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Autore: Nika L Majere    05/06/2007    6 recensioni
"Mi ricordo bene il giorno in cui arrivò all’orfanotrofio. Un furetto bianco, smarrito, distante."
Spoiler se non conoscete Near, Mello e Matt
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, L, Mello, Near
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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NB Le lettere puntate stanno a significare i veri nomi di Mello e Near

NB Le lettere puntate stanno a significare i veri nomi di Mello e Near. Mi sembrava strano dare a Near il suo nome in codice, dal momento che è appena arrivato all’orfanotrofio. Mentre per Mello era già più plausibile. Per correttezza verso chi vuole che rimangano segreti non li ho inseriti, ma se la cosa non vi da fastidio fatemelo sapere, così modifico il capitolo. Ok? Grazie mille ^____^



.: ACT – 1:.

Occhi come il cielo


Questo posto ha il profumo del legno.

È un odore buono. Nostalgico.

Se solo avessi ancora qualcosa di cui avere nostalgia.

E poi ci sono tanti fiori.

I fiori mi ricordano gli occhi della mamma.

Ecco, forse questa è una delle cose di cui ho ancora un minimo ricordo.

Il papà. Lui non me lo ricordo.

Poco importa, in fondo.

E poi ancora ci sono tanti altri bambini, più o meno della mia stessa età.

Questo proprio non lo sopporto…


Domenica 9 marzo 1997


Era ormai arrivato da due giorni. Il sole aveva deciso di concedersi solo da quella mattina. Per il resto delle ore aveva solamente piovuto.

N. però non ci aveva fatto caso. Era troppo intento a preoccuparsi che il suo peluche non si spaventasse davanti all’immensità di quella villa. Quel luogo nuovo e inquietante, eppure così tremendamente simile all’orfanotrofio che aveva appena lasciato. Non sapeva dire con esattezza se era per questo che gli tremavano le gambe ogni volta che si aggirava per i corridoi in penombra.

Poi ad un tratto la luce aveva invaso la sua stanza. E a lui era venuta un’irrefrenabile voglia di uscire da quella prigione senza sbarre.

Se ne stava accoccolato sull’erba fresca e umida, nascosto nell’angolo di giardino dove crescevano le betulle, cullandosi lentamente al ritmo del vento leggero, che di tanto in tanto si alzava, sperando che nessuno venisse a disturbarlo.

I suoi occhi socchiusi non vedevano altro che il cielo terso, dove qualche nuvola si ricorreva ancora. Per il resto tutto era statico. Non vedeva il tremolio delle foglie, né la lenta danza dei fili d’erba, né il volo degli uccelli. Tutto era immobile.

Tranne le nuvole.

C’era qualcosa che lo preoccupava. Ma non sapeva dire cosa. Si sentiva vuoto e distante da tutto. E il non riuscire a capire cosa gli desse fastidio lo irritava.

Capire.

Un bambino di cinque anni non dovrebbe capire la natura dei sentimenti umani. A cinque anni, i sentimenti li subisci e basta. Invece lui doveva per forza trovare una motivazione a tutto. Come per la morte dei suoi genitori: la strada bagnata, la macchina che sbanda oltre il guardrail. Caso risolto. Nessun ripensamento su ipotesi o congetture, per quanto dolorose esse siano.

Ma quel fastidio.

Era come un formicolio alla pancia, come quando hai fame e senti il profumo delle brioche calde salire dalla cucina. Era sgradevole. Perché sapeva che non ci sarebbero state brioche a placarlo.

Si voltò a sbirciare il tetto della villa, che faceva capolino dai cespugli intorno a lui. Per un attimo lo sentì, freddo e irrequieto scendere per la sua schiena. Un brivido di paura.

Forse era proprio quello a dargli fastidio: avere cinque anni e avere paura, ma avere anche una mente troppo fredda e lucida per poterlo ammettere.

“Hei! Tu sei quello nuovo!”

