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Autore: weasleywalrus93    11/12/2012    4 recensioni
Cosa può succedere se la Liverpool del 1958 e la Liverpool a noi contemporanea venissero a contatto tramite due ragazzi? Di uno il mondo conosce il suo nome, la sua vita e i suoi ideali. Dell'altra invece il mondo non fa nemmeno caso, mettendola in disparte e oscurando ciò che potrebbe offrire al mondo. Ma dall'esterno non si può sapere quanto una persona, anche la più famosa, può venire influenzata da qualcuno che il mondo nemmeno vede.
(mia primissima FF... mi sono letteralmente buttata a scrivere)
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Golden slumbers fill your eyes
Smiles awake you when you rise
Sleep pretty darling do not cry
And I will sing a lullaby
{Golden Slumbers}

 
Liverpool, 13 Novembre 1958.
 
Camminavo nel buio. Non sapevo dove mi trovavo. Una luce apparì all'improvviso. Camminai verso la luce. Appena la raggiunsi le urla di due adulti giunsero dritte nelle mie orecchie. Qualcuno mi afferrò per le braccia. Mi strattonavano continuamente. Realizzai di non avere più di 5 anni. Le mani che mi strattonavano e a volte mi picchiavano erano quelle dei miei genitori. Più cercavo di liberarmi, più mi serravano e mi facevano male. Cominciai a piangere. Le unghia di mia madre affondarono nella pelle. Urlai per il dolore ma una mano grande, pesante atterrò sulla mia faccia, zittendomi. Loro urlavano ma non sapevo cosa dicessero. Non riuscivo a capirli. Sapevo che stavano litigando, e la causa ero io. Mi calmai apparentemente. La stretta delle loro mani si allentò fino a lasciarmi del tutto. Con le guance bagnate ripresi a camminare, singhiozzando. Intanto ogni fonte di luce era scomparsa e camminavo lungo un buio corridoio.
C'era una porta. Piano l'attraversai. Riconobbi quella stanza. Era la nostra cucina. I miei continuavano a litigare, lanciandosi tutto ciò che trovavano: posate, bicchieri, piatti, pentole e altro. Improvvisamente mia madre si girò verso di me e mi additò ferocemente. Erano entrambi arrabbiati, ma non sapevo per cosa. Avevo 11 anni. Avanzarono verso di me. Poco prima che mi raggiungessero entrambi furiosi, delle mani grandi e gentili mi presero e mi allontanarono dalla loro furia. Mi girai verso il mio "salvatore". Era Jim. Improvvisamente ricordai. Era successo poco dopo che l'avevo conosciuto. Era diventato il mio fratello maggiore e l'unica figura genitoriale che avessi mai avuto. Mi prese in braccio e si avvicinò alla porta, con l'intento di uscire e di portarmi via da loro. Sentivo già il profumo dei cespugli del giardino, quando degli artigli mi riaffondarono nella carne e delle mani maschili mi trascinarono via da lui. Cominciai a piangere, a urlare, a dibattermi. Volevo liberarmi di loro, della loro stupidità, della loro incapacità di essere dei genitori, ma mi stavano allontanando dall'unica persona che mi stava accettando per ciò che ero. Jim mi prese per le mani, con l'intento di non lasciarmi, ma un forte strattone di mio padre mi allontanò da lui, perdemmo l'equilibrio e cademmo a terra. Ma non ci fu l'impatto. Continuai a cadere per un tempo interminabile.
Non sentii l'impatto con il terreno. Ero di nuovo nel buio più totale. Qualcosa di duro mi disse che i miei piedi erano fermi e in equilibrio su un pavimento invisibile. Qualcosa di freddo mi accarezzò il viso. Vidi una striscia di sangue. Una figura incappucciata veniva verso di me. Dal mantello si intravedevano quattro ferite sanguinanti. Sembravano ferite da arma da fuoco. Era senza volto. Mi passò accanto. La sua mano si avvicinò piano al mio viso e lo accarezzò con il dorso. Era qualcosa di familiare. Mi stavo lasciando andare a quel momento di tranquillità quando le urla si fecero sentire nuovamente. La figura sparì immediatamente. Avevo 17 anni. I miei continuavano a litigare. Appena mia madre mi vide, mi lanciò contro il mio zaino, mi prese per un polso e mi trascinò via. Riuscì a cogliere il dispiacere nello sguardo di mio padre. Mi chiuse in macchina e partimmo. Guidava a una velocità esagerata. Inutilmente le urlavo di rallentare, di calmarsi, ma non mi dava retta. Mi colpì in piena faccia con la sua mano inanellata e i suoi artigli smaltati. Aveva le pupille dilatate. Si era appena drogata. E aveva bevuto. Tanto. Come sempre d'altronde. Un clacson prolungato. Un paio di fari che venivano verso di me. In mezzo all'incrocio che stavamo per attraversare ricomparve la figura incappucciata. Il sangue usciva copiosamente dalle ferite sul corpo. Qualcosa cadde da sotto il cappuccio. Erano degli occhiali. Sporchi di sangue. Avvicinò le mani al cappuccio con l'intento di abbassarlo. Appena lo abbassò del tutto, gettai un urlo.
 
Mi svegliai di soprassalto. La vecchia maglietta appiccicata addosso. Respiravo a fatica. Mi misi a sedere. Una goccia scese dal mio viso. I capelli si erano incollati sul collo, la fronte e attorno al viso. Uno strano sapore in bocca. Qualcosa risalì velocemente dal mio stomaco, attraversò la gola e arrivò in bocca, chiedendo prepotentemente di uscire. Tappai la bocca con una mano e mi alzai di corsa, diretta verso il bagno. Una volta arrivata, mi inginocchiai appena in tempo prima di vomitare anche l'anima.
 
