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Autore: itsmalikswifegirls_    24/12/2012    1 recensioni
Alessia, una ragazza come tante, innamorata dei suoi idoli, ma con problemi sia verso se stessa, sia verso sua madre, si trova ad affrontare da sola il viaggio per realizzare i suoi sogni. E quando meno se lo aspetta, tutto diventa realtà. Riuscirà Alessia a conquistare il cuore di uno dei suoi idoli?
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO:
Ciao,sono Alessia,ho 16 anni, vivo da sola con mia madre, in paesino sperduto nei pressi delle Marche. Non ho mai avuto tante amiche, e passo il mio tempo tra la scuola, le lezioni di tennis, e la musica dei miei idoli. Ebbene sì, frequento il terzo anno di liceo delle scienze umane, che si trova nei pressi di casa mia, devo dire che non mi lamento, a scuola vado bene, ho la media abbastanza alta e non ho alcune insufficienze. Ma bando alle ciance, della scuola mi importa poco e niente, mi impegno solo per non sentire mia madre urlare; da come avrete capito non abbiamo buoni rapporti, lei crede ancora che io sia una stupida bambina nonostante abbia la “quasi matura” età di 16 anni. Lei non sopporta che io stia chiusa tutto il mio tempo in camera, ad ascoltare i miei idoli; i miei idoli sono 5 e sono proprio loro: gli One Direction. La loro musica riesce sempre a tirarmi su di morale, a farmi tornare un sorriso sul mio volto pallido e a non far riempire di lacrime i miei grandi occhi verdi. Non sono mai riuscita ad incontrarli e credo che sia uno dei più grandi sogni della mia vita,oltre quello di ritrovare mio padre.
 

