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Autore: mamogirl    27/12/2012    1 recensioni
{Seguito di Love Story}
Natale, un periodo da trascorrere insieme a chi si ama e alla propria famiglia. Perchè una famiglia lo è anche se disfunzionale, anche se i rapporti con il proprio padre funzionano tramite assegni e soldi o se di un padre non si è mai vista l'ombra.
E così erano le famiglie di Brian e Nick. Ed è così che riuscirono a farle diventare un'unica famiglia.
La loro.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Brian Littrell, Nick Carter
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love Story'
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Our troubles will be miles away
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La seconda tazza di caffè era ormai quasi terminata. Nick la scosse per recuperare le ultime gocce prima di tentare di fare centro nel cestino con il bicchiere ormai vuoto. Lo mancò di pochi centimetri e la tazza andò a scontrarsi contro la sua precedente sorella, avendo anch’essa fallito il volo.
Davanti a lui, la sua scrivania era completamente sommersa da appunti, copie di quadri che dovevano essere infilati in qualche mostra o ancora catalogati, mentre in sottofondo le grida dei bambini risuonavano nel suo cervello come se stessero urlando direttamente nelle sue orecchie. Tutto ciò che realmente Nick voleva fare era tornare a casa e rintanarsi fra le coperte, possibilmente dopo esser riuscito a convincere Brian a bigiare tutti i suoi impegni e riposarsi con lui. Ne avevano entrambi bisogno ed era per questo motivo che stavano aspettando il giorno di Natale con così tanta frenesia. Non solo per i regali, non solo per i dolci e quel pranzo di cui già il suo stomaco stava preparando spazio sufficiente. Soprattutto per staccare la spina e respirare finalmente un po’ di calma e tranquillità. Anche se, tecnicamente, avrebbero davvero potuto riposarsi senza fare nient’altro solo il giorno successivo perché, anche quell’anno, Brian avrebbe tenuto aperto il locale per tutti coloro che non avevano nessuno o nessuna casa dove festeggiare quel giorno.
Ma era anche per quello che amava Brian, per quella sua capacità innata di saper riuscire a riunire così tante persone e così differenti l’una dall’altra e renderli un’unica famiglia. Anche solo per un giorno.
Eppure, non doveva essere una sorpresa visto il modo in cui lo aveva fatto sentire sin dal primo momento che si erano incontrati. Prima di lui, aveva sempre evitato le relazioni serie quasi come se fossero una nuova peste bubbonica, sicuro che non appena avesse abbassato le sue difese sarebbe stato colpito lì dove avrebbe fatto più male. D’altronde, che cosa ne poteva sapere lui dell’amore se non quello che aveva visto bruciarsi fra i suoi genitori? Fin da quando si poteva ricordare, non erano mai stati affettuosi l’uno con l’altro: non si tenevano per mano, a malapena si scambiavano qualche parola quando erano tutti insieme in una stanza e sempre con lui come messaggero. Nonostante ciò, quando lo avevano preso da parte e informato che si sarebbero separati, lui ne era rimasto completamente sconvolto: erano pur sempre i suoi genitori, era pur sempre la sua famiglia che si stava sgretolando senza che lui potesse dire o fare qualcosa per impedirlo. Il passaggio ad incolparsi era stato breve, specialmente quando aveva scoperto che sarebbe stato suo padre ad andarsene. Suo padre, l’uomo con cui non riusciva a legarsi nemmeno sul colore preferito, l’uomo che gli era sempre sembrato così imponente e inquietante, con quello sguardo sempre serio e l’espressione che ti faceva intendere che ti stava giudicando, anche se non diceva mai niente.
E lui... oh, Nick sapeva di non aver mai fatto altro che deluderlo. Per prima cosa, non aveva mai sopportato i figli dei suoi altolocati colleghi barra clienti barra amici, bambini spocchiosi che già a tre anni guardavano tutti dall’alto in basso, ragazzini che facevano cerchia con quelli che erano simili a loro e che tenevano a debita distanza chiunque fosse differente. A lui, persone di quel genere non erano mai interessati. Sua madre gli ricordava sempre di quanto avesse sempre cercato la solitudine, anche da piccolo: gli bastava un foglio e delle matite colorate per far passare le giornate, incurante dei gridolini estasiati di altri bambini che giocavano a calcio o si rincorrevano. Non che fosse stato un solitario perché di amici ne aveva avuti, non molti, ma erano anche le stesse persone con le quali ancor in quei giorni si sentiva ogni settimana e si incontravano per bere qualcosa. Certo, ora erano tutti cresciuti e al loro incontri s’erano aggiunti i rispettivi compagni, ma erano ancora quegli strambi bambini a cui non era importato da che tipo di famiglia provenisse.
