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Autore: Blusshi    26/11/2012    2 recensioni
Estratto dal capitolo 1~
Kate- la fronte inondata di sudore- spingeva e gridava; percepiva i movimenti del bambino che si faceva strada nel canale del parto. Si augurò che andasse tutto bene e che finisse in fretta; si sentiva come una bambina spaventata anche se ormai, a venticinque anni e con due gemelli in arrivo più che imminente, una bambina non era più.
Sapeva che quella nascita stava presentando complicazioni: i dottori le stavano dicendo che il primo dei due bambini non riusciva a uscire e che di conseguenza l’altro stava soffrendo.
Ho fatto una scelta originale, narrando la storia dei due protagonisti a partire da un punto che in genere non viene scelto. Spero, davvero, di non doverla pagare troppo cara questa mia originalità :) ~ Blusshi
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 17, 18, Altri, Dr. Gelo, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il primo bambino si agitò e il sacco amniotico esplose.
“Stia buona, va tutto bene! Brava, continui così!”
 Kate- la fronte inondata di sudore- spingeva e gridava; percepiva  i movimenti del bambino che si faceva strada nel canale del parto. Si augurò che andasse tutto bene e che finisse in fretta; si sentiva come una bambina spaventata anche se ormai, a venticinque anni e con due gemelli in arrivo più che imminente, una bambina non era più.
 Sapeva che quella nascita stava presentando complicazioni: i dottori le stavano dicendo che il primo dei due bambini non riusciva a uscire e che di conseguenza l’altro stava soffrendo.
La giovane donna si sforzò più che poté, la massa di capelli scurissimi che le aderiva alla schiena sembrava pesare una tonnellata; il dolore divenne immenso, si protrasse per ore che le sembrarono giorni. La situazione non cambiava: il primo doveva avere qualcosa che non andava; il secondo era intrappolato.
Nel torpore dell’anestesia, sentiva i medici che parlavano fra loro.
“Per favore, fa che vada tutto bene…” pregò Kate stringendo gli occhi.
All’improvviso si sentì più leggera.
Un velo di lacrime di gioia le ricoprì gli incantevoli occhi azzurri appena sentì il pianto del suo primo bambino. Ce l’aveva fatta!
“E’ una bimba! E’ una bimba!” dissero i medici.
 “Oh…tesoro…” le lacrime le scorsero lungo le guance, mentre tendeva le braccia per accogliere quella cosina preziosa.
Ma non poteva ancora cantar vittoria: il gemello più piccolo era ancora chiuso lì, bloccato. Chissà se stava ancora bene? Passarono minuti, ore, giorni…Kate sentiva l’ansia che la dilaniava. Non poteva perdere il secondo bambino, non l’avrebbe mai sopportato. Sopraffatta dal dolore, non sapeva pensare ad altro.
Finalmente il dottore recuperò il suo sorriso e Kate si commosse nel sentire uno strillo forte e acuto: grazie al cielo, grazie al cielo…
“Tutto a posto, stanno bene tutti e due: congratulazioni!” ammiccò il medico “sono un bambino e una bambina, vivaci e bellissimi”.
“Tesori miei…siete vivi, siete vivi!” pianse Kate, stringendosi i bimbi al petto.
 
 
 
 
 
 
Non era facile essere single con due bambini esuberanti a cui badare.
Eric e Alice erano perfettamente sincronizzati: quando piangeva uno piangeva anche l’altra, se uno aveva voglia di giocare o di dormire dopo la pappa l’altra lo seguiva a ruota. Protestavano se Kate cercava di separarli, avevano persino iniziato a parlare insieme, nello stesso momento.
Quella volta Alice aveva sventolato la sua manina paffuta mentre Kate le stava facendo il bagnetto: “Ciao, mamma!” aveva detto.
Ed Eric, concentrato sulle sue macchinine, seduto lì vicino, aveva sua volta alzato il braccio per salutare: “Ciao, mamma!”
“Ma ciao tesori miei!” aveva replicato divertita Kate.
Finalmente! Non si erano decisi a spiccicare una sola parola prima d’ora e mancava poco al loro primo compleanno.
“Acqua! Acqua! Bella…” Alice ne aveva accarezzato la superficie tiepida e rideva entusiasta.
“Acqua! Bella!” aveva detto anche Eric, contagiato dal buonumore.
Kate restava meravigliata e intenerita dai suoi bellissimi bambini: le assomigliavano molto, avevano ereditato il suo bel viso dai lineamenti delicati, i suoi stupendi occhi di ghiaccio.
Erano molto simili fra loro, lei biondissima e lui nerissimo.
“Come me” pensava Kate, accarezzando i capelli sottilissimi di suo figlio.
Erano piuttosto monelli però e si coalizzavano sempre: mai una volta che Eric si fosse tirato indietro dal difendere la gemella; e dal canto suo, Alice tirava fuori le unghie e i denti per lui.
In quei tre anni avevano stabilito un legame speciale di cui Kate gioiva. Si aiutavano almeno, si facevano compagnia.
Combinavano disastri insieme.
Quella maledetta volta in cui Eric si era quasi strangolato con un acino d’uva, Alice non lo aveva mollato un attimo quando Kate era andata a cercare soccorsi; ci erano voluti due giorni perché smettesse di piangere e abbracciare il fratellino.
“Katie, è importante che aiuti i tuoi gemellini a sviluppare separatamente la loro personalità. Altrimenti più andranno avanti, più sarà difficile che facciano uno a meno dell’altra” le dicevano le sue amiche.
Lei lo sapeva ed era convinta che sia Alice che Eric avessero la propria personalità. Di certo lei era già una signorina amante delle cose da donna: Kate ne aveva avuto la prova più volte, trovandosi i cassetti a soqquadro e la bimba con la faccia imbrattata di trucco. Eric la guardava e scuoteva la testa.
Kate era contenta di vederli quando si addormentavano abbracciati, un po’ meno quando si passavano le malattie.
Naturalmente, a tre anni, i gemellini avevano già iniziato l’asilo e ci era voluto veramente poco perché Alice si ammalasse di varicella.
“Ti conviene non stare troppo vicino a tua sorella, tesoro, altrimenti ti ammalerai anche tu” disse una volta Kate ad Eric.
Lui le saltò in braccio e puntò gli occhioni chiarissimi –gli stessi- nei suoi: “Mamma, io senza Alice sono triste”.
Le si accoccolò sul petto, iniziando a piangere: “Non devi preoccuparti. Ali sta bene, non è nulla di grave. Tu devi stare solo attento a non bere dal suo bicchiere o a scambiarvi le posate come fate di solito” lo tranquillizzò Kate, sospirando.
Per tutta risposta una volta Eric trasgredì le regole e si trovò felicemente ammalato, fianco a fianco alla sorella nel loro lettino.
“Però mi dispiace…la mamma mi aveva detto di non farlo…ma io volevo stare con te…” le disse Eric con gli occhi bassi.
Alice gli sorrise con gli occhi lucidi per la febbre e iniziò a ricoprirlo di baci umidi: “Hai fatto bene, mi mancavi!” poi gli strusciò il naso contro la guancia “ma se non mi fossi ammalata io a quest’ora anche tu staresti bene! Se c’è qualcosa che non va io sarò la tua infermiera”.
“Anche io!” disse lui “stasera i peluches dormono con noi vero?”
 
