Serie TV > Downton Abbey
Segui la storia  |       
Autore: hikarufly    08/11/2012    2 recensioni
È quasi giunto l'autunno, nell'anno 1920. Downton sembra sempre la stessa... ma le cose stanno cambiando. Quattro ospiti e i loro servi porteranno scompiglio, e non solo, nella grande casa, e aiutando i suoi abitanti, ai piani superiori o inferiori, a vedere il mondo con occhi diversi.
(La trama non tiene conto degli avventimenti della terza stagione)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Lady Cora, nei suoi tanti anni come moglie di Lord Grantham, aveva sicuramente imparato come disporre in maniera ottimale i propri ospiti a tavola. Lady Siobhan era perfettamente visibile da tutti i commensali, dato che era lei l'oggetto del pettegolezzo e della curiosità, e in fondo anche l'ospite d'onore. Suo marito era seduto poco distante, ma in un posto dal quale fosse in grado di poter scambiare occhiate significative. I Robertson erano relegati dall'altra parte: non era necessario che parlassero con i loro amici, ma che socializzassero con gli altri e non interferissero nei discorsi di Lord e Lady Glenravel. Edith era vicina a Caitlin e Marcus a Matthew. Lady Violet aveva la prospettiva perfetta: era in grado di vedere tutti, ma di parlare solo con gli ospiti d'onore e con il proprio figlio e la propria nuora. Mary, così come Branson, costituivano la linea di confine tra i due gruppi di invitati, cosa che alla figlia maggiore di Lord Grantham non risultò troppo lusinghiera. Tom Branson, invece, era ben felice di essere in grado di scambiare due parole sia con gli amici scozzesi che con quelli irlandesi.
Lady Siobhan, nonostante le aspettative e le speranze di tutti, restava silenziosa nel suo posto, annuendo e sorridendo alle parole degli altri ma senza contribuire nelle discussioni. Suo marito, invece, diceva poche parole, tutte fin troppo pungenti per permettere agli altri di replicare, il più delle volte.
«Com'è dunque la situazione, nell'Ulster?» domandò Matthew a Lord Glenravel, attirando subito lo sguardo di disapprovazione di Violet e Robert, e quello incoraggiante di Branson.
«L'Irlanda del Sud è in tumulto, Mr Crawley. Per quanto mi riguarda, immagino che sia giunto il tempo in cui la nostra Regina diventi più una zia che una madre per questo popolo...» affermò Lord Gregory, mentre gli anglicani ammutolivano e i cattolici, o meglio solo Branson, esultavano.
«L'unico punto su cui potremmo essere mai d'accordo» replicò pronto Tom Branson, mentre Lady Siobhan e Caitlin Robertson ascoltavano in silenzio e Marcus Robertson sorrideva contento di saperli sulla stessa lunghezza d'onda.
«Tom Branson ha fatto di tutto per sconsigliare il mio matrimonio, questo è poco ma sicuro» spiegò Lord Glenravel a Matthew, che era di fatto il suo interlocutore.
«Per fortuna, non era suo compito decidere in merito» lo apostrofò Sybil, però con un sorriso «e abbiamo partecipato alla loro festa, dopo la cerimonia» concluse poi.
«Lady Siobhan» la chiamò Lady Cora, dopo qualche istante in cui le conversazioni si fecero meno generali «siete piuttosto silenziosa... c'è qualcosa che non va?» domandò con tono gentile. Lady Siobhan si voltò verso di lei con quell'aria disinteressata con cui aveva squadrato tutti gli uomini della casa, appena velata da un pizzico di disapprovazione nel venire interpellata così direttamente.
«Perdonate mia moglie, Lady Cora» intervenne Lord Glenravel, che ottenne subito uno sguardo e un sorriso da quella silenziosa creatura forestiera «quando arriviamo in un luogo nuovo, Siobhan deve ambientarsi, conoscere gli altri, e questo spesso le impedisce di dire alcunché per molte ore»
«Capisco...» risponde semplicemente la padrona di casa, con un'espressione soddisfatta che non sente affatto.
