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Autore: BeeMe    17/11/2012    8 recensioni
#Annie - Athazagorafobia - Paura di essere ignorati, o di dimenticare.
#Effie Trinket - Chromofobia - Paura dei colori sgargianti
#Haymitch - Phasmofobia - Paura dei fantasmi
#Gale - Filofobia - paura dell' amore
#Enobaria - Fobofobia - paura di avere una fobia, di avere paura.
#Pollux - Laliofobia - paura di parlare, paura delle parole.
#Johanna -Dendrofobia - paura di alberi, foreste e legno
#Alma Coin -Atomosofobia- paura delle esplosioni atomiche.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Enobaria sorrise allo specchio nella penombra della stanza. Aveva vinto.

Alla fine era quello che contava. Lei era sopravvissuta e Lucas no.

Non capiva il perché alle persone importasse tanto tutto il resto.

Sopravvivere era quello che contava, alla fine dei conti.

Tornare a casa e andare avanti.

Enobaria voleva tornare al suo Distretto e vivere nell’ombra come aveva sempre fatto.

Al centro dell’attenzione dei sui pochi amici e al riparo dagli altri.

Eppure aveva sentito quello che si dicevano gli abitanti di Capitol City, cosa sussurravano quando la vedevano passare.

La chiamavano mostro, avevano paura di lei perché aveva squarciato la gola del suo compagno con i denti.

Lei non aveva paura.

Lei non era una debole.

Aveva smesso di avere paura quando era poco più di una bambina e non aveva intenzione di ricominciare.

Perché si ricorda bene quello che le persone che chiamava amici dicevano riguardo a sua sorella.

La prendevano in giro perché aveva paura, perché si nascondeva dalla sua stessa ombra. Nessuno di loro aveva avuto abbastanza coraggio per prendere il suo posto quando era stata estratto.

Martha era morta al Bagno di Sangue, aveva troppa paura per concentrarsi abbastanza.

Enobaria aveva visto il Tributo del 7 tagliarle la testa con un unico movimento del polso.

Aveva guardato l’ascia tracciare l’arco mortale che avrebbe ucciso sua sorella pregando che lei si abbassasse, che reagisse.

Non l’aveva fatto.

Era solo riuscita a piangere.

Le lacrime non ti salvano la vita, Enobaria l’aveva scoperto fin troppo presto. Se sei buono non riesci a sopravvivere.

Per tornare a casa non dovevi avere paura, dovevi essere spietata.

Lei l’aveva dimostrato a tutto Panem, gli aveva mostrato che lei non aveva timore di niente.

Eppure mentre si guarda allo specchio si ricorda di come il suo cuore batteva troppo veloce quando scappava lontano dalla Cornucopia, di come le tremassero le mani mentre prendeva la mira e lanciava un coltello.

Non poteva essere paura.

Lei era forte, più forte di tutti quelli che l’avevano sfidata.

Il suo mentore gliel’aveva detto poco prima di lasciarla, le aveva raccomandato di non avere paura.

Lei aveva riso a quell’idea, come se quel sentimento non le appartenesse più.

Eppure lo sentiva muoversi nel suo cuore, cercando una via d’uscita.

Non puoi essere forte per sempre, anche l’albero più forte si spezza.

Enobaria non voleva spezzarsi, non voleva soccombere agli incubi.

Si era fatta limare i denti perché tutti sapessero con chi avevano a che fare, perché avessero paura di lei.

Enobaria Denti di Squalo.

Avevano riso di lei quando avevano visto cosa si era fatta fare, ma quando la ragazza aveva allungato la mano alla ricerca dei coltelli che si portava sempre dietro, erano scappati via.

Perché in fondo avevano paura.

Si finge, si sorride nascondendo la voglia di scappare e il cuore che batte sempre più forte, come se ti stesse per esplodere il petto.

Enobaria non si ricordava più com’era avere paura, com’era coricarsi la notte sapendo che quella sarebbe potuta essere l’ultima volta che vedevi le stelle brillare.

Non sognava quello che era successo, voleva andare avanti, voleva dimenticare quel sentimento che non avrebbe mai ammesso di aver provato.

Capitol City era tornata prima che la ragazza potesse tirare un sospiro di sollievo.

