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Autore: scythemeister_MakaAlbarn    11/11/2012    7 recensioni
Forse l'amava da poco, forse da sempre... Non sarebbe riuscito a dirlo con certezza.
Stava di fatto che non avesse la minima voglia di chinarsi a raccogliere qulle stramaledette mele.
E la colpa, in fondo, era sua...

Piccola storiella partorita dalla mia mente contorta.
Dedicata ad Illy-chan...anche se non sono certa che possa definirsi "dedicabile". *eheh!*
Genere: Demenziale, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Dedicato ad Illy-chan…
Perché lei è sempre così, così…Illy-chaaaaaan… *Soul la trascina via scocciato*

 
 
 

LO SPECCHIO DELL'ANIMA

 
 
 
 

Equilibrio?
 

 
 

Il pentolino era pronto sul fornelletto acceso. La cera doveva aver appena raggiunto la temperatura ottimale e le striscioline di carta erano al loro posto, sul bancone.
La giovane intinse la bacchetta trasparente nel fluido ambrato, picchiettandola poi sui bordi del contenitore per eliminare gli eccessi. Soffiò leggermente, la gamba sollevata.
Soul sarebbe tornato di lì a qualche minuto e non voleva farsi vedere in quello stato poco ortodosso.
Scosse la testa, i capelli ancora arruffati dalla notte abbandonarono per qualche istante il suo campo visivo, ricadendole poi sugli occhi. Se solo non avesse avuto quell’odiosa sostanza impiastricciata tra le dita e sotto le unghie, se li sarebbe volentieri legati. Si maledisse.
Aveva stupidamente dimenticato di farlo in precedenza e la scomoda posizione nella quale era costretta, non aiutava di certo.
Maka ODIAVA PROFONDAMENTE fare la ceretta…
Più di quanto potesse odiare suo padre, e ciò era tutto dire! Farla o meno le importava all’incirca come il recital di cinque ore del professor Excalibur e la trovava una cosa maledettamente superflua.
Avrebbe con piacere evitato di sradicare crudelmente i suoi chiarissimi peli dai rispettivi bulbi se soltanto questo non fosse stato strettamente necessario  alla sua incolumità. E Liz aveva attentato alla sua vita già un paio di volte…
Diciamo pure che la sua prima esperienza in materia l’aveva lasciata “leggermente” traumatizzata.
“Guarda che per una ragazza è sconveniente andarsene in giro con quei “cosi” sulle gambe!”- le aveva detto l’amica sghignazzando sadica mentre, una striscia depilatoria stretta in mano, la rincorreva per il dedalo di viuzze buie della città, nemmeno fosse stata una maniaca omicida.
Inutile aggiungere che la poverina, le lacrime agli occhi per la paura, se la fosse data immediatamente a gambe levate.
Sbuffò, secca.
Aveva sentito le sue carni lacerarsi e il sangue defluire viscido dalle membra straziate; incassato colpi su colpi, collezionato cicatrici. Molte delle terre più selvagge ed ostili si erano bagnate del suo sudore. Ogni giorno si vedeva impegnata a fronteggiare mostri e pazzi assassini di ogni genere che, spesso e volentieri, la tagliuzzavano tutti goduti, come se nulla fosse.
Le faceva male, inverosimilmente, ma lei era Maka Albarn. Era forte e avrebbe resistito, stretto i denti pur di non urlare e ricacciato indietro le lacrime.
Sempre…o quasi.
Quella volta, quando si era ritrovata spalle al muro in un vicolo cieco, con Liz che rideva sguaiatamente immobilizzandole la caviglia, aveva seriamente avuto paura.
*scrach*
“Ce l’ho fattaaaaa!! Muahahahah!”