Un bambino robusto si piantò davanti a lui, oscurandogli il sole. Sulla maglietta rossa, sporca di fango, spiccava il disegno stilizzato di un’esplosione. Aveva la faccia rossa, forse accaldata, in mezzo alla quale facevano capolino due occhi troppo vicini. Avrà avuto sette o otto anni. N. lo osservò in silenzio, un po’ irritato per quella sgradevole invasione.

“Hei, sto parlando con te!” il bambino gli agitò una mano davanti alla faccia con aria minacciosa. Ma lui non si mosse, se non per le palpebre che sbattevano incerte. Più lo guardava, più sentiva una sorda rabbia montargli dentro.

“Chris! Si può sapere cosa stai facendo?” un secondo bambino spuntò dai cespugli. Era più magro rispetto all’altro. E sembrava anche un pochino più sveglio. Se non fosse stato per le enormi orecchie a sventola sarebbe stato anche carino.

“Ah, siete arrivati. Guarda: sto qui ci ha fregato il posto!”

Altri due ragazzini si presentarono davanti agli occhi di N.. La sua mente li analizzò uno per uno, prima di sentenziare il suo verdetto: esseri fastidiosi…

“Beh, come ti permetti? Non lo sai che questo è il nostro rifugio?”

“Guardatelo! È tanto spaventato che non parla neppure!!

Risero. Una risata antipatica.

N. si strinse ancora più forte al petto il suo coniglio. Non era proprio spaventato. Era seccato. Ed era impassibile. Sentì ancora quel formicolio fastidioso tormentargli lo stomaco.

Già… avrebbe dovuto essere spaventato…

“Ok, adesso basta: o te ne vai di tua spontanea volontà o ti prendo a calci finché non lo farai!” il bambino con la maglietta rossa cominciava a perdere la pazienza.

“Eddai! Non puoi fare così. È quello nuovo! Sai cosa ci fa Roger, o peggio Watari, se gli facciamo qualcosa”

Sì: “orecchie a sventola” era il più intelligente.

“Sai che mi frega! Se non se ne va, vuol dire che non ascolta i grandi e quindi ha bisogno di una lezione!” detto questo afferrò N. per la camicia, facendogli cadere di mano il peluche. N. lo guardò mentre toccava il suolo, poi rivolse uno sguardo colmo di disappunto al suo interlocutore.

Ma quando lo vide alzare la mano libera e mirare alla sua faccia, non seppe far altro che chiudere gli occhi e prepararsi al colpo.

Che non arrivò.


“Matt, mi levi una curiosità?”

“Uh?”

“Come diavolo fai a camminare e giocare al GameBoy senza andare a sbattere?”

“Questione di pratica, Mello. È un notevole fondoschiena…”

Il ragazzino biondo fece una faccia a metà tra il contrariato e l’incuriosito. Non che a lui i videogiochi non piacessero, ma Matt era un caso quasi disperato.

“Finirai col farti riprendere di nuovo da Roger”

“Dettagli…”

Mello alzò le spalle, continuando a tirare piccoli colpi al pallone da calcio che si portava sempre dietro. Ora che era uscito il sole forse sarebbe riuscito a giocare come si deve, se non fosse stato che il giardino assomigliava più a una risaia che ad un prato. “Maledetta pioggia…”

“…”

Sei un compagno di conversazione davvero frustrante, lo sai?”

Matt si decise ad alzare gli occhi dal videogame e guardò il suo compagno di giochi attraverso le lenti colorate dei suoi strani occhialoni da sole.

“Sono stato ucciso…” ammise con aria afflitta.

“Game over?!” di certo Mello non era uno che dava conforto…

L’altro tirò fuori la lingua risentito.

“Eddai… tanto di vite lì dentro ne hai quante vuoi!”
“Già…”

“L’importante è che tu non faccia Game Over in QUESTO videogioco, perché nella vita vera non c’è il reset…” disse il biondo, palleggiando con il pallone di cuoio.

