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Autore: Nymphna    27/12/2012    5 recensioni
[Disney]1-Jasmine~ “Voglio volare” bisbigliò. Il vecchio Joe scoppiò in una risata strana, sguaiata, che sembrava l’abbaiare di un cane.
2-Cindy~ Lui l’aveva riconosciuta. L’aveva cercata. Ma, soprattutto, l’aveva trovata.
3-Ariel~ Quel ragazzo meraviglioso con la risata contagiosa e il viso impertinente l’aveva appena baciata.
4-Belle~ E lei voleva un’avventura? Lei chiedeva di avere qualcosa in più? Proprio lei, che non aveva mai fatto niente.
5-Esmeralda~ Prese un Tennessee Wisky e ne ingollò due grandi sorsi. Poi ripensò a Febo e la preoccupazione prese il sopravvento.
6-Aurora~ “Perché sorridi?” domandò la mora. “Ora ti racconto” disse Aurora, i capelli sciolti che si muovevano al vento “Anch’io ho trovato l’amore”
7-Jane~ "Io non voglio perdere la libertà. Ma soprattutto non voglio perdere papà. E nemmeno te."
8-Meg~ "Sei veramente … fantastica. Una forza” “No. Sono tremendamente sola”
9-Blanche~ "Ma quella sera il baco si era aperto e ne era uscita una meravigliosa farfalla.
10-A Whole New World~ Fine.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8, Meg.
(da martedì 13 a domenica 18 luglio)

 


Meg si stava pettinando annoiata i capelli guardandosi nello specchio della ribaltina. A diciannove anni, non aveva alcuna intenzione di proseguire la sua vita. Avrebbe voluto morire anni prima. Ursula, accanto a lei, si alzò e le andò alle spalle. Le sorrise. Anche lei aveva gli occhi viola ma i capelli erano scuri e folti come quelli di Esmeralda. Meg sapeva che Ade voleva averle tutte e tre, che erano le sue preferite. Meg sapeva anche che c’era una sola cosa che Ade voleva più di quel trio che stava creando: la libertà legale, non doversi nascondere. Sarebbe stato in guai seri.
Ade era simpatico e alla fine non la trattava male, ma essere costretta a ballare mezza nuda per degli uomini arrapati, andare a letto con i suoi amici, essere usata come una bambola senz’anima… Meg ne aveva abbastanza ma non poteva fare nulla per evitarlo, perché a diciannove anni, era costretta a farsi usare per far sì che sua madre sopravvivesse.
“Andrà tutto bene” mormorò Ursula dietro di lei, credendo che stesse pensando alla faccenda di Blanche Woodson “La storia sparirà come sabbia, vedrai”
“Forse sparirà dalla faccia della terra, ma di certo non dalla mia coscienza” ribatté appoggiando la spazzola, sospirando “Avete commesso un omicidio.”
“Non è morta, quella ragazzina” commentò la mora incrociando le braccia, con un’espressione fra il preoccupato e l’offeso.
“Grazie a Dio” ribatté Meg, per poi alzarsi e andare a sedersi accanto alla finestra della grande stanza. Ciò che più avrebbe desiderato, ciò che più avrebbe voluto, era riabbracciare sua madre e riavere la sua libertà. Ma sapeva che non le sarebbe mai stato concesso.
Improvvisamente sentì una porta chiudersi, anche se leggermente, al piano di sotto. Ursula aveva ricominciato a parlare, e prese il suo posto davanti allo specchio quando la rossa si alzò. Si avvicinò silenziosamente alla porta accostata e sbirciò fuori. Sentì un altro rumore, un passo leggero, e capì che in casa c’era qualcuno e che doveva fare qualcosa. “Scendo a prendere un bicchiere d’acqua” avvisò. Poi aprì la porta e si trovò sul pianerottolo della villa. Scese le scale lentamente, con il respiro tirato, piena di ansia, timore e … cos’era quell’altra cosa? Desiderio di libertà? Speranza? Se fosse stata la polizia e avesse detto la verità … forse avrebbe potuto finalmente essere libera.
Arrivò in fondo alle scale e quando si girò, quasi urlò dalla sorpresa: davanti a lei c’erano Esmeralda e Clopin, abbigliati di scuro, che alzarono lo sguardo su di lei simultaneamente, come gemelli. Li guardò un momento, portandosi la mano alla bocca.
“Meg!” sibilò Esmeralda, andandole incontro e abbracciandola “Meg, stai bene! Eravamo preoccupati. Dobbiamo andare via”
Nella mente della ragazza vorticarono così tante cose che anche la testa cominciò a girare, si appoggiò al muro e si lasciò scivolare fino a sedersi sul primo scalino. L’amica mora si accovacciò accanto a lei, mentre Clopin andava a rovistare chissà dove. Dobbiamo andare via, le aveva detto Esmeralda. Andarsene. Via. Lontano. Fuggire, e non doversi più concedere a uomini diversi per volere di Ade, non avere più alcun patto con lui, andare dalla madre e fuggire insieme … e poi … c’era anche Herc, ma non l’avrebbe mai ammesso a se stessa. Poteva andarsene? Guardò l’amica piena di speranza per un momento, ma poi desistette.
“Non posso” bisbigliò con voce rotta “Non me ne posso andare. Tu non capisci. Ade ha …”
“Capisco meglio di te” la interruppe Esmeralda prendendole una mano fra le sue, olivastre “Capisco tutto. Sono venuta per portarti fuori da quest’incubo, perché hai bisogno di qualcuno che ti aiuti a capire la verità. Sei sempre stata circondata di bugie, Meg, e tu non te ne rendi ancora conto.” Si sedette accanto a lei, con l’aria di una che ha molto da raccontare. “E so che non te ne andrai da qua finchè non ne sarai convinta. Perciò ecco qua la storia. Tua madre ti ha ingannata” Meg trattenne il respiro.
“Non è vero”
“Certo che si. Beh, all’inizio no, in realtà, è vero che lei aveva bisogno di soldi e ti ha venduta ad Ade per averne” Meg provò una fitta al cuore sentendo parole tanto vere e tanto dure “Ma quando ti ha data a lui tu eri minorenne. Prostituire minorenni è contro la legge. E quindi ti ha sempre venduta a cifre esorbitanti. Tua madre in un anno è diventata parecchio ricca” a Meg mancò il fiato. Non aveva mai pensato a questa possibilità, essere venduta a più caro prezzo. Le avevano sempre detto che era uguale a tutte le altre, che non era speciale. “Lei si è arricchita, e ha sposato Maximilian Woodson, il padre della ragazzina che è stata quasi assassinata”
“Non è vero” ripeté Meg sentendosi mancare l’aria. Sua madre non poteva essersi risposata con un uomo miliardario dopo aver abbandonato lei nelle grinfie di Ade… lasciandola a prostituirsi per tutti quegli anni. Non poteva essere vero. Sua madre sarebbe tornata da lei appena avesse avuto i soldi per cavarsela. Non poteva essere vero.
“Te lo posso dimostrare” insistette Esmeralda “Ma non qui. Non abbiamo molto tempo. Siamo venuti a prenderti, perché Ade ti terrà sempre qua. Ci sono dei contratti dietro tutta questa faccenda, delle promesse e degli interessi.”
“Cosa? Dimmi cosa. Io non me ne posso andare. Per mia madre” ripeté Meg deglutendo. Esmeralda sospirò profondamente.
“Tua madre è guidata solamente dall’ambizione” le disse poi “Si è sposata con il miliardario Maximilian Woodson, e quando lui è morto d’infarto, lei non ci ha pensato due volte: voleva tutta l’eredità per sé, quindi ha organizzato un modo di uccidere la figliastra, Blanche.”
“Non può averlo fatto”
“No, non lei. Proprio per questo ha chiesto ad Ade di aiutarla. Tu non ne sai proprio niente?” domandò, con gli occhi smeraldo piantati nei suoi. Meg abbassò lo sguardo. Tutto stava diventando chiaro, i pezzi del puzzle si stavano riunendo per formare l’immagine finale. Le sembrava finalmente tutto molto più chiaro. Ursula le aveva parlato di una donna che le aveva commissionato il lavoro, e c’erano state delle visite in casa, ma lei era sempre stata tenuta all’oscuro. Non credeva potesse trattarsi proprio di sua madre. Sua madre era sempre stata buona e aveva lavorato duramente per sfamarla quand’era piccola e il padre le aveva lasciate… ora che ci pensava, era vero che in effetti suo padre aveva lasciato una buona somma che in breve tempo era sparita in pellicce, aperitivi e serate fra i vip, ma la madre diceva che tutto ciò era per lei, per mostrarle il mondo più bello di tutti…
“Ursula” mormorò, la bocca secca. Esmeralda la guardò un momento seria, poi proseguì.
“Ha chiesto ad Ade di aiutarla perché aveva bisogno di una ragazza giovane, magari della scuola di Blanche, in modo da poter avere l’invito alla festa di Aurora Reale. Questa ragazza doveva abbindolarla, ma soprattutto doveva essere simile a me, perché in quel caso, davanti alla scelta fra una vita dietro le sbarre di una prigione e una semi libertà, sapeva che avrei scelto lui. Sapeva che non avrei potuto rifiutare la sua offerta, perché ci conosce troppo bene. E così, il giudice Frollo, l’amico di tua madre, avrebbe potuto avermi.” Meg la guardò con sguardo vacuo, senza riuscire bene a capire cosa stava dicendo. Sembrava un meccanismo così complicato, così freddo, così disumano… ma d’altro canto, le sembrava così realistico.
“Sei sicura?” bisbigliò “Mia madre non mi ha mai realmente voluta?” lo sguardo deciso di Esmeralda vacillò.
“Non è così che dovresti prenderla” disse infine, prendendole una mano “Se verrai con noi, io prometto che tu riavrai la tua vita, indipendente, libera e senza problemi con tua madre, Ade o chissà chi altro. L’unica cosa che dovrai fare è presenziare a due processi”
“No” rispose istintivamente la rossa “I processi no”
“Un processo è per me” la disse con slancio Esmeralda “Un processo è per me! Mi stanno imputando, capisci? Frollo, Ade e tua madre vogliono far ricadere la colpa della condizione di Blanche Woodson su di me. La ragazza che hanno usato per attirare la ragazzina alla festa era simile a me, e ora Frollo, che presenzierà all’accusa, vuole accusarmi e spingermi verso la scelta di cui ti ho parlato prima. Io sarei qua come te, come tante altre ragazze. Non potrei più uscirne, perché se non facessi ciò che vuole Ade, allora finirei automaticamente in galera. È un ricatto, capisci? Un ricatto esattamente come quello che sta imponendo a te. Ma tu non puoi vivere ancora qua dentro, Meg. Tu non puoi finire qua i tuoi giorni, fra uomini che pagano cifre esorbitanti solo per averti.”
“Voglio delle prove” mormorò Meg sentendo un lancinante mal di testa “Non ci posso credere” Esmeralda la prese saldamente per le spalle e la scrollò leggermente.
“Non ci vuoi credere. È diverso. Tu non vuoi crederci perché vuoi ancora bene a tua madre. Ma senza di te, io finirò qui. Tu rimarrai qui. La ragazza che ha drogato Blanche sarà impunita. I sette uomini che l’hanno stuprata, lacerandola e togliendole quasi l’opportunità di avere figli non saranno messi in galera. Blanche resterà in coma per sempre, e quando si risveglierà, vostra madre troverà un modo per liberarsene. Perché no, facendola sembrare pazza e chiudendola in un ospedale psichiatrico.” Disse duramente “Vorrei solo che tu mi dessi un’opportunità. Vieni con me adesso, e se non ci crederai, potrai sempre tornare”
“Es” chiamò Clopin avvicinandosi a loro col cellulare in mano “Mi dicono che Ade se n’è andato dall’Hell’s Fire. Sta venendo qui” la mora guardò Meg urgentemente.
“Dobbiamo andare. Vieni con noi. Ti prego” la implorò, stringendole forte le mani.
“Meg?” chiamò Ursula dal piano di sopra “Sei morta in cucina?”
“No, va tutto bene, ora arrivo!” esclamò Meg, non seppe nemmeno bene perché avesse mentito. Guardò Esmeralda confusa.
“Se non è la verità, mia madre …”
“Se non è la verità, allora tu andrai di nuovo con tua madre e troverete un altro modo per salvarvi. Te lo prometto” disse Esmeralda “La strada da seguire non è solo quella di mandare la figlia a prostituirsi. Non è questa la via. Tua madre la incontrerai al processo. Le potrai parlare. E se vorrai, anche prima.”
“Potrò chiederle perché mi ha fatto questo?” domandò Meg ancora confusa, ma quasi convinta a fuggire. Il cellulare nella tasca di Esmeralda vibrò.
“Certo. Potrai chiederle qualsiasi cosa. Saremo liberi. Ma tu dovrai aiutarci”
“Es, si sta facendo un problema serio” le interruppe di nuovo Clopin “E’ arrivato” Esmeralda lo ignorò deliberatamente e si rivolse all’amica.
“Allora, vieni?”
“Vengo”


