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Autore: _MoonShine_    09/12/2012    3 recensioni
Due ragazze, due amiche, due mani che si intrecciano.
Quando la paura prevarrà sul coraggio, quando le nuvole oscureranno la luce, quando il destino chiederà la tua parte, sarà in quel momento che avrai il bisogno di stringere la sua mano.
Ma se una principessa senza un regno ti domanda aiuto, se dentro di te nasce un potere straordinario, se non puoi più fidarti di nessuno, se l’amore della tua vita ti volta le spalle e se ti ritrovi ad amare il tuo peggior nemico, allora basterà stringere quella mano?
Questo Fine e Rein lo dovranno scoprire superando gli ostacoli delle tenebre e del loro cuore, sconfiggendo l’oscurità per tornare a casa insieme. Con una chiave, una spada, sette pietre e due sole parole che le porteranno all’inizio di una grande e magica avventura.
-Carnil, Luinil-
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fine, Rein
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Dreams ~ Sogni
 

La valle di Narwain era un luogo molto soleggiato nella stagione estiva e primaverile, ma durante l’inverno e per gran parte dell’autunno diventava un vero e proprio insieme di ghiacci e nevi. Fortunatamente quest’anno non c’era stato alcun disastro tipo valanghe o fenomeni simili nella valle, e il nostro villaggio era sopravvissuto bene al gelo. La primavera era passata abbastanza lentamente, riempiendo tutti i rami spogli di fiori profumati e gli spiazzi gelati in prati verdeggiati. Si respirava un’aria calda ma rinfrescante allo stesso tempo, le fragranze dei fiori vagavano nel vento inebriando tutta Elbereth.
Questa era la stagione preferita della fioraia del villaggio che poteva ottenere diversi profumi dai fiori che vendeva. Diciamo che tutti i cittadini erano pressoché soddisfatti, potevano coltivare i loro orti e ottenere buona verdura. Anche mamma adorava la primavera, tutti gli anni la attendeva con impazienza per vedere spuntare i primi boccioli delle piantine che coltivava nella piccola serra nel giardino sul retro di casa nostra, se “giardino” si poteva definire un pezzo di prato di quattro metri per cinque. Avevo sempre sostenuto che sarebbe stato meglio mettere la serra a lato della casa, vicino al nostro orticello, nel vero e proprio giardino, ma la mamma aveva preferito dedicare quello spazio solo alle nostre verdure e a un albero a cui erano attaccate due altalene.
Con la fine di questa colorata e profumata stagione si stava avvicinando anche il caldo tipico dell’estate, e con essa anche la fine della scuola, ma ahimè, mancava ancora un mesetto.
Intanto noi giovani ragazzi obbligati a frequentare quel vecchio edificio scadente ci consolavamo con il fatto che qualche giorno dopo la fine della scuola ci sarebbe stata come da tradizione la festa dell’estate del paese. A metà di ogni stagione si organizzava qualcosa, le vie si riempivano di bancarelle e la piazza principale veniva occupata da grandi tavoli dove ognuno portava qualcosa da mangiare, come un buffet. Queste feste duravano per una settimana, quando arrivava la sera ognuno incartava e riparava i cibi e si ritirava nelle proprie case riprendendo la festività il giorno dopo. In inverno invece durava solo due o tre giorni per evitare inconvenienti con la neve e il gelo, ma di solito non si portavano cibi, ma solo cioccolate calde o tazze di tè da bere in compagnia ornati di sciarponi e cappelli di lana.
Era divertente, a noi ragazzi piaceva girovagare tra le bancarelle e stare fuori tutto il giorno spesso indossando vestiti tipici della tradizione. Quindi ne valeva la pena di finire quel mese di scuola per poi dedicare un’intera settimana a quell’allegra festicciola seguita poi dalle vacanze estive.
Rein faceva già progetti sull’abito che voleva indossare l’ultima sera. Solitamente all’ultimo giorno di quella famosa settimana si accendeva un focolare in piazza e si ballavano danze e mangiavano dolci fino a quando gli occhi ti permettevano di vedere e le gambe di stare in piedi e sveglio.
