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Autore: Alaire94    30/11/2012    3 recensioni
Avete mai pensato a una vita senza emozioni? A come sarebbe se il cuore non battesse più e non foste più di un involucro freddo e apatico? Lottereste per conservare quel piccolo frammento di umanità rimasto in voi o vi abbandonereste alla sorte?
Cercheranno di farti credere che la loro è una giusta causa, ti prometteranno ignobili punizioni, ma non sempre ciò che luccica è oro e non sempre nel buio c'è il male. Benvenuti a Edentia, nel paradiso che forse paradiso non è.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella notte di giugno

 

 

«E così questa sera andrai a una festa», ripeté papà, aprendo il frigorifero in cerca di qualche stuzzichino da mangiare in velocità. Era sempre affamato quando tornava dal lavoro e solitamente non riusciva ad aspettare l'ora di cena: dovevano stressarlo all'inverosimile in quel posto.

Annuii leggermente, appoggiando la schiena contro il lavello.

Si sedette a tavola, in mano aveva una brioche confezionata. Si passò una mano fra i pochi capelli bruni e l'addentò con avidità. «Una festa con la musica, di quelle dove devi andare coi tacchi alti?».

«Sì, papà», risposi, questa volta buttando gli occhi al cielo. Quasi mi pentii di averglielo detto; d'altronde era necessario per la richiesta che avevo in serbo.

Vidi il sorriso aprirsi sul suo volto. Inevitabilmente sorrisi anche io, contenta di averne guadagnato un altro. Quello di mio padre era il sorriso più bello: le guance si imporporavano e qualche ruga appariva agli angoli degli occhi, dandogli un aspetto più saggio e allo stesso tempo più divertente.

«A te non piacciono quelle feste», osservò.

Mi sedetti di fianco a lui. «E' vero, ma Debora, la mia amica... sai, mi ha chiesto di accompagnarla».

Assunse l'espressione di chi ha già vissuto troppo tempo per accettare certe scuse. «Ah, Gioia... non me la racconti giusta. Sono sicuro che c'entra un ragazzo».

Questa volta fui io a lasciarmi andare a una risata. «E' vero, ma non è a me che interessa... Debora mi ha chiesto di andare con lei perché vuole conquistarlo e io sono l'unica che lo conosce».

«Chi è questo fortunato?», domandò, sinceramente divertito dalle mie confessioni.

Non ne avevo ancora compreso il motivo, ma le vicende di quel genere lo facevano sempre divertire come un matto. Probabilmente gli facevano ricordare i tempi andati o magari pensava a quanto possiamo essere patetiche noi donne quando c'è di mezzo un uomo.

«Si chiama Leonardo e frequenta il mio stesso corso di teatro».

Annuì, per poi infilarsi in bocca l'ultimo boccone della brioche. Fu allora che decisi di agire.

«Avrei bisogno della macchina stasera...», dissi semplicemente, sapendo che con lui non erano necessarie troppe parole, soprattutto se si trattava di una richiesta.

Si fece serio, incerto se acconsentire. Avevo preso la patente da poco e ancora non si fidava del tutto.

«Va bene, ma fai attenzione, mi raccomando. Sia a te che all'auto!», concluse.

Proprio in quel momento Lorenzo spuntò dalla porta della cucina. «Voglio venire anche io alla festa!».

Capii immediatamente che aveva origliato tutta la conversazione, come suo solito. Aveva dieci anni, ma ancora non aveva imparato a non ficcanasare.

«Non puoi andare con tua sorella: non c'è nessuno della tua età!», osservò papà, prima che potessi rispondere.

Mi avvicinai e mi piegai per raggiungere la sua altezza, guardandolo nei piccoli occhi neri. Aveva un'espressione decisamente afflitta; mi sembrava giusto confortarlo. «Non avere fretta: arriverà anche il tuo momento!», dissi spettinandogli i riccioli bruni.

