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Autore: Jacqueline    04/06/2007    0 recensioni
« Il mio corpo è pregno di musica. Il mio corpo vuole muoversi unicamente per danzare. Non puoi costringerlo,nè legarlo. »
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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2.

Le palpebre sono socchiuse, osserva i lineamenti di quel viso addormentato. La pelle dorata era incorniciata dai capelli castani e indomabilmente ricci che formavano una cortina scura sul candore del cuscino.

Sorride. Non dovrebbe essere qui, dovrebbe fuggire, ribellarsi, gridare, ma non essere lì ad osservarlo mentre dorme.

Un fruscio d’ali, fuori dalla finestra, un raggio di sole dispettoso che gli balena in viso la luce tiepida e poi.

Si scosta velocemente dall’uscio, come paurosa, e si dirige a passi altrettanto celeri e nudi verso le cucine.

Vuole avvertire l’odore forte delle spezie ed il sapore del te’ appena fatto. Caldo, che risvegli. Oltretutto, in tempi brevi, almeno sufficienti a dileguarsi nei giardini prima del suo arrivo.

Una delle cuoche, Thain, la adocchia mentre apre la porta e la richiude senza troppa delicatezza. Sbuffò, mettendole in mano una tazza di ceramica al cui interno fumava ancora del te’ all’arancio. Solo dopo che ebbe bevuto il primo sorso si sentì apostrofare.

“La pubblica apparizione sarà fra due giorni, appena dopo l’orario di colazione. Dovreste riuscire a resistere fino ad allora, Leia. Se dovesse succedere qualcosa non s’azzardino a venire qui o ad andare altrove per protestare: io v’ho offerto un alloggio ai piedi della collina, ben separata da quello del signorino.”

Leia annuì brevemente, memorizzando solo la prima parte della frase. Bevve d’un fiato il te’, bruciandosi la lingua.

I passi che aveva avvertito appena fuori dalla cucina si fermarono. Qualcuno bussò.

Thain alzò gli occhi e le mani al cielo, imprecando sottovoce e spingendola in malo modo fuori dalla cucina, dalla porta sul retro.

Fu così che la ragazza si ritrovò a correre lungo le fila dell’orto, poi il frutteto, ed infine si fermò ai piedi della collina boscosa che si ergeva sul lato ovest della casa padronale.

I pantaloni bianchi le si sarebbero sporcati non poco, ma non importava. Per la cerimonia avrebbe indossato altro.

Camminò lentamente fra le aiuole ben curate, cercando la fontana dove placare il dolore per la bruciatura.

Una donna di marmo lasciava cadere dalle mani aperte acqua in un piccola vasca circolare. Acqua di fonte, proveniente dalle montagne poco più a sud. Leia si rinfrescò il viso, bagnò appena i lunghi capelli sciolti, poi si sedette sul bordo della vasca, sbadigliando.

Avrebbe voluto dormire di più, ma il rischio che avrebbe corso sarebbe stato troppo grande.

Sua madre le aveva ripetuto infinite volte d’essere troppo testarda, e se avesse saputo in che condizioni s’era venuta a ritrovare le avrebbe sicuramente lanciato contro mezza casa, familiari e mobili compresi.

Tutta questa vita passata a danzare, per essere promessa sposa di un nobil signore a cui concedere le proprie movenze. A lui solo, ciò che fino ad allora era stato del proprio corpo, del proprio cuore, della propria mente e per propria soddisfazione.

A dire il vero la cosa non la infastidiva poi molto: avere uno sposo giovane, di bell’aspetto e sufficientemente benestante era quasi un pregio. Solitamente le sue compagne venivano promesse come concubine a regnanti, o si dedicavano all’insegnamento della propria arte.

Quest’ultima difatti veniva considerata sia al pari di un’enorme virtù sia al pari d’una frivolezza qualsiasi.

Danzare solo ed unicamente per se stesse, senza concedere eclatanti spettacoli a qualsivoglia persona, unicamente se espressamente richieste, sino al giorno del proprio matrimonio in cui sarebbe stato lo sposo a decidere delle loro future prestazioni in pubblico.

La cuoca non aveva tutti i torti, se avesse realmente voluto rispettare le regole, avrebbe dovuto restarsene in una dependance lontana dagli occhi del suo promesso, ma la propria curiosità era stata fin troppo forte.

Non si sarebbe certo azzardata a toccarlo, a lasciarsi toccare, o a parlargli. Eppure… Sentire i suoi passi lungo il corridoio, esser consapevole d’avere su di sé i suoi occhi le regalava un invidiabile brivido d’eccitazione.

Sorrise, lasciandosi scivolare sull’erba ai piedi della fontana e lasciando vagare i pensieri.

Voleva divertirsi.