La strana compagnia si fermò a prendere qualcosa da mangiare e bere alla Dream’s House. Oltre a Meg, c’erano Esmeralda e Clopin, felici ed elettrizzati per avercela fatta e per essersi salvati al pelo, una ragazza con grandi occhi azzurri che la scrutava incuriosita e un po’ preoccupata, un poliziotto biondo con una barbetta da capra e un’altra ragazzina, dai lunghi capelli castani, che sembrava essere stata al limite dell’infarto.
“Okay, ora ti presento i nostri amici” disse Esmeralda gentilmente, appoggiando una mano sul braccio di Meg “Questa è Jane, è stata lei che ha avuto tutte le intuizioni e che ha scoperto quasi tutto.” Jane fece un sorriso sghembo e alzò la mano in cenno di saluto, “Questo è Febo, il detective che si è preso carico di tutta la faccenda. Sembra stupido, ma in realtà è un bravo ragazzo”, Febo storse il naso, “E questa è Belle …” trattenne il respiro un momento “La ragazza di Adam Castle”
Per Meg fu un po’ come essere colpita al cuore da una pallottola. Ricordava cos’era successo pochi anni prima con Adam Castle, e certamente non era un episodio che amava ricordare. Era da quel momento che si era veramente resa conto di essere prigioniera, e che probabilmente non sarebbe più uscita dal giro. Persino in quel momento, ancora non si sentiva libera. La guardò un momento con interesse. Non sembrava affatto la ragazza che potesse piacere all’Adam che aveva conosciuto lei. Aveva gli occhi castani decisi e grandi, sormontati da lunghe ciglia che le conferivano un’aria da cerbiatto, i capelli castani mossi, lunghi, i tratti regolari, vestita bene, poco appariscente. Sembrava il prototipo della ragazza secchiona, quella che a scuola ha tutte “A+”. Si chiese cosa fosse successo ad Adam in quegli ultimi anni. Perché, da come lo ricordava lei, o la stava usando, o era solo una copertura per qualcos’altro.
“Adam Castle?” domandò, fissandola negli occhi. Belle mantenne lo sguardo. Per Meg fu un’esperienza insolita. Tutti distoglievano sempre gli occhi dai suoi, quando li guardava in modo penetrante. Sapeva che i suoi occhi viola perforavano l’anima. Quella ragazzina doveva essere veramente innamorata, per reggere il suo sguardo senza battere ciglio. “Da quant’è che state insieme?”
“Due settimane e mezzo” rispose l’altra. Meg sorrise quasi sprezzante.
“Dovrei fare una bella chiacchierata con lui”
“No, prima la fai con me” la contraddisse la ragazzina “Non hai niente da dirgli che non possa sentire anche io, ne sono sicura.”
“Perfetto” accordò Meg “Ma se non ti piacesse cosa sentirai, non dare la colpa a me”
“Ehi, ragazze” le interruppe Febo “Non scannatevi qui, è un luogo di pace. Meg, mi dispiace per ciò che ti è successo. Ora cercheremo di rimediare. Per prima cosa, cercherò di mettermi in contatto con tua madre, se la vorrai vedere. E poi, per favore, vorrei anche che frequentassi una psicologa per un po’ di tempo… la chiamerò io appena tornato in caserma. Provvederò a farti dire a che ora e quando, d’accordo?” Meg annuì “Avrai una scorta, ovviamente. Metterò alcuni dei miei uomini sempre intorno a te.”
“E dove starò?” domandò la rossa.
“Potresti venire a casa mia” propose Esmeralda “E’ sempre stata aperta per te” Meg le sorrise.
Lei ed Esmeralda erano uguali, ecco perché erano diventate amiche tanto facilmente. Entrambe avevano due lati di loro stesse. Uno era quello che mostravano al mondo, quello arrogante, autoritario, quello che le proteggeva. Ma poi, prese nel modo giusto, erano in realtà fragili e sensibili. Meg era contenta di passare
del tempo dall’amica, nel futuro prossimo. Sapeva che ci sarebbero stati discorsi spinosi, lacrime e sofferenza, ma non aveva intenzione di mollare. Questa volta era decisa a scoprire la verità su sua madre. Non aveva mai chiesto nulla, certa che ciò che le diceva Ade fosse vero. Certo, l’aveva insospettita il fatto che non le avesse mai mandato lettere o regali o cartoline, e ancora di più non era mai andata a trovarla, ma aveva sempre pensato che fosse perché era una donna impegnata a sopravvivere, senza tempo superfluo per cartoline d’auguri o visite da Ade. Aveva pensato che forse si era sentita inadeguata al posto, a disagio, o… si rendeva conto solamente adesso che erano tutte scuse che si era data nel corso degli anni. Esmeralda era arrivata ad insinuarle il dubbio, che si stava facendo sempre più forte, man mano che realizzava che era seduta a un popolare bar del centro con un poliziotto, che questo le aveva chiesto di andare da una psicologa per un tempo indeterminato e che avrebbe avuto una scorta nascosta da qualche parte dietro di lei ovunque andasse. Non si sentiva braccata, solamente in una situazione tremendamente seria.
Tornarono a casa verso sera, Esmeralda e Meg insieme, ma alla rossa non sfuggì il bacio nascosto che si erano dati l’amica e il poliziotto, e che si erano sfiorati le mani affettuosamente, fin troppo per essere solamente soci.
“Allora, con questo poliziotto?” domandò mentre Esmeralda apriva la porta di casa con le chiavi. Sorrise.
“Beh, mi piace.” Disse poi alzando le spalle “E’ intelligente, intuitivo, molto più aperto di idee rispetto a chiunque altro. Ha la sua testa e con quella ragiona, ha le sue idee e le rispetta. Certo, sarà anche un pallone gonfiato, a volte, un viziato, uno che crede di avere il mondo in mano … ma alla fine è gentile e farebbe di tutto per le persone a cui tiene. Mi ha salvato la vita, sai. Sotto la divisa, ha ancora le fasciature della pallottola che si è preso nel braccio per salvarmi.” Meg era a bocca aperta “Frollo aveva mandato un sicario per uccidermi, dopo che avevo rifiutato di concedermi a lui, sai. Ma non aveva calcolato che Febo sarebbe rimasto con me.”
“E’ una bella storia” commentò Meg entrando in casa.
Il piccolo appartamento di Esmeralda era disordinato ma accogliente. Davanti alla tv c’era un divano su cui erano buttate coperte e cuscini, dietro il quale c’era un piccolo tavolino rotondo con qualche sedia spaiata. Lì dietro, in una stanzetta a parte, c’era il cucinotto, accanto il piccolo bagno e in fondo alla stanza la camera di Esmeralda. Meg sapeva che l’amica non dormiva quasi mai nel suo letto, testimone era il divano disfatto.
La mora chiuse a chiave la porta, poi entrò in cucina e cominciò a preparare qualcosa da mangiare. Meg si lasciò cadere sul divano e fissò il soffitto, pensando che era una vita che non guardava un telegiornale. Accese la televisione e ascoltò le notizie che arrivavano dalla Siria, dal Texas. Ragazzo scomparso in Florida. Rapina in una banca a Washington. Manifestazione in Wall Street.
“Ed ora parleremo ancora del caso della ricca ragazzina ereditiera finita in coma meno di un mese fa.” Disse la voce della giornalista col caschetto nero che presentava le notizie “Siamo in collegamento con l’ospedale in cui è tenuta la ragazzina, a te la linea, John”
“Si, eccomi, Mary” disse un uomo con una camicia beije e un’orribile cravatta rossa sopra “Siamo davanti all’ospedale di cui non faremo il nome per privacy, la ragazzina è qua dentro e le infermiere dicono che è ancora in coma. La ricca ereditiera Woodson è in condizioni sommariamente buone, respira da sola e reagisce agli stimoli. Non è così, dottoressa Swann?”
“Esattamente, John” rispose l’infermiera “Sta bene, abbiamo speranza che si risvegli entro un breve lasso di tempo. Pensiamo che sia una ragazzina davvero forte, e ringraziamo tutti i ragazzi che le hanno mandato regali e testimonianze del loro affetto: le date molta forza”
“E in quanto agli uomini che l’hanno stuprata, sapete qualcosa?” domandò ancora John. Meg si mise seduta e si sporse in avanti. Non riusciva a credere che Ursula, la sua compagna di stanza, la ragazza che viveva con lei da anni, avesse fatto una cosa del genere.
“Si, stiamo lavorando sugli ultimi due dna. Hanno eiaculato all’interno della ragazzina, non è stato difficile trovare i residui e analizzarli. Ovviamente la polizia sta già lavorando sul caso e li sta cercando, stiamo mandando i risultati al commissariato di Manhattan e confidiamo nel lieto fine” concluse l’infermiera bionda, per poi ritirarsi.
“Bene, ed ora parliamo con il detective Sungood, che segue l’intera vicenda in prima persona.” Febo comparve nello schermo e Meg si morse un labbro. Chissà cos’avrebbe detto … se avrebbe parlato di lei. “Allora, detective, a che punto sono le indagini?”
“Abbiamo una buona pista” disse il ragazzo con un tono serio che Meg ancora non aveva sentito “Abbiamo trovato un testimone, ma rimarrà anonimo finché sarà suo desiderio rimanere tale. Stiamo risolvendo il mistero, ma ricordatevi solo questo: nulla è come sembra”
“Quanto gli piace fare queste battutine da film …” mormorò Esmeralda dietro di lei, facendola sobbalzare.
“Il testimone sono io, vero?” domandò Meg. L’amica alzò le spalle, passandole un piatto con degli involtini primavera e dei ravioli cinesi.
“Ovviamente. Ma puoi fidarti di lui, non dirà mai il tuo nome”
“Lo spero” disse la rossa mordendo un involtino.