Tutti gli anni era Rein che sceglieva e disegnava gli abiti che dovevamo indossare, era la sua occasione per farmi mettere vestiti un po’ più eleganti di quelli che occupavano il mio armadio. Lei era sempre stata molto devota ai colori e ai modi di vestire, una volta le chiesi consiglio su cosa indossare il primo giorno di scuola a tredici anni. E lì imparai che non dovevo assolutamente farle una domanda simile se non volevo passare l’intera notte ad ascoltare i suoi abbinamenti tra gonne, camicette e giacchini.
-Lo voglio indaco- diceva quella mattina mentre andavamo verso scuola. Gesticolava disegnando in aria la forma che dovevano avere la gonna e le maniche. Non invidiavo la signora Yamhul, la sarta di Elbereth, doveva essere un inferno accontentare le richieste complicate e perfettine di Rein, ma lei c’era sempre riuscita, per questo Rein cercava di tenersi buona come amica la figlia, Mirlo, così da avere spesso sconti dalla madre sarta con la scusa di essere un’amica stretta della figlia.
Arrivammo a scuola che molti compagni erano già lì, c’erano tre classi del nostro anno e noi eravamo sempre state nella stessa sezione. Arrivate in classe ci sedemmo ai banchi perdendoci nei discorsi da tipiche sognatrici che immaginano la festa d’estate di quest’anno.
-Pensa, potrebbe essere la volta buona che mia mamma e tuo padre si decidano a dichiararsi- risi non pensando a ciò che avevo appena detto. Ormai quasi ogni settimana quella frase usciva spontanea o per abitudine, o dalla mia bocca o da quella di Rein.
-Già, magari l’ultima sera, davanti al focolare, con la musica e al chiaro di Luna- continuò lei unendo le mani al petto e guardando il soffitto come se vedesse immagini di Elza e Tolouse in momenti romantici. Lei era così, credeva nell’amore, nel romanticismo e che un giorno avrebbe sposato un vero principe. Erano sogni da bambina è vero, ma la apprezzavo, non si vergognava di dire in cosa credeva, e poi almeno lei aveva un sogno. Io no, cioè non ci avevo mai pensato, diciamo che l’unica volta che avevo detto una frase del tipo “Da grande sarò..” era stato a sette anni quando presi in mano per la prima volta una spada di legno: “Voglio imparare a combattere con questa”. Da quella volta mi piace maneggiare spade, ovviamente di legno. Mamma non mi ha mai permesso di averne una vera, dice che sarei capace di infilzarmi da sola inciampando. E poi anche Rein sostiene che sia molto poco femminile. Ma non mi è mai importato, mi sono sempre divertita a giocare agli spadaccini con i ragazzi del villaggio, e posso dire di essere molto brava, beh sempre parlando di spade di legno.
Quelle otto ore di scuola finalmente passarono, meno male che c’era un intervallo di trenta minuti, altrimenti penso che mi farei una bella collassata ogni giorno, chi le regge otto ore di cui due di matematica con quella professoressa simile ad un avvoltoio che riesce sempre a capire quando hai copiato?
-Rein- la richiamai uscendo da scuola. Ci dirigemmo verso la piazza, quando non avevamo tanti compiti ci piaceva allungare la strada -E se chiedessi al signor Mich di farmi una spada?-
La vidi voltarsi verso di me con un sopracciglio leggermente più in alto dell’altro e un’espressione dalla quale capii che era meglio se non le avessi detto nulla.
-Che?- mi disse sorprendendomi del fatto che non avesse urlato come suo solito quando le facevo domande simili -Una spada vera? Non dirai sul serio!-
-Andiamo, che c’è di male? Lo sai che ne ho sempre..-
-Oh Fine, quante volte ti ho detto che le armi non sono adatte ad una ragazza?!- mi interruppe fermandosi. Eravamo arrivate nel centro del villaggio, vicino alla fontana circolare costeggiata da tre gradini che portavano alla parte superiore della piazza dove vi era la pasticceria di mia madre. Entrammo spingendo la porta e facendo suonare le piccole campanelle appese allo stipite.
-E io quante volte ti ho detto che non mi interessa?-
Lasciammo il nostro discorso da parte sentendo mia madre dietro al piccolo bancone in legno ridere dolcemente -Non starete come ogni anno parlando dei vestiti per la festa d’estate?-
-No, mamma- sorrisi io pensando che in effetti ogni volta io e Rein ci riprendevamo a vicenda sul fatto che avevamo gusti pessimi. E questo era successo anche quella mattina.
