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Autore: _shesbroken    05/12/2012    6 recensioni
"cercavo soltanto la morte.. osa lo so cosa cercavo: la liberazione dal dolore di vivere."
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Zayn.

Al mattino non ero abbastanza lucido per riuscire a focalizzare i miei di pensieri, figuriamoci se mi sarei spinto oltre per ascoltare ciò che Harry mi stava dicendo.  

“Zayn, ma mi stai ascoltando?” Sbottò spazientito.

“No e non ho la minima intenzione di farlo “ presi il cuscino e, con la faccia rivolta verso le lenzuola, mi coprii nella speranza che una buona volta la smettesse. 

Non ne potevo più di sentirlo giorno e notte parlare della stessa cosa, era snervante e allo stesso tempo monotono; Wendy di qua, Wendy di là, basta cazzo. 

“Ti stavo dicendo..”  Volevo scappare, non sarei resistito un minuto di più. In quel momento avrei preferito essere incenerito dalla luce abbagliante del sole piuttosto che stare lì inerme ad ascoltare i suoi discorsi patetici da innamorato. Gli lanciai il cuscino che, al contatto con la sua faccia, fece un suono alquanto fastidioso.

“ma che cazzo fai?”

“ti faccio stare zitto” Mi tirai su dal letto, infilandomi una maglietta presa a caso pochi istanti prima dall’armadio. La stanza era completamente buia, le tapparelle ancora tirate giù e tutte le finestre chiuse.

“perché dovresti?” Sistemandomi i capelli, sbuffai disinteressato al 100% di quella conversazione inutile e banale.

“perché sei un rompi coglioni” Gli dissi andandomene da quell’inferno.

 

Il silenzio regnava in casa, probabilmente erano ancora tutti a letto spossati dalla lunga caccia della sera precedente. La routine quotidiana mi spinse ad accendere la televisione e la noia altrettanto mi spinse a fare zapping con il telecomando, cercando qualcosa di adatto ad un diciannovenne in preda all’insofferenza. Documentari, cartoni animati, film romantici, tutti me li stavo passando eppure non c’era qualcosa che mi spingesse a dire –si, lo voglio vedere- , spensi la tv rassegnato e con lo sguardo fisso sul soffitto iniziai ad escogitare un piano per dileguarmi da quel manicomio, avrei dato un tocco di brio a quella giornata che sembrava essere come tutte le altre.

Feci una lista nella mia mente ed anche se non erano intenzionalmente positive mi allettavano parecchio.

1.      Intrufolarmi in qualche liceo e fare una strage.

2.      Rubare e nascondere le scorte di sangue in cantina

3.      Far esasperare Louis

4.      Dire a Wendy ogni cosa, giusto per creare un po’ di tensione

5.      Farmi una sega davanti a un film porno (da escludere)

In seguito a ciò, sì, ero un vampiro con una vita spericolata pari a quella di una nonna che ci mette ore per raggiungere il bagno.  Straziante e deprimente insieme.

Mi scansai da tutti quei pensieri che mi stavano facendo venire i brividi per l’imbarazzo e, alzandomi andai davanti allo specchio, risistemandomi i capelli per la decima volta. Era una fissazione abituale per me. I miei capelli erano sacri e se non erano perfetti non riuscivo ad essere a mio agio. Li pettinavo più di quanto lo faceva una ragazza e a dirla tutta, li piastravo anche. Erano qualcosa di perfetto e, il primo che avesse osato a tagliarli si sarebbe ritrovato con una palla in meno.

 

Wendy scese la scale sbadigliando.

“buongiorno” Accennai con un gesto fluido di mano e tornai a curare i miei bambini.

“sai, sembri gay” Susseguì una risata eclatante che mi fece rimanere fin male.

“sai, sembri gay - le feci il verso assottigliando la voce- idiota” biascicai l’ultima parola quasi mangiandomi le lettere.

“cosa fai tu oggi?”

“mmh –prese in mano una rivista- volevo andare da mio fratello..”

Spalancai gli occhi pietrificandomi. Sapevo quel giorno sarebbe arrivato ma, non pensavo così in fretta. Liam doveva credere che lei fosse morta ormai e, lei, di conseguenza, non doveva rischiare di farsi vedere. Le bloccai un polso “tu cosa?” Guardò prima la mia presa, poi posò lo sguardo su di me “hai capito bene” Strattonò tanto da liberarsi “scordatelo”

“che razza di problemi hai? Non sarei tu ad impedirmi di vedere l’unica persona che conta davvero” mi ringhiò contro digrignando i denti.  Non sapeva e non doveva sapere. Era l’unica non a conoscenza della sua presunta morte. Avevamo fatto tutto io e i ragazzi sperando che lei non lo fosse mai venuta a scoprire. Non sapevo cosa dirle, ero nel panico. Non ero bravo a rifilare scuse alla gente, soprattutto se bisognava inventarsele su due piedi.  “vengo con te” sputai fuori queste parole delle quali me ne pentii subito.  La stavo assecondando in qualcosa di sbagliato ed ero abbastanza lucido da sapere che se Louis lo fosse venuto a sapere, sarebbero stati guai.

 

Allie.