E il suo grido era rimbombato altisonante per tutta Death City, sovrastando ogni altro fruscio.
Maka rabbrividì, deglutendo sonoramente.
Brutti ricordi, insomma…
Per quante volte avesse ripetuto il malaugurato rituale, la sua dimestichezza con lo “strappo” non era troppo migliorata da quel giorno, ed anche la tecnica era abbastanza pietosa. Riusciva sempre a procurarsi estesi ematomi violacei su almeno una delle gambe - per l’immensa gioia dei suoi capillari - ed ogni striscia era una sicura risalita di lacrime. La vista le si appannava e un gridolino le moriva in gola, represso sul nascere.
La cera traslucida le colò per l’ennesima volta sulle dita, mentre tentava impacciatamente di stendersela dietro il ginocchio. Era calda e dovette contrarre un poco la mascella.
Quando finalmente riuscì nel suo intento, l’artigiana scagliò con precisione la bacchetta nel pentolino, masticando un’imprecazione, arraffò una striscia di carta a caso e fece per attaccarsela alla gamba quando…
*trump trump trump*
Un chiasso ritmico e assordante. Maka si sporse leggermente, un polso puntato sul bancone, catturata da quel caos infernale che sembrava provenire dalla tromba delle scale. Saltellò su di un piede solo, avvicinandosi all’intelaiatura della porta. La sua presa sulla strisciolina si era allentata tanto che questa sarebbe potuta facilmente scivolarle di mano, non fosse stato per i quintali di colla che si ritrovava un po’ ovunque: dagli avambracci fin sopra i capelli.
Il baccano si arrestò per pochi secondi, sostituito da un tonfo sordo e qualche cosa che parve rotolare giù per gli scalini.
Un clangore metallico grattò nella toppa, interrotto da un sommesso “vaffanculo”.
Lei sollevò un sopracciglio, scocciata, ma passò ben poco tempo prima che la sua espressione mutasse radicalmente.
La porta d’ingresso si scardinò, producendo un forte schiocco, per poi volare molti passi più avanti. Nel suo riquadro si poteva scorgere una cozzaglia informe di bustoni e pacchetti colorati.
Soul, ritto al centro di quest’ultima, abbassò lentamente la gamba, scuro in volto con le chiavi appese al dito.
“MI HAI SFONDATO LA PORTA!”- strepitò lei sputando fiamme, la mascella calata fino alle caviglie.
L’albino la guardò torvo, senza proferir parola, muovendo alcuni passi molli per entrare nell’appartamento, la spesa, abbandonata sul pianerottolo mal illuminato.
Ovviamente, il suo atteggiamento non fece altro che irritare la piccola shokunin più di quanto già non fosse. Saltellò fino a lui, alzando la testa per poterlo guardare negli occhi: sembrava la stesse rimproverando ed era visibilmente arrabbiato.
“Beh? Che c’è, Soul?”- chiese con fare da maestrina, i pugni posati sui fianchi e la carta ancora attaccata al mignolo. La cera sulla gamba aveva cominciato a seccarsi e tirava lievemente.
Il ragazzo si abbassò fino a raggiungere la sua modesta altezza, mentre le portava i capelli all’indietro come se avesse voluto raccoglierglieli sulla nuca.
Maka sobbalzò sconcertata, gli occhioni strabuzzati. Il piedino nudo aveva preso a battere istericamente sul legno del pavimento.
“Maka Albarn.”- scandì lui, apatico.
I loro visi erano troppo vicini e la fanciulla riusciva a percepire il suo soffio caldo sulla punta del naso. Strizzò le palpebre, spostando le mani contro il suo petto.
Appiccicate, irrimediabilmente.
“Che ti pren--”
Ma il partner si era sporto fino a far combaciare la fronte con la sua, gli occhi fissi a guardarla duramente.
La ragazzina indietreggiò, barcollante e goffa, sentendo due labbra aride e fredde graffiarle nuovamente la pelle sopra lo zigomo, prepotentemente. Avrebbe voluto menarlo, allontanare Soul da sé in qualche maniera.
E allora perché non lo faceva? Per quale assurdo motivo non voleva ucciderlo?
Strinse le dita, aggrappandosi alla pesante stoffa della sua felpa e si ritrovò costretta al muro. Le mani affusolate dell’amico ancora le premevano dietro il collo quando questi decise di allontanarsi da suo volto raddrizzando schiena e ginocchia.
“Che ti prende…?”- sussurrò nuovamente lei, quasi intimorita dai palmi gelati che le si erano posizionato ai lati del viso. Il cuore le tamburava tra le costole e si sentiva le guance in fiamme.
Che stesse sudando? Probabile…
“Non prendermi per il culo.”
Soul vide i due pozzi smeraldini dischiudersi di colpo e aggrottò la fronte, notando come questi fossero lucidi. Avvertiva l’anima di Maka tremare, attonita e sbigottita; sembrava stesse sfarfallando come una lampadina difettosa.
La giovane si appiattì contro la parete, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quello scarlatto e ipnotico del compagno.
“Ma che stai…?”- bisbigliò.
L’arma schioccò la lingua, seccato.
“E tra quanto avresti avuto intenzione di dirmelo?”- fece ritrovando la sua sfacciataggine e sollevandola di peso.
