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Autore: warmmyheart    13/12/2012    0 recensioni
"Isole di bellezza in un mare di squallore"
La storia di due ragazzi; le loro vite si intrecciano, impareranno a volersi bene, e insieme affronteranno questo mondo, che spesso è pieno di pericoli che da soli non si vedono e allora il sostegno di un amico vale più di tutto l'oro della terra.
-Precisazione: ogni capitolo è fatto da due parti, la prima è raccontata da lei, la seconda da lui.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Elettra.
Sarà così vuota la scuola senza di te.


Oggi la sveglia suona. Erano tre mesi che non suonava. Mi chiedo perché stia suonando. Con quel suo trillo fastidioso mi trapana le orecchie. Cerco di mettere a fuoco il calendario appeso al muro e vedo una casella cerchiata di rosso. Non dirmi che è oggi il 12 settembre. Oddio, è un disastro. È il primo giorno di scuola. E me lo ero completamente dimenticata! Credo di non aver preparato niente la sera prima. Guardo la sedia dove di solito appoggio la cartella che preparo in anticipo, ma è vuota. Ecco fatto, non sono per niente pronta per andare a scuola.
Mia sorella entra in camera mia urlando con la sua voce fastidiosa facendo molto baccano.
- Ele! Ele! Ele! Ele! - strilla. È fastidiosa.
- Lo so come mi chiamo! - le rispondo tirandole il cuscino in faccia.
- Stupida mi rovini il trucco! - grida. È fastidiosa!
- Ma ti trucchi per andare a scuola? Stupida sarai te! - mi alzo a fatica.
- Non ti permetto di insultare il mio stile di vita! - urla. È fastidiosissima!
- Da quando in qua hai uno stile di vita tuo? Senti esci da questa camera prima che ti faccio andare a scuola con il segno delle cinque dita in faccia. Esci! -
- Isterica! - la sento dire dopo aver sbattuto la porta. Sbuffo e inizio a prepararmi.
Oggi è il mio primo giorno di scuola. In una scuola diversa da quella dell’anno scorso. Lì mi trovavo male. Molto male. Ripenso a tutto quello che è successo l’anno scorso intanto che mi vesto.
Ho litigato a morte con tutti i miei compagni di classe.
Sono quasi stata picchiata da un gruppo di ragazzine di seconda.
Un po’ di professori hanno minacciato più volte di sospendermi.
Una professoressa l’ha fatto davvero.
Peccato che i miei voti fossero troppo alti per venire bocciata.
Ringrazio mia madre per avermi proposto di cambiare scuola. Chissà perché non era venuto in mente prima a me.
Mi chiedo cosa c’era, o cosa c’è, in me che non andava, o che non va.
È il mio carattere troppo sbagliato? O sono gli altri che non sanno accettarlo?
Sono io che non vado bene agli altri, o sono gli altri che non vanno bene a me?
Me lo sono chiesta così tante volte. La me sincera pensa che non sia fatta per  stare con gli altri. Ma alla me egocentrica piace pensare che sono gli altri a non essere fatti per stare con me.
Un messaggio della mia migliore amica mi riporta dal pianeta sconosciuto dei miei pensieri sulla Terra.
“ Sarà così vuota la scuola senza di te.”
Già, lei era la mia salvezza in quella scuola che mi disprezzava. Gaia era quello spiraglio di luce che di notte non mi fa sentire la paura, quella boa che mi serve da punto di riferimento nel mare infinito. Chissà come sarà quest’anno la scuola senza di lei.
“Mi mancherà non averti come vicina di banco.” rispondo.
- Ok mamma sono pronta, vado, ci vediamo per ora di pranzo. - grido aprendo la porta.
- Ele hai preso tutto? - chiede mia mamma correndo verso di me.
- Sì, mamma.
- Sai come arrivare alla scuola?
- Certo, devo arrivare fino alla metropolitana, prendere la rossa, scendere alla terza, e una volta uscita fare cinquecento metri verso destra. Poi attraverso la strada e sono arrivata. Mamma sto iniziando la quarta superiore, non elementare!
- Hai ragione. Sicura che non vuoi che ti accompagni?
Le lancio uno sguardo che dice “Mamma figurati se mi faccio accompagnare da te, ma che figura ci farei, davanti a tutti gli altri? Di quella fifona che non ha il coraggio di venire da sola il primo giorno di scuola e deve per forza farsi accompagnare dalla mammina!” e forse qualcos’altro.
Mia madre sembra capire tutto quanto e sospira.
- Beh, allora ci vediamo dopo.
- Certo, a dopo mamma.
Mi abbraccia e per un secondo ricambio anche io, poi scendo le scale del mio condominio e sparisco alla vista di mia madre.
Le voglio bene, a mia mamma. È una donna adorabile. Ha un cuore dolce e premuroso, e forse ho preso da lei. Però lei ha quella capacità di amare che io non ho. Si affeziona così tanto alle persone. Ha un sacco di amici. Ecco, io non sono come lei. Non ho molti amici. Conosco moltissime persone, quello sì. Ma di amici, amici veri, ne ho proprio pochi. Forse ora uno solo, Gaia. Senza forse. Però non mi dispiace. Dovrò lasciare poche persone quando andrò a vivere in Inghilterra.
 