Il giorno dopo fu per Meg decisamente traumatico, perché venne svegliata da Esmeralda che le annunciava che l’avrebbe accompagnata dalla psicologa, Febo le aveva dato il numero e l’indirizzo e aveva già preso appuntamento.
Meg non era mai stata da uno psicologo prima, ma se li aspettava davvero diversi. Si era immaginata una donna abbigliata con colori neutri, occhialini sulla punta del naso, capelli raccolti e l’aspetto trascurato dei topi di biblioteca. La psicologa Juno non era affatto così.
La accolse una donna alta un metro e ottanta abbondante, magra e slanciata come una modella, con una camicetta a mezze maniche di un intenso color fucsia infilata in eleganti pantaloni Prada. Lunghi boccoli biondi le cadevano sulle spalle come nuvole e gli occhi azzurro intenso davano alla sua espressione qualcosa di vibrante e vivo. Le tese la mano con unghie perfettamente curate e in tinta con l’abito e l’invitò ad accomodarsi. Meg entrò, sentendosi in imbarazzo in quello studio tanto luminoso e bello, arredato in maniera impeccabile e che rendeva perfettamente l’idea della personalità della dottoressa Juno.
“Vieni, cara, accomodati pure” disse indicandole una sedia imbottita, girevole “Sono felice di conoscerti. Io sono Aileen Juno, il detective Sungood mi ha chiesto di fare qualche incontro con te per discutere del tuo passato, aiutarti a superare il trauma e ricominciare una nuova vita.”
“Grazie” mormorò Meg incrociando le braccia, sentendosi terribilmente a disagio.
“Oh, tesoro!” esclamò la donna portandosi una mano alla bocca “Non farmi quell’espressione così ostile. Non voglio mica tirarti fuori il cuore, insomma! Vorrei solo sapere come stai, e se mi vuoi parlare di qualcosa. Dammi pure del tu, per favore. Vuoi una caramellina?” Meg declinò l’offerta, sentendosi ancora peggio. Si schiarì la voce riaccomodandosi sulla sedia.
“Sto… bene. Credo” disse poi “Insomma, non sto male”
“Sono contenta” sorrise la dottoressa Juno “Come ti sei trovata a casa di Esmeralda? Siete amiche da molto tempo?”
“Si, un bel po’.” Disse Meg. Avrebbe voluto trattenersi, non parlare, ma dopo aver trattenuto il respiro le parole le uscirono come un fiume in piena. La dottoressa le infondeva calma e sicurezza, come una figura materna mai avuta. Non assomigliava affatto alla madre, anzi, ma era terribilmente tranquilla e sembrava che non l’avrebbe giudicata. “Ci siamo conosciute un anno fa, poco prima di prendere il diploma insieme. Ade mi aveva detto che voleva anche Esmeralda nel suo trio. Ci chiamava le sue Parche… eravamo diverse dalle altre. Loro venivano chiamate Muse solo per farle sentire importanti, noi lo eravamo davvero. Vivevamo con lui, nella sua casa. Provvedeva lui a tutto. Ci dava nomignoli, anche, come “la tenditrice” o “la tagliatrice”. Non so perché avesse questa fissa, ma voleva me, Ursula e Esmeralda. Esmeralda non era così stupida da cadere nella sua rete come me, e nemmeno così ambiziosa come Ursula. Lei aveva sempre rifiutato di fare società con lui. Poi è successo il fatto di Adam, e da allora siamo diventate molto più amiche. Ade voleva che la portassi dalla nostra parte, a lavorare con noi, ma io non volevo, mi sono ribellata. Volevo parlarle, dirle di scappare, che mi stava per chiudere in casa per qualche motivo che non avevo capito… ma non ne ho avuto il tempo”
“Ho capito” annuì la dottoressa “Allora siete amiche da tempo. Mi hai parlato di un certo Adam … vuoi raccontarmi di lui?”
“Io …” mormorò la ragazza. Deglutì. Era una parte del passato di cui non voleva avere ricordi.
“Non sei costretta, se non vuoi”
“Lui era il ragazzo più bello della scuola” mormorò Meg “Era bellissimo. Aveva quei capelli lunghi, biondi, color miele, gli occhi magnetici, un corpo da favola. Era il migliore della scuola, aveva voti ottimi, varie borse di studio … era veramente una persona fantastica. Io me ne innamorai. Ero pazza per lui. Avrei fatto qualunque cosa pur di tenermelo accanto. Sapevo che piaceva anche a Esmeralda, e anche lei ci aveva provato con lui, forse in maniera più diretta… io un giorno, al Bazar, quando lo vidi che sceglieva una ragazza, lo portai nella stanza delle droghe e gli chiesi di fare l’amore con me. Gli offrivo il mio corpo gratis, in cambio di un po’ d’amore. Lui accettò. Ma poi non venne più per molto tempo. Non mi diede l’amore che desideravo, quello che gli avevo chiesto. Non venne mai da me. Così, un giorno, scappai dalla casa di Ade e andai a cercarlo. Lui mi disse che non aveva avuto tempo, che era stato via, all’università. Sembrava confuso, sembrava che non capisse cosa stesse succedendo. Io gli ho chiesto di portarmi all’università con lui, che sarei stata buona, che avrei lavorato. Gli dissi che l’amavo, che volevo stare con lui. Adam accettò di nuovo, poi mi disse di aspettarlo davanti alla scuola a mezzanotte. Andai lì e lo aspettai. Lo aspettai fino all’alba, poi, stanca, delusa ma ancora speranzosa, andai a cercarlo. Lo trovai al parco, perdeva sangue e non mi voleva parlare. Io lo aiutai. Lo portai all’ospedale e gli feci medicare la ferita che gli aveva inferto Gaston con dei vetri, penso. Per pagare l’operazione, rubai in una piazza. Poi, quando lui fu guarito, andai a trovarlo. Ma lui non mi voleva vedere, e quando mi gettai a terra, in ginocchio, supplicandolo di parlarmi, mi schiaffeggiò così forte da farmi uscire sangue dalla bocca. Tornai al bazar. E Ade mi punì. Non avrei mai più avuto la libertà, così mi disse.”
“E’ una storia molto triste” sussurrò la psicologa con le lacrime agli occhi “Oh, povera piccola … e ti è rimasto questo mostro nel cuore, adesso?”
“Lui è fidanzato” rispose Meg “E’ passata. E io…” la guardò di sottecchi. Non osava parlare di Herc. Non poteva parlare di lui. Se ne avesse parlato, ciò che provava per lui sarebbe diventato dannatamente vero. Ma lei sapeva che lui non avrebbe mai potuto ricambiarla, non Herc. Quel ragazzo era di buona famiglia, ricco, un ragazzo che andava bene a scuola, un campione di boxe, con uno stuolo di ragazze ai piedi. L’aveva visto qualche volta, da lontano, ed era sembrato così sperso, così gentile. Non le pareva che fosse cattivo. Forse, solo un po’ ingenuo. Ma un ingenuo, forse un po’ sempliciotto come lui, non poteva certo amare una ragazza come lei, complicata e con un passato oscuro alle spalle. “Io sono … beh, c’è un altro ragazzo.”
“Oh, che meraviglia. Vuoi parlarmi di lui? Ne sei innamorata?” domandò Juno, di nuovo allegra.
“No. Non sono innamorata di lui. Lui è solo uno dei tanti. Non credo sia diverso” disse alzando le spalle.
“Perché non provi a parlargli?” la incoraggiò la psicologa.
“Perché lui è un campione, è bello, è buono, è di buona famiglia, è ingenuo e… un megafusto. Un megafusto che non rivolgerà mai i suoi occhioni di zaffiro su di me. E comunque, non ho mica detto che sono innamorata”
“No, certo” confermò sorridendo la donna “Ascolta, Meg, io penso che ci dovremmo rivedere presto, che ne dici? La prossima volta potremo ancora parlare di questo megafusto e di come sta andando la tua vita. E, magari, parleremo anche un po’ della tua famiglia, d’accordo?” Meg annuì “Preferisci incontrarti qui o da un’altra parte? Per me va bene ovunque. Vuoi venire a casa mia?” il suo viso si illuminò “Potrebbe piacerti. È molto bella. Potrei offrirti la mia specialità, i biscottini con la gelatina di fragola. Ti piacciono i biscotti?” Meg sorrise. Quella donna le piaceva. Era gentile, disponibile. Le sembrava una mamma calorosa.
“Va bene” acconsentì “Posso avere l’indirizzo?”
“Oh, certo, certo” disse l’altra con un gran sorriso sulle labbra “Ecco qua”. Le consegnò un biglietto da visita con scritto sul retro l’indirizzo di casa “Che ne dici di dopodomani?”
“Okay”
“Allora ciao, Meg, a dopodomani!” la salutò con un abbraccio. Mentre Meg raccoglieva la borsa, alla psicologa squillò il telefono e corse a prenderlo nella borsa. La ragazza aprì la porta. “Oh, ciao tesoro. Si, tutto bene. Dopodomani viene a casa una paziente, una ragazza adorabile. Mi raccomando, non fare brutte figure!” Meg uscì, immaginando che stesse parlando col figlio. Sentì una fitta al cuore e uscì dalla stanza. Per la prima volta, nella sua vita, si sentiva terribilmente sola.


