrazione era molto più indolore rispetto a quello che stava sentendo in quel momento.
S'alzò di scatto, sotto lo sguardo incerto di chi le stava attorno, e senza dire una parola se ne andò.

La preda e il predatore giocavano a rincorrersi nelle vie senza luce della periferia Est, tra le scatole di cartone e la scala di ferro di un palazzo in cui nessuno abitava più. Hwoarang afferrò Kanna per il braccio, addossandola al muro, e lei non aspettava altro. Con la mano gli cinse il collo, avvicinandolo a sé.
“Mi hai catturata...” sussurrò al ragazzo con il respiro pesante, un po' per la corsa e un po' per l'emozione.
“Correvi come una furia. Persino per uno come me, che a giornate scappa dalla polizia,” scherzò il rosso facendola ridere. Fu quasi inevitabile, data la loro stretta vicinanza, che le labbra del ragazzo sfiorassero la guancia di lei, posandosi poi con più furore, seguendo l'attaccatura del capo fino ad arrivare al collo. Kanna sussultava a ogni suo respiro in preda all'eccitazione.
Si sfilò la giacca, riuscendole facile anche se completamente addossata alla parete.
“Scommetto che sei il classico tipo di strada che seduce le donne e poi le abbandona dopo averle sciupate...” mormorò gettando con noncuranza la sua giacca sulla terra sporca sotto i suoi piedi.
“Intendi emotivamente o fisicamente?” domandò con ironia Hwoarang, scaturendo le risate della ragazza.
“Credo proprio che domani non andrò a lezione...” decretò la gatta, lasciando volutamente intuire l'intenzione di volersi dare alla pazza gioia per tutta la notte.
“Se mamma ti scopre, ti sculaccia,” scherzò il ragazzo, tra un bacio e l'altro sul collo di lei.
“Allora adottami tu. Sarò la tua bambina.”
Il respiro caldo che Kanna sentiva sul proprio collo, d'improvviso, si stroncò. Al rosso gli si erano come congelate le corde vocali. La donna, senza badarci, gli prese la mano per trasportarla lentamente sul proprio seno, e nel mentre il blouson noir si allontanò da lei per guardarla negli occhi. Ebbe quasi una sincope quando vide davanti a sé l'immagine immaginata più reale che avesse mai avuto.
Sembrava si trovasse davvero lì, con quei soliti codini di bambina, avvinghiata tra le sue braccia e intrappolata tra lui e il muro. Lo fissava con uno sguardo tenero e una punta di sensualità nei suoi occhi lucidi, mentre gli manteneva ancora la mano sul petto che Hwoarang desiderava esplorare dalla sera del vestito di seta rosso.
“Baciami...” gli mormorò con voce flautata. Solo in seguito Hwoarang si accorse che quella voce non apparteneva alla persona della sua fantasia. Si ritirò dalla ragazza, spaventato da ciò che lui stesso aveva immaginato.
“Che ti prende?” gli chiese timorosa Kanna. Il coreano cominciò a ridere nervosamente, coprendosi gli occhi con il palmo della mano.
“Scusami, Kanna,” disse soltanto. Restò così per un po'. La ragazza, ora con aria preoccupata, gli chiese:
“Qualcosa non va? Posso fare qualcosa?”
La risposta del rosso fu immediata:
“No. E' meglio che tu ora vada.”