Finalmente arrivo davanti a scuola. Mi sa di essere in ritardo, non c’è nessuno che entra. E quei pochi lo fanno correndo. Strano, il mio orologio segna cinque alle otto. Aspetto il verde del semaforo e attraverso. Con il cuore in gola per l’ansia faccio i pochi gradini che mi separano dal portone e spingo.
Mi ritrovo in un gigantesco atrio deserto con gli occhi di un bidello puntati addosso.
- Mi sa che sei in ritardo.
- Ma sono le otto meno cinque. - protestai.
- Si, ma la seconda campanella è a dieci alle otto.
- Ah.. Nella mia vecchia scuola..
- Aaah, ma tu sei quella nuova?
- Ehm, credo di si.
- E dillo subito! Sai già in che classe sarai?
- Veramente no.
- Vieni con me, ti accompagno in presidenza.
Annuisco piano e lo seguo in un corridoio che prima non avevo notato.
- Io sono il bidello Armando, piacere.
- Io sono Ele, piacere mio.
Cerco di sorridere. Sono un po’ paralizzata dal terrore di conoscere il nuovo preside. La paura mi impedisce di sorridere. Qualcuno non riesce a parlare, qualcuno non riesce a muoversi, qualcuno trema, qualcuno suda. Io invece semplicemente perdo la capacità di sorridere. Peccato, credo che la parte migliore di me sia il sorriso. Vado quasi fiera dei miei denti perfettamente bianchi e dritti senza bisogno di nessun dentista.
Il bidello Armando bussa in presidenza e un vocione risponde “avanti”.
Il residuo di sorriso che m’era rimasto in viso muore.
- Salve signor preside, questa è la nuova alunna.
- Salve. - dico con tono deciso. La paura paralizza il mio sorriso, ma la timidezza non blocca la mia voce.
- Buongiorno. Tu devi essere.. Elettra, giusto? - risponde il preside con voce cordiale.
Faceva così paura il suo vocione, e invece lui si è rivelato un uomo molto simpatico e cortese.
Secondo me la voce è una specie di specchio dell’anima, ma uno specchio che non sempre mostra il vero. Io mi baso molto sulla voce delle persone. Ad esempio, una persona con un tono di voce deciso e imponente come quello del preside, è una persona severa e rigida. Una persona con una vocina flebile e tremolante è una persona piena di paure ed insicurezze. O almeno, mi piace pensarla così. Gaia ha un tono di voce deciso ma allo stesso tempo fragile, lei è una ragazza molto forte ma davanti al più piccolo ostacolo diventa insicura delle sue capacità, delle sue forze. Mia sorella Luisa ha una voce acuta e penetrante, e lei è fastidiosa peggio di una mosca. Mi piace sedermi nella metro e ascoltare il signore di fianco a me che parla al telefono. Non tanto perché mi interessa ciò che dice, ma perché mi piace immaginare la loro personalità.
Il preside accompagna me e altri quattro ragazzi, che erano arrivati puntuali, nelle nostre classi. La scuola è su cinque piani. Al piano terra c’è l’atrio, una sala comune con dei tavoli e delle macchinette, la presidenza e tutti gli uffici della segreteria. Tutti i piani superiori sono occupati dalle aule, mentre l’aula magna e i laboratori d’informatica e chimica - che in realtà useremo molto poco - si trovano nel piano sotterraneo.
In realtà sono già stata in questa scuola. Un paio di settimane prima avevo fatto un esame per verificare le mie conoscenze. Per fortuna erano abbastanza per finire in quarta, non avrei sopportato l’idea di rifare un’altra volta la terza. È stato l’anno più difficile di tutti gli undici anni scolastici che ho vissuto.
Uno a uno gli altri ragazzi entrano nelle loro classi, rimango da sola col preside che mi accompagna nella mia classe, all’ultimo piano. Ecco, perfetto. Ogni mattina dovrò farmi tre piani di scale. Sbuffo appena prima di entrare in classe.
Il preside pronuncia lo stesso discorso che ho già sentito quattro volte e se ne va, lasciandomi in balia di una mandria di perfetti sconosciuti.
- Ehm.. Buongiorno? - chiedo. Non ho più paura, una volta affrontato il preside. Ho solo voglia di tornare a casa. Sono già stanca.
- Buongiorno, Elettra. - risponde la professoressa con voce amichevole. Buon segno. - Allora, vuoi parlarci un po’ di te? -
Mi gratto il sopracciglio e mi stringo nelle spalle mentre rispondo:
- Beh, sono Elettra.
La prof mi guarda con aria interrogativa.
- Lei chi è? - chiedo alla prof.
- Sono la professoressa di italiano, storia e filosofia. Mi chiamo Merlini. Sara Merlini.
È molto giovane. O almeno sembra. Ha lunghi capelli color nocciola che le incorniciano dolcemente il viso, e un paio di occhiali dalla montatura stretta e lunga fanno risaltare i grandi occhi dorati.
- Bene, quello è il tuo posto, siediti pure.
Indica un banco in prima fila, attaccato alla parete sinistra. Annuisco appena e mi siedo.
- Allora, vuoi raccontarci qualcosa? - riprova la Merlini.
- Beh, non sono un alieno, non ho poteri magici, non mi trasformo in lupo nelle notti di luna piena.
La classe accenna un sorriso. Mi guardo intorno, a occhio e croce siamo in 15. Quasi tutte ragazze. Come nella vecchia scuola. Stranamente sono capitata di fianco a un ragazzo.
La prof sospira.
- Va bene, cosa ne dite se facciamo come alle elementari e ognuno si presenta alla nostra nuova compagna?
Inizia un ragazzo nelle ultime file.
- Ciao Elettra, sono Gianluca! Ti farei sedere qui di fianco a me se solo questa cozza si mettesse da un'altra parte!
La ragazza di fianco a lui ride e scuote la testa. Si chiama Aurora, in realtà lei e Gianluca sono molto amici.
Dopo scuola si offrono di accompagnarmi a casa, ma rifiuto. Insistono. Alla fine accetto, ma non prendiamo la metropolitana. La facciamo tutta a piedi, quasi quattro chilometri. Magari la prossima volta ci pensano due volte.