“Cosa?”
Seppur fosse smarrita, fu ben felice di vedergli riapparire il caratterizzante ghigno sulle labbra. La larga maglietta le salì fin sopra l’ombelico mostrando un addome piatto e niveo, mentre il ragazzo la trasportava fin nella cucina dove la cera stava ribollendo ormai da qualche minuto sul fornello.
Aveva il nasino imporporato premuto sulla sua spalla e il respiro concitato e tiepido gli arroventava la pelle.
Avrebbe voluto dirle che era bella, ma temeva che poi non sarebbe più riuscito ad estorcerle le informazioni che tanto gli premevano.
Figurarsi…
Conoscendola, e ben sapendo quanto poco fosse abituata ai complimenti, si sarebbe immediatamente chiusa a riccio e cucita le labbra. Era anche plausibile che potesse svenirle in braccio…e in quel caso dubitava fortemente che sarebbe stato in grado di contenersi.
Non voleva che si spaventasse più del dovuto; quella situazione era già abbastanza assurda!
Vederla fremere in quel modo lo appagava, certo, ma tartassarla oltre sarebbe stato crudele!
E mettersi a tremare non era assolutamente una cosa da lei…
Fatto stava che non riuscisse proprio a tollerare che un perfetto sconosciuto avesse contemplato più centimetri di pelle di quanti ne avesse mai visti lui…
Egoista e pure porco!
Fece per distenderla sullo stretto bancone ma si sentì trascinare verso il basso. La mani di Maka, attaccate al tessuto della sua maglia, lo costrinsero a sdraiarsi sopra di lei per evitare un disastroso sbilanciamento in avanti.
“Miseria, Soul! Levati! Togliti quella cavolo di felpa e smamma!!”- ringhiò la shokunin, cercando invano di alzare la testa. L’albino gravava sul suo petto, la guancia poggiata appena sopra il seno sinistro e Maka pregò che non riuscisse a percepire le sue palpitazioni frenetiche.
“No… Qui sto bene!”- sghignazzò lui con malizia.
Sebbene le fosse montato un nervoso considerevole, l’artigiana non poteva certo opporsi come avrebbe voluto. Ciò nonostante, nulla tolse al partner una bella ginocchiata in mezzo alle gambe.
Soul rise sommessamente, ansimando e rifiutandosi di farsi sfuggire un gemito, troppo orgoglioso per concederle anche quella soddisfazione.
La piccola, arresa, fece ricadere mollemente la gamba per poi tornare a guardarlo accaldata. Non capiva dove volesse andare a parare, e la cosa la mandava in bestia.
“Che vuoi?- bisbigliò supplice ed impacciata.
Alla falce si sciolse l’anima.
Avrebbe desiderato risponderle davvero. Dirle di volerla stringere tanto da farle male…e di leccarla, e di morderla. Ma non poteva, non ancora.
Le stampò un altro bacio a tradimento sul collo e lei boccheggiò, confusa.
Quel contatto non aveva nulla a che vedere con i baci di circostanza ai quali era abituata. Non somigliava e quello ricevuto poco prima sulla soglia di casa. Era irruente e carnale, quasi erotico. Tanto strano quanto piacevole, e bagnato, bollente. S’inarcò sotto il compagno sollevando il mento, una forte scossa che le percorreva la spina dorsale.
Lui risalì con la testa, lasciandole una scia umida che dalla gola saliva fino alla mascella. La sua pelle sapeva di limone.
“Voglio…che mi racconti della foto…”- affermò ansante staccandosi da lei di pochi millimetri per poi passarle una mano dietro la schiena e premersela addosso. Osservava con insistenza quelle palpebre contratte e le ciglia serrate e frementi, curioso ed eccitato all’idea di poterle baciarle.
“Soul, ma…”
Le lambì, piano, con lentezza.
“S-Soul…”
La ragazza aveva quasi totalmente perso la cognizione di se stessa e della realtà. Le sembrava di trovarsi in un sogno illogico ed insensato e non riusciva a capire se le stesse piacendo o meno.
Il tocco gentile e al contempo violento di Soul la stordiva, senza lasciarle spazio per replicare. Doveva comprendere, seppur ci fosse ben poco da comprendere in quella situazione. Forse avrebbe dovuto lasciarsi andare… Farsi trasportare dal cuore e dall’anima invece che dalla ragione. Magari quel momento sarebbe potuto diventare semplicemente bello.
Un ricordo da condividere con lui, quel perfetto idiota della sua arma…
Deglutì, stupendosi di se stessa.
Perché mai le era venuta la voglia perversa di assaggiare quella bocca rossa che ora le stava martoriando la guancia?
E se avesse sempre desiderato di poterlo fare? Il suo cuore perse un battito.
Fu solo un pensiero…una semplice illuminazione ma ben più brutale di qualsiasi certezza.
Forse semplicemente non ci volle credere…
“Io…io non pensavo ti riguardasse.”
Faticava a parlare e le sillabe le uscivano come soffi. Se non le fosse stato tanto vicino, l’albino non sarebbe riuscito a sentirla
“Stupida…”- sussurrò facendo scivolare le dita fino in mezzo alle sue scapole, premendo e sentendola inarcarsi ancora -“Tutto quello che fai mi riguarda…”