“Attacco filosofico compulsivo?”
“Qualcosa del genere…”

Stavano girovagando lungo i sentieri del giardino ormai da una mezzora buona. Forse erano già le 11.30. Dovevano stare attenti a non allontanarsi troppo, altrimenti non sarebbero riusciti a tornare in mensa per le 12 in punto e allora addio porzioni abbondanti.

Mello si bloccò d’un tratto, alzando lo sguardo verso il cielo. Era di un bellissimo azzurro intenso, quasi brillante, e il sole che faceva capolino tra le fronde dava un che di magico e coinvolgente al paesaggio. Anche se era lo stesso del giorno prima. E del giorno prima ancora. E di quello prima ancora.

“Stai ancora sognando di andartene?”

La voce di Matt lo raggiunse flebile e bassa, con in fondo una nota di speranza in una sua negazione.

“No… pensavo solo a quanto è monotono questo posto…”

“Suvvia, tu è solo un anno che ci sei dentro!”

Anche per te è così!”

“No! Io sono arrivato qui due mesi prima di te!”

“Non credo sia una cosa di cui vantarsi…” Mello abbassò lo sguardo “parlo per entrambi, naturalmente…”

“Hai ragione…” anche Matt abbassò lo sguardo tristemente.

Mello lo guardò in faccia, scrutando ogni minimo particolare di quel volto amico, uno dei pochi veri amici, finché i suoi occhi caddero sulle mani in cui era stretta ancora con forza la console portatile. Era vero: non ci si poteva vantare di essere rimasti soli. Questo anche Matt lo sapeva bene. E quella sua ossessione per la realtà virtuale non era altro che un sintomo, una prova, che soffriva. Come tutti. Tutti lì dentro soffrivano. Piccoli e fragili, con le loro incertezze, i loro dubbi, la loro infanzia strappata via a forza a causa di un incidente, di un abbandono o cose ancora più gravi. Cose troppo grandi per dei bambini. Perché questo loro erano, anche se giocavano a fare gli adulti. In fondo erano tutti uguali. Tranne uno…

“Allora… facciamo due tiri a pallone?” Mello cercò di tirare su la situazione, prima che questa crollasse diventando pesante. E lui odiava le situazioni pesanti.

“Uhmm… ok!” Matt sorrise. E vederlo sorridere per Mello era uno dei regali più belli del mondo. “Però dopo mi fai ritentare il livello” disse con aria innocente.

“Lo sapevo che c’era il trucco…”

Il pallone volava, veloce e sfuggente, e con lui volavano via anche le preoccupazioni e i brutti pensieri. Era questione di poco, ma quel poco lo vivevano appieno, come cuccioli selvaggi che non si preoccupavano di macchiare i pantaloni nuovi o di ferirsi cadendo sulla ghiaia.

Finché il pallone non finì in mezzo a dei cespugli poco distanti.

“Uffa! Maaaatt! Smettila di tirare la palla nell’iperspazio!”

“Se tu hai le gambe corte non è colpa mia!”

“Grrr…” hem… Matt, anche se era di un anno più piccolo, superava di dieci centimetri buoni il suo amico…

“Fila a riprendere quella palla, prima che ti gonfi di botte”

Ma che carattere insopportabile che hai!” Mello alzò i pugni.

“Va bene, va bene… vado padrone…” se c’era una cosa che Matt aveva imparato era che non bisognava far irritare sua maestà più del dovuto. Pena: morsi e lividi doloranti per due settimane.

Corse fra i cespugli alla ricerca della palla fuggiasca che sembrava essersi volatilizzata in mezzo alla macchia verde.

“Ah… eccoti qui” sorrise soddisfatto, prendendola tra le mani.

“Ok, adesso basta: o te ne vai di tua spontanea volontà o ti prendo a calci finché non lo farai!”

Sobbalzò udendo quella voce minacciosa, credendo che ce l’avesse con lui. Ma alzando gli occhi vide Chris-re-delle-scimmie e il suo fedele seguito che circondavano una massa informe di vestiti bianchi macchiati di fango.

Non ci pensò due volte e corse subito da sua maestà a riferire la cosa.