«Immagino che spesso il rumore della propria voce sia troppo assordate per poter sentire quella degli altri» si intromise Lady Violet, con uno dei suoi interventi.
«Non è soltanto la voce, milady» rispose Lady Siobhan, catalizzando immediatamente l'attenzione di tutti, con tono musicale «essendo l'ospite, è per me normale attirare gli sguardi e le orecchie di coloro che mi offrono la loro compagnia. Se è la mia voce a risuonare nella stanza, gli altri possono conoscere me ma io resto ignara di coloro con cui parlo, perché essi sono troppo concentrati su di me. Questo è ciò che detta il mio comportamento, nulla di più» specificò, lasciando il resto della piccola congrega in silenzio, per qualche istante, tranne Violet.
«Credete dunque che ciò che dite voi sia più interessante di quel che dicono gli altri?» domandò la contessa.
«No, probabilmente non sono più interessante di chiunque altro. Sono gli altri a credere che ciò che ho da dire sia più interessante delle loro risposte» replicò pronta Siobhan, osservando eloquentemente Lady Cora e Lady Mary, come se fosse a conoscenza delle loro obiezioni alla sua venuta.
«Si vede che non siete mai venuta a Downton Abbey» la apostrofa Lady Violet, procurando in Siobhan, invece di un momento di stizza e rabbia, la più piacevolmente maliziosa delle curiosità.
«Attendo dunque di sentire queste risposte, Milady. Ma non questa sera» concluse l'ospite, come a mettere un freno al discorso. Lady Violet fu molto dispiaciuta di non avere l'ultima parola.

Regnava il silenzio nei corridoi della casa: la luna illuminava appena, in lame di luce flebile, i tappeti elegantemente appoggiati a terra. La servitù doveva ritirarsi, ora che ogni cosa era stata pulita e sistemata. Mrs Hughes riservò una delle stanze del suo corridoio a Mrs Kennedy e Jenna, mentre Mr Carson mostrava a Jim il luogo in cui avrebbe dormito finché fosse stato al servizio di quella famiglia. Thomas lo osservò come si osserva una rosa rossa in mezzo a un campo di sue gemelle tutte gialle ed avvizzite, come un gioiello in mezzo a pacchiana bigiotteria. Ma il suo occhio era ingannato, il suo cuore era ancora impreparato. Quel giovane biondino era uno “per ragazze”, non di certo della sua specie. Desmond McGrath superò Thomas Barrow osservando prima lui e poi l'oggetto delle sue attenzioni. Non disse nulla, ma con un'espressione del viso disinteressata, incontrò i suoi occhi con uno sguardo che si può solo definire di un'animale selvatico. Thomas si sentì arrossire, senza una determinata ragione, e Jimmy il nuovo arrivato si dileguò dalla sua mente come del fumo spazzato via da un forte soffio di vento, mentre Desmond scompariva oltre una porticina bianca.

Il bosco era immerso in quel misto di luce e oscurità del crepuscolo. Il cielo era blu e le stelle iniziavano ad accendersi timidamente, mentre gli alberi diventavano giganti magri e scheletrici, neri come il buio. Le foglie dell'autunno formavano un manto scricchiolante sotto i loro piedi; una ragazza e un bambino camminavano tra i tronchi, i fusti, i funghi e le foglie, in direzione di una casetta. La ragazza si fermò, sentendo qualcosa, nell'ombra.
«Comprate, comprate!» delle voci gridavano. Erano lievi ma stridule, acute quanto sibilanti, leggere eppure udibili.
«Stammi vicino» disse la ragazza, allungando il braccio e trattenendo il ragazzino vicino alle sue gonne «Non dobbiamo ascoltare queste grida, non dobbiamo comprare nulla da loro»
Il ragazzino, però, aguzzò l'orecchio. Voleva vedere, voleva capire, e insieme voleva scappare e mettere in salvo la ragazza, insieme a se stesso. Percorsero il loro sentiero e superarono una collinetta: da lì potevano vedere la piccola radura al centro del bosco. La luna si levò, l'oscurità calò su di loro e gli occhi si posarono sul piccolo crocchio di creature intorno al fuoco scoppiettante. Avevano panciotti ricamati e catenelle alle tasche, brache di colori scuri e scarponcini eleganti, ma il loro aspetto non era del tutto umano: uno aveva il muso di un gatto al posto del viso, un altro la coda liscia e nuda di un ratto, un altro ancora gli occhietti neri e la pelle viscida di una lumaca.