Ma ciò non andava bene a suo padre, glielo aveva letto negli occhi nell’unica festa di compleanno a cui aveva partecipato in undici anni di vita di suo figlio. Aveva visto l’espressione con la quale aveva scrutinato ogni suo amico e quell’infido messaggio che gli aveva comunicato senza parole: mi aspettavo meglio da te.
Era quella l’unica lezione che aveva imparato stando con suo padre: per ogni cosa, anche la più stupida, lui poteva e avrebbe dovuto fare di meglio. I voti a scuola, i corsi al pomeriggio, le mille feste a cui partecipava e socializzava a modo suo. Che eufemismo! Non faceva altro che combattere quella dose quotidiana di veleno che gli veniva inflitta da suo padre, da quel silenzio che era diventata una dolorosa abitudine e il dolore che vedeva ogni giorno negli occhi di sua madre ad ogni relazione che naufragava. Sì, incolpava lui, suo padre, per la sua infelicità, lui che dopo poco aveva trovato qualcuno con cui non aveva avuto problemi a dimenticare di aver già avuto una famiglia. Una moglie. Un figlio.
L’altra notte – in realtà, qualche ora prima – ne aveva parlato a lungo con Brian. Parte di quel rancore era nato dall’ignoranza e dall’illusione di sapere che cosa fosse l’amore. No, in quegli anni non aveva saputo che cosa fosse realmente l’amore e, come qualsiasi bambino figlio di genitori divorziati, il suo più grande desiderio era stato quello di vedere suo padre tornare indietro e sua madre riprenderlo.
Ora, soprattutto ora con Brian, sapeva che l’amore non funzionava in quel modo. Non era solamente stringersi la mano o scambiarsi tutti quei gesti che erano stati catalogati come “segni d’affetto”. L’amore non era solo un bacio appassionato o trascorrere tutta la notte fra le braccia del proprio compagno. L’amore era imparare a condividere, a essere forti nei momenti più difficili e lottare con tutte le armi a disposizioni per non perdersi e cadere.
“Se ti fossi trovato nelle condizioni di tuo padre, se ti fossi reso conto che il tuo vero amore non era tua moglie ma un’altra, che cosa avresti fatto?” Gli aveva domandato Brian, il viso appoggiato nel palmo e lo sguardo fisso su di lui.
“Non lo so. Lo sai che non ero sposato!”
“Sii serio! – Lo aveva ripreso Brian e un sorriso era sfuggito ad entrambi. – Se quando mi avessi conosciuto tu fossi stato già impegnato con un altro, che cosa avresti fatto?”
La domanda aveva colpito il bersaglio. Nick sapeva esattamente che cosa avrebbe fatto e, in retrospettiva, era la stessa e medesima cosa che suo padre aveva fatto. Lì, in quel preciso momento, Nick aveva compreso un po’ di più quella figura che fino ad allora era rimasta sempre qualcosa di astratto: aveva compreso ciò che aveva dovuto affrontare suo padre, prendere una decisione a malincuore, sapendo che avrebbe fatto soffrire qualcuno e che si sarebbe fatto odiare, ma sapendo dentro di sé che era la decisione migliore.
Quella realizzazione aveva cancellato parte dell’odio e del rancore e aveva creato un ponte fra quei due estremi in cui Nick aveva sempre considerato la sua relazione con il padre: nord e sud, due punti di una retta che non si sarebbero mai incontrati. Invece, eccolo lì, a ripensare a tutti i motivi per cui aveva odiato suo padre e a trovarvi una spiegazione che aveva senso.
Certo, mancavano ancora molti altri punti. Il fatto che potesse comprendere per quale motivo lui avesse lasciato sua moglie non giustificava l’assenza totale dalla sua vita, eccezion fatta per quei piccoli momenti in cui si erano incontrati e non era riuscito a sfuggire dal suo sguardo e da quella disapprovazione scritta in ogni ruga, in quella linea dura delle labbra e in quegli occhi così freddi.
