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Autore: Gia August    22/06/2007    4 recensioni
Un litigio tra Bo e Luke dà il via ad una serie di eventi che entrambi rimpiangeranno. I capitoli sono scritti alternativamente secondo il punto di vista di Bo e di Luke.
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bo Duke, Daisy Duke, Jesse Duke, Luke Duke
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Con grande tristezza vi annuncio che siamo arrivati all’ultimo atto di questa storia. Ve lo lascio leggere in santa pace, per i ringraziamenti vi rimando alla fine del capitolo.

 

 

Capitolo diciotto: Tenere duro

 

Luke

 

Stavo provando disperatamente a tener duro, ma era difficile. Stavo perdendo ogni speranza.

Bo mi trovò proprio quando stavo per mollare. Da qualche parte nel profondo dentro me, sapevo che sarebbe arrivato. Condusse da me anche zio Jesse e Daisy. Sono stati la ragione per la quale non mi sono arreso. Mi hanno dato un valido motivo al quale aggrapparmi. Tenni duro con tutto quello che avevo.

Durante il tragitto in ospedale, sono sempre stato incosciente. Ho pochi ricordi del pronto soccorso e sembrano più che altro frammenti di un sogno o più precisamente di un incubo. C’erano luci accese e diverse persone chinate su di me. Sentivo delle voci, ma non capivo cosa stessero dicendo. Sembrava comunque qualcosa di serio. Sentivo dolore ogni volta che mi muovevano e che mi toccavano. Mi hanno messo un paio di aghi nelle braccia. Hanno fatto qualcosa alla mia spalla che mi ha fatto davvero male. Quando hanno inserito un tubo nel mio torace mi sono spaventato. Ho tentato di dire loro di lasciarmi in pace, ma loro capivano me quanto io capivo loro.

Mi ritrovai di colpo in un mondo dove tutto era distorto e dove ogni cosa si muoveva come al rallentatore. Era tutto strano. Penso mi avessero dato qualche droga a giudicare da come tutto era diventato irreale. Anche ora non so dire cosa fosse vero e cosa derivasse dalla mia immaginazione. Dopo un po’ però, divenne tutto nero. Scomparve ogni cosa.

Non so per quanto tempo io sia stato incosciente, ma la cosa successiva che ricordo è un altro insieme di voci. Stavolta famigliari. Non riuscivo a capire cosa dicessero, ma erano rassicuranti. Non ero più spaventato. Non sapevo dov’ero, ma ero asciutto e al caldo. Non volevo altro che rimanere là. Stavo bene. Se stavo sognando, cosa che ritenevo piuttosto probabile, non avrei voluto svegliarmi mai più. Avevo paura che se mi fossi ridestato, mi sarei ritrovato di nuovo all’aperto, al freddo, sotto la pioggia. Quello nel quale mi trovavo invece era un bel posto ed ero più che mai determinato a rimanerci. Non sapevo però che posto fosse, ma in fondo non me ne importava.

Ascoltai le voci finché non divennero chiare. La prima che riconobbi fu quella di zio Jesse. Era dolce e forte allo stesso tempo. Stava parlando con Daisy la cui voce invece era melodiosa come musica. Non capivo di cosa stessero parlando, ma ascoltai lo stesso. Era confortante. Non mi stavano chiamando e non facevano il mio nome, non ero certo sapessero che li sentivo. Non ero neanche sicuro sapessero che io ero lì con loro. Non mi importava, mi bastava sapere che loro c’erano.

Riluttante lasciai il posto confortevole nel quale mi trovavo. Volevo vedere zio Jesse e Daisy. Lottai per uscire dalla nebbia che mi circondava, pregando tuttavia non stessi commettendo un errore. Quando alla fine aprii gli occhi, vidi zio Jesse accanto a me. Non sapevo se fosse reale così allungai un braccio e gli sfiorai il volto. Mi sentii finalmente al sicuro. Continuavo a non capire in che posto mi trovassi, ma sapevo che andava tutto bene perché zio Jesse era con me. Avevo abbastanza coscienza di me, ma ero stanco. Non mi sono mai sentito tanto stanco in vita mia.

Vidi Daisy in piedi  vicino a me dall’altra parte del letto. Quando si chinò su di me, vidi i suoi capelli ondeggiare sul suo bel viso. Mi chiesi se stessi guardando un angelo, ma lei sorridendo mi assicurò che era reale.