«Non guardarli, non guardarli!» disse il più giovane, cercando di nascondersi nelle pieghe del vestito della più grande, che però ora era distratta: il suo viso trasmetteva curiosità e bramosia.
«Eppure... i loro frutti sono così belli e rotondi... maturi, succosi, invitanti...» diceva con meraviglia la ragazza. La luna guardava la scena, algida e distaccata. Il ragazzino riuscì a distogliere la sua compagna di viaggio da quella visione e la condusse alla casetta, storta, di pietre dure, con il tetto di paglia.
Ma il giorno seguente la ragazza era sola. Il suo piccolo amico era nella casetta, ma osservò impotente la scena. I folletti camminavano per il bosco, seguendo la luce che cercava di nascondersi oltre l'orizzonte, tra gli alti e sottili alberi.
«Comprate, comprate!» gridavano, esaltando le qualità della loro merce. La ragazza si avvicinò cauta, e i folletti, come una nuvola di nebbia leggera, le si affollarono intorno lenti e armoniosi. Si guardavano tra loro come spiriti maligni, come piccoli demoni in procinto di creare piccoli ma non per questo banali malesseri. La ragazza guardava, con i suoi occhi verdi, le pesche e le bacche e le mele, come non ne aveva visti eguali.
«Buona gente» disse la ragazza, in troppa fretta «non ho monete né di rame né d'argento nella mia borsa, né ho dell'oro, neppure sul mio capo, che di pece è colorato» confessò, portandosi una mano tra i capelli, neri e divisi in centinaia di ciocche.
«La nostra merce puoi comprare, se un ricciolo perfetto ci puoi donare» pronunciò la vocina di un ometto-ratto. La ragazza sentì un sospiro riempirle il torace... pianse una lacrima di perla, e consegnò una preziosa spirale dei suoi capelli, e assaggiò i loro frutti. Più dolci del miele, più forti del vino, più chiari dell'acqua della fonte. Assaggiò e le sembrò di non aver mai mangiato nulla di simile prima. Li mangiò, li spolpò ancora e ancora, finché finì la sua porzione. I folletti le se ne erano già andati, e lei tornò a casa.
«Non dovresti essere ancora fuori, Agnes» disse il ragazzino, sulla soglia, gli occhi lucidi «non ricordi cosa è successo a Laura, che ha assaggiato i frutti dei folletti e indossato i loro fiori, e oggi è sottoterra, diventata grigia e secca come una pianta morta?»
Agnes si chinò e lo abbracciò stretto.
«No, Robert, non piangere così» replicò lei, asciugando le lacrime del ragazzino con le sue dita e stringendolo ancora «Ho assaggiato i loro frutti eppure la mia bocca è ancora rosa, le mie guance non hanno perso il loro colore. Domani ne comprerò anche per te» aggiunse, con una carezza.
I due si coricarono insieme, nel grande letto dalle lenzuola bianche, chiusi come in un nido, caldo e profumato di bucato fresco, nel silenzio della calma.
Il giorno successivo passò in fretta, nelle faccende di ogni giorno, nelle letture e nei racconti che Robert non riusciva a ricordare, come tutti gli altri. Agnes non sentì il richiamo dei folletti; Robert lo udì:
«Non oso guardare, non oso seguire quel richiamo. Torna in casa, torna qui con me e non indugiare oltre» le disse, prendendola per mano. Agnes restò in piedi solo qualche altro istante, con il cuore pesante: se non poteva più udire il loro grido, significava che non poteva più comprare nulla?
Seguì Robert e si coricarono, ma quando il ragazzino fu assopito, Agnes digrignò i denti e nel silenzio che li aveva cullati la sera prima, pianse senza un rumore.
