Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: Bruli    06/12/2012    3 recensioni
Mia prima fanfiction, in cui troviamo una Nami alle prese coi fantasmi del passato. Riuscirà a ritrovare la fiducia in se stessa o avrà bisogno di una piccola spinta? Spero vi piaccia e che attraverso le vostre opinioni mi aiuterete a migliorare =)
Dal cap 2 :
"Piangeva, Nami piangeva.
Per l’ennesima litigata con lo spadaccino. Per le parole del nemico che le rimbombavano insistentemente nella testa. Per quello che avevano fatto a Bellemere, per quello che avevano fatto a lei. Per la sua debolezza e il suo orgoglio, che non le permettevano di aprirsi con gli amici. Per la consapevolezza dell’ingratitudine nei loro confronti.
Piangeva, scossa dai singhiozzi, incurante del dolore che le straziava il petto, dando finalmente sfogo a tutta la frustrazione e il dolore accumulati, all’angoscia che le opprimeva il cuore. Cacciando insieme alle lacrime tutto ciò che aveva in corpo.
Piangeva, perché non riusciva a non piangere.
Perché quando si comincia a piangere, si piange per tutto e si piange a lungo."
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro, Un po' tutti | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PERCHÉ QUANDO SI COMINCIA A PIANGERE, SI PIANGE PER TUTTO E SI PIANGE A LUNGO