Esmeralda quella sera la portò a mangiare alla Dream’s House e poi in un tranquillo bar jazz in fondo a una strada di cui Meg non aveva mai sospettato l’esistenza. Febo le aveva accompagnate per assicurarsi che andasse tutto bene e per svagarsi, per una sera, così come anche Belle, Jane, uno strano selvaggio che continuava a chiedere “perché” di qualsiasi cosa, una ragazza di nome Cindy col viso gentile, il suo ragazzo Christopher, incredibilmente in tiro nonostante fosse una serata qualsiasi e Adam. A Meg non andava a genio la sua presenza. Non era più innamorata di lui, chiaramente, ma era ancora offesa. Il ragazzo, saggiamente, fece finta di non conoscerla. La salutò solo con un semplice ‘ciao’ quando si incontrarono. Quando si furono sistemati, Febo, Christopher e Adam andarono a prendere da bere, mentre il ragazzo che scoprì chiamarsi Tarzan rimase sotto il controllo di Jane. Meg si appoggiò a una mano guardando le cinque donne che cantavano sul palco. Erano abbigliate in modo strano, anni venti o trenta, e cantavano appassionatamente qualcosa che parlava di un eroe di tempi antichi. In quella, le si avvicinò discretamente Belle.
“Meg, Adam mi ha raccontato cos’è successo fra di voi” le disse timidamente “Mi dispiace molto. Vorrei dirti perché si è comportato così”
“Si è comportato così perché è come tutti gli altri, d’accordo? Mi basta solo questo” tagliò lei.
“No, non proprio. Non sei l’unica a cui sono successe cose orribili” Meg le rivolse un’occhiata annoiata.
“Non è lui la vittima, d’accordo?” Belle inspirò profondamente.
“Lo è stato. Permettimi di spiegare” Meg incrociò le braccia e si lasciò andare all’indietro, appoggiandosi allo schienale. La guardò. “Lui era amico di Gaston. Sicuramente saprai chi è. Gaston l’ha spinto ad andare all’università lontano, e quando lui è tornato per venire a trovare i suoi genitori, Gaston l’aveva diffamato davanti a tutti. La sua famiglia non lo riconosceva più, i suoi amici non lo volevano più nel loro gruppo, le ragazze lo guardavano come se fosse disgustoso, non aveva più proprio nessuno. I suoi migliori amici lo andavano a cercare per picchiarlo, capisci? Ecco come si è procurato quella cicatrice. So che sei stata tu a curarlo, ed è proprio per questo che lui …” frugò un momento nella borsa e tirò fuori una busta “Voleva darti questi. Sono i soldi dell’intervento” glieli porse, e Meg venne colpita dalla nuova consapevolezza del cambiamento di Adam. Si rese conto che per tutto quel tempo aveva pensato male di lui, mentre anche il ragazzo stava passando un periodo terribile. Guardò la busta e scosse la testa.
“Non c’è problema. Non mi servono soldi. Io l’ho fatto solo per amore” concluse, per poi alzarsi, lasciando Belle a bocca aperta, pronta a ribattere qualcosa che non disse mai. Meg decise di uscire un momento, aveva bisogno di un po’ d’aria, e magari di una sigaretta. Esmeralda gliene aveva comprato un pacchetto quella mattina, e un accendino con sopra dei disegni carini raffiguranti teschi e cuori. Appena uscita si appoggiò al muro dietro di sé e si accese la sigaretta. Aspirò il fumo a fondo, cercando di ritrovare il suo equilibrio emotivo. Gli eventi di quel giorno l’avevano sconvolta. In quel momento la porta del retro si spalancò ed uscì un ragazzo che subito si sedette a terra, nell’ombra della notte. Meg lo guardò un momento, senza riuscire a distinguerlo per il buio. Lì dietro c’era solo un piccolo giardino e una luce scarica sopra la porta. Il ragazzo sospirò.
“Atmosfera pesante, lì dentro, eh?” domandò Meg, senza sapere bene perché avesse parlato. Il ragazzo si girò e la guardò, e lei colse la sfumatura bionda dei suoi capelli ricci.
“Troppo. Avevo bisogno di prendere un po’ d’aria” ammise lui “Sai, non sono più convinto che i miei amici siano molto amici. Sto cominciando a farmi delle domande”
“Pessimo inizio” sorrise lei “Farsi domande sugli amici porta inevitabilmente alla rottura”. Seguì un momento di silenzio.
“E tu? Come mai avevi bisogno d’aria?” domandò poi il ragazzo.
“Perché la gente è meno peggio di ciò che pensassi” rispose lei evasiva.
“Non dovrebbe essere una buona cosa?”
“No, se ti sei prefissato di non contare più su nessuno” disse Meg sorridendogli. Il ragazzo si alzò e le si avvicinò.
“Comunque io sono Herc, piacere” disse tendendole la mano. Meg ammutolì. Herc. Proprio lui. ‘Merda’ fu l’unica parola che riuscì a trovare per definire come si sentiva in quel momento. Si umettò le labbra, deglutì, abbassò gli occhi cercando di non sembrare troppo impacciata e si fece avanti. Lo osservò per un lungo momento prima di infilare la mano nella sua, sorridendogli. Era veramente bellissimo. La forma del viso era già da uomo, con una fossetta sul mento e il naso dritto, il labbro inferiore leggermente più grande di quello superiore e un leggero accenno alla barba bionda sulle guance. Ma i suoi occhi chiari, i suoi occhi erano ancora da ragazzino, e vedevano il mondo ancora con semplicità infantile.
“Meg” disse lei stringendosi nella felpa leggera per il fresco dell’aria della sera. Quando arrivò alla luce, Herc la guardò trattenendo leggermente il respiro, poi le sorrise dolcemente, rendendo la sua espressione ancora più tenera. ‘Diglielo’, disse qualcosa nel profondo del cuore di Meg, ma lei non cedette e staccò la mano, aspirò un po’ di fumo e si appoggiò nuovamente alla parete con una spalla, sorridendo impacciata.
“Allora, Meg … mi sembra di averti già vista da qualche parte” attaccò bottone lui intrecciando le mani fra loro e mostrando i muscoli guizzanti dei pettorali. La ragazza deglutì.
“A scuola” disse poi “Andavamo alla stessa scuola. Eri piuttosto famoso. A che anno sei, adesso? Al secondo?”, erano parole che non avevano molto di gentile, un po’ per difendersi dall’emozione che le causava sapere che Herc non solo le stava parlando e le si era presentato, ma addirittura l’aveva notata da qualche parte, un po’ per scherzare, ma sembrò che lui ci fosse rimasto male, perché la guardò con i chiari occhi velati dalla tristezza, alzando le sopracciglia verso l’alto. Sembrava un cagnolino bastonato. ‘Oh, al diavolo’, si disse Meg, ‘Non puoi fare così. Non con me’.
“Ho finito questo mese” disse lui.
“Ah, complimenti. Hai intenzione di fare l’università?”
“No, vorrei continuare con la boxe.” Disse lui nuovamente felice, illuminandosi “Ho già fatto diverse gare, ma adesso comincerò seriamente. Ho diciotto anni ormai, sono nel mondo degli adulti” scherzò. Meg gli sorrise.
“Boxe. Meraviglioso. Ascolta… adesso devo andare” disse buttando la sigaretta a terra “I miei amici mi daranno per dispersa. Sono andati a prendere da bere, sai… magari ci vediamo dentro okay?” mise la mano sulla porta e si girò a guardarlo da sotto le ciglia lunghe “A presto, megafusto”
Il resto della serata era passato meglio di quanto pensasse. Adam e Belle se n’erano andati prima per passare un po’ di tempo da soli, mentre gli altri avevano intavolato un’assurda discussione dettata dall’alcool basata su elefanti rosa e bolle di sapone. Si divertì un mondo. Al momento di tornare a casa, quasi le dispiacque di lasciare la compagnia, perché in fondo si era trovata bene. Si addormentò col sorriso sulle labbra, sospirando, felice di aver parlato con il ragazzo di cui era innamorata da così tanto tempo.