Giorno dopo giorno, notte dopo notte, Agnes non sentì più il grido dei folletti, non vide più i loro passi tra le foglie, non assaggiò più quei frutti. Tutti i suoi compiti eseguiva, tutti i suoi doveri esperiva, ma cibo non toccava, frutto non mangiava, acqua appena beveva. E mentre il tempo passava e lei dalla finestra osservava, il nero dei suoi capelli scoloriva, la testa le si ingrigiva, la vita piano piano la lasciava...


Lord Grantham si svegliò di soprassalto. Il ragazzino si stava avvicinando ad una Agnes grigia e sofferente, senza sapere cosa fare... perché era passato troppo tempo, troppe cose erano successe e lui aveva dimenticato il finale di quella storia, e quel ragazzino aveva spinto il se stesso più anziano a cercare il modo di salvarla.
Lady Cora non si era mossa, non aveva dato segno di essere stata disturbata, nel sonno, da suo marito. Robert era agitato, ma si riappoggiò al cuscino e cercò di tornare a dormire. Per quanto cercasse di rilassarsi, non ci riusciva: ogni volta che chiudeva gli occhi, vedeva solo il buio, non riusciva a trovare l'oblio e dimenticare il viso dolente e i capelli ingrigiti di zia Agnes. Il ragazzino del sogno gli stava impedendo di arrendersi e gli imponeva di fare qualcosa, e così riaprì gli occhi e si alzò. Prese la vestaglia e, nel modo più silenzioso possibile, si avviò verso il proprio studio. I suoi passi non risuonarono nel vuoto e nel buio della casa, neppure la porta del suo studio cigolò. Si avvicinò allo scaffale dove sapeva di aver sistemato “Il mercato de' folletti”, la storia che aveva sognato, ma trovò uno spazio vuoto. Ricordò, d'improvviso, il volume di Christina Rossetti tra le mani di Sybil e Caitlin Robertson, e si risolse a cercare nel salottino di sotto, nella speranza che le due l'avessero dimenticato proprio lì, dopo cena. Quasi lanciò un grido quando si diresse verso l'uscita opposta: si era forse riaddormentato? No, non poteva essere. Quella piccola creatura non era zia Agnes: i suoi capelli erano troppo corti, la sua camicia da notte, seppur ugualmente bianca, troppo diversa da quella che Robert conosceva. Gli occhi però, quando si aprirono, sembrarono gli stessi, per un istante. Verdi e brillanti, vennero celati più e più volte dalle palpebre che si aprirono e si richiusero. Lady Siobhan si tirò su a sedere, pur con le gambe sul divano, stropicciandosi il viso e rendendola agli occhi di chi aveva di fronte, molto più giovane di quanto non fosse.
«Dove sono?» chiese, un poco annoiata, e forse un po' frustrata, come se lo scenario le fosse fin troppo famigliare. Robert non risposte, ma restò a guardarla.
«Oh, siete voi. È il vostro studio, questo?» domandò ancora lei, guardandosi intorno. La sua camicia da notte era molto ampia e la copriva da capo a piedi, nascondendo questi ultimi nelle sue pieghe, così che sembrava un piccolo fantasma.
«Dormivate qui?» continuò la ragazza, e a questo punto Robert rispose.
«No, io... ho avuto un incubo» disse Lord Grantham, non sapendo bene perché glielo stesse dicendo «piuttosto, perché stavate dormendo voi qui?» aggiunse poi. La ragazza alzò le spalle.
«Devo averlo sognato, e io cammino nel sonno. Forse per via di Christina Rossetti» spiegò, terminando la frase con un brivido ben evidente. Prima di rendersene conto, Lord Grantham si era tolto la vestaglia e gliel'aveva poggiata accanto: mentre Siobhan la prendeva e si circondava di quella stoffa calda, lui evitò il suo sguardo e si guardò a sua volta intorno, per decidere il da farsi. Non poteva farsi trovare lì, anche se non era successo niente. Non poteva riaccompagnarla semplicemente alla sua stanza? Non sapeva qual era e forse neanche lei lo ricordava e se lei era veramente sonnambula, non avrebbe riconosciuto la strada per tornare da sola.