Una leggera brezza agitava lo stendardo pirata issato con orgoglio dalla bizzarra ciurma di Cappello di Paglia , insinuandosi  nelle fessure delle porte mal chiuse della nave. Una brezza che sapeva di mare e libertà, di quella tranquillità che solo l’oceano sconfinato può donare una volta arresisi alla sua imponenza. Spifferi salsedinosi invadevano gli ambienti interni fino ad accarezzare dolcemente il viso dei membri dell’equipaggio sprofondati in un sonno profondo, sollievo dal calore estivo.
L’unica a non godere dei suoi benefici era Nami che, ceduto alla stanchezza, si era addormentata trovandosi nuovamente a fare i conti con i fantasmi del passato.
Sognava la bella Nami, ma sogni agitati, tremendi, di quelli che ti catturano tra le loro grinfie appena ti rendi conto di star cadendo in un incubo, che ti afferrano con gli artigli e ti trascinano sempre più in basso, sempre più giù…
Nami stava cadendo, sapeva solo questo. Era consapevole di stare sognando, ma nonostante ciò continuava a domandarsi che fine avesse fatto il tappeto di erba su cui poggiava poco prima i piedi scalzi, dove fossero finiti i familiari alberi di mandarino e gli uccellini che canticchiavano allegramente.
I suoi sensi erano come annullati. Un buio innaturale la avvolgeva e non sentiva alcun suono, né un gemito usciva dalla sua bocca spalancata in un urlo silenzioso. L’unica cosa che percepiva era la sensazione di caduta, come se l’intero universo si fosse fermato tranne lei.
Muoveva le braccia e stringeva le mani alla ricerca di un appiglio che non c’era, sempre più spaventata, sempre più terrorizzata, il cuore che batteva a mille come se stesse per esploderle nel petto da un momento all’altro.
Improvvisamente smise di cadere. Brividi le percorrevano il corpo e non riusciva a smettere di tremare. Non sapeva se aveva effettivamente freddo o era quella sensazione glaciale a provocarli.
<< Mia dolce Nami >> disse una voce, ahimè, a lei ben familiare.
Nami non riusciva a muovere un muscolo, sapeva solo di voler fuggire, di dover fuggire, ma il corpo non obbediva.
Fino ad allora i suoi incubi erano sempre stati ricordi del passato, tutte le umiliazioni che aveva dovuto subire dagli uominipesce, tutte le cattiverie che era stata costretta a compiere, ma mai lui le si era rivolto direttamente come questa volta.
<< C-che vuoi? >> riuscì finalmente a chiedere la ragazza.
<< Ahahah! Così ti rivolgi ad un vecchio amico dopo tanto tempo? >>.
<< T-tu non sei u-un amico >> fece lei sempre più terrorizzata.
<< Direi che con tutto quello che abbiamo passato insieme possiamo anche considerarci amici, non credi? Non dirmi che te ne sei già dimenticata, Nami? >>.
Come poteva dimenticare? Ci aveva provato, ma il passato non si cancella, e i brutti ricordi spesso e volentieri tornavano a galla, visite ben poco gradite. Diverse volte si era ritrovata una lacrima rigarle la guancia senza che lei se ne accorgesse e potesse trattenerla. Troppe volte, guardando i compagni rischiare la vita in scontri assurdi, aveva rivissuto il combattimento contro Arlong, le ferite profonde che straziavano il loro corpo, i visi sofferenti ma senza mai riportare un segno di cedevolezza, e lei, lei lì a guardare, spettatrice di quelle atrocità, senza poter intervenire, il dolore e la consapevolezza di essere troppo debole per poter essere effettivamente di aiuto.
Come poteva dimenticare l’essere che l’aveva resa così infelice per tanti anni, che l’aveva torturata psicologicamente, che l’aveva fatta diventare quella ragazzina terrorizzata e impotente? Che aveva fatto del male alla sua famiglia, ai suoi amici, ai suoi concittadini? No, non avrebbe mai potuto dimenticare, anche se avesse voluto.
<< Cosa vuoi da me, Arlong? Non ti basta quello che mi hai fatto passare? Cosa vuoi ancora da me? >>.
<< Voglio che tu torni da me >>.
Nami trattenne il respiro. Tornare da lui? Che voleva dire?
<< Tu sei morto >> affermò la ragazza << Rufy e gli altri ti hanno ucciso. Tu non esisti più >>.
<< Ti sbagli, ragazza mia. Io sono ancora qui, vivo e vegeto nel tuo cuore, nei tuoi ricordi. E non morirò finché il sangue continuerà a scorrere nelle tue vene. Ora, torna da me >>
La navigatrice non riusciva a trovare un senso a quelle parole. Sapeva di stare sognando e che quindi era tutto frutto della sua immaginazione, ma ora lui era così reale, così vero, che non riusciva a ragionare lucidamente. Pensò che forse una parte di lui le fosse rimasta dentro e che ora bramava vendetta, che doveva esserci una qualche spiegazione soprannaturale, perché ora la sua razionalità non riusciva a trovare una risposta.
<< Perché dovrei? >> chiese allora cauta.
<< Perché ti aiuterei ad essere ciò che vuoi >> la voce si fece più persuasiva. << Non sei stanca di dover contare sempre sugli altri perché non sei abbastanza forte? Non sei stufa di essere un peso per i tuoi compagni e di far rischiare loro la vita per te? Ti facevo più indipendente, ragazzina. Quando facevi parte della mia ciurma comandavi a bacchetta uominipesce grossi il triplo di te, e ora guardati, non riesci nemmeno a proteggere i tuoi amici! >> il tono sprezzante con cui pronunciò quelle ultime parole fece sobbalzare la navigatrice. Pure da morto aveva colpito nel segno, maledetto Arlong!
<< Nami non cedere, è solo il tuo subconscio, solo il suo subconsci >>  sussurrò a se stessa << È il frutto della tua immaginazione, non è reale, Nami, non è reale! >> .
<< Guardati! >>, continuò, << Sono solo il frutto della tua immaginazione, io? E allora tu sei una bambina che trema davanti ad una fantasia! Ma come ti sei ridotta? Cosa hai concluso nella tua vita? Credi davvero di aver raggiunto un qualche obbiettivo in questi anni? Tutto ciò che hai portato a termine lo devi solo ai tuoi amichetti, sempre pronti a fare da balia a questa bambina piagnucolona! Dimmi, cosa avresti fatto senza di loro? Ma che fine ha fatto il tuo desiderio di indipendenza? La tua forza? Una volta non ti facevi scrupoli ad agire, la furbizia era la tua arma micidiale, riuscivi a cavartela in ogni situazione uscendone sempre vincitrice. Da quando ti sei unita alla ciurma di Cappello di Paglia sei diventata solo una rammollita, una ragazzina insicura e indifesa! Sei una nullità senza di loro, basti vedere l’espressione terrorizzata che hai ora! Che pena che sei!>>.
Lacrime salate cominciarono a rigare il bel viso della navigatrice. Non poteva più stare ad ascoltare quelle parole sprezzanti, non voleva più prestare attenzione a quella bestia. Ma non poteva farne a meno. Perché stava solo dando voce ai suoi timori più nascosti. Aveva accettato da tempo di non essere un membro forte dell’equipaggio, ma spesso si sentiva inutile e insignificante, specialmente quando guardava il loro capitano dal viso da bambino, ma che nascondeva dentro di sé la forza e la ferocia di un leone, e quello spadaccino, che pur di raggiungere il suo sogno non si arrendeva di fronte a niente e a nessuno. Aveva provato a migliorarsi, ma i suoi sforzi non avevano dato esiti sostanziali. Forse non si era impegnata abbastanza occupata com’era ad assicurarsi che tutti facessero il loro dovere a bordo, ma non riusciva a farsi forza e così tendeva a chiudersi in se stessa piangendosi addosso, senza riuscire a trovare una via d’uscita.
<< Torna da me >> continuò ancora la voce << Torna da me e io ti renderò di nuovo Nami la Gatta Ladra >>
<< N-no >> disse lei << N-non voglio tornare a soffrire, non voglio sentirmi più debole >>
<< Allora torna da me >>
Una mano invisibile la spinse e lei ricominciò a cadere, ma questa volta avvertiva il vento tra i capelli e sul viso, la sensazione di vuoto nello stomaco, il freddo glaciale che le bloccava i movimenti.
L’unica cosa che poteva fare era urlare. E urlò.
 
<< AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHH!!! >>
 
 
Si svegliò di soprassalto. Era nella sua camera, al sicuro nel letto. Le lenzuola bagnate dal suo sudore erano cadute per terra, probabilmente le aveva spostate agitandosi nel sonno.
Fuori, un temporale inaspettato si faceva sentire impetuoso, i tuoni rimbombavano in lontananza.
Si mise a sedere e si guardò intorno, facendo abituare la vista al buio dell’ambiente. Nico Robin sembrava ancora addormentata, e lei ringraziò una qualche divinità di non averla svegliata. Non sapeva se avesse urlato davvero, ma in tal caso fortunatamente l’amica non l’aveva sentita.
Si alzò avvolgendo il corpo con una vestaglia leggera e andò a controllare la rotta, facendo attenzione a fare il minor rumore possibile. Assicuratasi di stare andando nella giusta direzione nonostante la pioggia, si diresse in cucina cercando di calmare il cuore che ancora le batteva forte nel petto.
Non riusciva a smettere di pensare a quello che aveva sognato, cercava un senso nelle parole pronunciate dal vecchio nemico senza trovarlo. Si versò un po’ d’acqua in un bicchiere continuando a rimuginarci sopra. Perché era solo un sogno, vero? Arlong era morto, quindi doveva esser stato necessariamente un sogno. Ma continuavano a tornarle in mente le sue parole con un’urgenza sorprendente.
Io sono ancora qui, vivo e vegeto nel tuo cuore, nei tuoi ricordi. E non morirò finché il sangue continuerà a scorrere nelle tue vene.
Rabbrividì, ma questa volta non per il freddo.
“Nami, non essere sciocca” si disse “Arlong non c’è più, è morto proprio sotto i tuoi occhi! Smettila di fare questi stupidi pensieri!”.
Ma allora perché non riusciva a cacciar via quella sensazione?
<< Fuori si è scatenato un putiferio. Stiamo andando nella direzione giusta, navigatrice? >>
La ragazza sobbalzò lasciando cadere il bicchiere che si infranse contro il pavimento di legno, spargendo il liquido sul pavimento.
<< Zoro! >> esclamò lei << Smettila di avvicinarti così all’improvviso, guarda che disastro! >>
<< Che ci posso fare io se tu sobbalzi sempre e hai le mani di ricotta? Prenditela con te stessa! >> fece lui di rimando.
<< Io non ho le mani di ricotta! E poniti delle domande se sobbalzo sempre quando ti avvicini tu! >> si chinò e cominciò a raccogliere il vetro sparso per terra.
Lui fece spallucce.
<< Forse perché sono sorprendente?>>
Nami alzò un sopracciglio.
<< Piuttosto che sorprendente, sei un idiota >>
<< Allora, stiamo andando bene? >>, il ragazzo ignorò la frecciatina.
<< Si, ho appena controllato. Fortunatamente il vento non è molto forte anche se diluvia, eravamo andati di poco fuori dalla rotta, ma ora siamo ritornati nella direzione giusta.>>
<< Nel Grande Blu ci si può aspettare davvero di tutto, stamattina c’era un sole che spaccava le pietre! >> disse lo spadaccino << Comunque, come mai sveglia a quest’ora? Le mocciose come te non dovrebbero stare nel lettuccio a dormire?>>
Nami lo fulminò con uno sguardo, ma era troppo stanca per cominciare una delle loro solite discussioni, così si limitò a rispondere –  ovviamente mentendo – di essersi svegliata per via del temporale.
Anche se spesso e volentieri sembrava uno sprovveduto, in realtà lo spadaccino era un acuto osservatore, specialmente quando si trattava della ragazza dai capelli rossi. Il loro era un rapporto basato su offese gridate, pugni volanti e occhiate torve. Ma era un rapporto che nella sua anormalità era sincero. Probabilmente era questo il motivo della maggior sensibilità del samurai nei confronti della cartografa, o almeno così credeva lui.
Nel frattempo Nami aveva finito di raccogliere quanto rimasto del bicchiere e si apprestava ad asciugare il pavimento con uno strofinaccio da cucina. Zoro allora si chinò e le tolse dolcemente la pezza da mano, continuando il lavoro al suo posto. La ragazza alzò lo sguardo sorpresa da tanta accortezza da parte di quel buzzurro spadaccino, che invece di guardarla teneva fisso lo sguardo su ciò che stava facendo. Gli sorrise debolmente, grata di quel gesto.
<< Che hai, mocciosa? >> chiese lui continuando a guardare con fin troppa attenzione il lavoro che stava svolgendo. Pronunciò quelle parole con tono secco, ma se la ragazza fosse stata un po’ più sveglia si sarebbe resa conto dell’ansia che vi traspariva.