 - Oscar.

Ho sempre odiato i liceali. Finti perbenisti del cazzo.


La sveglia suona puntuale alle 7.
- Cazzo che palle. - brontola mio fratello. - Dai Scar, muoviti. Alzati.
- Che voglia, eh. - mugugno. E mi giro dall’altra parte.
- Scar, svegliati. Dai, che mi devi accompagnare a scuola.
Alla voce dolce di mia sorella non so resistere. Mi metto a sedere e faccio scrocchiare il collo. Mi trascino in cucina e bevo il caffè che mio padre ha avanzato.
- Primo giorno di prima superiore! Ho paura, Scar. - sussurra mia sorella, seduta di fronte a me. Beve il suo solito mezzo litro di latte col cacao.
- Non c’è motivo di aver paura, davvero. - non sono bravo con le parole.
- E invece sì! Un nuovo ambiente, nuovi compagni, nuovi professori, nuove materie..
- Ma non è traumatizzante come sembra. Fidati di me, Gio.
Annuisce piano e si pulisce la bocca con il dorso della mano.
- Vado a vestirmi. Tu sbrigati, non vorrai farmi fare tardi il primo giorno.
Mi dà una carezza sulla guancia e sparisce in bagno. La sento litigare con mio fratello per chi deve usare per primo il lavandino.
- Facciamo che il lavandino lo uso prima io. - dico piazzandomi tra loro due e prendendo tra le mani lo spazzolino da denti.
Giorgia sbuffa pettinandosi i lunghi capelli biondi e Michele gira gli occhi verso il cielo e si siede sul water in attesa.
- Mich tu prendi la metro? - urlo prima di uscire di casa.
- Sì, tranquillo!
- Ricordati di chiudere la porta!
- Sì, tranquillo!
- A chiave!
- Sì, tranquillo!
A volte è monotono.
 
