- Mad Tea Party -
ATTO PRIMO, SCENA SETTIMA
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L’Attesa della Rosa
Tamburellò, tamburellò e tamburellò
impazientemente quelle sue cortissime dita dalle unghie alquanto mangiucchiate
sul tavolino di legno, reggendo con la sinistra la cornetta del telefono e
continuando con la destra quella nevrotica produzione di rumore.
Fino a qualche istante prima aveva avuto
stampato sulla faccia un sorrisetto d’ineguagliabile soddisfazione che avrebbe
fatto impallidire – o arrossire – chiunque avesse guardato quel ragazzo senza
conoscerlo.
Peccato che dopo aver lasciato trascorrere qualche
minuto d’inebetita contentezza il suo cervello sempre in interminabile e
costante movimento avesse avuto la stupefacente idea di bloccarsi con un
piccolo e quanto mai inatteso tilt.
Lui aveva allargato un poco i lucidi occhi neri
e aveva preso a fissare le mattonelle del pavimento, cercando di ricostruire
l’ordine logico di quel reticolo di quadrati e non riuscendo a venire a capo di
nulla. S’era toccato con mano flebile le vaporose ciocche ondulate di capelli
che gli scendevano giù lungo il torace e infine se ne era avvolticchiata
una attorno a quella stessa mano, tirando un pochino.
Un’acquosa gocciolina di sudore gli era scesa
giù lungo le guance pallide fino al mento, e lui se l’era ripulita coi
polpastrelli e aveva serrato le palpebre sospirando e sedendosi sul divano
buttando la testa all’indietro, restando così in silenzio ed immobile come una
statua.
Eccolo là che rispuntava, quel suo accidenti di
stramaledetto nervosismo! Aveva battuto a terra i suoi piedini candidi avvolti
dalle pantofole pelose rigorosamente blu e aveva aggrottato le sopracciglia,
ascoltandone il ritmico suono soffuso. Doveva calmarsi santo cielo, calmarsi!
Non aveva senso essere così ansiosi per un semplice incontro! Si trattava solo
di far conoscenza con un amico di Takeshi, in fondo… Takeshi, già!
Era proprio a lui che stava telefonando in quel
momento, aspettando alquanto impazientemente che rispondesse visto che come al
solito ci stava impiegando ere geologiche intere.
All’ottavo insistente squillo, finalmente, lo sventurato rispose.
« Pronto? Qui Takeshi…
»
A Mana, che pure non aveva atteso altro, tremò
la mano che reggeva la cornetta e pure la voce, che gli mancò all’improvviso al
pensiero di ciò che sarebbe accaduto all’incirca tre ore più tardi.
Dopo un interminabile mezzo minuto buono sentì Takeshi scoppiare a ridere e gli venne da arrossire. Quasi
s’arrabbiò. Pure in giro lo prendeva ora?
« Sei Mana-chan? » si
sentì domandare.
Avrebbe potuto rispondere di sì, avrebbe potuto
farlo e tutto sarebbe finito lì come era giusto che fosse, invece per sua
sfortuna l’unica cosa sensata che balenò fuori dalla sua mente intasata furono
due lamentose allarmate ed allarmanti parole proferite con un’urgenza che
spaventava.
« Taka… aiutami! »
Fu forse la sola volta che a Takeshi capitò di restare a corto di frasi.
« Mana… ti ha aggredito un maniaco? »
Silenzio.
L’unico suono che Takeshi
fu in grado di udire dall’altro capo del filo fu uno scricchiolio di colossale
potenza, generato dalla mano di Mana che s’era serrata contro il piano del
tavolo con una forza e un crack conseguente che avevano dell’abnorme.