Gli anni passavano sereni. Kate era sempre più contenta dei suoi figlioletti che si facevano sempre più belli.
“Non è vero, io sono la più bella!” diceva lei “tu Eric sei bello perché mi somigli, capito?”
Ovviamente ne combinavano sempre di nuove: “Voi guardate troppi cartoni!” disse una volta esasperata Kate, quando entrando nella loro stanza si ritrovò infradiciata da un secchio d’acqua posto in cima alla porta.
I bambini si davano il cinque soddisfatti e ridevano a crepapelle.
“Sono proprio i gemelli per antonomasia…” pensava Kate, ora rammendando vestitini distrutti, ora cercando di far rispettare loro le regole di casa, che puntualmente si divertivano a infrangere.
E guai! Non era mai nessuno! Guai a chi toccava loro rispettivamente la sorellina o il fratellino.
Nei primi anni di scuola i due fratelli avevano avuto ottime occasioni di fare squadra. E con il tempo diventavano sempre più uniti, a volte anche in maniera esagerata. C’erano cose fra di loro che Kate non poteva assolutamente sapere…e poi se a qualcuno faceva male qualcosa o era triste, all’altro succedeva la stessa cosa.
“Noi giuriamo, è vero, è vero!” dicevano sempre.
Kate era amorevolmente convinta che fossero un caso perso, da quando lei aveva dovuto far accorciare i capelli ad Eric e Alice si era impuntata per farsi tagliare quella sua chioma biondissima ed evanescente di cui Kate le aveva sempre insegnato a prendersi cura.
“NO, li taglio anche io! Altrimenti Eric diventa triste perché gli viene nostalgia” spiegava, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Fu quando i gemelli iniziarono a diventare piuttosto grandicelli che Kate iniziò a preoccuparsi.
Saltavano la scuola, imbrogliavano gli insegnanti, sempre insieme. Lei era preoccupata del fatto che si sarebbero presto trasformati in due adolescenti difficili.
Alice era la più manigolda: era sempre lei a mandare a casa gli altri bambini con le braccia piene di graffi se la facevano arrabbiare o se davano fastidio ad Eric.
Lui era meno agguerrito, ma molto protettivo nei confronti di sua sorella.
“Sai cosa dobbiamo fare?” le disse una volta.
“No…ti ascolto” rispose Alice “ se è una buona idea ti dico già di sì”.
“Certo che lo è!” il fratello le strizzò l’occhiolino “è una cosa per mantenere saldi i legami: noi ci facciamo un taglio –piccolo- io lo faccio a te e tu lo fai a me. E dopo dobbiamo bere il sangue che esce”.
“No!” strillò lei “robe da maschi! E poi a cosa serve? Abbiamo già il legame di sangue, eravamo insieme persino nella pancia: più di così!”
“Fa niente! Una volta si faceva così nelle tribù”.
“E io non sono una bambina delle tribù!”
Nessuno voleva cedere. Restarono per un po’ a fissarsi negli occhi identici. Poi lei si arrese.
“Va bene, va bene…anche se sono io la maggiore e dovrei decidere io”.
Eric arricciò il naso: “Non fare la comandina, abbiamo solo pochi minuti di differenza. La mamma dice così”.
“Fa niente” fece lei altezzosa “ ma solo perché sei tu”.
I gemelli suggellarono l’ulteriore patto di sangue.
“Sai una cosa, Eric?” disse lei carezzandogli i capelli “tu sei il mio essere speciale: avrò cura di te, te lo prometto”.
Lui l’abbracciò: “Tu lo sei: conta su di me”.
   
 
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