Aprii il frigorifero, prendendo fuori la tavoletta di cioccolato. «In compenso per te c'è tanta cioccolata, perché non ne approfitti?».

Prese la tavoletta e mi rivolse un sorriso. I suoi erano teneri, forse i più soddisfacenti: mi ricordavano i peluche della mia infanzia.

Mentre Lorenzo mangiava e papà accendeva la televisione, io diedi uno sguardo all'orologio: era decisamente ora di andarsi a preparare.

 

Feci il mio ingresso nel garage adibito a locale con un certo imbarazzo. Avevo infilato un vestito celeste aderente e con una scollatura che consideravo troppo vistosa, avevo reso i miei capelli lisci, facendo momentaneamente sparire la zazzera di boccoli neri, e per la prima volta avevo usato un trucco forse troppo pesante. Mai mi era capitato di osare tanto.

Le pareti della sala erano state coperte di festoni e perfino con qualche luce di Natale, sul soffitto una palla stroboscopica era già in funzione e rendeva l'atmosfera piuttosto inebriante.

Non ebbi difficoltà a trovare Debora in mezzo alla calca: aveva indossato un vestito di un rosso talmente intenso che avrei potuto vederla anche a chilometri di distanza. Tuttavia, riusciva sempre ad essere graziosa con quel suo portamento elegante e i modi gentili. Perfino la sua voce vellutata contribuiva a bilanciare il look stravagante.

«Non ti sembra di aver esagerato?», commentai, sollevando un sopracciglio.

Oltre all'abito, notai che si era rifatta la tinta, colorando i capelli corti di una sfumatura tra il rosso e l'arancione.

«Mi piace molto e poi... devo far colpo», replicò assumendo un'espressione maliziosa.

Buttai gli occhi al cielo e la presi per un braccio. «Togliamoci subito il dente».

Mi lanciò uno sguardo perplesso, ma quando cominciai a passare in rassegna i volti dei presenti, capì che ero alla ricerca di Leonardo.

Lo individuai in poco tempo: si trovava vicino al tavolo delle bevande e parlava con una sua compagna di classe, sorseggiando un cocktail.

Lo raggiungemmo e, dopo aver congedato la sua amica, si voltò verso di noi con un bel sorriso allegro, uno dei più comuni, in effetti, ma di cui non mi stancavo mai.

«Ehi, Gioia! Sono felice di vederti», esordì scoccandomi due baci sulle guance.

Era un bravo ragazzo e piuttosto carino - dovevo ammetterlo - con un paio di perle azzurre e penetranti e capelli sempre a posto. Era perennemente abbronzato; doveva essere merito di tutti gli sport all'aperto che praticava.

Unico difetto: la predilezione per l'alcol e la mondanità. Ecco spiegato un altro dei motivi per cui avevo deciso di seguire Debora alla festa: volevo verificare che tutto andasse per il meglio.

«Ciao, Leo... volevo presentarti una mia amica: Debora», esordii, facendole spazio.

Si strinsero la mano, lei con sguardo a dir poco famelico e lui cordiale come al solito.

A quel punto, mentre cominciavano a scambiare qualche parola, dovetti trovare il modo di togliermi di mezzo.

«Scusatemi, ma devo fare una chiamata», annunciai.

Soltanto Debora si voltò, giusto in tempo per farle l'occhiolino, mentre Leonardo mi salutò con un cenno della mano.

Mi feci strada fra la gente che beveva un drink o che aveva già cominciato a ballare. Mi sentivo finalmente tranquilla: ormai il mio compito principale era finito, dovevo solo controllare ogni tanto che non succedesse nulla di male.

Perciò, visto che non avevo niente di meglio da fare, approcciai il buffet. Avevano allestito una tavolata con stuzzichini vari: pizzette, tartine e panini infilzati con i classici stuzzicadenti con le bandierine. Ne presi uno con quella del Canada e, mentre lo addentavo, immaginai una foresta di aceri canadesi, sentendo l'intenso desiderio di trovarmici: mi avevano sempre affascinato i paesaggi d'oltreoceano.

