Capitolo 27
Daddy issues
La luce aveva appena irradiato la
camera di un motel, il più vicino a Mystic Falls. La stanza era completamente
bianca, quasi asettica, senza nulla a decorarla, né un quadro né un mobile.
Solo un letto, matrimoniale, con delle lenzuola bianche di acrilico, che
pizzicavano sui corpi nudi dei suoi giovani abbracciati, ancora addormentati.
La ragazza non poteva avere più di sedici anni, il volto da bambina, senza un
filo di trucco, era posato sull’incavo del collo dell’altro. I lunghi capelli
neri gli solleticavano il petto glabro e poco muscoloso mentre le sue braccia
le cingevano i fianchi, attirandola di più a sé. La luce turbò lui per primo
che aprì gli occhi e rivelò uno sguardo di un azzurro chiarissimo. Sbatté le
palpebre per rendersi conto di dove si trovasse prima di accorgersi della
giovane donna che aveva accanto a sé. Comprese e sorrise. Avevano fatto
l’amore, per la seconda volta, la prima in cui entrambi non erano troppo
ubriachi per ricordarlo al mattino. Lui l’amava e tanto, ma preferiva tenere quei
pensieri per sé, non sapendo di essere ricambiato. Sciolse la presa e
l’osservò. Le lenzuola lasciavano scoperta buona parte del suo seno florido e
bianco, su cui spiccavano due turgidi capezzoli dalle areole rosse e
screpolate, e dell’addome scolpito, che mostrava i suoi tre anni di
cheerleading. La guardò, il ragazzo, beandosi di ciò che solo lui aveva il
diritto di osservare, incantato dalla vista del suo splendido corpo. La giovane
respirava lievemente, rilassata e pacata, e l’altro le carezzò la guancia prima
di sporgersi e guardare la stanza. Sul pavimento v’erano i loro vestiti sparsi.
La sua camicia vicino alla porta d’ingresso, poi i suoi jeans. Il vestito
bianco della ragazza. I suoi boxer neri e le sue mutandine rosa. Sbuffò non
riuscendo a trovare il suo reggiseno. L’aveva artigliato e con violenza,
possesso e bramosia l’aveva gettato in un luogo che era impossibile scorgere.
Avanzò nudo verso di suoi jeans e si calò per prendere un sacchetto nero, con
un fiocco bianco, dalla tasca anteriore. La sera prima non aveva potuto regalarlo
a lei, allo splendido angelo innocente che l’aveva stregato sin da subito, ma
quella mattina avrebbe potuto rimediare. Non gli importava se sua madre si
accorgesse che non aveva dormito a casa. Avrebbe pensato suo fratello a
coprirlo. Lui sapeva ogni cosa sul suo amore, sebbene non approvasse tutta
quella passione della ragazza per il soprannaturale. Si avvicinò al letto e si
abbandonò a peso morto, ricadendo sul fianco e sollevando il materasso. La
giovane, turbata, mugugnò qualcosa di incomprensibile e sbatté le palpebre
rivelando gli occhi cerulei che quella mattina avevano assunto una tinta
grigiastra, come quella di una perla o del mare in tempesta. Schiuse le labbra esangui
e lievemente gonfie e lo guardò. Lui sorrideva e lei fece altrettanto il
secondo dopo.
« Che ora è?» gli domandò, guardandosi
intorno e coprendosi il seno con il lenzuolo bianco e quasi trasparente, come
la sua pelle lattea. Si volse verso la finestra e si mise a sedere,
schermandosi gli occhi con la mano. Sul suo bel volto apparve una smorfia
indispettita e il ragazzo si appoggiò alla testiera, celando il regalo dietro
la schiena.
« Non lo so, è tardi,» rispose atono,
chinando il capo verso i fianchi della ragazza sui quali spiccavano i segni rossi
dei suoi polpastrelli. Quella notte non aveva trattenuto nulla. Li carezzò e
sospirò lievemente. Non avrebbe dovuto artigliarla in quel modo così rude, però
era certo che alla giovane era piaciuta quella sua passionalità perché lui non
lasciava mai trapelare nulla. Era apatico, con tutti, da sua madre e suo
fratello ai suoi compagni di scuola che a stento riusciva a chiamare amici. La
sua esistenza gli era sempre parsa insensibile, indolente e soprattutto
passiva. Poi era arrivata lei, con la sua squadra. Non le aveva spostato gli
occhi di dosso per tutta la durata della partita di football, non che avesse
molto altro da guardare, e si era stupito del fatto che anche lei lo scrutasse
mentre si muoveva sinuosa con quel
gonnellino svolazzante e quella maglietta che lasciava ben poco
all’immaginazione. Riemerse da quel mare di rimembranze non troppo passate e le
vide tenersi la mano destra sul viso mentre quella sinistra sollevava alcune
ciocche nere e ricce che le erano ricadute sulla gota lievemente arrossata.
« Mio padre mi ucciderà,» sbottò
scostando del tutto il lenzuolo lasciandogli per un attimo bearsi della visione
del suo splendido corpo poi si chinò a cercare i suoi indumenti. Il reggiseno
aveva una spallina attaccata alla lampada dell’unico comodino al fianco della
giovane che si coprì subito il seno per poi scendere e cercare, « Perché non mi
hai svegliata?» aggiunse gettandogli un’occhiata in tralice nel vederlo ancora
lì, completamente nudo, a fissarla con quella insistenza.
