Zayn.
Al mattino non
ero abbastanza lucido
per riuscire a focalizzare i miei di
pensieri, figuriamoci se mi sarei spinto oltre per ascoltare
ciò che Harry mi
stava dicendo.
“Zayn,
ma mi stai ascoltando?” Sbottò
spazientito.
“No e
non ho la minima intenzione di
farlo “ presi il cuscino e, con la faccia rivolta verso le
lenzuola, mi coprii
nella speranza che una buona volta la smettesse.
Non ne potevo
più di sentirlo giorno
e notte parlare della stessa cosa, era snervante e allo stesso tempo
monotono; Wendy di qua, Wendy di
là, basta cazzo.
“Ti
stavo dicendo..” Volevo
scappare, non sarei resistito un
minuto di più. In quel momento avrei preferito essere
incenerito dalla luce
abbagliante del sole piuttosto che stare lì inerme ad
ascoltare i suoi discorsi
patetici da innamorato. Gli lanciai il cuscino che, al contatto con la
sua
faccia, fece un suono alquanto fastidioso.
“ma
che cazzo fai?”
“ti
faccio stare zitto” Mi tirai su
dal letto, infilandomi una maglietta presa a caso pochi istanti prima
dall’armadio.
La stanza era completamente buia, le tapparelle ancora tirate
giù e tutte le
finestre chiuse.
“perché
dovresti?” Sistemandomi i
capelli, sbuffai disinteressato al 100% di quella conversazione inutile
e
banale.
“perché
sei un rompi coglioni” Gli
dissi andandomene da quell’inferno.
Il silenzio
regnava in casa,
probabilmente erano ancora tutti a letto spossati dalla lunga caccia
della sera
precedente. La routine quotidiana mi spinse ad accendere la televisione
e la
noia altrettanto mi spinse a fare zapping con il telecomando, cercando
qualcosa
di adatto ad un diciannovenne in preda all’insofferenza.
Documentari, cartoni
animati, film romantici, tutti me li stavo passando eppure non
c’era qualcosa
che mi spingesse a dire –si, lo
voglio
vedere- , spensi la tv rassegnato e con lo sguardo fisso sul
soffitto
iniziai ad escogitare un piano per dileguarmi da quel manicomio, avrei
dato un
tocco di brio a quella giornata che sembrava essere come tutte le altre.
Feci una lista
nella mia mente ed
anche se non erano intenzionalmente positive mi allettavano parecchio.
1.
Intrufolarmi
in qualche liceo e fare
una strage.
2.
Rubare
e nascondere le scorte di sangue in cantina
3.
Far
esasperare Louis
4.
Dire
a Wendy ogni cosa, giusto per
creare un po’ di tensione
5.
Farmi
una sega davanti a un film porno (da escludere)
In seguito a
ciò, sì, ero un vampiro
con una vita spericolata pari a quella di una nonna che ci mette ore
per
raggiungere il bagno. Straziante e deprimente insieme.
Mi scansai da
tutti quei pensieri che
mi stavano facendo venire i brividi per l’imbarazzo e,
alzandomi andai davanti
allo specchio, risistemandomi i capelli per la decima volta. Era una
fissazione
abituale per me. I miei capelli erano sacri e se non erano perfetti non
riuscivo
ad essere a mio agio. Li pettinavo più di quanto lo faceva
una ragazza e a
dirla tutta, li piastravo anche. Erano qualcosa di perfetto e, il primo
che avesse
osato a tagliarli si sarebbe ritrovato con una palla in meno.
Wendy scese la
scale sbadigliando.
“buongiorno”
Accennai con un gesto
fluido di mano e tornai a curare i miei bambini.
“sai,
sembri gay” Susseguì una risata
eclatante che mi fece rimanere fin male.
“sai,
sembri gay - le feci il verso
assottigliando la voce- idiota” biascicai l’ultima
parola quasi mangiandomi le
lettere.
“cosa
fai tu oggi?”
“mmh
–prese in mano una rivista-
volevo andare da mio fratello..”
Spalancai gli
occhi pietrificandomi. Sapevo
quel giorno sarebbe arrivato ma, non pensavo così in fretta.
Liam doveva
credere che lei fosse morta ormai e, lei, di conseguenza, non doveva
rischiare
di farsi vedere. Le bloccai un polso “tu
cosa?” Guardò prima la mia presa, poi
posò lo sguardo su di me “hai capito
bene” Strattonò tanto da liberarsi
“scordatelo”
“che
razza di problemi hai? Non sarei
tu ad impedirmi di vedere l’unica persona che conta
davvero” mi ringhiò contro
digrignando i denti. Non
sapeva e non
doveva sapere. Era l’unica non a conoscenza della sua
presunta morte. Avevamo fatto
tutto io e i ragazzi sperando che lei non lo fosse mai venuta a
scoprire. Non sapevo
cosa dirle, ero nel panico. Non ero bravo a rifilare scuse alla gente,
soprattutto se bisognava inventarsele su due piedi. “vengo
con te” sputai fuori queste parole
delle quali me ne pentii subito. La
stavo
assecondando in qualcosa di sbagliato ed ero abbastanza lucido da
sapere che se
Louis lo fosse venuto a sapere, sarebbero stati guai.
Allie.
Quella mattina
non era una novità. La
sveglia suonò alle sette precise, non un minuto in meno, non
un minuto in più. Stranamente
la voglia di alzarmi era meno del solito, così decisi che
per quel giorno era
in vigore la regola dei “5
minuti” .