“Sai che mi frega! Se non se ne va, vuol dire che non ascolta i grandi e quindi ha bisogno di una lezione!” detto questo Chris afferrò N. per la camicia, facendogli cadere di mano il peluche. N. lo guardò mentre toccava il suolo, poi rivolse uno sguardo colmo di disappunto al suo interlocutore.

Ma quando lo vide alzare la mano libera e mirare alla sua faccia, non seppe far altro che chiudere gli occhi e prepararsi al colpo.

SBAM

N. non capì cosa fosse successo. Si afflosciò a terra senza più la stretta che gli costringeva la gola. Recuperò immediatamente il suo coniglio di peluche, che strinse forte contro il petto, mentre osservava un pallone da calcio macchiato rotolare ai suoi piedi e il bambino con la maglietta rossa piegarsi in due tenendosi la faccia.

“Ma chi…?” orecchie-a-sventola cominciò a guardarsi intorno allarmato, quando dai cespugli fecero capolino un caschetto biondo, seguito a ruota da una testa rossiccia.

“M. …” Chris si raddrizzò, tenendo ancora tra le mani il naso sanguinante.

“Ops… scusa…” Mello fece la faccia più innocente che si era mai vista “Ho sbagliato mira…”

“Ah, davvero?” Chris ora era veramente arrabbiato. N. lo capiva dalle vene del collo che pulsavano impazzite.

“Già…” rise scherzosamente il biondo, per poi diventare di colpo serio “E per te sono Mello, se non ti spiace” disse continuando a sorridere. C’è solo una persona che può chiamarmi per nome.

“Ah, già… i vostri nomi in codice” Chris sputò un po’ del sangue che gli era finito in bocca. Si avvicinò di qualche passo ai nuovi arrivati. N. osservava, stringendo sempre più il suo coniglio. Quel ragazzo… davvero non l’aveva fatto apposta?

Orecchie-a-sventola lanciò un’occhiata a Maglietta-rossa, sperando che quest’ultimo non facesse niente che gli costasse una nuova punizione da parte di Anna.

“Riprendetevi il vostro pallone e sparite”

“Ok” Mello tornò a sorridere. Si abbassò a prendere il pallone e allora lo vide, rannicchiato contro una betulla, che osservava la scena come se non lo riguardasse. “Oh! Ecco dov’eri finito! Ti ho cercato tutta la mattina!” scattò in avanti e prese N. per un braccio.

Eh? N. sembrò per un attimo confuso, ma non disse niente per paura di beccarsi veramente uno schiaffo da parte di qualcuno.

“Hei! Fermo!” Chris scattò strattonando la maglietta nera del biondo “Lui…”

“Sììì?” Mello si voltò, lanciando un’occhiataccia alla mano che stava sformando la sua maglietta preferita, lasciando intendere che Chris doveva dosare molto bene le parole che stava per pronunciare, oltre che lasciarlo andare immediatamente. Cosa che Chris non si fece nemmeno dire.

“Lui…” balbettò.

“Stava giocando con noi!” che carino pensò N. Orecchie-a-sventola ci provava

“Uhm… capisco…” Mello si fece serio, portandosi la mano, ora libera, al mento “Allora questo è un problema…”

Matt aveva ripreso a giocare al GameBoy, ma si lasciò scappare con non curanza un sorrisino divertito. Mello poteva essere il più casinista di quella strana famiglia, ma era anche il più buono. Per questo lo adorava. Anche se il suo modus operandi non era certo dei più ortodossi…

Perché sarebbe un problema? Stava giocando con noi, quindi tu non hai il diritto di trascinarlo via!”

“Calma King Kong. Tanto per cominciare non mi sembra che si stia divertendo così tanto” Mello guardò con occhi calmi il volto tuttora inespressivo di N. “Giusto?”

Belli… erano degli occhi veramente stupendi.

E secondo… è un problema per me!”

Ma Chris non lo stava ascoltando: “Non chiamarmi in quel modo!!

“Hai ragione… scusa baka saru…”

Matt sorrise di nuovo.

“Non parlare lingue che non conosco!!