Gio si infila il casco in testa e aspetta di poter salire sulla moto. Da quando ho fatto i diciotto anni pretende sempre di essere portata in giro da me.
Riusciamo ad arrivare alla sua scuola un bel po’ in anticipo, ma un incidente blocca la strada per un buon quarto d’ora. Buono, sono in ritardo io.
Parcheggio la moto davanti a scuola e lancio un occhiata al liceo di fronte. Ho sempre odiato i liceali. Finti perbenisti del cazzo. Tutti i ragazzi sono cessi, tutte le ragazze sono oche. Niente di peggio al mondo.
Ma quella ragazza che, nonostante il ritardo, sale le scale con tutta la tranquillità possibile, mi colpisce subito. Per tutta la mattina ripenso ai suoi movimenti. Ai suoi lunghi capelli neri e alla sua mano che li ravviva. Alla tracolla che le scivola e lei prontamente la raccoglie. A quelle sue lunghe gambe che aggraziate salgono i gradini senza nessun sforzo apparente.
 
Ho la mente così persa su quella ragazza che quasi mi dimentico di andare a prendere mia sorella a scuola.
- Scar, sei in straritardo! Quale scusa troverai?
- Ok, anche se me ne fossi inventato una avresti capito fosse una scusa. Quindi ti dico la verità.
- Dai, spara.
- Ho visto una ragazza, stamattina..
- Quindi sei in ritardo perché ti sei fermato a parlare con lei! - mi interrompe Gio con voce quasi eccitata.
- No, sono in ritardo perché mi ha mandato in confusione e sono tornato a casa senza passare di qui. Una volta arrivato ho notato che tu non c’eri e mi è tornato in mente che dovevo venire.
- Ah.. Ma quindi non c’hai parlato? - sembrava delusa.
- Eh, no.. Un giorno di questi ci parlo.
- Prometti?
- Devo promettertelo?
- E dai, una volta che trovi una ragazza che ti piace!
- Però mi aiuterai a costruire un discorso adatto da dirle.
- Prometto.
- Allora prometto anche io. Dai, salta su.
 
Sono sempre stato una frana con le parole. Le pronuncio così, d’impulso, senza dargli peso. Quando poi mi accorgo che possono essere state fraintese, o possono aver ferito i sentimenti di qualcuno, e allora mi tocca sempre riparare tutto. Ogni tanto me la cavo con un “ma no, hai capito male”, ma la maggior parte delle volte richiede maggior impegno. Se ci penso le parole mi vengono fuori, e anche abbastanza bene.
Se solo avessi pensato, quella volta che quel professore mi aveva provocato. Se non avessi reagito d’istinto, se avessi ragionato su quello che dire invece di pronunciare quegli insulti, non mi avrebbero sospeso. E se non mi avessero sospeso, forse non avrei iniziato a pensare che quel professore ce l’aveva con me e che quindi era quasi un dovere insultarlo. E se non avessi pensato che dovessi insultarlo, forse non mi avrebbero messo cinque in condotta e non mi avrebbero bocciato.
Cavolo, quanto vorrei saper pensare le parole che servono al momento giusto. Magari sarei riuscito a parlare subito con quella ragazza che ho visto stamattina.
Vado a letto pensando a lei. E Giorgia non mi ha aiutato nel formulare il mio discorso.
  
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