Per quale motivo non hai scelto economia? Per quale motivo non vuoi seguire le mie orme e far parte dell’azienda di famiglia? E’ la tua eredità, dovresti preoccupartene invece di pensare a dipingere e chissà cos’altro.
Quelle domande non venivano mai pronunciate ma erano lì, nell’aria, pronte a essere usate come armi taglienti.
Eppure, nonostante Nick sapesse quanto suo padre non condividesse le sue scelte, non lo aveva mai ostacolato. Anzi, aveva accolto ogni sua richiesta, più per il quieto vivere che per altro. Ecco perché si era impegnato così tanto per avere lo stage al museo: voleva tagliare qualsiasi ponte, non voleva dover anche ringraziare suo padre quando sapeva che lo aveva fatto solamente per una questione di immagine e di reputazione.
“Nick?”
La voce di Mya lo ridestò dai suoi pensieri, facendogli scattare la testa in alto. “Che c’è? – Domandò sbadigliando. – Scusa, è stata una nottataccia.”
“C’è... ecco, c’è qui tuo padre.”
Se fosse stato un personaggio dei cartoni animati, Nick era sicuro che in quel momento i suoi occhi sarebbero stati disegnati enormi, strabuzzanti per lo shock. La verità era che nemmeno per un secondo aveva creduto che l’uomo potesse venire così presto. Anzi, se doveva essere sincero, aveva creduto che suo padre non sarebbe proprio venuto, avendo abbandonato la nave non appena Brian si era rifiutato di aiutarlo.
Invece, eccolo lì.
“Sei sicura?”
“A meno che non sia un impostore.”
“E’ probabile. Siamo diventati famosi, lo sai?” Scherzò Nick, alzandosi dalla sua sedia.
“Lo speri.”
“Beh, è quello che tutti vogliono, no? I fantomatici quindici minuti di fama.”
“Che nell’arte valgono solamente quando muori. Non so te, Carter, ma io preferisco vivere.”
“Anch’io...” Incominciò a rispondere ma le sue parole si bloccarono a metà gola, esattamente come i suoi piedi si fermarono all’improvviso su un’unica piastrella. Lì, a pochi metri da lui, intento a guardarsi in giro spaesato e apparendo come un pesce fuori dall’acqua, c’era davvero suo padre.
“Nick?” Lo richiamò Mya.
“E’ lui. – Rispose Nick, dopo essersi schiarito la voce. – E’ proprio mio padre.”
Una mano si poggiò sul suo braccio, una stretta che sapeva di silenzioso supporto prima di scomparire.
Erano circondati da sconosciuti, bambini, ragazzini e vecchietti; eppure, Nick si sentiva come se in quell’enorme stanza ci fossero solamente loro due, che si fissavano come due duellanti nel far west. Fare il primo passo sembrava costare più di qualsiasi energia presente in loro, si studiavano, cercavano di capire quale fosse il miglior modo per incominciare una conversazione che per chiunque sembrava essere così facile.
E Nick, testardamente, non voleva fare il primo passo. Di sicuro Brian lo avrebbe rimproverato per quello, lo avrebbe spinto ad almeno accoglierlo, giusto per dargli uno spiraglio di speranza invece che chiudergli già subito la porta.
Dannato Brian, pensò fra sé e sé, solo perché ti amo che sto facendo ciò.
Perché fece esattamente ciò che il suo compagno gli avrebbe costretto a fare se fosse stato anche lui presente. Il piede destro si mosse in avanti, prontamente seguito da quello sinistro e in poco tempo solo qualche centimetro dividevano lui e suo padre.
“Non pensavo venissi così presto.”
“Avevo paura di perdere il coraggio.”
“E’ qualcosa che abbiamo in comune, allora. – Affermò Nick. – Ti va di fare un giro? Sempre che non ti diano fastidio i bambini. Il periodo natalizio coincide sempre con le gite scolastiche.”
“Ricordo quando anche tu pregavi tua madre di lasciarti andare nonostante ci fosse qualche evento che aveva programmato con così tanto anticipo.”