“Non chiamarmi… non parlare… hai altri vocaboli oltre al “non”?”

N. non riusciva a capire se le cose stavano andando bene o stavano andando male. Bah, se non altro nessuno l’aveva picchiato. Per il momento.

“Senti tu, pomposo…”

“Non usare termini di cui non conosci il significato”

“SMETTILA DI PRENDERTI GIOCO DI CHI è Più GRANDE DI TEEEEE!!!” maglietta-rossa scattò avanti con il serio intento di fare molto male al biondo.

“Lo sapevo…” orecchie-a-sventola si portò una mano alla fronte, sospirando. Non tanto per le condizioni doloranti in cui il suo compagno si sarebbe trovato di lì a poco, ma per la settimana di pulizia dei corridoi che attendeva tutti quanti.

Mello evitò agilmente il pugno che gli stava arrivando dritto dritto in faccia, spingendo via N. che ruzzolò tra i cespugli, per poi roteare per prendere più velocità e piantare un destro nello stomaco di Chris con precisione matematica.

N. si raddrizzò: ormai la sua camicia era da buttare, così piena di fango, erba e strappi. Lanciò uno sguardo furente in direzione del ragazzo che l’aveva spinto, per vederlo intento a dispensare e ricevere una manica di botte da parte di tutti e quattro i ragazzi che lo avevano aggredito.

Lui non centrava niente. Perché era intervenuto? E anche adesso:… lo aveva spinto via per non farlo coinvolgere nella lotta imminente…

Perché?

Sentì un fruscio. Poi delle mani che lo aiutavano ad alzarsi. Era il ragazzo che poco fa giocava con il GameBoy.

“Tutto a posto?” chiese Matt preoccupato. N. lo guardò senza parlare. “Allora è tutto ok…” il ragazzo sorrise e tornò a guardare Mello darsi alla pazza gioia.

Perché?

“Lui è fatto così” Matt sembrava quasi avergli letto nel pensiero “non sopporta le ingiustizie su i più deboli. Per questo lui lo ammira”

Lui?

“Allora: ne volete ancora?” Mello rideva. Non poteva farci niente: non c’era nulla di più esaltante che una bella scazzottata la domenica mattina per ravvivare il week-end!

“STOOOOOOOP!!!”

Oh cacchio! Mello si voltò, molto lentamente, verso il sentiero alle sue spalle.

In mezzo agli alberi troneggiava la figura di una ragazza sulla ventina, dai lunghi capelli rossi legati in una coda, che indossava un grembiule azzurro. Lei era tante cose: la donna delle pulizie, la cuoca che preparava i pranzi speciali, ma soprattutto era colei a cui Roger aveva affidato il compito di far rigare dritto i ragazzi. Lei era l’incubo di tutti quelli che disubbidivano alle regole.

“Hem… ciao Anna…”

“Con te signorino parlo dopo!”

Glom

“Chris, fila subito in infermeria”

“Ha cominciato lui…”
“Ci ragioniamo dopo su chi ha cominciato!”

“Ma…”
“Niente ma… Ho visto benissimo che eravate in quattro contro uno: questo basta per farvi pulire corridoi per un mese! Ora march!”

Chris si avviò con passo indeciso verso il sentiero, seguito a ruota dagli altri tre.

Mello fece una linguaccia ai quattro da dietro le spalle della donna.

“In quanto a te…” questa si girò e gli strinse un orecchio tra le dita, torcendoglielo fino a fargli reclinare il capo “Ho finito le punizioni da darti! Possibile che sei sempre coinvolto in questo genere di cose?”

“Hanno cominciato loro… giuro…”

“Lo so… è così tutte le volte… Devi smetterla di rispondere alle provocazioni alzando le mani!”

“Ma L dice…”
“Non mi interessa cosa dice quel divora dolci a tradimento! Prima che partisse mi sono ritrovata una finestra rotta da una pallina da tennis, quindi anche il signorino non fa testo!”

“Almeno lasciami l’orecchio!”