« Sei bella quando dormi e poi volevo osservarti
con la luce del Sole,» mormorò scrollando le spalle prima di sporgersi verso di
lei e attirarla a sé. La schiena della giovane era contro il suo petto e il
ragazzo le posò un languido bacio sul collo. Aveva tutta la biancheria addosso
e le carezzò tutto il fianco indugiando sui segni rossi. Lei rise, lievemente,
carezzevole e sensuale scostandosi i
capelli dal collo per lasciare che la baciasse meglio e appoggiandosi
maggiormente a lui, sentendo crescere l’erezione, « L’ultima volta ero ancora
un po’ alticcio per rendermi conto di quanto fossi dannatamente sexy,» le
rivelò, soffiandole nell’orecchio per poi mordicchiarne il lobo. La giovane
scosse il capo e prese un lungo respiro. Era davvero troppo tardi per un
secondo round, oppure per un terzo. Si scostò da lui, e non fu molto complesso,
e si voltò a guardarlo direttamente negli occhi azzurrini e furbi. Lui era
scaltro, ma la giovane lo era molto di più.
« Sei un stupido, John Gilbert,»
affermò ilare prima di issarsi in piedi e indossare il vestito bianco e
semplice, un tubino che arrivava sino al ginocchio.
« Ma tu hai fatto l’amore con questo
stupido,» contestò malizioso, prendendo i suoi boxer e indossandoli velocemente
prima di afferrare i jeans. Doveva accompagnarla a casa, o almeno poco lontano
dalla villa signorile dei suoi genitori, le persone più ricche del suo paese.
La giovane sospirò lievemente e scosse il capo, per poi chinarlo sulle sue mani
giunte. Cominciò a torturarsi il labbro inferiore.
« Non dovrà più capitare, John,»
esclamò seria e austera, guardandolo direttamente negli occhi. John annuì e
prese a chiudere i bottoni della sua camicia bianca e semplice. Sul letto era
rimasto il regalo, ma nessuno dei due, così assorto nella contemplazione
dell’altro, si accorse di quell’inutile dettaglio.
« Lo so,» ammise avanzando verso il
letto per sedersi e infilarsi i mocassini neri, non guardandola più, « Sei solo
una ragazzina. Non è giusto,» aggiunse come in colpa verso se stesso per ciò
che avevano fatto insieme. La giovane, comprendendo il suo forte disagio e il
risentimento nei confronti di sé, si avvicinò a lui, si inginocchiò alla sua
stessa altezza, e gli prese il volto tra le dita, « È come se mi stessi…,» non
aggiunse altro, sentendo le labbra della ragazza sulle proprie. Quasi lo fece
distendere sul letto e John la strinse, facendo aderire i loro corpi. Le
carezzò la schiena per poi immergersi nel mare nero dei suoi capelli che
profumavano di fiori.
« Fa’ silenzio, sciocco. Non sono una
ragazzina e non ti stai approfittando di me,» gli assicurò, carezzandoli il
volto con l’indice prima di accorgersi del regalo alle spalle del giovane che
ancora la stringeva a sé, « Cosa nascondi lì dietro?» domandò dubbiosa. John
prese il pacchetto e la giovane si accoccolò meglio sulle sue gambe, cinta
dalle sue braccia forti. Glielo porse e lei lo guardò giocherellando con il
fiocco e carezzando la stoffa nera.
« Un bracciale,» le rivelò mentre lo
prendeva tra le sue dita. Non era molto elegante né bello come tutti gli altri,
ma a John era piaciuto subito. Aveva lo stesso colore dei suoi occhi quando
brillavano di luce. Sì, a John piaceva per quello, perché le avrebbe ricordato
lui ovunque sarebbe andata. Le dita della ragazza tremarono mentre leggeva la
scritta e John le posò un lieve bacio tra i capelli. Era vero. Non sarebbe mai
appartenuto a nessun’altra donna che non fosse stata Isobel Flemming e quella
era una promessa, « Volevo lo portassi con te, ma se non vuoi, non importa,»
aggiunse quando la vide tremare maggiormente. Isobel alzò lo sguardo di scatto,
mostrandogli il suo un po’ spaurito, ma estremamente determinato e infuocato
dalla passione. La giovane sorrise, prima lievemente, poi sempre con più
felicità e forza prima di baciarlo con passione.
« Lo porterò con me. Per sempre.»
L’atmosfera mutò di colpo e in un
attimo si ritrovò in un bosco, quello di Mystic Falls. Un uomo, lo stesso
ragazzo che era in quella stanza, solo più adulto e disilluso, stava poggiando
lo stesso bracciale su di una roccia ampia e bianca, totalmente levigata
accanto a un pino secolare nei pressi della chiesa diroccata dei Fell. Vestiva
con una camicia elegante, di raso nero, e un paio di jeans dello stesso colore.
All’anulare sinistro, come se fosse stata la propria fede, portava un anello. Guardò
il Sole e sorrise poi scomparve nell’ombra dei fitti alberi secolari, alzando
le foglie che stridettero per poi ricadere blande sul terreno. Aveva terminato
il suo compito.
« Nicole, stai bene?»
le domandò una voce conosciuta, femminile, preoccupata, facendola riemergere da
quella visione passata. Le stava premendo sulle braccia e Nicole lasciò cadere
il monile lungo la gonna ampia del suo bell’abito, facendolo rovinare a terra
con un tonfo appena percettibile. Aprì gli occhi, che non sapeva di aver
chiuso, e sobbalzò, prendendo un lungo respiro prima di puntare gli occhi in
quelli marroni e ansiosi di sua sorella. Un'altra mano, più grande e maschile,
era sulla sua schiena. Non servì volgersi per riconoscere il tocco del suo
amato Klaus. Il suo profumo era inconfondibile. Notò che non era più solo loro
sei in quella sala, ma si erano aggiunti anche gli altri Originali, suo
fratello Jeremy, sempre al fianco di Rebekah, e Bonnie accanto a Kol. Esther la
stava guardando e Nicole ricambiò lo sguardo, immergendosi per trovare un
conforto che la strega più anziana prontamente le offrì. Come avendo captato i
suoi pensieri, Esther annuì e le rivolse un sorriso ampio e pacifico, poi
Nicole tornò a sua sorella, « Cos’è successo? Cosa hai visto?» le chiese
preoccupata e ansiosa, temendo che avesse scorto qualcosa di estremamente
terribile, conoscendo sua madre. Invece aveva visto qualcosa di bellissimo. Suo
padre e sua madre. Innamorati come solo due ragazzi potevano esserlo. In
quell’istante comprese tutto. Suo padre era vivo e le aveva lasciato dei
messaggi per farle comprendere, ma non aveva voluto illudersi troppo in quei
giorni. Invece, in quel momento, era tutto più chiaro e limpido come le acque
di un lago, ma, per averne conferma, avrebbe dovuto guardare all’interno del
suo dubbio.