L’aveva riportata nel luogo dove non puoi essere coraggiosa, dove è a paura a comandare.

E tu hai paura perfino di te stesso, hai paura di avere paura.

Era riuscita a fingere, ma mentre correva sentiva le lacrime salire.

Piangere era da deboli, come avere paura.

Gloss la capiva, le era stato vicino nonostante sua sorella avesse pianificato di ucciderla il primo giorno.

-L’ho convinta a lasciarti in vita.- le aveva sussurrato una notte durante il suo turno di guardia, quando tutti gli altri dormivano.

-L’ho convinta a lasciarti in vita perché tu non hai paura.

Enobaria aveva sorriso e i suoi denti avevano sfavillato per la luce della luna.

-Piangere però non è da deboli.-aveva mormorato lui dopo qualche minuto, senza guardarla in faccia.

Enobaria aveva alzato un sopracciglio ed era rimasta in silenzio aspettando una spiegazione.

-Quando piangi butti fuori tutto quello che ti perseguita, lasci che la paura cada a terra con le tue lacrime.

Gloss ne era convinto e Enobaria capì che quello era ciò che si ripeteva per giustificarsi, per giustificare tutte le lacrime che versava quando nessuno poteva vederlo.

-Per chi piangi Gloss?

Gliel’aveva chiesto e lui non aveva risposto, ma la risposta le era arrivata lo stesso.

Lux.

La ragazza bionda per cui lui aveva lottato fino alla fine, quella per cui aveva dato tutto. E lei se n’era andata lo stesso.

Lux non era cattiva come la ragazza dei coltelli, quella che non aveva pietà.

La ragazza che non aveva paura, proprio come lei.

-Alla fine se ne vanno sempre tutti, non lo sai? Ti lasciano sempre e tu devi cavartela da solo.

Gloss sorrise come se sapesse qualcosa che lo faceva ridere: -Sai cosa vuol dire il tuo nome, Enobaria?

Lei scosse la testa e il biondo proseguì:-Sei colei che resta per ultima, sei destinata a rimanere. Io me ne andrò e tu continuerai a guardare le stelle, continuerai a non avere paura.

-Io ho paura.

Era stato solo un sussurro, ma Gloss l’aveva sentito.

-Ho paura di avere paura. Chi è debole muore e io voglio tornare a casa. Io voglio essere l’ultima, voglio essere quella che sopravviverà.

Gloss sorrise e si alzò: -Buona fortuna, allora. A volte non avere paura non ti salva, ti condanna ad una pena che non sarai mai in grado di scontare.

Era stata l’ultima che l’aveva sentito parlare.

La ragazza di fuoco e i suoi amici l’avevano ucciso alla Cornucopia prima che le riuscisse a dire qualcos’altro.

Enobaria era rimasta fino alla fine, era ancora viva quando l’hovercraft l’aveva portata via.

In quel momento aveva pensato di essere salva, di poter finalmente iniziare a vivere in pace.

Non aveva capito che Capitol City aveva altri piani.

L’avevano portata in una cella buia e l’avevano lasciata lì ad ascoltare gli altri che urlavano.

Lei sarebbe stata la prossima, Enobaria lo sapeva.

Sentiva le grida del ragazzo del pane e si chiedeva cosa gli stavano facendo, se a lei avrebbero fatto peggio.

Non le avevano mai fatto niente. Finnick e la squadra di recupero erano arrivati prima, ma Enobaria si rese conto che non avevano mai avuto intenzione di farle male.

La consideravano una traditrice, la donna senza paura che li avrebbe aiutati uccidendo qualcuno nel Distretto 13 quando quel qualcuno le avrebbe dato fastidio.

Enobaria non voleva essere così. Aveva combattuto contro la capitale e aveva esultato quando avevano vinto.

Era una Ribelle anche lei, non una traditrice.

Eppure quella parola la perseguitava. L’avevano lasciata ascoltare senza mai torcerle un capello, l’avevano lasciata per ultima.

L’avevano lasciata sola.

Guardando il suo riflesso nello specchio Enobaria si rese conto che Gloss aveva ragione, che avere paura a volte è meglio di restare ultima, di continuare ad essere sommersa dal rimpianto di non essere mai stata libera.

  
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