Ben presto lasciai il tavolo del salato per giungere a quello dei dolci, dove mi ingozzai fino a scoppiare. Non ero solita mangiare in quel modo, ma probabilmente lo trovai un modo per seppellire la solitudine che provavo. Certo, ero in un locale gremito di giovani della mia età , potevo perfino vedere qualche bel ragazzo, ma non conoscevo nessuno e mi parevano tutti troppo occupati per fare amicizia con me.

Quando decisi di aver mangiato abbastanza, uscii dal locale per assaporare un po' d'aria fresca, sorseggiando una coca-cola con ghiaccio e limone.

Un brezza leggera mi fece sventolare il vestito e i capelli, mi diede la sensazione di essere più leggera; avrei quasi voluto farmi portare via dal vento dal tanto conforto che mi donava.

Mi guardai attorno e mi soffermai sulle villette del vicinato: possedevano quasi tutte un bel giardino curato con qualche vaso di fiori, alcune perfino un vialetto in porfido. Potevo vedere le luci accese nelle stanze e da una delle finestre intravidi qualcuno guardare la televisione; per un attimo mi immaginai la vita di quell'uomo, di come trascorreva le giornate al lavoro e il conforto di un comodo sofà e di un buon film.

Aspirai una boccata d'aria, insieme ad un intenso odore di pioggia. Proprio in quel momento un fulmine balenò all'orizzonte e illuminò la notte di un surreale bagliore; evidentemente si stava avvicinando un temporale.

Quando ruotai la testa verso destra, mi sentivo ancora appagata dall'atmosfera serale e rimasi momentaneamente indifferente, incapace di realizzare appieno ciò che accadeva davanti ai miei occhi: un gruppo di ragazzi stava tormentando una ragazza ubriaca almeno quanto loro.

Soltanto la visione di un vestito rosso e di corti capelli dello stesso colore mi risvegliò dal torpore. La risata di Debora ruppe la tranquillità della notte e non potei più ignorare la scena.

Corsi - per quanto i tacchi lo permettessero - verso il gruppetto. «Lasciatela stare!», urlai, attirando la loro attenzione.

Uno di loro, un tipo coi capelli lunghi legati in un codino e un pizzetto sul mento, ridacchiò leggermente. «Vieni a divertirti con noi!».

Si avvicinò barcollando e io indietreggiai, ma non abbastanza perché non sentissi il suo alito alcolico. Quasi rischiai di vomitare i deliziosi stuzzichini che avevo mangiato.

Sospirai, prendendo coraggio. Lo devi fare per lei, mi dissi, mentre con una spinta distrussi il fragile equilibrio del ragazzo che cadde sull'erba umida come un sacco di patate.

Dopodiché agii velocemente e loro erano troppo ubriachi per fermarmi: pestai un piede agli altri due con il tacco a spillo, presi Debora per un braccio e, strattonandola, la costrinsi a seguirmi vicino alla porta del garage.

La guardai negli occhi. Se di solito luccicavano del loro bagliore ambrato, in quel momento erano spenti e vacui.

«Deb, stai bene?», le chiesi, afferrandola per le spalle.

Assunse un'espressione dura; fortunatamente l'alcol non aveva ancora fatto effetto del tutto. «Che diavolo stai facendo?».

Repressi un moto di rabbia, sforzandomi di mantenere un tono calmo. «Quei ragazzi volevano...».

«Volevano farmi divertire e tu la devi piantare di fare la stupida crocerossina! Goditi la vita una buona volta!», gridò, per poi liberarsi della mia presa e sparire all'interno del garage.

La seguii con lo sguardo, a bocca spalancata. Uno strano dolore mi opprimeva il petto, come una spina che non riuscivo a togliere. Quelle parole erano state una stilettata, una pugnalata al cuore.