Al suo ritorno, qualche ora dopo, i malviventi della periferia Est si fecero trovare stravaccati disordinatamente a terra. Assieme a loro erano rimasti alcuni falò smorzati e qualche rimasuglio di donna in giro per la periferia: una spilla per capelli, una sciarpa rossa, una canotta lasciata senza pudore per un motivo fin troppo ovvio. Il coreano diede un calcio a una bottiglia vuota di sake, facendola rotolare lontana. Seguendo con gli occhi il suo oscillante percorso, intravide involontariamente la cinese semi sdraiata sul materasso della grata dell'abbraccio. Quest'ultima si destò di colpo, spaventata dall'inaspettato rumore di vetro che cozzava sul pavimento come un campanaccio stridente, un suono fortissimo in mezzo al sordo silenzio che infestava il covo durante i dopo festa. Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi del blouson noir.
Senza riflettere più di tanto sulle proprie azioni, seguendo solo l'istinto, Xiaoyu si mise in piedi con un unico e agile balzo e scattò con passo veloce lontana da Hwoarang. E lui, sempre per istinto, la seguì senza pensare.
“Che vuoi, blouson noir?!” domandò seccamente la bambina.
“Cos'è questo tono scontroso? Ce l'hai ancora con me per lo scherzo di prima?” chiese a sua volta il rosso, confuso e risentito allo stesso tempo.
Ce l'aveva con lui, era vero, ma non certo per quella stupida trovata che lei aveva dimenticato da quasi subito.
“Esatto,” mentì lei, sommessamente. “Quindi, per le prossime ventiquattr'ore, lasciami in pace!”
Hwoarang non disse niente, le riservò soltanto un silenzioso sguardo scrutatore.
Qualcosa non andava. Quell'espressione seria e indecifrabile di lui la immobilizzò. Non aveva niente a che vedere con le occhiatacce antipatiche di ogni giorno, e neppure con i sorrisi smaniosi di quella sera. Tra tutte le facciate della sua indeterminabile personalità, quello sguardo insolito, un po' austero e un po' indeciso, che neppure Hwoarang stesso riusciva a controllare, l'aveva riservato solamente a lei.
Xiaoyu non si lasciò incantare oltre. Si voltò dandogli le spalle, allungando meccanicamente la mano verso il tavolino scalcagnato alla sua destra per un appoggio a causa del buio quasi totale che ottenebrava tutto il vicoletto, ma, contrariamente alle previsioni della cinese, essa andò a posarsi sul collo di una bottiglia di vetro rotta di cui non si era accorta. Una scheggia le si conficcò nella palmo e la bambina ritirò la mano al petto, mantenendosela con l'altra. Una smorfia di dolore prese il sopravvento sul suo volto sottile.
Quando il coreano notò il sangue che aveva cominciato a sgorgarle sul polso, prese Xiaoyu per il braccio avvicinandola a sé.
“Che cacchio vuoi, blouson noir?!” esclamò la cinese tentando di ritirarsi da lui, ma la presa ferrea di Hwoarang non le lasciava scampo.
“Smettila di fare storie, sto cercando di darti una mano, razza di stupida ingrata!” ribatté il rosso arrabbiato. La bambina si accigliò, ma non disse niente. Aprì il palmo della mano per mostrargli la ferita.
Il coreano la condusse al lavandino. Quando le tolse senza avviso la scheggia dalla mano, Xiaoyu emise un gridolino di dolore. Le portò il braccio sopra il lavabo e aprì il rubinetto. L'acqua sgorgò con un getto forte sul palmo di lei.
“Guarda qua. Sei sempre così svanita...” mormorò Hwoarang, mentre rovistava sul tavolo per cercare un qualche straccio che avesse potuto tamponare la ferita. Trovò un telo bianco strappato ai lati e, fungendolo da garza, fasciò con esso la mano della cinese bloccandolo con un nodo stretto.
La medicazione era finita, eppure la mano di lui continuava a cingere irremovibile quella di lei. La bambina, leggermente confusa, tentò di divincolarsi, ma la morsa ferrea del suo capo non glielo permise.
“Blouson noir...” si lamentò Xiaoyu con una voce che sembrava quasi implorante.
Hwoarang boccheggiò per qualche attimo, e, a un tratto, le parole gli salirono per la gola uscendo dalle labbra da sole.
“Non ci ho fatto niente con quella.”
La cinese gli ricambiò finalmente lo sguardo, e la sua confusione era mista a qualcosa che neppure lei stessa riusciva a comprendere.
Il coreano rifletté attentamente solo in quel momento sul perché di quelle parole, proferite senza esaminarle più del dovuto. Il suo istinto riteneva indispensabile informarla sul fatto, e, in fondo, anche Hwoarang stesso ne conosceva il motivo. Stavolta nessuna scusa, anche la più accurata e ricercata tra i meandri delle infinite ipotesi, avrebbe potuto contestare quella verità fin troppo ovvia.
Lo strano anelito che il blouson noir provava per la bambina non era solamente un prurito a cui sarebbe bastata una grattata per alleviarlo, come lui stesso aveva asserito. Quel desiderio increscente era derivato da una ragione che andava ben oltre questo, e che per il capo della periferia era più spaventosa di quanto in realtà avrebbe dovuto esserlo.
“E allora?! Chi se ne frega!” proruppe Xiaoyu, rompendo il silenzio con quell'assordante confessione insincera. Si liberò dalla presa di Hwoarang con uno strattone e corse via da lui, verso il materasso della grata dell'abbraccio. Si buttò sopra di esso, emettendo un tonfo appena udibile seguito da uno sbuffo d'aria, e sprofondò tra le sinuosità di quella morbida compagna.
Nascose tra le pieghe un'espressione che, al contrario di poco prima, era sollevata e contenta. Nonostante ciò, qualcosa la faceva sentire irrequieta.























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Non so come ma ho la netta sensazione che dovrò cambiare il raiting di questa fanfiction... ghgh! >D
@Tifa: Ancora ti ringrazio un casino per la pubblicazione. Date dei baci anche a lei, che se non c'era sarei rimasta ferma per chissà quanti mesi! xD Forrest: "Ammetto di essere stato geniale..." *Si scosta una ciocca della frangia con fare gasato*
Figlia, granzie ancora tantissimo per i commenti che mi fanno sempre sempre piacere ^*^
@annasukasuperfans: Giuro che son felicissima di risentirti ç_ç Non ti avevo più vista e mi preoccupavo... Comunque è vero: probabilmente Xiaoyu è l'ultimo personaggio di Tekken che ci immagineremo mai con un vestito succinto addosso xD Credo che la prima sia Anna... oppure Nina. Boh xD Grazie per il commento! ^*^
@Miss Trent: Addirittura l'hai stampato? o.o Ammetto che sapere che qualcuno si legge il cartaceo della mia fanfiction mi lusinga un casino! E' fintissimo, lo so, ma sembra essere quasi un libro! xD E ti giuro che mi sorprende davvero che tu abbia avuto l'interesse di stampartela... ç*ç Ammora, grazie tantissimissime per i commenti che mi fai: detti da te mi spronano non sai quanto di andare avanti! ^*^
@Chiaras: Dolcissima più che mai! ç_ç Davvero non ho altro da dire... ç_ç Sei gentilissima, grazie! ^*^
@Shuriken: Mi commuovi, come sempre. ç_ç E' stata una cosa, davvero, meravigliosa quella che hai detto, quella della fantasia. E di nuovo piango ç*ç
@Silver Princess: xD Ammetto che ridevo anche io mentre la scrivevo! xD


  
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