Non vidi Bo. Il mio cuore iniziò a battere forte quando mi guardai attorno. Non riuscivo a ricordarne il motivo, ma sapevo che era arrabbiato con me. Rammentavo di esser stato in pensiero per lui. Sapevo che avevamo delle cose in sospeso. I miei battiti accelerarono ancora. Forse non gli interessava più niente di me. Forse non aveva voglia di vedermi. Forse stavolta lo avevo allontanato tanto da non farlo più tornare indietro. Avevo paura di chiedere dove fosse, ma dovevo sapere.

“Dov’è Bo?” Domandai.

Bo sbucò da dietro mio zio e mi sorrise. Non mi sono mai sentito più sollevato. Avevo bisogno di lui in quel momento e lui c’era e mi stava sorridendo. Doveva essere un buon segno. Il nostro litigio iniziò a riaffacciarsi nella mia mente, ma non riuscivo ancora a metterlo bene a fuoco.

Sapevo di esser steso su di un letto che non era il mio. Quando realizzai di essere attaccato a delle macchine e quando vidi gli aghi infilati nelle mie braccia, iniziai a sentirmi confuso e spaventato. Sentii di nuovo il panico impadronirsi di me. Zio Jesse mi strinse la mano. Ricambiai la sua stretta. Mi disse che ero in ospedale, ma che presto sarei stato meglio. Gli credetti. Non mi ha mai mentito. Mi calmai mentre mi passava la sua mano forte e gentile tra i capelli. E’ divertente pensare quanto il suo tocco mi abbia tranquillizzato nonostante non fossi più un bambino.

Zio Jesse riempì un po’ dei vuoti che avevo. Mi disse che ero caduto nella scarpata che dal ponte arriva al torrente. Ricordavo di aver accettato un passaggio dalla signora Jacobson. Sapevo che mi aveva lasciato alla fine della Little Creek Road, ma non riuscivo a ricordare di esser caduto. Mio zio mi disse che probabilmente non lo avrei mai ricordato a causa del trauma cranico che ne era derivato. Almeno mi era stato spiegato il perché del mio mal di testa.

Non so davvero a cosa stessi pensando quando ho preso quella scorciatoia sotto la pioggia. Avrei dovuto essere più responsabile. Non sarebbe successo niente se fossi rimasto sulla strada. Anche zio Jesse mi disse che avrei dovuto avere maggiore buonsenso. Giacere su di un letto d’ospedale, era la prova della mia stupidità. Sembrava che stessi lì già da un po’ di tempo. Ero preoccupato che non mi sarei ripreso tanto presto, ma ancora di più mi preoccupava la spesa che avremmo affrontato quando ci avrebbero presentato il conto. Zio Jesse tentò di rassicurarmi, ma non potei far altro che sentirmi dispiaciuto.

Gli chiesi poi di dirmi quali altri danni mi ero provocato. Mi disse che avevo un paio di costole rotte e che una aveva perforato un polmone il che spiegava perché provassi tanto dolore quando respiravo. Spiegava anche la presenza del tubo nel mio torace. Continuò dicendomi che avevo la polmonite e un principio di ipotermia causata dall’esposizione prolungata al freddo e all’acqua. Non ne fui sorpreso. Non ricordo di aver mai avuto tanto freddo in vita mia. Come se non fosse stato abbastanza inoltre, avevo una spalla slogata e una caviglia fratturata. Tagli e abrasioni varie completavano la mia opera. Ero davvero messo male ed era stata tutta colpa mia.

Mi sentii improvvisamente esausto e saturo di informazioni. Erano davvero troppe. Penso che zio Jesse se ne accorse subito perché mi consigliò di riposare per un po’. Non dovette faticare molto per convincermi. Mi impegnai per rimanere sveglio, ma era una battaglia persa. In breve mi addormentai.

Il mio sonno fu pieno di immagini spiacevoli: vedevo me stesso solo e al buio. Riuscivo a sentire il freddo. Ero fradicio fino alle ossa. Volevo risvegliarmi, ma non ci riuscivo, quell’incubo non voleva lasciarmi. Avevo paura che forse l’ospedale era stato un sogno ed io ero ancora fuori aspettando che qualcuno mi trovasse. Sentii poi un tocco gentile sul mio braccio e udii la voce rassicurante di Bo. Non capivo cosa mi stesse dicendo, ma era confortante averlo vicino a me. Dovevo tornare da lui. Lottai per uscire dal mio incubo e tentai di aprire gli occhi. Bo mi stava sorridendo. Era reale, non era un sogno.