Avevo sempre cercato di aiutare tutti, di fare qualcosa di buono senza avere nulla in cambio se non sorrisi e rispetto. Invece mi accorgevo di pretendere già troppo: nemmeno la riconoscenza mi spettava.

Mi lasciai scivolare contro il pilastro che sosteneva il portico davanti alla costruzione, sedendomi scompostamente.

Lasciai che le lacrime mi solcassero il viso, che liberassero la frustrazione che provavo.

Avrei dovuto immaginare che prima o poi una reazione simile sarebbe arrivata con la stessa potenza del temporale imminente. Tuttavia, dovevo stringere a me le convinzioni, continuare a perseverare.

Ero nel giusto, in fondo, e prima o poi mi avrebbero ringraziata. Avrei collezionato un altro sorriso.

Rimasi così per un tempo indeterminato, a osservare i fulmini che si abbattevano sempre più vicini, finché non sentii qualcuno avvicinarsi a me.

Mi voltai, incrociando gli occhi azzurri di Leonardo. Non era certo sobrio, ma sicuramente più di Debora, appoggiata a lui: aveva un colorito verdognolo, un sorriso ebete stampato sul viso e si muoveva in continuazione, sebbene non riuscisse nemmeno a reggersi in piedi.

«Portala a casa, per favore: non sta affatto bene», disse Leonardo.

Chiunque, dopo le parole che aveva sputato poco prima, l'avrebbe lasciata senza pensarci.

Io, invece, avevo il difetto di volerle troppo bene e, per quanto mi avesse ferita, non sopportavo l'idea che stesse male.

Mi alzai in piedi e Leonardo mi aiutò ad accompagnarci all'auto, parcheggiata poco più avanti lungo il viale.

Proprio quando la accesi, il temporale scoppiò. Era irruento e, mentre guidavo, faticavo a vedere bene la strada; i tergicristalli erano perfino troppo lenti per la velocità con cui cadeva la pioggia.

Debora si agitava nel sedile di fianco al mio e parlava in modo sconnesso.

«Tranquilla, Deb. Presto saremo a casa».

Lei scoppiò a ridere. Le sue risa si fusero col rombo del tuono che quasi fece tremare i vetri dell'auto.

Un brivido freddo mi corse lungo la schiena, mi fece venire la pelle d'oca.

Mi concentrai sulla strada che ormai era diventata un fiume nero, rischiarato solo dai fanali e dai lampioni a margine.

I lampi squarciavano il cielo, i tuoni spezzavano il silenzio della notte, le gocce di pioggia parevano bucare il parabrezza.

Soltanto qualche minuto e mi sarei fermata davanti a casa di Debora, l'avrei portata al sicuro al caldo della sua abitazione e magari sua madre mi avrebbe offerto una delle sue tisane.

Sarebbe bastato solo qualche minuto ancora per evitare il peggio, ma la fatalità giocò bene le sue carte. Io persi miseramente la partita.

Debora mi abbracciò all'improvviso, trascinandomi verso di con una risata sommessa. «Scherzetto!», gridò allegra.

Mi spaventai; feci un salto sul sedile e persi il controllo dell'auto. Cercai di recuperarlo, col cuore che pulsava in gola e il cervello in acqua, ma l'asfalto era troppo bagnato. Le ruote slittarono.

Tentai qualche manovra, ma nulla che servì a qualcosa. La vettura sbandò verso destra, dritta verso una sagoma nera mossa dal vento. Minacciosa e salda come una roccia.

Un grido mi sfuggì dalla gola, mi gelò il sangue nelle vene.

L'impatto arrivò, mille volte più irruento, violento del temporale che si abbatteva fuori. Tutto diventò nero come pece, come un velo che si stendeva sul mondo.

***

Angolo autrice

Ringrazio quei pochi (ma buoni) che hanno letto il prologo! :) spero che qualcuno riesca ad apprezzare anche il resto della storia 

   
 
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