Anna scosse il capo esasperata e lasciò la presa.

“Aiò…” Mello si portò subito una mano a lato della testa e cominciò a massaggiare.

“Suvvia… prima ti sei beccato dei calci ben peggiori”

“Sì, ma lì potevo ribattere!”

La ragazza sorrise, scuotendo la testa “Va bene... sentiamo, signor paladino della giustizia, cos’avevano combinato stavolta?”

A Mello non piaceva fare la spia. Poteva urlare, alzare le mani, ma fare la spia non gli era mai piaciuto. Decise di rimanere in un cocciuto silenzio. Anna si voltò verso Matt e gli si avvicinò.

“Me lo dici tu cos’è successo?” ma Matt era troppo impegnato a dare la caccia a funghi e stelline per rispondere. Quando gli occhi della ragazza si posarono su N., che non aveva ancora detto una parola, parte della situazione le risultò chiara.

“Ho capito…” Anna si girò e cominciò a dirigersi verso il sentiero “Muovetevi ad andare in mensa. Oggi c’è il budino”

“Davvero?!” Mello aveva ritrovato immediatamente il buon umore.


La mensa era una vasta sala al pian terreno, situata nell’ala destra della villa. Era già piena di bambini che urlavano, si lamentavano o giocavano con il cibo, seduti lungo la tavolata apparecchiata con tovaglie bianche. Ad una delle estremità sedevano gli adulti, che comprendevano un gruppo di cinque o sei persone. E poi c’erano due sedie a capo tavola, una dalla parte degli adulti, l’altra, più grande delle altre, con due grandi braccioli e un’imbottitura scarlatta, dalla parte dei bambini. Ma erano vuote, anche se il posto era apparecchiato.

N. attraversò la sala in silenzio, andando ad occupare il posto più vicino possibile alla ragazza gentile che aveva fermato il trambusto di prima. A dir la verità si sentiva un po’ in colpa: in fondo era successo tutto a causa sua. Però se non fosse intervenuto quel ragazzino…

Aveva sentito che si chiamava M.. Forse doveva andare a ringraziarlo. Ma anche volendo non sapeva esattamente cosa dirgli.

N. non capiva se la sua situazione era migliorata oppure peggiorata. Quel bambino con i capelli biondi…

Perché l’aveva aiutato? Perché non si era fatto i fatti suoi?

Ora si sarebbe beccato una punizione per una cosa in cui non centrava nulla…

Scosse le spalle: in fondo non gli importava.

Però, durante il pranzo cercò con lo sguardo, scrutando tra i volti chini sui piatti, quegli occhi azzurri che gli si erano presentati con così tanta irruenza.

Gli erano piaciuti. Di quel colore, intenso come il cielo.

Erano limpidi e allo stesso tempo pieni di energia. Una di quelle energie che si infiammava subito.

Erano così sinceri che tradivano tutto della sua persona.

Quel bambino doveva essere veramente buono, anche se ad una prima occhiata non si poteva dire.

Forse era per via di quegli occhi che N. non riusciva ad odiarlo.








Parole dall’Autrice

Mi sto divertendo un casino XD!!

Lo so: è da tanto che non aggiorno, ma ho avuto tantissime cose da fare! Prometto che ora mi metto d’impegno e aggiornerò con più frequenza ^___^

Adoro questi tre! In questo periodo li chiamo Emenem (M& M’s) X°D!

Mi sto affezionando tantissimo a tutti e tre, senza lasciare in disparte il mio amore folle, naturalmente…

L, ti adorooooooo >.<

Ok, basta ^^”

Per chi non l’avesse capito: le poltrone a capo tavola sono, quella dalla parte degli adulti, di Watari e l’altra, quella imbottita XD, di L.

Quest’ultimo secondo me all’orfanotrofio, altro che difensore della giustizia! Secondo me è un casinista tanto quanto Mello… Mi piaceva troppo l’idea della finestra rotta… ne piazzerò altre di queste piccole prese in giro.

Tu non te la prendi, vero amoruccio mio? ^*^

  
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