« A chi vai di
scoperchiare una tomba?» domandò ironicamente. Pronunciò quelle parole con
trasporto e un piccolo sorriso sulle labbra esangui. Persino Klaus sobbalzò di
poco nel sentirla parlare in quel modo. Elena la guardò sconcertata e sentiva
gli occhi perforanti di Jeremy fissi su di sé come per comprendere se non fosse
totalmente impazzita.
« Santo cielo, ma le
visioni fanno ammattire le streghe?» chiese con finta preoccupazione Damon
rivolto ad Esther e Bonnie.
« Nicole, sei seria?»
tuonò Jeremy, scostandosi da Rebekah, gentilmente, e avanzando verso di lei
sino a sfiorarle le spalle coperte dai suoi bei riccioli biondi. Klaus si
scostò per lasciarla sfiorare dal suo fratellino, e da lui soltanto, e Nicole
annuì, facendo comprendere a tutti che stava parlando sul serio. La
consapevolezza diveniva più forte ogni secondo che passava. Sì, John Gilbert
era ancora vivo. Non sapeva come e nemmeno perché, ma sentiva che suo padre
camminava ancora sulla Terra, « Per l’amor di Dio, la tomba di chi?»
« Di mio padre, ecco
di chi,» chiarì subito irritata che non la lasciassero andare. Non comprendeva
come riuscissero a domandarle quelle sciocchezze. Avrebbe dovuto lasciarla
fare. Voleva soltanto riabbracciare suo padre, percepire le sue braccia forti e
vigorose che la cingevano con dolcezza infinita, sentire il suo respiro calmo,
rivedere i suoi occhi chiari e splendidi come i propri. Invece doveva dar loro
spiegazione, come se fosse stata una
bambina e loro i suoi genitori. Però erano i suoi fratelli e lei non
doveva arrabbiarsi con loro senza una motivazione valida.
« Ma è morto da cinque
mesi. Cosa pensi di trovarci?» aggiunse Elena con la voce più acuta di
un’ottava scorgendo tutta la sua determinazione occuparle le iridi.
« Se non volete
venire, nessuno vi costringe. Ci andrò da sola. Come faccio tutto il resto da
una vita,» aggiunse con rabbia che non tentò nemmeno di celare. Odiava essere
trattata come una ragazzina e loro non ne avevano alcun diritto. Erano più
piccoli di lei e non sapevano cosa significasse sentire la magia spingere
dentro di sé per fuoriuscire e avvicinarsi all’anima della persona a cui più
voleva bene. Jeremy si scostò, come scottato dalle sue parole, sentendosi in
colpa perché sapeva che, alla fine, erano stati loro a lasciarla sola, almeno
da quando era tornata a Mystic Falls. Non rispettavano le sue decisioni, come
pensassero davvero che non fosse in grado di decidere per la sua vita. Invece
lei sapeva esattamente ciò che voleva, chi bramava al suo fianco, molto meglio
di sua sorella. Lei desiderava solamente Klaus. Elena le posò una mano sul
polso, bloccandola sul posto, « Elena, verrai con me?» le domandò cercando di
comprendere cosa risiedesse nella mente della sua sorellina. Anche lei si stava
convincendo a crederle. Forse anche lei poteva percepire che suo padre era
ancora lì.
« Sì,» asserì atona,
sebbene vi fosse una live sorpresa nella sua voce per ciò che ella stessa aveva
appena pronunciato,« Anche se credo che tu sia completamente uscita di senno,»
aggiunse con un velo di ironia mista a disappunto.
« Questa non posso
perdermela,» esclamò Damon, ridendo appena, gli occhi più brillanti del
consueto, « Ehi Stef, devi venire anche tu. Suvvia dopo la tomba di papà ci
vuole pure quella di Johnny,» aggiunse vedendo che suo fratello lo stava
fulminando con i suoi splendidi occhi verdi.
« Ti avrebbe piantato
un paletto dritto al cuore se ti avesse sentito chiamarlo in quel modo, caro,»
gli comunicò Nicole, marcando l’appellativo per fargli comprendere che il suo
tono era più che sarcastico.
« Nicole, tesoro,
davanti a Klaus,» alluse, guardando l’ibrido che si tratteneva a stento da sferragli
un pugno in pieno viso che, certamente, l’avrebbe fatto svenire, « No,» negò
facendole l’occhiolino. Per poco non scoppiò in un riso liberatorio. Tutta
quella situazione era ridicola e paradossale, ma smorzava la tensione vigente
tra i tre fratelli e probabilmente Damon lo stava facendo solo per non sentire
Elena soffrire per lei, « Lui mi stacca la testa e poi come faremo a…»
« Zitto, Damon,» lo
interruppe Stefan esasperato da quel comportamento infantile, « Prima che Klaus
ti stacchi davvero la testa. E ora, non so se ho capito bene,» continuò
guardando lei interrogativo.
« Ho visto mio
padre,» gli confermò sottovoce, temendo che, se solo l’avesse pronunciato a
voce più alta, quella consapevolezza nascente sarebbe stata stroncata, « E i
miei ricordi non sono normali. È come se qualcuno li governasse indirizzandoli
lì. E solo un vampiro può fare una cosa del genere.»