Capitolo 1

 
Quella mattina era come tutte le altre domeniche, io che mi alzo alle 11, mamma che predica per casa prendendosela con non si sa chi;
Scesi velocemente  i quattro gradoni  di moquette del piano che mi separava dal resto della casa, e mi ritrovai in cucina con mamma che mi urlava dritto in faccia: “ti pare questa l’ora di mettere piede in questa cucina? Questa casa, cara mia, non è un albergo.” La guardai in cagnesco, dio, la odiavo, ripeteva sempre le stesse cose ormai “-No mamma, scusa mi sono svegliata tardi anche oggi. Devo fare qualcosa per te?-“ le chiesi facendo finta di essere davvero dispiaciuta; “-No Alessia, ormai ho fatto tutto io. Oggi devo andare da zia Anna, vieni vero?”. Mi alzai dalla sedia dove avevo poggiato il mio magro ed esile corpo cinque minuti prima, e senza guardarla dissi: “-Non ne ho voglia.” Mi aspettai qualsiasi cosa, un urlo, uno schiaffo, il solito insulto ma invece dalla bocca di mia madre uscì solo un flebile: “Non fa niente.” Cosa diavolo stava accadendo  a quella donna?
Tornai in camera ballonzolando per le scale, aprii il mio armadio e notai che era stracolmo di vestiti, ma tanto io avrei messo sempre i soliti. Mi cambiai velocemente e indossai un maglione caldo e lungo sopra un paio di comodi leggings neri. Mi accinsi a coprire le cicatrici e le recenti ferite che avevo lungo un braccio, perché sì, io ero autolesionista; lo ero diventata da due anni ormai, non riuscivo a smettere, è stato un impatto potente tanto quanto la dipendenza verso una droga. Scacciai quei pensieri dalla testa ed entrai nel piccolo bagno che si trovava nella mia stanza. Mi guardai allo specchio e truccai leggermente i miei occhi verdi, l’unica cosa che adoravo di me stessa, e mi ravviai i capelli rosso ramati che mi ritrovavo. Sono sempre stati brutti per me, lunghi, lisci come spaghetti e di quel colore che molte stupide ochette della mia età vanno a farsi fare dal parrucchiere; uno stupido rosso. Puah, come si poteva amarlo. Mi guardai infine, un’ultima volta allo specchio, e notai quanto chiara fosse la mia pelle, e come su di essa spiccavano le allegre lentiggini e quelle due piccole macchie rosee che formavano le mie morbide guance.
Sentii la porta di casa sbattere e dedussi che mia madre dovesse essere uscita per andare a fare qualche commissione. Scesi al piano di sotto, e mi accomodai sul soffice divano del mio enorme salotto. Accesi la televisione, litigando con il telecomando e mi apparve sulla schermata un volto che conoscevo fin troppo bene, era Niall Horan, uno dei miei cinque idoli, che stava dando un’intervista per chissà quale radio. Lo ascoltai, rapita, e le uniche cose che capii furono “concerto” , “One Direction”, “Italia”. Gli One Direction in Italia? Non potevo crederci. Era un sogno. Avevo sempre aspettato quel momento, e ora il mio sogno sarebbe potuto diventare realtà. Con un sorriso a 383 denti , corsi al piano di sopra e accesi il piccolo computer sulla mia scrivania, quando si accese digitai frettolosamente il sito di vendite di biglietti online e cliccai sulla finestrella che diceva “One Direction in Italy”; scoprii dunque, c he i miei idoli sarebbero venuti a fare tappe il 19 e 20 maggio  a Verona  e Milano. Diamine, dissi fra me e me, Verona è a sole 4 ore di treno da qui, potrei benissimo andarci da sola. Immaginai me al concerto, a cantare e vivere emozioni con loro, che seguivo ormai da due anni. Rimasi lì a pensare a  loro, e ai loro concerti, e non sentii la porta di casa riaprirsi e chiudersi violentemente per via del vento.
“ALESSIAAAA”-urlò mia mamma dal piano di sotto-“ sbrigati a scendere che qui è quasi pronto.” Sbuffai. Sicuro mi avrebbe chiesto di mettere la tavola, e mi avrebbe iniziato a trattare come una serva.  Pensai di chiedergli subito il permesso per il concerto che si sarebbe tenuto a maggio, quindi presi coraggio, mi strinsi nelle spalle e balbettai: “Mm-mamma, dovrei chiederti una cosa…” lei posò il canovaccio sul tavolo, mi guardò e disse: “Dimmi tutto Alessia.” La freddezza con cui pronunciò il mio nome mi lasciò di stucco, ma non potevo darmi per vinta, insomma, erano i miei idoli quelli per cui stavo lottando. “Il 19 maggio, i miei idoli, terranno un concerto qui in Italia mamma,  a Verona, insomma, io volevo chiederti il permesso per, ehm, poter andare.” Mamma iniziò a ridere, ma ridere proprio di gusto, mi fissò e rispose: “Alessia, no ma dico, sei impazzita? Io che lascio andare te, a 16 anni, a Verona per uno stupido concerto? Non se ne parla, e chiudo qui il discorso.” “Ma mamma..” provai a rispondere- “Alessia,ti ho detto di no, smettila.” Quasi urlo. Gli diedi le spalle e mentre correvo verso la mia stanza gli urlai: “sei la peggiore madre del mondo, ma adesso sono stufa, oggi stesso vado a  vivere da zia Anna.”
Passai le due ore seguenti, senza mangiare, preparando una borsa con tutti i miei vestiti più “belli” e i libri per la scuola, pensando alle parole che avevo detto prima a mia madre, ma non me ne pentii. Ero felice di aver messo in chiaro le cose una volta per tutte. Non si azzardò a salire in camera mia, né tantomeno a venirmi a dire qualcosa, ogni tanto sentivo il tintinnio delle posate mentre mangiava, la televisione ciarlare e il rumore della lavastoviglie messo in moto.
Ricontrollai diecimila volte il contenuto della mia enorme borsa, e quando fui certa di aver messo tutto l’indispensabile scesi le scale e mi avviai verso la porta in silenzio. Sentii alcuni singhiozzi e dopo essermi girata vidi mia madre seduta sul tappeto del salotto, mentre si asciugava due lacrime. Non mi fece nessun effetto, tutte le lacrime, tutto il peso e tutto il sangue che avevo gettato io per i suoi continui rimproveri, le sue continue sberle e i suoi insulti, pare non avessero mai destato nessuna pena in lei, perché ora avrei dovuto avere pena io per lei. Per salutarla le blaterai un semplice “ciao” seguito da un “non cercarmi, se avrò voglia di tornare lo farò di mia volontà.” E detto questo mi chiusi la porta alle spalle e mi ritrovai sola per la strada, e per il gelo di quel febbraio. 
  
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