A rovinare la mia piccola concessione ci pensò mia madre che
si fiondò nel mio
spazio, tirando via tende e spalcando le finestre. I raggi del sole
pervasero
camera mia non lasciando respirare nemmeno uno spiraglio
d’ombra. Rischiai di
rimanere cieca a causa di tutto quel bagliore ma per fortuna, fui
salvata dalla
morbidezza del
piumino. Amavo il
mio letto, era il mio migliore amico
e se qualcuno me lo avesse permesso, probabilmente avrei passato il
resto della
mia vita dormiente. A
peso morto mi
trascinai fino alla cucina dove mi aspettava una colazione che dava
l’impressione
di essere l’opposto di quella che è una “colazione
sana e moderata”, mia madre voleva farmi diventare
un’obesozza, conoscevo
le sue intenzioni ma non sarei ceduta, adoravo le mie curve snelle e
non le
avrei cambiate per nulla al mondo. Decisi
di lasciar perdere e, dopo essermi messa davvero le prime cosa che mi
erano
capitate sotto mano, uscii di casa trascinandomi la porta dietro le
spalle.
La mia scuola
era pochi minuti da
casa mia ma la mia pigrizia puntualmente ogni mattina suggeriva al mio
inconscio di prendere ugualmente l’autobus.
Le mie amiche
erano entrambe già
arrivate ed io come al solito ero in ritardo. Scesi facendomi largo tra
i
vecchietti che fastidiosamente si piazzavano sempre davanti
all’uscita anche se
non dovevano scendere.
Vidi i capelli
lunghi e castani di
Scarlett che le ricadevano a perfezione sulle spalle e la raggiunsi con
il mio
solito passo svogliato.
“Buongiorno
Scar” Posai lo zaino per
terra, mi diedi una spinta con i piedi e mi sedetti sul muretto
affianco al
cancello.
“Buongiorno
bellissima, vuoi?” Mi
porse la sua sigaretta mezza esaurita, chiusi le labbra nel filtrino
marrone e
feci un tiro ributtando fuori lo schifo che avevo appena aspirato.
“come
stai?”
“non
c’è male, tu?”
“si va
avanti” Feci spallucce
Diedi una colpo
di spalla alla mia
migliore amica che stava assaporando quel che le rimaneva della sua
Marlboro
gold. Un ragazzo
moro con un ciuffo a
dir poco perfetto si addentrava vicino ai parcheggi, nascondendosi
dietro alla
prima macchina reperibile. Un’ altra figura apparse di fianco
a lui, ma i vetri
scuri della fiat rossa mi impedivano di capirci di più.
“guarda
un po’” indicai il ragazzo che
con il giubbotto cercava di ripararsi dai pochi raggi di sole
Scarlett
focalizzò la sua attenzione
verso quella
direzione e girando gli
occhi scosse la testa
“boh,
staranno cercando qualcuno”
Non riuscivo a
distogliere lo sguardo
da quei suoi occhi stranamente simili ad un rosso acceso. Per la prima
volta
nella mia vita sentivo lo stomaco in subbuglio e con stupore non
riuscivo a
levare il mio sguardo dal suo. Mi aveva notata e mi bastava.
La campanella
suonò ed io sconcertata
raccolsi le mie cose e andai a rifugiarmi dentro
quell’edificio.
Ripetei
più volte nella mia mante la
stessa frase: Allie Claire Liri non si
innamora.
Brooklyn.
“39 di
febbre, oggi te ne stai a casa
mh” Mia madre mi schioccò un bacio sulla fronte e
concluse con un “ti voglio
bene”. Ci mancava solo questa. Maledetta febbre. Io, ragazza
mondana, ero
costretta a stare rinchiusa in quattro mura contro la mia
volontà, non era giusto.
“non
vengo oggi, ho la febbre”
-non
ti preoccupare, guarisci presto. Xoxo
Riposai il mio
cellulare sul comodino
e a stento provai a tenere gli occhi aperti. Si chiudevano ma dopo poco
si
riaprivano. Stavo lottando contro la malattia e di certo volevo avere
la
meglio. Alla fine fu più forte di me e caddi in un sonno
profondo. Mi svegliai
con le mani del medico addosso che mi stavano controllando i battiti
cardiaci. Non
ero in camera mia, quello non era un posto a me famigliare. Le pareti
erano
bianche e dei tubi lunghi e sottili erano collegati da macchine strane
direttamente ai miei polsi. La paura mi mobilitò gli arti,
l’istinto mi portò a
tirare via da me i mille aggeggi appesi, ma la mano possente di un uomo
in
camice mi impedì di raggiungere il peggio.
“cos’è
successo?”
“sei
svenuta e tua madre allarmata ti
ha portata qui”
“ah”
mi guardai intorno ancora
intontita
“però
stai tranquilla, stasera potrai
tornare a casa”
“grazie”
accennai un sorriso a
intendere che peggio di così non poteva andare.
Spazio
autrice!
Allora
innanzitutto vi chiedo scusa
per il ritardo, ma davvero, la scuola mi tiene impegnata 24 ore su 24.
Poi,
chiedo scusa anche per lo schifo della presentazione del personaggio
brooklyn
ma sinceramente non sapevo come introdurla. Il prossimo sarà
più elaborato
anche se a fare questo c’ho impiegato circa tre ore! Grazie a
tutte quelle che
recensiscono, siete fantastiche.
Un bacio. -An