Mentre lo guardavo, mi tornarono alla mente gli ultimi giorni. Rammentai bene il nostro litigio e ricordai di aver visto Bo ed Ellen baciarsi al Boar’s Nest. In un certo senso non mi importava più sapere cos’era successo tra di loro. Tutto quello che volevo era che mio cugino rimanesse con me. Ho perso molto in vita mia e non potevo perdere anche lui. La convinzione che lui mi avrebbe trovato, mi aveva tenuto in vita.

Bo ha sempre avuto la tendenza a scappare via quando qualcosa non va bene. Quando litighiamo o quando è nervoso, si allontana sempre. Avevo paura che quella volta non sarebbe più tornato. Io invece non l’ho mai fatto. Se dipendesse da me, io risolverei le tensioni che si creano tra di noi nel momento stesso in cui si presentano. Ma non spetta solo a me. Non posso obbligarlo a restare se non vuole. Bo era lì con me in quel momento ed io avrei lottato pur di farcelo rimanere. Non lo avrei fatto allontanare di nuovo.

Comunque sia, non era necessario io facessi niente. Bo non aveva intenzione di andare da nessuna parte. Non trascorse molto tempo prima che iniziasse a chiedermi di perdonarlo. Io dovevo scusarmi con lui da quel famoso venerdì, così feci lo stesso. Quando poi mi disse che era dispiaciuto per quel che aveva fatto con Ellen, rimasi in silenzio perché non ero sicuro di voler sapere esattamente cosa avessero fatto. Li avevo visti baciarsi, ma poi avevo lasciato subito il locale. Non sapevo cosa ci fosse stato, né se qualcos’altro ci fosse stato. Ma non era un bene lasciare la risposta alla mia immaginazione.

Realizzai che avevo bisogno di sapere, così glielo domandai. Mi giurò che si era trattato solo di un bacio. Quel che io avevo visto era tutto quel che era successo. Voleva solo flirtare con lei per rendermi geloso e in qualche modo erano finiti per baciarsi. Gli credetti quando mi disse che non c’era stato altro. Non mi ha mai mentito.

Ad essere sincero, non so dire come mi sentissi veramente, ma dopo la terribile esperienza che avevo avuto, sapevo per certo che non potevo perdere Bo. Non avrei mai permesso che accadesse. Siamo cresciuti insieme e ci lega un affetto fraterno. Zio Jesse ci ha sempre detto che la famiglia è tutto e lui stesso ce l’ha dimostrato prendendoci nella sua casa quando i nostri genitori sono morti. Ha sempre detto che noi Duke non abbiamo molto in termini materiali, ma possiamo contare l’uno sugli altri ed è qualcosa che non ha valore. Gli ho sempre creduto senza fare domande. Zio Jesse, Daisy e Bo e sono tutta la mia ricchezza.

Di certo avremmo avuto molta strada da fare, ma perdonai Bo. Insieme avremmo sistemato ogni cosa. Non sapevo ancora cosa ne sarebbe stato di me ed Ellen, ma ci avrei pensato poi. Non avevo voglia di vederla. Avevo bisogno di riflettere. E poi lei non era in ospedale il che significava che anche lei aveva bisogno di un po’ di tempo.

La verità è che io amo la mia famiglia più di ogni altra cosa. Forse non c’è niente che Bo possa fare e che io non gli possa perdonare. Comunque non fu solo colpa sua. Dovevo accettare la mia parte di responsabilità in tutta quella vicenda. Avevo dato io il via a tutto urlando parole odiose a mio cugino e avevo peggiorato la situazione perseverando nelle mie accuse. Invece di parlare come una persona adulta e responsabile, ero stato sarcastico ed offensivo. Lo avevo ferito con le mie parole ed era stata soltanto colpa mia se ero caduto dentro quella scarpata. Avrei dovuto essere più attento. Non avevo nessun buon motivo per prendere quella scorciatoia con un tempo del genere.

Perdonare Bo fu facile per me quando lo guardai negli occhi e riuscii a cogliere la profondità dei suoi sentimenti. E’ sempre stato come un libro aperto. Vidi rimorso, tristezza, amore. Gli dissi che lo perdonavo e che speravo lui avrebbe perdonato me. Gli confessai che avevo paura di perdere quello che c’era tra di noi e lui mi rassicurò dicendomi che non sarebbe mai successo. Avevo così bisogno di sentire quelle parole. Sentii le lacrime riempirmi gli occhi e prima che potessi accorgermene, già rigavano il mio volto. Provai a levarle via prima che Bo se ne accorgesse, ma non ebbi successo. Quando mi vide, provai a negare l’evidenza. Tutto quello che ottenni fu che anche Bo si mise a piangere.