« Giuro… che se non fai qualcosa aggredisco io
te! »
Ecco, erano quelli i momenti in cui il
bellissimo e normalmente tranquillo Mana faceva davvero paura. Erano i momenti in cui dalla regale ugola di quel
suo elegantissimo e minuto amico sbucava fuori un vocione di portata
monumentale che faceva rabbrividire le spine dorsali di chiunque fosse nelle
vicinanze, quello stesso amorevole e disinvolto tono di quando il ragazzino se
ne usciva con qualche brano dei suoi adorati Motley Crue.
« Tu spiegami che succede, almeno morirò
avendoci capito qualcosa! »
Mana pensò o ci provò con ammirevole coraggio, continuando
a scorticare il tavolo con delle unghie che non aveva e producendo ugualmente
un sonoro grat grat simile
a quello di un cane che scava sul legno.
« Gackt… »
Esalò quella parola come se avesse dovuto
sputare un polmone.
« Ah, lo scemotto!
Che ha combinato? »
Takeshi pareva essersi notevolmente tranquillizzato,
avendo evidentemente notato che la voce di Mana aveva perso la poco rassicurante
nota cimiteriale di qualche istante prima ed era tornata normale.
« Viene… »
« Ah sì, quello viene dappertutto! È un suo
viziaccio, sapessi quante volte ho provato a dirgli di farla finita… »
L’immensa indescrivibile fortuna di Takeshi fu che in quel momento fra lui e Mana ci fossero il
filo del telefono e mezza Tokyo, poiché altrimenti la prima mossa del
chitarrista sarebbe stata sfoderare tutta la sua forza e sfracellargli contro
la schiena il ben noto e ormai grattatissimo tavolinetto di legno.
« Tu, razza di animale le cui aspirazioni non
transitano oltre il suo naso, ora taci e stammi bene a sentire! »
« Io ti starei pure a sentire se tu ti
decidessi a sparare una frase sensata. »
Un sospiro spazientito e il ritorno della voce
da ruggito furono più che sufficienti ad avvertirlo che Mana aveva veramente i
nervi a fior di pelle.
« Dunque… Satoru Okabe, Gackt Camui, lo scemotto, chiamalo come ti pare ma comunque lui… sarà qui a Tokyo fra circa tre ore.
»
« Ma dai? Allora sei riuscito a incastrarlo? »
« Ancora no, viene solo a trovare me. »
« E quindi? »
Mana alzò gli occhi neri al soffitto, nel
mentre stritolandosi una ciocca di capelli con quella solita mano sudata che di
starsene buona al suo posto proprio non ne voleva sapere.
« Quindi ci siamo dati appuntamento a Shinjuku, e al resto penso che tu possa arrivarci
perfettamente da solo. »
« Vediamo, ti conosco e ho sentito abbastanza
da poter asserire che sei andato nel panico come tuo solito, sbaglio? »
« Il tuo sopraffino intuito animale ha sempre
il potere di sconvolgermi. E comunque frena, quando ho intercettato Yu-ki non ero affatto nel panico. »
« Suvvia, smettila con queste tue battutine
intrise di venefico sarcasmo, sai che con me non attaccano. E scommetto ciò che
vuoi che quando ti sei infilato nel backstage quella volta ti tremavano le
ginocchia. »
« Pensala come ti pare, ma devi venire con me.
E non azzardarti a fare qualcuno dei tuoi commenti idioti che già immagino che
stessi pensando. »
Takeshi sospirò, come se già avesse saputo che sarebbe
finita in quel modo.
« Senti, è inutile che sospiri. Io non l’ho mai
visto, come lo riconosco secondo te, dall’odore? »
« Quanta gente a Tokyo ha una Ferrari? »
« Che? »
« Ecco, lui ha una Ferrari.
»
« Ho capito, resta il fatto che io lì da solo non mi ci presento! Sono stato abbastanza chiaro? »
« Ma che timidone che
sei, te l’ha mai detto nessuno che sei adorabile quando fai così? »
« Piantala. »
E Taka la piantò sul
serio, merito dell’amorevole voce cimiteriale.