-Elsa, Fine vuole chiedere una spada al signor Mich!-
A quella frase sentii le mie guance accaldarsi, ma ero certa che fosse per la rabbia. Mi spiaccicai una mano in faccia, perché Rein non poteva starsene zitta?! Adesso la mamma avrebbe iniziato con i suoi discorsi sulla sicurezza, l’ultimo che mi aveva fatto era stato due anni prima, una vera sfuriata. Da quella volta non le avevo più detto nulla sulle spade, mi accontentavo di quelle in legno.
-Fine, lo sai come la penso- mi disse appunto. Mi sorpresi però, era calma.
-Ma mamma! Lo sai che la saprei usare bene, è da sette anni che uso quelle di legno!- sapevo che protestare non serviva a nulla, ma erano passati due anni dall’ultima volta, ero una quindicenne matura adesso, anche se credo che chiunque avrebbe da dire su quel “matura”.
-Beh, continua a usare quelle di legno allora- disse mentre Rein annuiva. Mi innervosiva quando voleva fare la parte della seconda mamma, e soprattutto non mi andava giù quando entrambe le donne che amavo di più erano in combutta contro di me.
-Ma tutti i ragazzi ne hanno una vera!-
-No, non tutti- mi corresse Rein ricevendo un’occhiataccia da parte mia. Perché non si imbavagliava con quella massa di capelli che aveva?
-Fine, sei una ragazza, non dovresti pensare alle armi. Le giovani donne della tua età dovrebbero dedicarsi al cucito, alla casa, alla cucina..- iniziò mia madre.
-Ma sono una frana in tutto il resto- la interruppi con voce capricciosa per evitare che iniziasse con i suoi elenchi infiniti che faceva spesso per ogni minima cosa.
La sentii sospirare e Rein le lanciò un’occhiata allarmata, sapevamo entrambe cosa volevano dire quei particolari sospiri preceduti da una lunga inspirazione e una breve espirazione rumorosa: stava cedendo, e io non me lo sarei mai aspettato.
-Mamma, ti prometto che ti aiuterò in casa molto più di adesso, farò il bucato io tutti i giorni e raccoglierò tutte le verdure da sola!- proposi, anche se era scontato che quello che avevo detto di fare lo avrei fatto comunque per non darle troppo di cui occuparsi. Ma stava cedendo, calcare un po’ la mano non era peccato, era solo ridurre un po’ di tempo. Alla mia offerta mi fissò per un lungo minuto sotto gli occhi ansiosi e scioccati di Rein. Poi come se niente fosse prese uno straccio ed iniziò a passarlo lentamente e pressando a fondo sul bancone di legno un po’ opaco. -Tralasciando che ci conto che farai ciò che hai detto, dovrai comprartela da sola. Non intendo sborsare un centesimo per una spada- disse atona guardandomi di sottecchi e sottolineando “spada” come se fosse una schifezza. Collegai le varie parole riformulando la frase nella mia testa. Sulle mie labbra sentii un inarcamento che si trasformò in un sorriso che probabilmente mi arrivava fino alle orecchie. Corsi dietro al bancone saltandole addosso, la mia mamma era unica, non credevo che mi avrebbe mai detto di sì, le armi erano una delle poche cose che non mi aveva mai permesso di avere.
-Grazie, mamma, grazie!- urlavo, non riuscivo a smettere, era da otto anni che volevo sentire quelle parole.
Rein al contrario era rimasta ferma dov’era con gli occhi sgranati e un’espressione davvero buffa sul viso, almeno per me che ero dell’opinione opposta alla sua lo era.
-M-ma Elsa..-
-Tranquilla Rein, si stuferà presto di usare una spada. E poi dovrà guadagnarsi i soldi da sola-
Sorrisi di nuovo scoccando un bacio sulla guancia di mia madre e tornando accanto a Rein. La presi per un braccio tirandola fuori dalla pasticceria. La sentii protestare e mugugnare dei “Non è possibile”, ma non ci feci caso. Dopo qualche passo iniziò a imprecare del fatto che fossimo andate da mia madre per avere un dolcetto come merenda, ma io l’avevo letteralmente trascinata via.