<< Niente, e smettetela di chiedermelo >> rispose lei fin troppo acida.
Zoro si decise a fermarsi e alzò il viso guardandola finalmente. Nami rimase paralizzata per qualche secondo dalla profondità di quegli occhi che la scrutavano cercando di accedere alla sua anima e alle ragioni del suo comportamento. Non riuscendo a sostenere più a lungo lo sguardo dello spadaccino, chinò il capo.
<< Guardami. >>
<<… >>
<< Nami, ho detto di guardarmi, e smettila di fare la mocciosa>>
A quell’appellativo la navigatrice chiuse forte gli occhi, sentendo già le lacrime formarsi prepotenti nella ghiandola lacrimale.
<< Mocciosa >>
Le prese il viso tra le mani costringendola ad alzare il capo. Lei aprì gli occhi e si trovò di nuovo davanti a quei pozzi nero pece.
<< Che vuoi da me, Zoro? >> era la seconda volta che quella sera poneva la stessa domanda e sperò vivamente che stavolta la risposta fosse migliore della prima.
<< Voglio che tu mi parli, che mi spieghi cosa ti sta succedendo, perché io… cioè, noi, siamo preoccupati per te >>
Nami si liberò dalla presa dello spadaccino e si alzò in piedi.
<< Non mi sta accadendo un bel niente, io sto benissimo! >>
<< Si, certo, come Usop ha il naso piccolo! >>
<< Invece è vero! Sto a meraviglia, se non fosse che uno stupido buzzurro che le ha prese da Mihawk manco fosse un novellino mi stia rompendo le scatole! >>
Zoro indietreggiò leggermente, come se fosse stato schiaffeggiato. Era consapevole che colpirlo nell’orgoglio ricordandogli una sconfitta che ancora gli bruciava nel cuore era pura cattiveria, ma in quel momento voleva solo fuggire via dallo sguardo indagatore del compagno.
<< Cosa speri di ottenere così facendo? >> chiese freddo.
<< Che tu mi lasci in pace una volta per tutte! >> esclamò lei con quanto fiato aveva in gola.
Lo spadaccino si alzò lentamente e la guardò risentito.
<< Se è questo ciò che vuoi, ti comunico che sei riuscita perfettamente nel tuo intento>>.
Dandole le spalle come aveva fatto lei la sera precedente, abbandonò la cucina a grandi falcate. Nami, guardandolo allontanarsi, sentì un urgente bisogno di richiamarlo a sé, di urlargli cosa le stava accadendo, di confidargli i suoi timori certa che lui l’avrebbe capita, perché nonostante il carattere chiuso aveva un cuore grande e generoso, ma l’orgoglio e la frustrazione non glielo permisero. Quando la porta della cucina si richiuse al passaggio del ragazzo, si sentì come svuotata, ma col cuore appesantito dalla tristezza e dalla rabbia. Aveva davvero un pessimo carattere, lo sapeva. Invece di agire in modo costruttivo, distruggeva tutto ciò che le stava attorno,  e la sorte aveva voluto che lei avesse una dote speciale nel riconoscere i punti deboli delle persone. Una qualità che l’aveva sempre aiutata nella vita, ma che ora aveva più che altro l’aspetto della premessa alla sua solitudine.
Ormai sola nella stanza, si abbandonò sulle ginocchia, lasciando che finalmente le lacrime represse fino a quel momento dessero mostra di sé, solcando la pelle liscia della ragazza, dapprima lente, poi sempre più impetuose.

Piangeva, Nami piangeva.

Per l’ennesima litigata con lo spadaccino. Per le parole del nemico che le rimbombavano insistentemente nella testa. Per quello che avevano fatto a Bellemere, per quello che avevano fatto a lei. Per la sua debolezza e il suo orgoglio, che non le permettevano di aprirsi con gli amici. Per la consapevolezza dell’ingratitudine nei loro confronti.

Piangeva, scossa dai singhiozzi, incurante del dolore che le straziava il petto, dando finalmente sfogo a tutta la frustrazione e il dolore accumulati, all’angoscia che le opprimeva il cuore. Cacciando insieme alle lacrime tutto ciò che aveva in corpo.

Piangeva, perché non riusciva a non piangere.

Perché quando si comincia a piangere, si piange per tutto e si piange a lungo.

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Ecco il secondo capitolo della mia fic! Nami sta decisamente esagerando ora, non trovate? Speriamo che ritrovi presto la ragione!

Spero vi sia piaciuto e che continuerete a seguire la mia storia! 

A presto, 

Bruli ^^

P.S. si accettano consigli/critiche =)

  
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