« Dunque avete appuntamento per le sei di
stasera. »
« Sì, sì, sì. Sì. »
« Facciamo così, passo da te un’oretta prima e
andiamo a prendere il treno, ok? »
« Ok. »
« E stai calmo, che Camui
non ti mangia. Anche se è un mezzo maniaco… »
Takeshi era lì lì per
chiudere la chiamata, tranquillissimo come una colomba felice, quando il
mormorio di una vocetta flebile ed incerta dall’altra
parte lo trattenne.
« Taka… »
« Che c’è? »
« …che mi metto? »
Venti minuti di consigli dopo, Mana mise giù un
telefono completamente viscido di sudore. Aveva ormai pochissimo tempo, doveva
agire o non se lo sarebbe perdonato finché campava.
In piedi, voltò lentamente il viso pallido
dagli occhi neri verso uno degli specchi, scrutando come interrogativamente
la figura snella che vi vedeva riflessa, incorniciata fino alle cosce dagli
ondulati capelli di ebano.
« Forza, Mana-chan. »
Lo disse a se stesso come se parlasse a qualcun
altro, pieno di un’incertezza che a parole non avrebbe mai potuto esprimere.
Forse solo con la musica.
D’istinto prese la chitarra e si gettò sul
divano accucciandovisi con le ginocchia sollevate, stringendo lo strumento e
provando accordi silenziosi a testa bassa, con gli occhi aperti e totalmente
adombrati dalla frangia, senza neppure preoccuparsi di collegare il jack al
piccolo amplificatore che usava in appartamento. Poco gl’importava di suonare
in quel momento, gli bastava sentire fra le mani la chitarra, che gli dava una
sicurezza che altrimenti non avrebbe mai posseduto. Alzò lo sguardo, a labbra
socchiuse.
« Sappi, Mana-chan,
che ci devi provare. Ci devi provare o te ne pentirai a vita, stanne certo. »
Allora s’alzò in piedi con uno scatto,
lasciando la chitarra abbandonata ad occupare il divano, e se n’andò in camera
da letto quasi correndo.
Il primo passo era decidere cosa indossare: ci
metteva sempre secoli e tutto doveva essere perfettamente abbinato, perfino la
biancheria. Forse avrebbe dovuto piantarla con tutta quella cura feticista per
l’abbigliamento… si poneva problemi che, sospettava, non sfioravano neppure le
donne. Però non si sarebbe mai odiato, non più. Aveva passato anche troppo
tempo a detestarsi, e non voleva smettere di provare quel po’ d’amore per se
stesso che da qualche anno gli scaldava il cuore ogni volta che si guardava.
Scelse un paio di pantaloni neri a sigaretta,
femminili e stretti in modo da slanciarlo e dare risalto alle sue splendide
gambe tornite dalle quotidiane corse mattutine. S’era comprato un armadio
ampio, con un’immensa specchiera nelle ante centrali che gli risultava
utilissima quando voleva specchiarsi per intero, per la prova degli abiti.
Aveva il torace sottile e il fisico acerbo come
quello di un adolescente, sottolineato dal candore di una pelle che sembrava
risplendere tanto era bianca. Era primavera, ma non era ancora abbastanza caldo
da andare in giro in abiti estivi, quindi optò per una magliettina
color panna a collo alto priva di maniche a cui abbinò un maglioncino
di morbida lanetta nera incrociato in vita e allacciato ai fianchi con dei
deliziosi nastrini di velluto. Al collo fermò una spilla a forma di rosa nera,
pensando che poteva bastare. Dei guanti non c’era bisogno, forse sarebbe
sembrato troppo scostante nei confronti di Satoru e
non voleva, visto e considerato che si
conosceva ed era ben consapevole di essere timido.
Agli occhiali da sole però non avrebbe
rinunciato: o si truccava o indossava quelli, altrimenti col cavolo che usciva
di casa, e ormai di truccarsi come si deve non aveva più tempo.