Maka aveva ormai la pelle d’oca. Sapeva che presto o tardi avrebbe ceduto lasciando libero arbitrio al partner e quell’idea un poco la spaventava.
Ma lui si fermò sulla sua bocca, immobile e sudato, il   respiro che si condensava in sbuffi nebbiosi sulla la sua pelle.
Le stava chiedendo un bacio. Non era una costrizione, non la stava forzando.
Aspettava.
“Ma era un…”
Annegando nei suoi occhi.
“…servizio fotografico da nulla.”
Risucchiandola nei propri.
“Mancava la modella per gli scatti e hanno scelto una ragazza a caso…”
Niente più.
“Tu non sei una ragazza a caso.”
L’artigiana spalancò la bocca, faticando a credere a quanto appena sentito. Quello scemo era diventato bordeaux! Seppur tentasse di nascondere il rossore dietro lo sguardo basso ed i capelli nivei, lei poteva comunque vederlo.
Quell’imbarazzo spiccava persino sul blu violaceo del livido sulla sua guancia.
Era un’espressione che gli apparteneva, eppure non sembrava sua.
Era Soul, eppure non lo era.
Ed era per lei, lei soltanto.
Si chiese come avesse potuto aver paura di lui e si vergognò del suo tentennamento. Soul avrebbe sacrificato la vita per proteggerla e gettato l’orgoglio alla polvere.
Si sentiva…amata? Per la prima volta e per davvero.
Era come se fossero sempre appartenuti l’una all’altro, indissolubilmente.
Fece forza contro il suo petto, costringendolo ad alzare la testa.
“Non sono una…? Cioè, io…”
“Non lo sei.”- fece lui sbuffando -“Sei solo la mocciosa rompiballe che mi piace da fare schifo, chiaro?”
Forse avrebbe fatto bene a spegnere il cervello per un po’.
“E non potevi dirmelo prima?”- fece sporgendo il labbro.
“Scusa tanto se non me n’ero accorto…!”
Ah, allora siamo in due!
A quel pensiero le venne da ridere. La discussione aveva preso una piega idiota e senza senso…ma era felice. Tutta la tensione era evaporata, dissolta, lasciando spazio a complicità e appagamento.
“E tra l’altro…”- riprese la falce, improvvisamente seria, allontanandole un ciuffo dagli occhi -“Eri nuda, cacchio! Eri nuda e quello ti ha fotografato.”
“Nuda? Quello…quello chi?”
Maka, presa alla sprovvista, ci mise un attimo ad elaborare l’informazione.
“IL FOTOGRAFO!!”- irruppe lui, interrompendo bruscamente il filo del suo ragionamento.
“Ma…”
“E ora scusami, ma se non lo faccio subito penso che potrei implodere.”
La giovane sgranò gli occhi mentre Soul la stringeva fin quasi a soffocarla, premendo le dita tra i suoi capelli. Lambì le sue labbra gonfie e calde, le morse facendo poi scivolare la lingua ruvida tra di esse mentre la sua bocca cominciava a bagnarsi di saliva.
“Maka…”
 Succhiò e leccò con foga, cercandola e danzando con lei, esplorando ogni centimetro del suo palato.
Le loro anime erano in equilibrio. Un equilibrio precario e vitreo.
Bello.
Sarebbe poi venuto il giusto tempo per fargli pagare la sua sfacciataggine…
La maestra d’armi non poteva scorgere che lucide ciocche candide e, talvolta, un guizzo cremisi al quale aggrapparsi. E lo faceva con tutta se stessa, sospirando di tanto in tanto il suo nome, prima che quei denti appuntiti riuscissero a catturare nuovamente le sue labbra, quasi a volerle staccare.
Le sarebbe tanto piaciuto poterlo abbracciare, ma le dita appiccicate a lui non potevano che descrivere timidamente piccoli circoli sul suo petto. E Soul, sempre, rabbrividiva.
La libido tornò irrimediabilmente a salire, sfacciata e meravigliosa, sporca e pura.
L’arma si staccò appena, respirando contro il suo collo, carezzandole la fronte imperlata di sudore.
“Cool…ma potremmo migliorare.”- ridacchiò compiaciuto, anche se in realtà pensava fosse stato semplicemente perfetto.
Un lampo d’ira balenò nello sguardo liquido di lei.
“Prova ad infilarmi un’altra volta quella roba in bocca senza il mio permesso e giuro che te la stacco a morsi.”- replicò gonfiando le guance vermiglie, seppur quanto appena accaduto sminuisse considerevolmente la sua affermazione. Si irrigidì un poco, inarcando le sopracciglia sottili.
Shinigami, quanto avrebbe voluto pestarlo…
Lui arricciò il naso poco convinto, quando la compagna tentò di spingere il mento contro la sua guancia lesa.
Sarebbe impazzito, certo, ma gli stava bene così. Forse era anche un po’ masochista…
Se la sua pelle sapeva di limone, la sua bocca aveva un sapore ancore migliore.
Sapeva di determinazione e coraggio, di dedizione. Un sapore angelico, etereo eppur consistente e vero.
Sapeva di forza e di follia. Sapeva di Maka.
E lui amava quel sapore, non ne sarebbe mai stato sazio.
Un altro buon motivo per non perdere l’organo del gusto…
“Okay…”- soffiò dolcemente, premendole il labbro inferiore con il pollice - “Allora diciamo che ora mi rificcherò là dentro e ricominceremo da dove abbiamo interrotto, va bene? ”
Maka lo scrutò scettica, assottigliando gli occhioni lucidi.
Non era ancora arrivato il tempo di vendicarsi.
“Va bene…”- decretò infine.