“Davvero?” Domandò Nick sorpreso che suo padre si ricordasse qualcosa di così superficiale. Lui, ovviamente, non se lo era dimenticato: come poteva farlo quando aveva sempre dovuto pregare e promettere di fare qualcosa pur di poter andare in un museo?
“Non mi sono mai comportato come un padre, vero?”
Nick vi rifletté sopra per qualche secondo mentre sorpassavano una coppietta intenta ad osservare uno dei quadri che avevano portato in Europa. “Dipende da che cosa intendi. Sono in salute, ho sempre avuto tutto ciò che desideravo e, anche se non eri dell’idea, mi hai permesso di seguire il mio sogno. Di giungere qui, a fare quello che ho sempre amato e poterci vivere di questo sogno. Molti direbbero che hai fatto il tuo lavoro.”
“Ma...”
“Ma avrei rinunciato a molto di tutto questo per un tuo cenno di approvazione. O per un tuo “ti voglio bene”.”
“Te ne voglio, Nickolas.”
“Lo so. O, meglio, credo che una parte di me lo sappia. E’ la stessa parte che sa che non sei bravo con i sentimenti. Fino a qualche tempo fa, anch’io ero come te. Avevo paura di mostrarmi com’ero e non sapevo come esprimere tutte le tempeste dentro di me.”
Si fermarono davanti a uno dei pochissimi quadri che Nick aveva disegnato e che erano stati scelti per essere esposti. Era una sezione di mostra molto particolare, dedicata ad artisti emergenti di cui le grandi collezioni non avrebbero mai sentito parlare e che si sarebbero perse nel dimenticatoio. Non aveva mai avuto intenzione di mostrare quel particolare quadro ma Mya lo aveva intravisto una sera che era stata a cena da loro e lo aveva pregato, scongiurato e chissà quali altre tattiche aveva usato pur di convincerlo. Solo un’altra persona lo aveva visto ed era la stessa che ne faceva parte, un indiscusso sole rosso che rappresentava quello che illuminava la sua vita ogni giorno.
“Invece no, Nickolas. L’arte, la pittura, quello è sempre stato il tuo modo di esprimerti. Guardo questo quadro e tutto ciò che posso dire è che Brian è stato davvero fortunato ad incontrarti.”
“Credimi, il più fortunato fra i due sono io. – Rispose Nick con un sorriso. – Brian mi ha insegnato molto. Soprattutto, mi ha aperto gli occhi su che cosa sia il vero amore, facendomi rendere conto che non avevo mai saputo che cosa fosse. Pensavo di saperlo ed ecco perché per tanto tempo ti ho odiato. Mamma era il tuo vero amore, altrimenti perché l’avresti sposata? Altrimenti, perché farci pure un figlio? E mentre tu andavi avanti con la tua vita, io ero testimone di quanto mamma ancora ne soffrisse, di quanto cercasse un tuo sostituto ma si ritrovasse sempre con il cuore a pezzi. E chi era che doveva raccoglierli? Io. Ed è stato in uno di quei momenti che mi ero deciso che l’amore non ne valeva la pena, portava solamente dolore e sogni spezzati senza nemmeno un minimo di risentimento.”
“Mi spiace, Nickolas. Se avessi potuto...”
“No, papà. Non importa. Ora so che non l’hai fatto apposta. Isabelle era la tua anima gemella, esattamente come Brian è la mia. E quando la incontri, quando incontri quella persona che è così speciale ma lo è solo per te, non puoi resistere. Non vuoi. Faresti qualsiasi cosa pur di stare con lei, supereresti qualsiasi ostacolo, anche le pugnalate più dolorose perché sai che non potrai mai essere così felice con nessun altro. – Poi, Nick si voltò verso il padre, guardandolo con occhi colmi di onestà. – Avrei voluto capirlo prima. Mi sarei risparmiato anni di odio e di dolore.”