Quella mattina non era una novità. La sveglia suonò alle sette precise, non un minuto in meno, non un minuto in più. Stranamente la voglia di alzarmi era meno del solito, così decisi che per quel giorno era in vigore la regola dei “5 minuti” . A rovinare la mia piccola concessione ci pensò mia madre che si fiondò nel mio spazio, tirando via tende e spalcando le finestre. I raggi del sole pervasero camera mia non lasciando respirare nemmeno uno spiraglio d’ombra. Rischiai di rimanere cieca a causa di tutto quel bagliore ma per fortuna, fui salvata dalla morbidezza  del piumino.  Amavo il mio letto, era il mio migliore amico e se qualcuno me lo avesse permesso, probabilmente avrei passato il resto della mia vita dormiente.  A peso morto mi trascinai fino alla cucina dove mi aspettava una colazione che dava l’impressione di essere l’opposto di quella che è una “colazione sana e moderata”, mia madre voleva farmi diventare un’obesozza, conoscevo le sue intenzioni ma non sarei ceduta, adoravo le mie curve snelle e non le avrei cambiate per nulla al mondo.  Decisi di lasciar perdere e, dopo essermi messa davvero le prime cosa che mi erano capitate sotto mano, uscii di casa trascinandomi la porta dietro le spalle.

La mia scuola era pochi minuti da casa mia ma la mia pigrizia puntualmente ogni mattina suggeriva al mio inconscio di prendere ugualmente l’autobus.

Le mie amiche erano entrambe già arrivate ed io come al solito ero in ritardo. Scesi facendomi largo tra i vecchietti che fastidiosamente si piazzavano sempre davanti all’uscita anche se non dovevano scendere.

Vidi i capelli lunghi e castani di Scarlett che le ricadevano a perfezione sulle spalle e la raggiunsi con il mio solito passo svogliato.

“Buongiorno Scar” Posai lo zaino per terra, mi diedi una spinta con i piedi e mi sedetti sul muretto affianco al cancello.

“Buongiorno bellissima, vuoi?” Mi porse la sua sigaretta mezza esaurita, chiusi le labbra nel filtrino marrone e feci un tiro ributtando fuori lo schifo che avevo appena aspirato.

“come stai?”

“non c’è male, tu?”

“si va avanti” Feci spallucce

 

Diedi una colpo di spalla alla mia migliore amica che stava assaporando quel che le rimaneva della sua Marlboro gold.  Un ragazzo moro con un ciuffo a dir poco perfetto si addentrava vicino ai parcheggi, nascondendosi dietro alla prima macchina reperibile. Un’ altra figura apparse di fianco a lui, ma i vetri scuri della fiat rossa mi impedivano di capirci di più.

“guarda un po’” indicai il ragazzo che con il giubbotto cercava di ripararsi dai pochi raggi di sole

Scarlett focalizzò la sua attenzione verso  quella direzione e girando gli occhi scosse la testa

“boh, staranno cercando qualcuno”

Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quei suoi occhi stranamente simili ad un rosso acceso. Per la prima volta nella mia vita sentivo lo stomaco in subbuglio e con stupore non riuscivo a levare il mio sguardo dal suo. Mi aveva notata e mi bastava.

La campanella suonò ed io sconcertata raccolsi le mie cose e andai a rifugiarmi dentro quell’edificio.

Ripetei più volte nella mia mante la stessa frase: Allie Claire Liri non si innamora.

 

Brooklyn.

“39 di febbre, oggi te ne stai a casa mh” Mia madre mi schioccò un bacio sulla fronte e concluse con un “ti voglio bene”. Ci mancava solo questa. Maledetta febbre. Io, ragazza mondana, ero costretta a stare rinchiusa in quattro mura contro la mia volontà, non era giusto.

 

“non vengo oggi, ho la febbre”

-non ti preoccupare, guarisci presto. Xoxo

 

Riposai il mio cellulare sul comodino e a stento provai a tenere gli occhi aperti. Si chiudevano ma dopo poco si riaprivano. Stavo lottando contro la malattia e di certo volevo avere la meglio. Alla fine fu più forte di me e caddi in un sonno profondo. Mi svegliai con le mani del medico addosso che mi stavano controllando i battiti cardiaci. Non ero in camera mia, quello non era un posto a me famigliare. Le pareti erano bianche e dei tubi lunghi e sottili erano collegati da macchine strane direttamente ai miei polsi. La paura mi mobilitò gli arti, l’istinto mi portò a tirare via da me i mille aggeggi appesi, ma la mano possente di un uomo in camice mi impedì di raggiungere il peggio.

“cos’è successo?”

“sei svenuta e tua madre allarmata ti ha portata qui”

“ah” mi guardai intorno ancora intontita

“però stai tranquilla, stasera potrai tornare a casa”

“grazie” accennai un sorriso a intendere che peggio di così non poteva andare.

 

Spazio autrice!

Allora innanzitutto vi chiedo scusa per il ritardo, ma davvero, la scuola mi tiene impegnata 24 ore su 24. Poi, chiedo scusa anche per lo schifo della presentazione del personaggio brooklyn ma sinceramente non sapevo come introdurla. Il prossimo sarà più elaborato anche se a fare questo c’ho impiegato circa tre ore! Grazie a tutte quelle che recensiscono, siete fantastiche.

Un bacio. -An

  
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