Si presentò davanti alla casa della psicologa con un paio di jeans viola di Esmeralda e una camicetta bianca in perfetto orario. Erano le tre precise quando bussò alla porta. La dottoressa Juno le aprì. Era più bella dell’ultima volta, con i boccoli raccolti in un morbido chignon e un grembiule intorno alla vita. Sembrava circondata da un’aura dorata.
“Oh! Cara, come sei puntuale. Entra pure!” disse, aprendole la porta e affrettandosi a sciogliere il nodo del grembiule “Non pensavo arrivassi così puntuale, devo ammetterlo… io sono una ritardataria… ma entra pure, tranquilla. Vado a tirare fuori i biscotti dal forno. Stavo preparando una limonata dolce, ne vuoi un po’?”
“Grazie, dottoressa”
“Ti ho detto di darmi del tu” le disse con aria fintamente imbronciata, mettendosi i pugni sui fianchi “Ah, ma questi ragazzi d’oggi sono troppo beneducati … ai miei tempi, dare del tu a un’insegnante o a un dottore era d’obbligo, per sentirsi un po’ trasgressivi. Tesoro!” urlò dalle scale “Scendi, è arrivata la nostra ospite!” attese un momento ma non arrivò nessuna risposta dal piano di sopra. “Herc!!”
Meg venne assalita da una terribile sensazione. Herc. Aveva appena chiamato suo figlio Herc. Si guardò intorno come a cercare una via d’uscita, e venne colpita da una foto di famiglia. I tre erano sulle scale dell’entrata, in una bellissima giornata di sole, dietro di loro la villetta stile greco, candida, si stagliava contro il cielo blu. E poi c’erano loro. A sinistra, il padre, un omone che sembrava essere stato un sollevatore di pesi, con due braccia che erano quasi il doppio di quelle del figlio e un’altezza ancora superiore: rasentava chiaramente i due metri. Aveva una ricciuta barba bionda tenuta bene e aveva un caldo sorriso felice. A sinistra, Aileen Juno, la psicologa, raggiante nella sua camicetta di seta rosa pallido, che stringeva una spalla del figlio. E lì, proprio in mezzo a loro, c’era Herc. Bellissimo, con quei occhi da ragazzino divertiti. Era stato chiaramente colto nel bel mezzo di una risata. Meg provò il bruciante bisogno di fare dietrofront e andarsene da casa. Ma quando rivolse il suo sguardo alle scale lo vide lì, stupito quanto lei, con pantaloni di una tuta blu e una t shirt bianca, i piedi infilati in un paio di infradito, una fascia sulla fronte. Rimasero entrambi a bocca aperta per un lungo momento.
“Meg?” esclamò poi lui per primo. Meg sorrise debolmente.
“Eh, già. Com’è piccolo il mondo, eh?” disse, cercando di resistere all’impulso di mettersi a urlare e strapparsi i capelli, non sapeva bene se per il panico o per la gioia.
“Oh, ma allora vi conoscete già!” esclamò la madre di buon umore “Andate pure in salotto, cari, io vi porterò i biscotti!”. Sparì in cucina.
“Meg!” esclamò Herc passandosi una mano fra i capelli, disordinandoli in maniera talmente sensuale da far asciugare la bocca alla ragazza “Che sorpresa. Eri proprio tu allora, la ragazza di cui ha parlato tanto mamma… come va?”
“Bene, tutto bene. A te?” domandò lei cercando di sembrare felice.
“Tutto bene.” Sorrise imbarazzato “Vieni, andiamo in veranda. Farà più fresco che in salotto.” Meg lo seguì in una verandina meravigliosa. Era sopraelevata rispetto al giardino ben curato, di marmo e mattone, con delle comode poltrone intrecciate e candidi cuscini, una tenda li proteggeva dal sole ed effettivamente si stava da dio. Herc si sedette su un divano da due posti e Meg prese posto su una poltrona singola, sfregandosi le mani, cercando di trovarsi un po’ meno in imbarazzo.
“Allora… a tua madre piace cucinare, eh?” domandò.
“Si, moltissimo. Quando abbiamo ospiti a cena si scatena” ridacchiò “Una volta ha preparato un pasto da ristorante a cinque stelle, solo perché veniva un collega di mio padre a cena da noi! Una volta dovresti venire” Meg gli sorrise “Tua madre non ama cucinare?”
“Tasto dolente” disse Meg alzando le mani, cercando di sviare dal discorso, che stava andando sul pericoloso “Non mi piace parlare di mia madre”
“D’accordo, scusami” disse lui, e fra loro cadde un ennesimo silenzio imbarazzante.
Furono salvati dalla dottoressa Juno, che arrivò portando un vassoio gigantesco carico di dolci e limonata. Parlarono tranquillamente fra di loro, e Meg constatò di essere stata davvero stupida a non rendersi conto prima che fossero madre e figlio, perché erano perfettamente identici. Avevano gli stessi capelli biondi, gli stessi occhi azzurri giovani e luminosi, lo stesso portamento,lo stesso modo di cambiare umore in un secondo in base a ciò che veniva detto, la stessa risata. Erano veramente simili. Meg si sentiva un po’ un’estranea, quando si rese conto di quanto quella famiglia dovesse essere unita e quanto affetto doveva esserci fra di loro. Si sentiva tremendamente diversa, pensava quasi che fossero di due universi paralleli. Madre e figlio avevano una sintonia perfetta, finivano le frasi l’uno dell’altra ed avevano lo stesso modo di esporsi.
Dopo che il piatto di biscotti fu vuoto e la caraffa di limonata quasi finita, la dottoressa chiese ad Herc un po’ di privacy e il ragazzo andò al piano di sopra promettendo che si sarebbe messo ad allenarsi un po’ e non avrebbe spiato.
“Siete una famiglia così bella” commentò Meg quando se ne fu andato “Ora capisco molte cose di lui. Capisco perché è così buono, così fanciullesco, così gentile.”
“Oh, sono troppi complimenti” si schernì la dottoressa “Non abbiamo fatto niente. Io e Jupiter abbiamo solo cercato di fare le cose al meglio per farlo crescere corretto e onesto, e specialmente nel rispetto altrui. Non pretendiamo altro, e anche se è uscito da scuola con una ‘B’ invece che con una ‘A’, siamo felici perché sappiamo che ce l’ha messa tutta”
“Avrei voluto anche io avere dei genitori come voi” mormorò Meg.
“Vuoi parlarmi della tua famiglia? E di Ade?” domandò Aileen.
“Non ho un granchè da dire” ammise Meg stringendosi nelle spalle “In realtà mio padre sparì quand’ero ancora piccola, andò solo via, lasciando a mia madre un’eredità buona. Mia madre usò tutti i suoi soldi per comprarsi pellicce e andare a feste e aperitivi qui a Manhattan, dicendomi che era tutto un gioco per me. Questo finchè i soldi non sono finiti, e lì sono cominciati i problemi. Usciva ogni settimana con un uomo diverso, lo accompagnava a ricevimenti o feste e tornava a casa la mattina presto, stanca e spettinata. Non si prendeva nemmeno il disturbo di portarmi a scuola. Quando ho compiuto quattordici anni mi ha mollata ad Ade, dicendo che lui mi avrebbe fatta lavorare e che i soldi che guadagnavo l’avrebbero aiutata a sopravvivere. Io sono andata a vivere da lui, aveva il contratto della mia custodia, perciò stavo nella sua villa. Di mia madre non ho più saputo nulla fino a quattro giorni fa, quand’ho scoperto che è una puttana assassina” la dottoressa si esibì in un sospiro sconsolato, scuotendo la testa.
“Quanto mi dispiace. Queste cose non dovrebbero accadere al mondo. Ecco perché faccio la psicologa, per aiutare le persone a ricominciare dopo un’esperienza così terribile” commentò “E di Ade, vuoi dirmi qualcosa?”
“Ade non era cattivo con me. Mi portava regali. Faceva ridere. Era un po’ un esaltato” disse Meg “Gli piacevo moltissimo, e io sono stata la prima delle Parche. Mi ha garantito un’istruzione e una vita decente per il giorno, ma la notte cambiava tutto. La notte diventava irritabile, a volte violento. Ci portava in macchina fino al Bazar e ci costringeva a ballare per gli uomini. La prima volta che sono dovuta andare con uno di loro ero terrorizzata. Poi, col passare del tempo, tutto è diventato normale. Dovevo solo ricordarmi ogni tanto di fare finta di ansimare o di provare piacere. Tutto qua.”
“Ti andrebbe di fare una visita ginecologica, un giorno di questi? Per verificare che vada tutto bene?” Meg assentì “Mi hai parlato di Parche, e mi ricordo che nella mitologia greca erano tre donne che gestivano la vita delle persone. Tu che ruolo avevi?”
“Quella che tagliava il filo” disse Meg “Ade diceva che posso essere letale” seguì un breve silenzio.
“Meg, vorrei parlare con te ancora di una cosa” le disse gentilmente la dottoressa “Ma è molto importante. La prossima settimana, martedì alle nove in punto, si aprirà il processo per ciò che è accaduto a Blanche Woodson. Il detective Sungood sostiene di avere tutte le prove e i testimoni necessari e io confido in lui. Ma c’è bisogno di te, lì. Come Esmeralda ti avrà detto, lei è accusata di aver drogato Blanche, e tu e un altro ragazzo siete gli unici a poter sostenere il contrario. Te la senti di partecipare?”
“Si, l’ho già detto a Esmeralda. Testimonierò a suo favore.” Disse Meg.
“Voglio essere sincera con te, Meg” disse Aileen sospirando e appoggiando i gomiti alle ginocchia “Dopo questo processo non sfumerà tutto nel vento come quando si tratta di un semplice furto. Dopo questo processo ne nasceranno altri, perché verranno fuori realtà scomode per Ade, Frollo e tua madre, Grimilde. Anche loro saranno imputati, ma con l’aiuto tuo e di altre persone, potremmo riuscire a fermare il male almeno una volta. Potremmo avere un lieto fine. Ma ci sarà bisogno che tu, Meg, racconti tutto. Abbiamo bisogno che racconti la tua storia davanti a un tribunale.”
“Come andrà a finire?” bisbigliò la ragazza.
“Se intendi come andrà a finire per te, spero che sarai libera di gestire la tua vita come meglio credi” sospirò la donna “Ma per loro finirà male. Ade avrà l’ergastolo, insieme a Frollo, mentre Ursula, che il detective Sungood ha trovato, e tua madre credo avranno la pena capitale. So che è dura, Meg, è per questo che ti chiedo se te la senti di presenziare anche ai successivi processi”
“La pena capitale…?” mormorò improvvisamente sentendosi senz’aria.
“Si… vedi, ci sono diversi crimini imputati a entrambe” prese alcuni fogli e cercò quelli giusti “Tua madre ha venduto una figlia, ha ordinato un omicidio e presumibilmente ha anche ucciso Maximilian Woodson. Hanno trovato nella sua autopsia delle tracce di farmaci letali per lui, malato di diabete. Ha trattato con un’attività di prostituzione minorile e ne ha guadagnato soldi, riciclandoli con il matrimonio. Quanto ad Ursula, lei ha compiuto l’atto. Blanche è in coma, perciò non sappiamo se sarà ergastolo oppure pena capitale, dipende tutto da ciò che succederà alla piccola. Solo allora potranno decidere. Ma se morisse… oh, non voglio nemmeno pensarci. Quanto ai sette uomini, finiranno anche loro in carcere, li hanno trovati. Era un’associazione conosciuta da Ade.”
“E io?” domandò Meg, confusa “E Blanche Woodson? Blanche si troverà senza una famiglia.”
“C’è una via d’uscita, ma…” si morse un labbro “Non sarà facile, Meg, voglio essere sincera con te. Davvero. A essere onesti, è un’opportunità che nemmeno io mi sentirei in grado di accettare così su due piedi. Vedi, tu e la piccola Blanche siete legalmente sorellastre. Se tu accettassi la sua custodia, lei sarebbe automaticamente affidata a te, e voi sareste una famiglia. Ma devi già ricostruire la tua vita pezzo per pezzo, non credo che tu te la senta anche di prendere a carico la vita di una ragazzina.”
“Hai ragione” mormorò Meg “Ma vorrei pensarci un po’”
“D’accordo, hai ragione. In ogni caso, hai tempo. Vedi, il primo processo sarà martedì, ma poi passerà del tempo prima che ci siano anche gli altri. Quindi pensa pure tranquillamente. Hai diritto di scelta, bambina” disse sorridendole.
“Quando ci rivedremo?” domandò Meg alzandosi, un po’ turbata.
“Dopo il processo, che ne pensi? Così potrai parlarmi delle tue impressioni. In fondo, il processo è solamente martedì, e oggi già siamo a sabato. Goditi il week end mi raccomando” disse sorridendole. Meg annuì e si avviarono verso la casa. Quando furono nell’entrata, la dottoressa urlò ad Herc di scendere a salutare e lui si precipitò di sotto inciampando nelle infradito, leggermente sudato.
“Allora ciao, Meg. A presto. Herc, accompagnala al cancello” la salutò “A presto, cara” poi tornò in cucina. Herc la guardò sorridendo, alzò le spalle e la accompagnò.
“Ti sei trovata bene?” domandò poi.
“Molto. Hai proprio una bella famiglia” si complimentò la ragazza. Herc le aprì il cancello, poi vi si appoggiò con un braccio.
“Meg, volevo sapere… ti andrebbe di… ecco… potremmo… come dire… uscire insieme, un giorno” Meg sorrise arrossendo leggermente, ma nascondendosi abbassando lo sguardo.
“Va bene” acconsentì “Domani? È domenica, potremmo andare al cinema”
“Ottima idea. Ho visto un nuovo film che è uscito, ed è veramente forte!” esclamò il ragazzo felice.
“Perfetto. A domani allora.”
“A domani”