« Frena, frena,» esclamò
Jeremy incredulo, con le sopracciglia aggrottate e gli occhi assottigliati,
come se non potesse credere alle proprie orecchie. Quell’anello era
inequivocabile. Suo padre era un vampiro, « Stai dicendo che lo zio John è un
vampiro? Quello zio John? Quello che non ha fatto altro che uccidere vampiri da
quando è tornato a Mystic Falls?» le ricordò come credendola folle nel poter
anche solo pensare a una prospettiva del genere. Lui non sapeva che John
Gilbert avrebbe fatto di tutto pur di poter avere un altro giorno da vivere con
le sue figlie. Jeremy non lo conosceva bene quanto lei. Avrebbe fatto di tutto
per loro, anche gli atti più spregevoli. L’importante era saperle felici e al
sicuro.
« E che li odia così
tanto da ammazzarsi piuttosto che vedere sua figlia diventare una di loro?»
aggiunse Elena supportando suo fratello e screditando lei, come sempre. Percepì
una folata di vento provenire dalla porta della camera e tutti i vampiri si
volsero verso di essa, mentre Nicole rimase a guardare sua sorella, facendole
comprendere che quell’atteggiamento la feriva più di una lama di coltello.
« In questa città non
si può avere una presentazione garbata e veritiera,» esclamò la voce ironica e
strafottente di suo padre. Nicole trattenne il fiato per un secondo, poi si
volse, lentamente, sino a scorgere gli splendidi occhi di John. Il suo sguardo
si velò di lacrime colme di gioia e felicità mentre lo osservava. Aveva le
braccia conserte e fasciate da una camicia nera ed elegante, di lino, e
indossava dei jeans scuri. Certamente non era lo smoking per la serata, ma
Nicole lo preferiva vestito in quel modo. John non guardava altri che lei,
nemmeno Elena o Jeremy, solo e soltanto lei, sempre lei. Perché Nicole era la
sua piccola bambina innocente che non aveva mai abbandonato il sogno di vederli
nuovamente uniti, come la famiglia che avrebbero sempre dovuto essere.
« Papà,» lo chiamò
dolcemente prima di percorrere quel breve tratto di strada e gettargli le
braccia al collo. Lo abbracciò di slancio. Era più freddo, molto di più, ma non
le importava. Era sempre il suo caro John. Suo padre ricambiò subito la
stretta, cingendola con maggior vigore quasi issandola in alto. Nicole, sulla
sua spalla, pianse una sola lacrima nel sentire che no, non era solo la sua
immaginazione. Suo padre era davvero lì con lei e per lei.
« Bambina mia,» le
mormorò tra i capelli, facendola sentire così amata e adorata come soltanto
un’altra persona l’aveva fatto. Percepiva i suoi occhi, bellissimi come Oceani
di pace e di amorevole comprensione, fissi sulle sue spalle. Era felice per
lei, « Sono così fiero di te,» le confessò in un sussurro lieve, stringendola
ancora di più contro di sé.
« Lena, tutto bene?»
sussurrò Jeremy, avvicinandosi all’altra sua sorella che osservava la scena con
le labbra schiuse e gli occhi sgranati. Non poteva credere a ciò che stava
osservando e tremava lievemente. Si lasciò cingere dalle protettive braccia di
suo fratello, abbandonando il capo sulla sua spalla. Nicole non sbagliava mai,
sebbene fosse totalmente impossibile che John fosse lì.
« Non… non capisco,»
esternò mettendo a nudo tutti i propri confusi pensieri. John alzò lo sguardo
dai capelli di Nicole e la guardò a lungo, per la prima volta dopo tanto tempo
e quello sguardo le fece quasi sanguinare il cuore. Non avrebbe mai dovuto
esitare nel credere a sua sorella. Jeremy la lasciò andare, come per spronarla
ad aggiungersi a quello splendido abbraccio familiare, ma Elena rimase ancorata
a lui, come se avesse pensato che, se solo l’avesse lasciato, sarebbe crollata.
« Vi spiegherò tutto,
cara, non preoccuparti. È bello vedervi di nuovo insieme. Come una famiglia,» aggiunse,
scostandosi di poco da sua figlia che rimase al suo fianco. Sembravano due
schieramenti, non una famiglia, pensò distrattamente Klaus, osservando la
situazione dall’esterno. John e Nicole. Elena e Jeremy. Non erano insieme.
Osservò i propri fratelli e Rebekah gli fece un breve cenno di tornare con
loro. Mikael scrutava John come per trovare in lui un possibile nemico e, non
trovando nulla, sorrise lievemente. Era la stessa espressione di quando gli
aveva assicurato che avrebbero potuto tutti vivere sotto lo stesso tetto senza
uccidersi o azzannarsi a vicenda. In un secondo fu al fianco di sua sorella, agglomerandosi
alla sua famiglia finalmente ritrovata con la consapevolezza che avrebbe fatto
di tutto affinché perdurasse quella calma affettuosità.
« Zio, ma…,» si
interruppe Jeremy, osservandolo confuso di trovarlo lì. L’aveva visto morire
dinanzi ai suoi occhi, aveva scorto Bonnie mentre attuava l’incantesimo e aveva
letto il diario di Jonathan Gilbert. E invece John era ancora vivo e stava
abbracciando la sua sorellina con tanto di quell’affetto da poter colmare ogni
vuoto. E Nicole sembrava cotanto felice, in pace, completa da stringergli il
cuore in una morsa di puro dolore. L’aveva riavuto indietro. Aveva nuovamente
suo padre al suo fianco. Mentre lui aveva perduto il proprio per sempre. Quella
consapevolezza lo feriva, annientava tutte le sue forze e gli avrebbe fatto
versare molte lacrime se fosse stato solo. Però dinanzi a sé v’erano le sue
sorelle, nonché gli Originali e i Salvatore. John tentò di sorridergli, sebbene
avesse captato i suoi pensieri e carezzò la schiena di sua figlia, traendola
più vicina a sé, come se avesse timore che, se l’avesse per un attimo lasciata,
tutto quell’equilibrio si sarebbe dissolto dinanzi ai suoi occhi azzurri. Così
tanto simili a quelli del suo caro padre, ma insieme così diversi.