Le scarpe, avrebbe messo quelle alte di vernice
nera, col cinturino e il tacco color legno e il fiorellino sulla fibbia, che
gli arrivavano alla caviglia e nascondevano appena l’orlo dei pantaloni.
Passò a strecciarsi i
capelli con somma cura, spazzolandoli ripetutamente fino a farli scintillare d’argento,
e li legò in una coda bassa da cui lasciò sfuggire volontariamente qualche
ciocca.
Era stato bravissimo: quando Takeshi suonò il suo campanello gli mancava solo un velo di
gloss sulle labbra rosa e aveva pure avuto il tempo
di farsi una cioccolata calda.
« Splendido come sempre », rise Takeshi quando lo vide.
« Grazie, sei un tesoro, ora andiamo. »
Con una certa fretta Mana lo spinse fuori dalla
porta e giù per le scale fino a che non si ritrovarono in strada.
« Aspetta un attimo, » disse Taka mentre Mana inforcava quei discutibili occhiali da
sole talmente grandi che bastavano a coprirgli una buona metà del viso « chi
era quello che poco fa moriva dal nervosismo? »
Manabu non gli rispose nulla, semplicemente lo scrutò
attentamente da dietro le lenti scure e disse pacatamente: « Sappi, animale,
che io confido in te. »
Il ragazzo dai cespugliosi capelli scuri rise
nuovamente: « Non mi permetterei mai di insinuare che la tua fiducia sia mal
riposta, Mana-chan, ma non potrò certo parlare per te
in eterno! Sei tu a doverlo conoscere, non io. »
Il suo amico dalle chiome corvine chinò
silenziosamente il capo senza replicare, e Takeshi
indovinò – indovinò, perché dietro quei giganteschi quadrati neri non si
scorgeva niente di niente – che in effetti lo sprovveduto a quel particolare
non doveva proprio, minimamente avere pensato.
S’avviarono a piedi verso la stazione più
vicina, uno camminando irrigidito e spedito su dei tacchi più alti di lui,
l’altro ridendo sguaiatamente e pensando che se ne sarebbero viste delle belle.
Sì, se ne sarebbero viste davvero delle belle.
- continua -
N.d.A.
Spiacente… Mana ha fatto il bastardo, come temevo… ^^;;; e mi ha anche
anticipato che probabilmente continuerà a fare di testa sua fino a una fine che
è ancora mooolto lontana, visti i tempi dei due principessi qui. In ogni caso, non so voi ma io mi sono
divertita come non mai a scrivere questo capitolo e spero che vi divertiate
anche voi a leggerlo. Mi ha divertito scrivere di un Mana andato completamente
in crisi isterica da pre-appuntamento, e mi diverte
parlare con Takeshi che è il mio unico rampino
all’ego di due personaggi che altrimenti vanno e vengono per conto loro e come
preferiscono. Finora la cosa non mi dispiace, perché la loro vivacità ha solo
abbellito la storia infilando certe scene che io da sola giuro non avrei mai
pensato. Al prossimo capitolo comunque si incontrano davvero, questo ve lo
posso garantire! >_< La pianteranno finalmente di boicottare la loro
autrice! Colonna sonora di questo capitolo: assolutamente “Ma Cherie” (ai misciu mi, per
intenderci XD). Mi scuso ancora per aver potuto lavorare solo a questo
capitolo, ma giugno per gli universitari come molti di voi sapranno è davvero
un mese DI MERDA. Sto piena di esami e ancora per un po’ non
riuscirò ad avere respiro. Torno a ringraziare i vari lettori (parecchi, ho
scoperto XD) e commentatori sia manifesti che in incognito (pochi, ma ci
accontentiamo XD) per la loro assiduità nel seguire la fanfiction,
fatto che ci sprona (parlo anche a nome dei due principessi
e di Taka-chan) a dare sempre il meglio!
Un salutone da
Vitani, Mana, Gackt & Taka
PS. Parlo dei miei personaggi
ovviamente, non di quelli veri PURTROPPO :P