«Mio marito verrà a prendermi, appena si accorgerà che mi sono alzata. Ho avuto un incubo anche io, credo... o forse era un'ombra. Restereste con me, finché Gregory non arriva?» domandò, in un tono che raggelò per un attimo il padrone di casa, che si sedette di fronte a lei, con una tonalità più pallida della precedente sul viso.
«Perché mi avete guardato così, quando sono arrivata?» chiese ancora lei, come se fossero entrambi in una normalissima conversazione di fronte a un tè, in pieno giorno e senza alcuna sconvenienza.
Robert, nel buio penetrato solo da un fuoco flebile da poco acceso, dalla luna che si infiltrava tra gli infissi e dalle candele che aveva appena acceso, aggrottò la fronte e non rispose.
«Mi avete guardato come se fossi un fantasma. Come se qualcuno, tanti anni fa, avesse avuto le mie sembianze, o simili, e fosse arrivata qui con una percezione diversa di questo posto, rispetto all'ammirazione e alla deferenza» spiegò ancora lei, decisa ad avere una replica «il fantasma di chi, mi chiedo»
«Che tipo di percezione?» chiese lui, conoscendola perfettamente.
«Di essere giunti in una gabbia, seppur d'oro. Come l'usignolo dell'imperatore cinese» concluse, citando una favola che stranamente anche Lord Grantham conosceva.
«Il libro della Rossetti doveva essere di questo fantasma» immaginò lei, stringendosi ancora di più nella vestaglia. Si chiese se il suo interlocutore aveva freddo, ma non indagò. Doveva arrivare in fondo a questa storia: c'era come uno spirito inquieto dietro i suoi occhi che poneva quelle domande.
«Lo era» confessò Lord Grantham «ma quando lei se ne andò, mia madre lo fece bruciare. La copia che abbiamo ora la comprai io, anni dopo, quando anche quella era già vecchia di qualche anno» raccontò, senza riuscire a fermare le proprie parole, che lei raccolse come un mendicante arraffa le monete cadute da una tasca sotto il suo naso.
«Non posso pensare a niente di più crudele di bruciare un libro» disse lei, senza guardarlo.
«Io non posso pensare a niente di più crudele di bruciare quel libro» le fece eco lui, attirando di nuovo la sua attenzione «è stata una crudeltà inutile, l'ultimo legame che avevo con lei spezzato per sempre»
«Vi aveva lasciato il libro?» chiese Siobhan, impercettibilmente portando avanti il busto.
«Mi aveva lasciato molto di più, ma l'ho scoperto soltanto dopo» rispose, in una maniera enigmatica che non sentiva sua, ma in una maniera semplice e diretta, che era molto più sua.
«Posso sapere il suo nome?» domandò poi la ragazza, addolcendo il suo tono.
«Agnes» replicò Lord Grantham «Agnes Crawley, nata Lewis»
«Credo che sentirai la sua storia un'altra volta, Siobhan» disse una voce profonda ma leggera, nell'oscurità. Lord Glenravel era giunto dalla porta socchiusa, con una candela tra le mani proprio come Lord Grantham. Si avvicinò alla moglie e le porse una mano, che lei prese e si alzò in maniera elegante e fluente. Sembrava in balia di lui, come un burattino nelle sue mani, ma era solo un'impressione superficiale. Siobhan lasciò la vestaglia di Lord Grantham sul divano vicino a lei e suo marito la aiutò a entrare nella sua vestaglia, che lei si allacciò.
«Lizzie andò dai folletti e non mangiò i loro frutti. I folletti tentarono di farla mangiare, spargendo il succo e la polpa del loro frutti sul suo viso, cercando di infilarglieli in bocca. Lizzie tornò da Laura, sua sorella, che mangiò la polpa e bevve il succo di quei frutti dal viso della sorella. È l'amore a salvare la ragazza del mercato de' folletti, milord. Forse anche voi riuscirete a salvarla così» concluse Siobhan, facendo una piccola riverenza e seguendo il marito fuori, lasciando Robert Crawley, Lord Grantham, solo con i suoi ricordi, pensieri e sogni.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Downton Abbey / Vai alla pagina dell'autore: hikarufly