Mi svegliai di soprassalto. Una porta sbattuta. Non c'erano finestre aperte quindi qualcuno si era intrufolato in casa. Mi alzai silenziosamente e vidi la luce del bagno accesa. Stropicciando gli occhi mi avvicinai.
 
-Judy ma che...-
 
La sua voce mi fece sobbalzare. Ero poggiata sul lavandino, col disperato tentativo di lavarmi la bocca e sciacquare la faccia. Alzai lo sguardo e lo vidi riflesso nello specchio. Improvvisamente ricordai. Era lui la figura incappucciata.
 
Mi guardava con degli occhi da pazza, fuori dalle orbite. Dei profondi solchi violacei le segnavano il viso sotto gli occhi, dandole un'ulteriore aria da pazza. Respirava a fatica. Tremava come se avesse la febbre.
 
Si avvicinò a me. Crebbe la paura. E se cercando per casa avesse trovato i suoi occhiali sporchi di sangue, sporchi del suo sangue? Mi prese delicatamente per i fianchi e mi allontanò dal lavandino. Le mie mani ci misero un po’ a staccarsi, nonostante fossero sudate. Le nocche erano diventate bianche per lo sforzo di tenere quell'appiglio il più saldamente possibile.
 
-Hai avuto un incubo?-
 
Annuì meccanicamente. Tremava e aveva ancora gli occhi fuori dalle orbite. Le poggiai le mani sulle spalle con il tentativo di calmarla.
 
Le sue mani gelide furono un balsamo per la mia pelle sudata che tremava. Il respiro si fece più regolare, così come il battito cardiaco.
 
-E' stato...-
 
-Brutto?-
 
-Peggio...-
 
-Cosa hai visto?-
 
-La morte-
 
-Aveva un volto?-
 
-Si-
 
-Che volto aveva?-
 
Non rispose. Riprese a tremare. Istintivamente l'avvicinai a me, in modo che fosse di fronte a me. Si lasciò andare. Un flusso caldo, umido e ininterrotto mi disse che aveva cominciato a piangere. La strinsi con entrambe le braccia, accarezzandole le spalle con le mani.
 
Aveva il suo volto. La morte era la stessa persona che in quel momento mi teneva lontana dalla pazzia. Mi aggrappai a lui con tutte le mie forze. Mi accarezzò i capelli madidi di sudore.
 
-Shh. Era solo un sogno. Va tutto bene-
 
Rimanemmo li per un tempo interminabile. Dopo quella che sembrò un'ora finalmente si calmò del tutto. Continuava a tremare, anche se visibilmente meno.
 
-Ora ti rimetti a letto e ti fai una bella dormita ok? Se vuoi ti do anche qualcuno dei sonniferi che Mimì tiene da qualche parte... Ma riposa va bene?-
 
Mi afferrò le spalle e mi allontanò da sé. Lo guardai negli occhi. Erano caldi, profondi, rassicuranti. Annuii appena.
 
Feci un passo quando le sue mani si strinsero attorno ai miei polsi. Strizzava gli occhi. Aveva ricominciato a piangere e a tremare. Delicatamente la presi in braccio. Appoggiò la testa sulla mia spalla e passò le braccia attorno al mio collo. La misi a letto come si mette a letto una bambina che ha appena sognato l'uomo nero. Mi guardava ancora con aria spaventata. Mi sedetti vicino a lei e le accarezzai il viso. Era ancora madida di sudore. Le palpebre si fecero nuovamente pesanti.
 
-Notte Judy-
 
Mi baciò sulla fronte e si alzò. La paura tornò a impossessarsi di me. Di solito avevo affrontato gli incubi da sola, senza nessuno che mi aiutasse. Ma quella volta avevo davvero paura e mi sentivo al sicuro solo se era vicino a me. Era già sulla porta.
 
-John. Puoi... restare qui?-
 
La sua voce fu un sussurro. Mi bloccai con le mani poggiate allo stipite della porta. Abbassai lo sguardo.
"Non qui. Non ora. Non con lei."
Era riferito al cavallo dei miei pantaloni, ma era meglio se me ne convincevo anch'io. Mi voltai verso di lei. Mi stava supplicando con gli occhi. Lentamente mi riavvicinai al mio letto. Si era appiattita contro il muro, nel tentativo di farmi un po’ di spazio nel letto piccolo. Mi misi anch'io sotto le coperte e mi lasciai andare. Mi voltai verso di lei. Mi guardava ancora con paura. Con un movimento del braccio l'avvicinai a me, lasciando che si poggiasse sulla mia spalla. La sua mano si mosse appena sopra il mio petto. Mi imposi di restare impassibile. Avevo caldo. Incrociai le mani sulla spalla aspettando che Morfeo facesse il suo dovere.
 
 
 
 
 
Spazio autrice.
Ma salve bel popolo di pazzi che segue questa ff :D poi ce l’abbiamo fatta ad arrivare a 100 recensioni *_* non che io me le meriti ma grazie lo stesso :) scusate se aggiorno così tardi ma questi giorni sono stati di studio iper intensivo. Vabbè l’importante è che ho aggiornato no??? :p sembra un capitolo alquanto corto e banale… in realtà scriverlo è stato più simile a un parto trigemellare in quanto fino all’ultimo ho trovato cose da sistemare, da aggiungere e da togliere… insomma al solito mi piace ma non mi convince :/ per chi invece vuole sapere quanto manca al primo vero bacio tra i due… vedrete intanto il prossimo capitolo :p grazie mille a tutti e alla prossima ^^ (spero domenica visto che giovedì sarà un inferno)

 
  
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