« Vuoi spiegarlo tu,
Nicole?» domandò gentilmente alla sua figlia maggiore, come soleva sempre
definirsi lei, prima di posare un dolce bacio tra i suoi profumati capelli
biondi. Nicole sembrò incredula che avesse lasciato a lei il compito di
esplicare ciò che erano soltanto supposizioni infondate e cominciò a rimuginare
un attimo sulle parole migliori da utilizzare prima di posare il capo sulla sua
spalla. E sorrise. Finalmente era casa.
« Se ho capito bene,
dovrebbe essere accaduto che il sangue di vampiro presente in Elena quando
Bonnie ha compiuto l’incantesimo, deve essere fluito dentro di te,
trasformandoti,» tentò velocemente di svelare ciò che la sua magia le stava
suggerendo con il suo linguaggio antico e incomprensibile per i suoi familiari.
« Quello che non
capisco è perché,» la interruppe Elena incerta e incredula, con le sopracciglia
aggrottate e le labbra lievemente schiuse, « Sei morto da cinque mesi. Avresti
potuto mandarci un segnale, un qualche… che so, un segno,» continuò con la voce
più acuta osservandolo quasi sino a perforarlo con quello sguardo indagatore.
Si fidava di suo padre, quello era certo, ma doveva, avvertiva un profondo
bisogno di sapere la ragione per la quale non si era rivelato subito a loro.
« Per questo posso
spiegarvi io,» mormorò gentilmente la strega originaria, spostando l’asse
dell’attenzione di tutti su di sé. Persino Mikael l’osservò confuso, con le
labbra serrate per comprendere il significato delle parole della sua amata moglie. Che quell’uomo che
stava stringendo con cotanto affetto quella che oramai era la donna di Niklaus
potesse aiutarli per perseguire nei loro intenti?
« Esther?» la chiamò
Nicole smarrita, ma non sbigottita o turbata. Si fidava di lei, quella
ragazzina dal cuore grande che aveva rapito l’unico figlio non avuto da Mikael.
E a ragione. Esther desiderava soltanto il bene per lei e sapeva benissimo che
Niklaus l’avrebbe portata all’oblio perpetuo. Non poteva permetterlo. Era la
sua ultima discendente. Senza di lei la sua dinastia sarebbe stata per sempre
perduta. Le Bishop si sarebbero estinte dopo più di mille anni. No, Nicole
avrebbe dovuto dimenticarsi di Niklaus e trovare un ragazzo umano che l’amasse
e fosse in grado di generare un erede capace di far continuare la dinastia.
« Sì, cara. Jonathan
non si è subito trasformato in un vampiro perché il sangue di Damon non ha
agito immediatamente,» spiegò loro. Damon ricordò in un istante la mattina
prima del sacrificio, quando aveva fatto bere il suo sangue ad Elena. Meglio
vampira che morta, si era detto, ed Elijah lo aveva avvertito affermando che
non avrebbe mai potuto ambire al perdono della donna che amava. La guardò con
la coda dell’occhio. Era sobbalzata, ma tanto impercettibilmente che nessuno,
nemmeno il suo caro Stefan, se ne era reso conto. A distanza di tempo la sua
scelta sarebbe stata sempre la stessa. Avrebbe scelto lei sempre e comunque,
perché amava quella splendida giovane donna che aveva tentato di trovare in lui
una luce che Damon stesso credeva si fosse oramai spenta. Aveva lottato, contro
di lui e contro il suo orgoglio. Avevano compiuto insieme un percorso che li
aveva avvicinati indissolubilmente durante tutta l’estate. Elena s’accorse del
suo sguardo ceruleo fisso su di sé e alzò i suoi grandi e dolci occhi da
cerbiatto, quasi smarriti e alla ricerca di una meta, sino a incontrare i suoi.
E tutto quel senso di turbamento scomparve dalle sue iridi.
« Possiamo dire che
non voluto collaborare,» scherzò John ilare continuando a carezzare la sua
adorata figlia. Klaus guardò la piccola creatura tra le braccia di quell’uomo
amorevole. Era sua, e quello gli era ben chiaro in mente, ed era felice, molto.
Non ricordava di averla scorta tanto contenta come lo era in quel momento e gli
dispiacque che non fosse stato lui a offrirle tutta quella gioia. Almeno sino a
quando Nicole non si volse per cercare il suo sguardo. Allora fu tutto
perfetto.
«
Serviva un elemento esterno e quindi, quando Abigail e Bonnie Bennett hanno
aperto la mia bara, la natura si è mossa. È complesso da spiegare a delle
persone che non conoscono nulla della magia,» aggiunse scrutandoli con
comprensione, ben capendo che per i Salvatore, i Gilbert e anche per i suoi
figli risultasse abbastanza difficile riuscire a comprendere come la natura si
muovesse e come le linee magiche si azionassero.
«
Vuoi intendere che le linee magiche si sono azionate come creando una scossa
elettrica che ha messo in circolo il sangue?» domandò Nicole interessata,
appassionata da quel racconto trasudante di magia antica e maestosa.
«
Esattamente.»
«
Ho sentito accadere una cosa del genere solamente in Australia,» rimuginò tra
sé l’ultima discendente della Bishop ancora stretta nell’abbraccio paterno.
Avrebbe bramato rimanere tra le sue braccia per sempre per trovare la pace di
cui necessitava per continuare a vivere. Suo padre era tranquilla pacatezza, un
fiume che scorreva blando, una certezza radicata nel suo animo. Ma desiderava
anche il fuoco ardente di passione dell’altro uomo della sua vita, il suo
Klaus.