L’indomani Meg era così nervosa che anche Esmeralda se ne accorse, e quando si vestì con un abitino lilla e si guardò allo specchio, trovò che fosse stato un peccato non aver vissuto un’adolescenza come quella di tutti gli altri. Era bello sentire l’emozione del primo appuntamento, che non implicava niente che centrasse col sesso, ma solo quelle strette nel basso ventre, quella voglia di sentire la mano di Herc intorno alla sua e… sorrise e si sentì quasi bene. Da un lato, sapeva che non gli avrebbe mai detto che a lui ci teneva. Però era bello cullarsi nell’illusione che tutto sarebbe andato bene. In fondo, ne aveva bisogno. Doveva sentirsi almeno un po’ normale.
Herc la passò a prendere con la sua Ford bianca alle cinque e andarono tranquillamente fino al cinema, dove lui le pagò l’ingresso e le offrì i pop corn. Meg non seguì una parola del film, non le interessava affatto. Continuava a lanciare sguardi ad Herc, a desiderare di parlargli, ma si accorse di essere stata un’incosciente a uscire con lui con quella facilità. Chi le garantiva che non l’avrebbe ferita, che non l’avrebbe delusa? Chi le diceva che non aveva un secondo fine? Chi le diceva che non voleva qualcosa di più che una semplice uscita? Perché Meg, paradossalmente, dopo aver avuto così tanti rapporti, si era resa conto di avere una paura pazza ad averne uno. Non se la sentiva di mostrarsi senza vestiti a un ragazzo meraviglioso come Herc, si sentiva quasi solo in colpa per offuscare la sua luce. Lui era un ragazzo così meraviglioso, con una vita così bella e perfetta, mentre lei era così incasinata e piena di problemi.
Finito il film doveva avere un viso che non prometteva nulla di buono, perché Herc non le parlò molto. Doveva essersi accorto che c’era qualcosa che non andava. Alla fine decisero di andare a fare un giro al parco, e uscendo dalla macchina lei inciampò e quasi cadde, se lui non l’avesse sorretta. Lo guardò con un timido sorriso, poi si andarono a sedere su una panchina.
“Domani ho un incontro di boxe” esordì Herc, con un sorriso.
“Oh. Meraviglioso” asserì Meg “Buona fortuna”
“Grazie” disse il ragazzo sorridendole “Sai, quand’ero piccolo capivo di essere un po’ speciale… nel senso, fortunato. Avevo una bella famiglia, una passione, andavo abbastanza bene a scuola, ma ero una frana con le ragazze. Avrei tanto voluto essere un ragazzo… più banale, pur di conquistarne una” Meg non poteva credere alle proprie orecchie. Si strinse nelle spalle.
“Meglio così. Almeno non sei come tutti gli altri: meschino e disonesto. I ragazzi non badano mai ai sentimenti altrui” protestò veementemente.
“Non tutti sono così!” protesto Herc convinto.
“Si, lo sono”
“No, non è vero. Tu non lo sei.” Disse con un sorriso incoraggiante “Tu sei la più meravigliosa ragazza che io abbia mai conosciuto, davvero. Sei splendida. D’accordo, probabilmente hai avuto un passato che non ti meritavi, ma sei veramente… fantastica. Una forza”
“No. Sono tremendamente sola” le sfuggì, per la prima volta in vita sua “Mi sento terribilmente sola. Non ho mai avuto intorno qualcuno che mi volesse realmente bene. Certo, Esmeralda me ne vuole, ci somigliamo molto e sicuramente diventeremo grandi amiche, ma… per me è ancora distante. Io ho bisogno di un… un…” gesticolò in cerca delle parole giuste.
“Un punto di riferimento?” le suggerì Herc, colpendo nel segno. Meg assentì.
“Tutti mi hanno sempre tradita oppure usata per qualche scopo. Non ho mai potuto scegliere ciò che volevo, non ho mai avuto la libertà. La mia stessa madre mi ha venduta pur di avere soldi e…” il ragazzo le mise la mano sulla bocca, e Meg alzò lo sguardo su di lui.
“Io non voglio sapere niente di ciò che ti è successo, se tu non vuoi dirlo, se non ti senti pronta ad affrontarlo.” Le disse, infondendole un senso di calore che non aveva mai provato “Meg, io non potrei mai, mai fare una cosa del genere. Vorrei solo… cercare di essere il tuo punto di riferimento, ecco.” Meg si sentì tremendamente commossa. Herc le aveva preso le mani per enfatizzare le sue parole e lei si sentiva persa e all’orlo delle lacrime insieme. Lo guardò negli occhi, accorgendosi di avere i lucciconi.
“E io non voglio usare te” disse con enfasi “E soprattutto non voglio ferirti né rovinarti la vita. Quindi penso che dovremmo…” cominciò, cercando di trovare le parole migliori per dirgli addio. Perché non potevano stare insieme, erano troppo diversi, anche se le parole del ragazzo l’avevano colpita profondamente nell’anima. Ma lui la bloccò, sporgendosi in avanti e sfiorando le labbra con le sue, leggermente, come un sospiro, facendole capire quanto il suo sentimento fosse grande. Quando si staccò, i suoi occhi erano carichi di una tenerezza indescrivibile.
“Meg, a me non importa.” Disse poi “Tu non mi rovineresti mai la vita e io lo so. Mi sono… mi sono innamorato di te dal primo momento in cui ti ho vista, tanto tempo fa. Ho solo avuto in mente te, per tutti questi anni. Meg, quando sono entrato a scuola il primo giorno, e tu mi sei passata a fianco io… io mi sono innamorato. Senza che nemmeno tu te ne accorgessi. Quando eri innamorata di Adam, io ero lì ad osservarti da lontano. Quando Adam se n’è andato, io ho sofferto perché tu soffrivi. Ed ora…”
“Anche io” lo interruppe Meg, incapace di contenere oltre i suoi sentimenti “Anche io mi sono innamorata di te, come una pazza. Lo so che morivo dietro ad Adam, ma ero solo una ragazzina e non capivo niente della vita. Ho fatto follie per lui, si, ma le persone… le persone fanno sempre cose pazze, quando sono innamorate. E io ho fatto la mia per lui. Ma poi sei arrivato tu. Tu sei accecante, luminoso, caloroso e…”
“E innamorato di te” disse lui con un sorriso. I suoi occhi dolci erano disarmanti e ben presto Meg si ritrovò, oltre ogni previsione, a stringersi al petto del ragazzo, disperatamente, con foga, come se lui fosse realmente la sua unica ancora di salvezza. Si sentì ben presto carica, come un vaso, e quella fu l’ultima goccia.
Meg cominciò a piangere. Non pianse solo per la commozione, per la felicità, ma pianse anche per sua madre, per essere stata abbandonata, usata, sfruttata, per essere stata costretta a diventare una persona fredda e passiva, pianse perché finalmente era libera, perché aveva capito che non esisteva solo il male al mondo ma perché ora sapeva che c’erano anche le persone che combattevano contro il male, persone come il detective Sungood, persone come Aileen Juno, persone come Herc. E queste persone ne avevano trascinate altre nel vortice della loro bontà. Esmeralda era capitolata davanti a Febo, Clopin l’aveva seguita, e ora anche lei.
Fu quello il momento in cui capì che essere buoni non era facile e non era privo di responsabilità. Capì quanto rischiavano tutti quanti e fu quello il momento in cui capì che se lei non avesse fatto qualcosa, Blanche Woodson non avrebbe mai avuto una famiglia, non avrebbe mai sorriso e non avrebbe più avuto affetto. Non se la sentiva da sola, chiaramente, doveva mettere a posto i frammenti della sua vita, ma era ciò che doveva fare anche quella ragazzina. Ed era il momento di assumere le sue responsabilità. Era il momento di passare dalla parte delle persone buone, coraggiose, quelli che rischiavano anche la vita pur di portare un po’ di felicità e un po’ di giustizia al mondo. Pianse perché finalmente aveva trovato il suo posto nel mondo. E quel posto era accanto ad Herc e a quella ragazzina a cui era stato strappato un pezzo di vita.