Dopo qualche minuto ero certa che Rein avesse capito dove la stessi portando, lo dedussi dalla sua espressione contrariata.
-Salve signor Mich!- salutai euforica il vecchio fabbro seduto sul suo sgabello davanti a una grande incudine dentro alla sua bottega. Teneva sempre la porta aperta, e come biasimarlo, là dentro era un forno per uomini. Teneva con la mano sinistra un piccolo pugnale, mentre con l’altra un martelletto nero. Si fermò voltandosi verso l’entrata dove ci eravamo fermate io e Rein.
-Fine, Rein- sorrise facendoci segno di entrare. Lo conoscevamo bene, non perché ci andassimo spesso da lui, ma perché era lo zio di una nostra compagna di classe. E poi in quel paesino ci conoscevamo tutti come se fossimo parenti, eravamo una grande famiglia.
-Mi può forgiare una spada?- chiesi subito sorridendo e avvicinandomi a lui di qualche passo, sentii che Rein non si era mossa. “Tutto quel caldo produce sudore e non voglio sudare” diceva ogni volta che andavamo nella bottega del signor Mich per commissioni di mamma o di Tolouse.
Vidi il fabbro alzare un sopracciglio mentre un sorrisetto complice compariva sul suo viso -Tua madre si è decisa a comprartene una?- Lui sapeva bene che mia madre era contraria a farmi avere una spada, tutte le volte che andavo a trovarlo osservando quelle appese alle pareti gli raccontavo di come fosse preoccupata che io mi uccidessi da sola.
-Diciamo che mi devo guadagnare i soldi, ma ho già un piano- dissi sentendo lo sguardo curioso della mia amica su di me -Alla festa d’estate allestirò una bancarella e guadagnerò i soldi per comprarla!-
Il signor Mich rise per poi annuire e farmi cenno di avvicinarmi -E va bene- disse per poi iniziare a chiedermi la mia altezza, il mio peso e altre misure che doveva sapere per fare la spada adatta a me.
Dopo una decina di minuti eravamo fuori da quella fornace, all’aria aperta di fine primavera si stava molto meglio.
-Non posso crederci- mugugnò Rein per l’ennesima volta provocando il mio sbuffare -Non è per niente femminile-
-Ma almeno se qualcuno volesse farti del male potrei proteggerti- dissi io allegramente inventando la prima scusa che le potesse togliere quel muso. In risposta sentii un mugugno e un sospiro, segno che si era arresa.
Arrivammo a casa di Rein, lei aprì il cancelletto di legno lasciandolo spalancato per me che le ero un passo indietro. Entrammo in casa, Tolouse non c’era, da bravo lavoratore stava svolgendo il suo turno per controllare il terzo piano della biblioteca, quello del reparto “Storia, Miti e Leggende”.
Io andai in camera di Rein, ormai la sua casa era la mia e viceversa, mentre lei prendeva dalla cucina qualche frittella che mamma aveva preparato per loro, casualmente a forma di cuore. Mi raggiunse nella sua stanza, io avevo già tolto dalla mia cartella di scuola il quaderno e il libro di scienze e il mio inseparabile folletto di peluche. Lo posai sul letto accanto a Rin, quello di Rein, e io mi misi per terra sopra al tappeto aprendo il libro. Mi scappò un lieve sbuffo, odiavo i compiti. Fortunatamente io e Rein quasi ogni giorno, uscite da scuola, stavamo insieme a casa di una delle due a studiare e a darci una mano a vicenda.
Rein posò il piattino di frittelle sedendosi di fronte a me e prendendo a sua volta il libro. Iniziammo a studiare a intervalli di sospiri annoiati.
Un’altra giornata stava passando come sempre e piano piano ci stavamo avvicinando alla festa d’estate dove avrei guadagnato i soldi per la mia spada. 



Prossimo capitolo: Voice ~ Voce


 



Capitolo dedicato ad Arianna 
Salve :)
Scusate se ho aggiornato questa, ma avevo ispirazione per scrivere questo capitolo. Spero di non avervi deluso.
Se riesco o stasera o domani aggiornerò anche My sky, your world.
Aspetto con ansia i vostri pareri 
Bacioni, buona giornata
Ross

  
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