«
Non ho capito molto, ma va bene lo stesso,» sussurrò Elena, prima di scostarsi
da Jeremy, ancora imbarazzata per quello scambio di sguardi avvenuto con Damon
pochi istanti prima. Era strano. Aveva percepito qualcosa nel suo cuore
muoversi e un successivo calore invaderle l’animo nel percepire gli occhi color
del cielo estivo di Damon fissi su di sé con tanta premura e considerazione.
Con Stefan quello non era mai accaduto. La spaventava la quantità di emozioni
che Damon era in grado di trasmetterle con un solo e unico sguardo,
impercettibile per gli altri. Sapeva trasportarla lontano dal mondo, facendola
quasi sollevare dal suolo per farle dimenticare ogni dolore. Era terrorizzata e
aveva tentato con tutte le proprie forze di fuggire da se stessa e dai suoi
sentimenti per il vampiro dagli occhi di ghiaccio. Se l’amore è vero, non puoi fuggire. Quelle erano state le parole
di Lexi. Aveva sempre pensato che il suo amore vero, epico e splendente fosse
Stefan. Però non era più così da molto tempo, oramai. Scosse impercettibilmente
il capo e avanzò verso l’uomo dinanzi a sé. Era a lui che doveva rivolgere la
propria attenzione in quel momento, « Papà,» lo chiamò per la prima volta
dinanzi a lui. John la osservò con un sorriso appena accennato sulle labbra
sottili come quelle di sua sorella. Nicole gli somigliava in tutto e per tutto,
dall’indole misteriosa e silenziosa all’aspetto, ed Elena sentì di provare per
lui lo stesso affetto che nutriva nei confronti della sua gemella, « Grazie per
tutto quello che hai fatto per me,» tentò di modulare la voce, per non far
trasparire tutta la propri emozione nel scorgerlo lì davanti a lei, e di non
tremare. Ma non ci riuscì. John sembrò sorpreso di vederla cotanto trepidante,
però le sorrise dolcemente, accogliendola. Nicole, comprendendo che volesse
abbracciarlo e stringerlo a sé, si scostò, impacciata e imbarazzata.
«
Oh sì, scusa,» sussurrò timidamente, osservandola con i suoi grandi occhi
azzurrini stretti e straripanti di felicità e gioia. Perché finalmente erano
una famiglia.
«
Venite qui entrambe,» esclamò John, attirando le sue figlie a sé in un
abbraccio dolce e amorevole, paterno e capace di rimarginare ogni ferita, « Non
potete immaginare quanto sia stato doloroso non avervi potute abbracciare
prima, piccole mie,» sussurrò accorato e mesto, stringendole con forza per non
lasciarle mai andar via. Elena quasi trattenne le lacrime. Non era un
tradimento. In quel momento comprendeva cosa Nicole avesse voluto esprimere. I
ricordi di Grayson e Miranda non sarebbero stati dimenticati per essere
sostituiti dai momenti con John. Potevano convivere senza essere un motivo di
imbarazzo o di costernazione. Potevano essere una famiglia e vivere
felicemente, rimembrando il passato, ma vivendo il presente e pensando al
futuro, « Mi dispiace tanto, Nicole cara. Ti avevo giurato che…,» continuò più
triste, quasi odiandosi per essere venuto meno alla parola data con la sua
figlia maggiore.
«
Va bene, papà. L’hai fatto per Elena, va bene,» mormorò accalorata, tentando di
far comprendere a entrambi che, davvero, andava bene così. John si era
sacrificato per Elena, per poterle far continuare la propria vita ed era giusto
che fosse così.
«
Però quello che hai…»
«
Solo un attimo,» lo interruppe, sciogliendo l’abbraccio, costernata, e
guardandolo direttamente negli occhi,
« L’ho pensato soltanto per un attimo, papà. E non puoi immaginare
quanto mi sia sentita in colpa per quello,» esclamò osservando da lui ad Elena
senza sapere con quale dei due scusarsi maggiormente. Era vero. Per un attimo
pensò che fosse tutta colpa di Elena se lei non aveva più il suo papà, ma dopo,
dopo che l’accidia e l’amarezza erano scomparse lasciando il posto al dolore,
tutto era tornato al proprio posto. Era certa che suo padre avrebbe fatto lo
stesso per lei.
«
Perché? È vero. È colpa mia. Io lo so che è mia la colpa, Nicole,» esclamò
Elena costernata, guardandola con quei suoi grandi occhi sgranati per
l’afflizione per la sua sofferenza immane. S’era sentita così sola senza il suo
papà. Ma era lì, con lei. E quello era l’importante.
«
Non parliamo di colpe. Non più e mai più,» affermò dolcemente posando altri due
baci tra i loro capelli ricci. Suo fratello sospirò e chinò il capo,
nascondendo le mani nelle tasche dei pantaloni di seta dello smoking di suo
padre. Si mosse inquieto e Nicole comprese cosa gli stesse passando per la
mente. Avrebbe tanto voluto rassicurarlo dicendogli che lui faceva parte della
famiglia più di chiunque altro, ma rimase in silenzio poiché John prese la
parola prima di lei, « Jeremy,» lo chiamò dolcemente per fargli alzare il capo.
Il ragazzo obbedì e i suoi grandi occhi scuri mostravano un tale senso di
smarrimento e abbandono da farlo sembrare un cucciolo spaurito. Mai l’aveva
scorto in quello stato e se ne preoccupò notevolmente.