Aileen Juno non si mostrò troppo sorpresa quando Herc si presentò a casa all’una e mezzo di notte, con Meg con il trucco chiaramente colato e le guance ancora appiccicose dalle lacrime. La accolse gentilmente, le offrì una fetta di torta e le diede un pigiama e una vestaglia che le andavano perfettamente. Si sedettero tutti e tre in veranda e la psicologa tirò fuori dalla tasca del pigiama un pacchetto di sigarette che Meg non si sarebbe mai aspettata di vedere fra le mani della donna. Ne offrì una alla ragazza, Herc rifiutò cordialmente e le due si misero a fumare.
“Allora, che avete visto al cinema?” domandò la madre, ma notando il silenzio dei ragazzi capì che erano state ore inutili al fine della comprensione del film. Si mise a ridere “Sapete, anche Jupiter mi aveva portata al cinema al primo appuntamento” dichiarò “Eravamo così giovani… avremo avuto si e no la vostra età!”.
Chiacchierarono tranquillamente per una mezz’oretta, poi la dottoressa disse ad Herc di farle vedere dov’era il bagno e di darle due asciugamani puliti in caso avesse voluto farsi una doccia, dopodiché sparì nella camera dove russava il marito. Il ragazzo le mostrò tutto e Meg lo seguì col sorriso. Si rese conto che era la prima volta che sorrideva a lungo dopo anni e si sentì davvero soddisfatta.
“Ma tua mamma… cioè… non dice niente, che irrompo così in casa tua e ora mi fermo anche a dormire qui?” domandò intimidita, entrando nella stanza a tetto spiovente di Herc, al terzo piano. Il ragazzo socchiuse la finestra e poi la guardò teneramente.
“Io penso che se l’aspettasse. È una psicologa, capisce la nostra mente meglio ancora di noi” le ricordò. Meg annuì e si fece avanti nella stanza in colori azzurro e blu, forse un po’ infantile, ma tremendamente da lui. C’era un sacco da boxe appeso nel bel mezzo della stanza. Il ragazzo le fece cenno di avvicinarsi al letto e Meg provò un primo fremito di paura, prima di avvicinarsi e prendergli la mano. Si sedette, Herc si sporse e la baciò. La sentì probabilmente più rigida, quindi sorrise e le permise di sdraiarsi. “Se hai qualcosa in contrario, vado a dormire sul divano” disse esitante.
“No. Resta” disse Meg, e quando furono sdraiati, abbracciati, e la ragazza si accorse che Herc aveva autocontrollo e che il suo respiro era rimasto regolare, nonostante la vicinanza, e che non la sfiorava nemmeno, si sentì al sicuro. Lo abbracciò e lui fece altrettanto e la ragazza si addormentò felice, fra le braccia del ragazzo più splendido sulla faccia della terra.