 
Forse avrebbe dovuto dirgli che in realtà non era nuda durante il servizio…
 
 
-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-+-
 
 
“Bene signorina, abbiamo finito!”
Il volto scarno e gioviale del fotografo si discostò appena dall’obiettivo della sua meravigliosa macchina fotografica.
La fanciulla, sorridente, poggiò l’impersonale montatura nera su di un ripiano, infilando poi di volata il candido accappatoio che la giovane donna alla sua destra le stava porgendo.
Si strinse nelle spalle mentre la sua accompagnatrice la precedeva, facendo dondolare i sinuosi capelli del color della notte.
“Ha fatto un ottimo lavoro, signorina!”- disse la mora, reclinando gentilmente il capo verso la sua piccola interlocutrice.
La giovane si portò una ciocca biondo miele dietro l’orecchio. L’accappatoio che l’avvolgeva morbidamente era forse un po’ grande per il suo corpo acerbo ed infantile.
Più di una volta, in quel breve tragitto, il tessuto spugnoso era scivolato dalle sue spalle sottili, andando ad arricciarsi a metà braccio. Se lo risistemò con noncuranza.
Imboccarono lo stretto corridoio che portava agli spogliatoi.
“L-la ringrazio…”
Vedendo quell’espressione timida ed imbarazzata, la donna non poté che sorridere.
Aprì con eleganza la porta dei camerini, arrestando per un solo istante il ritmico risuonare dei suoi passi leggeri e si appiattì contro la porta.
“Prego.”
La ragazzina si sfregò lo zigomo con la punta delle dita magre.
Quando le passò accanto, inarcò dolcemente gli angoli della bocca piena, notando come la sua guida emanasse un piacevole aroma di cannella.
Sospirò, serrando i grandi occhi chiari.
“Ha fatto davvero un ottimo lavoro, signorina Albarn!”- rise nuovamente la donna sollevando un pollice con fare vittorioso.
Maka si ritrovò a guardare nella sua direzione, appena un istante prima che la porta si richiudesse.
 


 

 Perché la vita è un brivido che vola via…
E’ tutto un equilibrio sopra la follia…
(Sally, Vasco Rossi)
 

  

  
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