«
Mi dispiace, zio, davvero. Ma avrei preferito che fossero altri a tornare, non
tu,» esclamò duramente tanto che Nicole chinò il capo, nascondendo delle
piccole lacrime che le stavano velando lo sguardo azzurrino, « Io ti voglio
bene, ma…,» si affrettò a spiegare, distendendo le mani dinanzi a sé per fargli
comprendere che non provava astio nei suoi confronti. Elena si mosse inquieta,
tra le braccia di suo padre e lo sguardo comunicava una preghiera. Lo stava
supplicando di non andare oltre, ma Jeremy aveva bisogno di sfogarsi, di
parlare, di far comprendere loro che quella situazione era tutto fuorché
idilliaca, « Oh Elena, non dire che non l’avresti voluto anche tu… Non fraintendermi,
Nicole, ti prego,» aggiunse scorgendo negli splendidi occhi della sua sorella
maggiore un dolore potentissimo e devastante. Era il suo sogno quello di
rivedere la sua famiglia finalmente riunita, ed era anche quello di Jeremy, «
Tu gli vuoi bene, lo capisco, ma non ha fatto che combinare casini. Ha ucciso
Anna, il padre di Tyler. E anche prima non è che fosse una bravissima persona.» John chinò il capo,
lasciando completamente andare le sue bambine. Tutto ciò che suo nipote stava
affermando era vero. Però desiderava talmente tanto essere al fianco di quelle
meravigliose e giovani donne che aveva amato sin da quando aveva scoperto la loro
esistenza nell’utero di quella ragazza che gli aveva rapito il cuore.
«
Faremmo meglio a uscire. Sono questioni familiari,» esclamò Elijah atono, ma
con forte decisione osservando che negli occhi chiari di quella che era la
donna di suo fratello brillavano delle lacrime che stava tentando di celare
persino a se stessa.
«
Ti ringrazio, Elijah,» sussurrò davvero grata di quella cavalleresca bontà
d’animo. Tutti uscirono, lasciando che i Gilbert potessero parlare come una
famiglia senza bisogno di intermediari e osservatori, ma rimasero quasi sulla
soglia, appropinquandosi alla scalinata che conduceva al piano inferiore,
ancora ricco di invitati. La musica arrivava soffusa alle orecchie sensibili
per captare ogni qualsivoglia suono. Era ovattata, ottenebrata dai loro
pensieri. Erano stretti in cerchio, alcuni, come Stefan, Finn, Elijah e i
coniugi Mikaelson, troppo assorti. Stavano tutti tentando di comprendere perché
stesse accadendo quello. Era sovrannaturale, andava contro tutte le leggi del
mondo eppure John Gilbert era ancora lì, pronto a combinar disastri,« Ascoltatemi un secondo,» esclamò
Nicole con voce arrabbiata dalla piega che stava prendendo quella serata.
Niklaus si volse verso la porta dello studio in cui si stava svolgendo quel
dialogo familiare. La scrutò come se avesse voluto disintegrarla con la forza
del pensiero per poter penetrare al suo interno e stringere la sua, e di nessun
altro, Nicole tra le braccia. Mai l’aveva udita cotanto indispettita e avrebbe
volentieri ucciso quel ragazzino strappandogli il cuore dal petto. Però aveva
fatto un patto con la doppelganger. La vita di Rebekah per quella di Jeremy. E
lui, per quanto potessero dir malignità, non era mai venuto meno alla parola
data. Era un uomo d’onore.
« Jeremy, tutto ciò che ho fatto è
stato per le tue sorelle,» cominciò
John ragionevole. Niklaus poté immaginarlo con i grandi occhi chiari come
quelli che tanto amava, sebbene non le avesse ancora rivelato nulla, spalancati
e comprensivi nel tentativo di far riflettere il suo unico nipote.
« Non è vero. Tu l’hai fatto per te
stesso, perché non sopporti i vampiri. E, din don, le tue figlie che razza di
fidanzati hanno? Persino il tuo orgoglio si è fidanzata con un Originale.» Klaus finalmente comprese la
provenienza di tutto quell’astio che aleggiava accanto alla figura della sua
amata e per un attimo odiò quel ragazzino sfacciato che stava tentando con ogni
mezzo di portarla via da lui. Nicole era sua. Assottigliò gli occhi azzurrini e
tentò di non serrare i pugni, sebbene sulle sue labbra rosse e piene apparve
un’espressione contrita e di puro disprezzo. Avrebbe ucciso chiunque si fosse
messo tra lei e quella piccola e giovane donna senza provare alcun rimorso o
scrupolo di coscienza, un’interiorità che gli era mancata non appena era
divenuto un vampiro.
« Ma che problema hai, Jer?» domandò Nicole davvero incollerita.
Quel tono lo rinfrancò, giovando al lupo dentro di lui, celato alla vista degli
altri, ma sempre presente. Un’entità silenziosa che sussurrava parole di
rancore infinito verso il prossimo.
« Il
mio problema è che lui è un mostro. E tu non sentirti esclusa da questo
discorso, Elena. Damon, sul serio? Non è tanto migliore di lui.»
« Jeremy, io non credo… che sia il
momento giusto per parlare di questo,» sussurrò
la doppelganger profondamente a disagio. Probabilmente aveva sperato che quella
ramanzina inadeguata fosse soltanto per Nicole. Klaus osservò Damon di
sottecchi. Sembrava abbastanza stupito, genuinamente si accertò, mentre Stefan
sembrava non essersi accorto di quel tono utilizzato da quella che oramai non
era più la sua fidanzata. Pensò che almeno una Petrova fosse stata in grado di
scegliere a quale dei due fratelli donarsi.
« Io, invece, sì. Sono stato in
silenzio, sempre. Perché per gli altri io sono soltanto il vostro fratellino.
Beh questo non è vero. Io sono vostro cugino e ora potete essere una bella
famigliola felice e chi se ne frega se i miei genitori sono morti? Ve lo dico io:
non frega a nessuno. Persino tu, Elena,» la accusò senza velare la voce da finte parole. V’era soltanto afflizione nella voce di
quel ragazzo e Klaus quasi fu in grado di provare compassione per lui. Doveva
sentirsi solo e quello riusciva a comprenderlo perfettamente avendo vissuto a stretto
contatto con dei fratelli che non erano propriamente i suoi.