Il giorno dopo Meg si sentì in dovere di incontrare sua madre, così chiese al detective Sungood di fargliela incontrare. Si videro nel suo ufficio. La donna era dietro le sbarre e la ragazza si sedette davanti a lei, sulla sedia di plastica. La guardò a lungo, ma Grimilde sembrò non riconoscerla, anzi, non le rivolse la parola fino alla fine. Meg ebbe il tempo di esaminarla, nel frattempo. I capelli corvini erano stretti dietro il capo in uno chignon, gli occhi verdi, della stessa forma di quelli della figlia, erano circondati da trucco pesante. Il rossetto era rosso scuro, quasi viola. Indossava un elegante tailleur Dolce&Gabbana, e delle Jimmy Choo con un tacco spaventosamente vertiginoso. I gioielli erano chiaramente Gucci. Meg si sentì offesa profondamente. Rimase in silenzio finchè la madre non si girò, stufa di essere fissata.
“Allora, che vuoi? E chi sei, ragazzina?”
“Divertente” commentò Meg “Non ti ricordi nemmeno più chi ti ha portata a tutto questo”
“Che domande, mi ci sono portata da sola.” Ribattè la donna. Meg si stava infuriando, ma cercò di mantenere la calma.
“Certo, mamma” sottolineò tagliente la ragazza. E fu quello il momento in cui Grimilde si girò verso di lei e la osservò per la prima volta, boccheggiando. Si soffermò specialmente sui suoi occhi e sul suo corpo incredibilmente magro, poi si alzò e si aggrappò alle sbarre.
“Meg? Sei veramente tu?” bisbigliò.
“Si. Sono io.” Confermò la ragazza stringendo la mascella.
“Meg… io… io non pensavo che… io stavo venendo a prenderti!” esclamò infine. Ma a Meg non sfuggì quell’esitazione, non le era scappato un solo gesto della madre, non aveva perso di vista nemmeno un secondo i suoi occhi, così chiari. Si alzò per essere alla sua stessa altezza, e si rese conto di essere più alta di lei, perché riusciva a raggiungerle gli occhi senza tacchi. Puntò gli occhi nei suoi.
“Smettila con queste stronzate” sibilò Meg, furiosa e implacabile “La sappiamo tutte e due la verità. Tu mi hai venduta, perché sapevi che ci avresti guadagnato qualcosa. E dopo esserti arricchita grazie alla prostituzione di tua figlia minorenne, dopo esserti sposata con un brav’uomo miliardario, non hai saputo resistere ad avere qualcosa in più, perché sei troppo ambiziosa per saperti dare un limite. Tu hai ucciso quell’uomo e stavi uccidendo sua figlia, di quattordici anni, la stessa età che avevo io quando mi hai venduta ad Ade” Grimilde boccheggiò ancora, impallidendo “Io ho creduto in te per tutti questi anni, ho sempre creduto che ti stessi battendo strenuamente per la vita, per venirmi a prendere e invece sono stata solo un’illusa, perché mentre io soffrivo e perdevo la mia adolescenza, tu stavi a goderti i tuoi soldi. Ed ora, cosa credi che faccia? Che lasci perdere? No. Io ti manderò dove meriti di stare, perché hai già seminato troppo dolore. Sai perché ho voluto incontrarti oggi? Non per dirti addio. Ma per dirti che non è finita. Non è finita qui. Voglio mostrarti chi è che è dietro le sbarre, adesso, chi è che ha perso. Io prenderò la custodia di Blanche Woodson per darle una famiglia, non per i suoi soldi. E tu, tu finirai solo dove avresti meritato di andare anni fa” concluse con rabbia. Poi si girò, fece un cenno di saluto a Febo e uscì, senza curarsi del pianto disperato della madre, che l’aveva illusa, che aveva finalmente capito di essere stata battuta e che non poteva più farci niente. Un’unica cosa Meg sperava: che soffrisse almeno quanto aveva fatto soffrire lei.


Si diresse all’ospedale in cui era ricoverata Blanche. Voleva vederla almeno una volta, prima di diventare la sua tutrice legale, sperando che si risvegliasse. E se non si fosse svegliata, Meg non sarebbe entrata nella sua proprietà. Non le avrebbe preso un soldo. Non si sarebbe concessa nulla di ciò che si era permessa sua madre. Entrò nella sua stanza e la vide sdraiata, lì, i capelli ordinati sotto la nuca, un dolce sorriso sulla labbra. Prese una sedia e si sedette accanto a lei, poi le prese una mano fra le sue, sospirando.
“So che ti senti distrutta” mormorò “Mi dispiace. È tutta colpa di mia madre. Ma io mi prenderò cura di te, se ti sveglierai. Te lo prometto. Ti farò da sorella maggiore così come avrei dovuto fare molti anni fa. Ti aiuterò come nessuno ha mai aiutato me. Ci riprenderemo la nostra vita, d’accordo?” Blanche sospirò e Meg quasi si spaventò, ma poi capì che era solo un segno del fatto che l’aveva sentita. “Stiamo sistemando tutto. Ah, che stupida. Non mi sono ancora presentata. Io sono Meg. Piacere di conoscerti” la ragazzina strinse le dita nelle sue e Meg si sentì accettata da lei, si sentì già legata a questa sorellastra con la vita semi distrutta. “Svegliati, ti prego” mormorò ancora una volta, per poi alzarsi e baciarle la fronte. Ciò che la stupì di più, quando si alzò per andarsene, fu che Blanche stava sorridendo fiduciosa. E non era solo un’impressione.


L’ultima tappa di Meg in quella giornata impegnativa fu la palestra in cui Herc stava per disputare il suo incontro di boxe. Aveva avvisato Aileen che avrebbe fatto un po’ tardi, lei non aveva fatto domande e le aveva raccomandato di chiamarla una volta che avesse finito con i suoi impegni.
Raggiunse la palestra proprio quando il ragazzo stava per salire sul ring e si andò a sedere in prima fila accanto ai genitori, vedendo per la prima volta Jupiter, che era un nome che calzava a pennello a quell’omone dalla voce tonante ma gentile. Si presentò con un sorriso e una poderosa stretta di mano, un pacco di pop corn appoggiato sulle ginocchia.
Quando Herc salì sul ring e vide Meg, le rivolse un grande sorriso. Aileen balzò in piedi urlando incoraggiamenti, mentre Jupiter battè un pugno sul proprio ginocchio esclamando: “Eccolo, il mio ragazzo!”. Meg si limitò a sorridergli. Ma a lui questo sembrava bastare.
Il duello cominciò. Herc aveva il casco azzurro come la dentiera e i guantoni, mentre calzoncini e scarpe erano bianchi con due righe abbinate al resto della divisa. Il suo avversario era un nero addirittura più grosso di lui, ma la ragazza non ci mise molto a capire che era uno svantaggio: il biondo era più agile e veloce e nonostante i pugni dell’altro fossero pesanti e ben calibrati, lui riusciva a saltellare da una parte all’altra e schivare i movimenti dell’altro. Il round non durò molto, prima di decretare al giovane diciottenne la vittoria sull’afroamericano.
Gli altri due round andarono ottimamente e il ragazzo ne uscì con qualche livido ma nulla di più, e quando alzò le braccia al cielo e rivolse un sorriso alla sua famiglia, Meg si sentì scaldare il cuore: era di nuovo fiduciosa.


 

Quella sera andarono tutti insieme a mangiare in un ristorante famoso e molto rinomato a Manhattan, la Reggia del Sultano, per festeggiare la vittoria del ragazzo su tutti i rivali: aveva perso solamente un match. Era veramente un campione. Meg era felice di trovarsi fra loro: si sentiva circondata d’amore e di affetto, nei suoi confronti e in quelli degli altri. Le sembrava di essere in una meravigliosa rete dorata in cui voleva restare. E quando brindarono al successo, pensò che per lei non era solo quello di Herc, ma anche il suo, quello del bene contro il male, quello della fine di un’epoca buia. E in quel momento, sentì che la giovane Blanche si era risvegliata. Se lo sentì nelle ossa, e per poco non scoppiò a piangere dalla felicità. Quella notte dormì nuovamente dalla famiglia Juno, fra le braccia del suo campione, del suo megafusto. Del suo punto di riferimento.

 











Nymphna's Space: Ciao a tutti! :) Come state? Ci tenevo tanto a postare questo capitolo oggi e ho passato le ultime ore a scrivere, ho fatto una maratona anche per questo capitolo di Meg xD Domani parto e per qualche giorno non sarò a casa, vado in Sardegna :) Comunque. Meg è un personaggio che è stato difficile da prendere ma facile poi da usare. Non so perchè ma per tutto il tempo sono tornata una persona negativa e ho avuto paura di commenti negativi. Speriamo di no, perchè io ci ho messo tutto l'impegno ^^ So che Meg è un po' diversa da com'è nel film, so anche che di Ade non si è parlato moltissimo, ma ho preferito concentrarmi sui primi passi della rinascita di Meg, della sua consapevolezza e soprattutto del lieto fine, perchè nel prossimo capitolo parlerò di Blanche e quindi non avrei potuto quasi parlare dei processi e delle conseguenze. Almeno credo. xD In ogni caso, spero che il capitolo sia piaciuto lo stesso.
Ehi, ma ci credete che questa fic è quasi finita??? O.o Io mi sento come fossi in punto di morte, veramente xD Ma preferisco non pensarci troppo per ora. In ogni caso, abbiamo solo ancora due capitoli dopo questo!! Ma bando alla nostalgia. Grazie a Sissyl, Merychan e Dora93 per le vostre affettuosissime recensioni, sono felice che Jane vi sia piaciuta ^^
Un bacio a tutti, e buon Natale anche se in ritardo ;)
Alla prossima!
Nymphna <3

   
 
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