Volevo abbracciarlo, ma non potevo far molto dalla mia posizione in quel letto. Penso anche lui avesse quella necessità. Non aveva le mie restrizioni fisiche e per lui fu facile avvicinarsi e circondarmi con le sue braccia facendo attenzione a non disturbare i tubi che avevo attaccati. Provai qualche dolore qua e là, ma non mi interessava. Ricambiai il suo abbraccio.

E poi Bo mi disse di volermi bene. E’ sempre stato molto più aperto di me nel mostrare i suoi sentimenti. Al contrario io ho sempre trovato difficoltà nel dare voce alle mie emozioni ed ho sempre sperato che le mie azioni e i miei gesti parlassero per me. Penso che il trauma cranico mi avesse reso più emotivo del solito perché gli risposi. Gli dissi che anche io gli volevo bene. Ci ritrovammo così abbracciati ed in lacrime. Penso di aver pianto più in quei due giorni che negli ultimi dieci anni della mia vita. Non era proprio da me, ma dopo tutto quello che avevo passato forse era solo una valvola di sfogo.

Siamo sempre stati piuttosto competitivi e lo eravamo anche in quel momento. Cercavamo entrambi di accollarci la responsabilità esclusiva di quel che era successo, ma alla fine ci rendemmo conto che c’erano abbastanza sensi di colpi in quella stanza da accontentare tutti e due.

Alla fine gli dissi che sarebbe stato meglio staccarsi prima che fosse entrato qualcuno e ci avesse visti piagnucolare come due femminucce. Non ne saremmo usciti vivi se fosse toccato a Daisy sorprenderci. Non è mai stato facile per lei essere l’unica donna della famiglia e ha sempre faticato parecchio con noi due. Doveva imporci dei limiti perché in effetti a volte ne avevamo proprio bisogno. Se ci avesse visti in quella situazione, avrebbe avuto in mano qualcosa con cui ricattarci per tutta la vita.

Cercai di giocare un po’ sul fatto che gli uomini veri non piangono, mentre riprendevo il controllo di me. Bo mi rispose a tono e mi fece ridere di gusto, cosa che mi procurò un forte dolore al fianco. Ma non me ne preoccupai. Ormai sapevo che tutto si sarebbe risolto tra di noi.

Anche se Bo si era staccato fisicamente da me, io stavo continuando ad aggrapparmi a lui perché ne avevo bisogno. E stringevo forte perché non lo avrei fatto mai più andare via.

 

The End

 

 

Come promesso eccomi di nuovo. Dunque prima di tutto, lasciatemi ringraziare Gia August ancora una volta per avermi permesso di tradurre questi diciotto capitoli da dipendenza pura. Quando mesi fa li lessi, me ne innamorai follemente. Finalmente qualcuno cantava fuori dal coro ed “inventava” una situazione inedita nella quale inserire Bo e Luke. Penso che questa storia mi sia piaciuta tanto proprio perché quello di insinuare il tradimento tra questi due personaggi è sempre stato un mio desiderio e Gia August, a mio dire, ha fatto un ottimo lavoro. Se devo andare a cercare il pelo nell’uovo, da brava sadica quale sono, prima di fargli avere il perdono di Luke avrei fatto stare sulle spine il povero Bo almeno per un paio di capitoli (se non tre!) Tuttavia ho apprezzato molto anche il punto di vista dell’autrice la quale ha intrapreso un percorso introspettivo in linea con i caratteri originali di “The Dukes of Hazzard”.

E’ con piacere immenso che ringrazio la mia cara LadyBlack per tutti i commenti che mi ha lasciato e per l’onore che mi ha fatto mettendo questa storia tra le sue preferite.

Con lo stesso piacere ringrazio anche Maria che mi ha seguito con costanza e mi ha strappato più di un sorriso con le sue recensioni sempre deliziose e puntuali.

Grazie a Manzo che, anche se si è persa per strada, mi ha accompagnato per buona parte di questa traduzione.

Grazie a tutti coloro che, pur rimanendo muti, hanno letto “A shot in the dark” e grazie a tutti coloro che la leggeranno in futuro.

Baci Lella Duke

  
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