« Come puoi dirmi questo? » quasi urlò sua sorella maggiore. Klaus
sentì provenire un singhiozzo dalle labbra completamente identiche a quelle
della donna che aveva amato e da cui aveva ricevuto soltanto umiliazioni e
dolori.
«
Forse non dovreste ascoltare,» esclamò Esther, scrutandoli tutti con aria di
materno disappunto.
«
Io ci sto provando, seriamente, ma è impossibile. Parlano troppo ad alta voce,»
ribatté Damon con un tono di falsa innocenza, tanto da beccarsi un’occhiata
torva da parte della strega Bennett.
« Io li ho visti morire davanti ai miei
occhi, Jeremy. Sarei dovuta morire anch’io e pensi che non mi sia sentita in
colpa vedendomi ogni giorno allo specchio mentre loro erano sotto quattro metri
di terra? Come credi che mi sia sentita, io?» continuò Elena ancora più addolorata
tanto da far muovere, inquieto e pronto come lui a entrare in quello studio e
stringere la sua damigella in pericolo, Damon. Stefan non sembrava toccato da ciò che stava avvenendo, o meglio,
quando Klaus tentò di scrutare negli occhi di quello che era stato come un
fratello per lui negli anni ’20, scorse il dolore di sapere che la ragazza
stava soffrendo. Però sembrava il dolore di un amico, non di un innamorato.
« Non volevo succedesse questo, Jeremy.
Davvero. Vorrei che ci fosse tuo padre al mio posto adesso perché lui è un
miliardo di volte migliore di me, sia come uomo che come padre. Ho fatto i miei
errori, lo so, ma ho completato la trasformazione per esservi accanto. Non sono
qui per far del male a nessuno né per giudicare o…,» la voce di John si spense per loro e
Klaus notò che qualcuno si stava avvicinando in una folata di vento gelido.
Percepì un profumo tenue, due gocce di Chanel n° 5, invadergli le narici.
Quella fragranza era ottima, sopraffina ed era appartenuta alle donne più
avvenenti del mondo. Si volse sino a incontrare delle iridi azzurre, con
qualche sfumatura grigio perla, della madre della sua Nicole. Sorrise divertito
di scorgerla ancora in vita dopo che le aveva espressamente ordinato di esporsi
al Sole senza la sua collana. Eppure era ancora lì e quello era ancora più
inspiegabile della presenza di John che stava continuando a parlare, ignaro che
a pochi metri vi fosse la donna che aveva amato più di se stesso.
«
Isobel,» la accolse divertito Damon con un sorriso sornione e storto. Isobel
sorrise, allegra quando lui. Indossava dei semplici jeans scuri e a sigaretta
che mostravano la snellezza delle sue gambe, delle decolté dal tacco 16 nere
anch’esse, e una camicia bianca di lino. I lungi ricci neri erano raccolti in
una coda alta e il bel volto sembrava ancora più pallido rispetto all’ultima
volta in cui l’aveva guardato, le labbra più esangui.
«
Felice di vedermi, Salvatore? Che discorsi noiosi. John è sempre il solito
pacifista. Le mie figlie stanno bene, sì?» domandò accattivante osservando la
porta dello studio con una certa soddisfazione.
«
Sai che farà Nicole quando ti vedrà qui, vero Isobel?» domandò Klaus brioso,
scoccandole un’occhiata in tralice, con la voce strascicata e lievemente
arrochita dall’ironia. Aveva
appreso che Nicole aveva promesso a sua madre che, se l’avesse vista un’altra
volta, le avrebbe piantato un paletto direttamente nel petto.
«
Mi pianterà un paletto dritto nel cuore, quella sciocchina,» sbuffò contrariata
e allo stesso tempo divertita, « Ma non deve per forza vedermi. Le daresti un
messaggio?» gli domandò celando la mano destra nella tasca dei pantaloni,
cercando qualcosa.
«
Non sono il tuo piccione viaggiatore, Isobel, né il tuo facchino. Ma mi piace
un po’ di wrestling femminile certe volte. Dammi qua,» esclamò allungando la
mano verso di lei. Isobel lasciò cadere un monile luccicante. Era un
braccialetto di piccoli diamanti che avrebbe potuto indossare una bambina molto
piccola. Aveva la catenina d’argento e, sotto quella luce, brillava come una
serie di minuscoli arcobaleni.
«
Lei sa cos’è. È stato un piacere rivedervi,» affermò prima di scomparire. Klaus
non conosceva la ragione dell’improvvisa stretta al cuore che lo colse
nell’aver quel minuscolo monile nella mano. Doveva appartenere a lei, alla sua
Nicole. Lo lasciò scivolare nella tasca dei suoi eleganti pantaloni di raso e
spostò il capo verso la porta dove poteva ancora udire delle voci concitate.
Quella sera tutto era ancora da scoprire.
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Ingiustificabile.
Questo ritardo è davvero ingiustificabile e mi scuso con tutte voi per avervi
fatto attendere questo capitolo per cinque mesi, ma ho passato dei brutti
momenti e la voglia di scrivere è scomparsa del tutto. Però odiavo lasciare
questa storia in sospeso, soprattutto perché ho in mente anche una seconda parte.
È prevista un’altra decina di capitoli per questa storia e la seconda parte
sarà un po’ più breve, sulla ventina massimo. Spero che le persone che
seguivano la storia non la abbandonino, ma capirò benissimo chi lo farà visto
il ritardo eterno. Aggiornerò a metà della prossima settimana, Giovedì, se non
prima. Un bacio grande e grazie a tutti coloro che hanno letto, recensito o
inserito tra le varie categorie la storia. Siete meravigliose.