All’età di cinque anni l’avevano portata alla Scuola D’Arte Danzante, e lì era stata costretta per dodici anni. Divenne una Danzatrice, nota in tutto il regno unicamente attraverso quella sua carica, prestigiosa e rispettabile, venerata o considerata con indifferenza.

Nessuno aveva mai avuto occasione di conoscere Leia, la sua persona, al di fuori di quell’istituzione. Nessuno s’era mai veramente interessato. Volevano che ballasse, in modo eccelso, nulla più.

La ragazza scosse il capo, ridacchiando appena.

Nessuno all’infuori delle sue insegnanti l’aveva mai scorta ballare. Aveva rifiutato ogni richiesta d’apparire in pubblico, persino dinnanzi a rispettabili personaggi del regno. Non v’era dunque da stupirsi se sua madre aveva deciso praticamente a sua insaputa di prometterla in sposa.

Un perfetto sconosciuto, alla cui dimora era stata portata, con tutti i propri averi. L’aveva scorto per la prima volta osservarla dal portico, all’ombra degli archetti di marmo. Aveva notato quella sua espressione, un misto fra il divertito ed il dubbioso, aveva memorizzato il colore degli occhi, grigi come il piombo.

Poi le aveva voltato le spalle ed era rientrato in casa, una villetta su due piani che s’apriva su una piccola valle e delle colline boscose.

Solo quella sera lei aveva appreso che la loro sarebbe stata una cerimonia pubblica, nella quale lei si sarebbe dovuta esibire. La cosa l’aveva inizialmente lasciata interdetta, poi aveva permesso che una rabbia inaspettata le montasse in corpo.

Nessuno, in fondo, le aveva mai dato ordini, né tanto meno imposto di presentare il proprio corpo qualora non volesse, dinnanzi ad altre persone.

Aveva saltato la cena, restando chiusa in camera a passeggiare nervosamente dinnanzi alla finestra aperta, cercando una soluzione. Alla fine aveva dovuto cedere alla stanchezza e si era lasciata ricadere sul letto, ripromettendosi di pensare a qualcosa l’indomani.

Nei giorni seguenti ne aveva discusso con la servitù, con chiunque le capitasse a tiro, imponendo loro l’ordine di presentare le sue rimostranze al padrone di casa.

Le cameriere erano tornate con uno sguardo quasi impaurito, riferendole che il padrone si dispiaceva per la sua indisposizione, ma che non avrebbe cambiato nulla nell’ordine delle cose.

Aveva provato a mandare un corriere a casa, ma sua madre le aveva risposto indispettita che non tutto poteva andare sempre come lei avrebbe voluto andasse.

Il mattino del terzo giorno, dunque, la cuoca Thain era venuta per portarla alla dependance ai piedi della collina, dove avrebbe avuto tutta la privacy della quale, per regola, necessitava e dove, soprattutto, avrebbe allontanato qualunque rischio di entrare in contatto con il signorino prima della cerimonia, la settimana seguente.

A quel punto Leia aveva sorriso, docilmente, e aveva replicato che l’alloggio dov’era ora le andava più che bene e che no,molte grazie, il cambiamento era per nulla gradito, indi per cui non sarebbe avvenuto.

La povera donna aveva strepitato a lungo, prima di dirsi rassegnata.

E così, avevano iniziato a giocare.

Il signorino Kile e la Danzatrice Leia, l’uno che l’osservava mentre l’altra, di notte, sceglieva una stanza sempre diversa per ballare. Senza mai scambiarsi una parola, un gesto che fosse deciso, o intenzionale, non lascivo. Ogni mattina, lei l’osservava appena, prima di correre in cucina e poi attraverso la valle, a passeggiare.

Avevano convissuto così, senza troppi fastidi, semplicemente consapevoli l’uno della presenza dell’altra, accrescendo ogni giorno il desiderio di potersi toccare, conoscere, anche infrangere quel sottile filo d’una sperata felicità che s’era venuto a creare fra loro.

Un fischio la riscosse, d’improvviso.

Sollevò il capo, una mano sul bordo della fontana, pronta ad allontanarsi.

Kile sorrise, estremamente strafottente, come per sottolineare la sua mancanza d’attenzione.

Reclinò il capo di lato, senza smettere di fissarla, come per sfidarla a dire qualcosa, dopo tutti quei giorni di silenzio fra loro.

Leia s’alzò, cercando di trattenere delle gocce d’acqua pure nell’incavo delle mani, prima di lanciarle verso il viso del ragazzo.

Questi si riparò con il palmo della destra gli occhi e non la scorse quando correndo gli passò accanto, sfiorandogli il volto con i capelli sciolti, prima di dileguarsi fra gli alberi del frutteto.

  
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