Bill osservò suo figlio per qualche secondo. Sotto le luci a neon, il volto del ragazzo sembrava più chiaro di quanto lo fosse stato in tutti quegli anni, forse perché finalmente lui riusciva a leggervi sopra tutte le espressioni, i sentimenti e le emozioni che per tanto tempo erano rimasti a lui segreti. Inaccessibili. Era più maturo, suo figlio, non solo nei tratti del viso e in quelle nuove linee agli angoli degli occhi, anche se erano solamente accennate e scomparivano quando sorrideva. No, la maturità era palpabile nel modo con cui si poneva, in quella postura dritta e in quell’atteggiamento di chi aveva trovato il suo posto nel mondo e ne era dannatamente orgoglioso. Fu ciò a farlo riflettere, ancor più di quanto non avesse già fatto in quei mesi: davanti a lui non c’era più suo figlio, quel bambino dalla zazzera bionda che andava ovunque con la sua matita e il suo blocco per disegnare, ma un uomo che stava incominciando a realizzarsi nel lavoro che aveva sempre sognato, avendo al fianco una persona che non solo lo supportava in ogni decisione ma anche in grado di saperlo consigliare e di mostrargli dove stesse sbagliando.
Non era questo ciò che ogni padre sperava e desiderava per un figlio? Che cosa importava se non era nel lavoro che lui aveva sempre desiderato per Nickolas, non importava se amava una persona del suo stesso sesso. La cosa più importante era che Nickolas era felice, veramente felice, e appagato.
“Hai ragione, hai sempre avuto ragione. Per molto tempo, ho davvero creduto che tu mi avessi deluso. Avevo tanti progetti per te, eri il mio unico figlio e avrei voluto vederti seguire le mie orme. Ti immaginavo già seduto alla mia scrivania, una moglie al fianco e dei nipotini. E quando mi sono accorto che ciò non sarebbe successo, mi sono sentito...”
“Deluso?”
“In parte. Volevo sempre il meglio per te, anche se non era nella direzione che avrei preferito ma... Ma avevo paura per te. Fare l’artista non è un lavoro che ti permette di sopravvivere, specie in una città come New York. E per quanto io non abbia mai avuto problemi con le tue preferenze sessuali, mi rendo conto che il mondo non è pieno di gente come me ma l’opposto. Ma non sapevo come dirtelo senza passare per il padre omofobo che vorrebbe costringere suo figlio a cambiare. Così, ho lasciato correre. Non dire niente sembrava una soluzione migliore che dire qualcosa di sbagliato e rovinare quel poco di relazione che avevamo. Almeno, mi rimaneva la flebile speranza di poter sempre rimettere insieme i pezzi un giorno.”
“Che cosa è cambiato, allora?” Domandò Nick. Nel suo tono non vi era nessun’accusa ma solo il desiderio di capire il perché di quell’incontro.
“Tua madre mi ha detto di questo lavoro e del fatto che eri andato in Europa. E lì mi sono reso conto di quanto ci eravamo allontanati. Mi ero così distanziato da non poterti nemmeno chiamare e farti i miei complimenti o dirti quanto fossi orgoglioso di te. Non potevo nemmeno vantarmi dei tuoi successi con i miei colleghi perché non avrei saputo rispondere a domande più specifiche oltre al sì, lavora in un museo.” Terminato di parlare, Bill si voltò verso Nick e si sorprese nel vederlo con gli occhi sgranati, quasi incredulo o come se non potesse credere alle sue parole.
“Sei... sei orgoglioso di me? Sul serio?”
“Sì.” Bill rispose con la più semplice delle risposte.
“Non... Non sai quanto significhi per me, papà.” Riuscì Nick solamente a mormorare, visto il groviglio di emozioni che si era formato proprio lì, in gola, e che gli faceva pizzicare gli occhi, ormai colmi di lacrime. Brian aveva ragione: sentirsi dire quella parola da suo padre era totalmente differente anche se ugualmente importante. Perché, anche se ad alta voce avrebbe sempre ammesso il contrario, aveva sempre desiderato e ricercato quell’approvazione che era sempre sembrata impossibile da raggiungere, non con quei traguardi che si era prefissato. Averla era qualcosa che gli rendeva il petto gonfio di orgoglio, anni e anni di sacrifici cancellati via da una misera seppur brillante moneta.
“Credo di saperlo.” Rispose Bill.
L’abbraccio che seguì fu strano, almeno da parte sua non essendo abituato a quel tipo di gesti di dimostrazione d’affetto e, per qualche secondo, rimase completamente immobile mentre le braccia di Nick si cingevano attorno al suo collo e qualcosa di bagnato si appoggiava sulla sua spalla. Lacrime. Furono loro a togliere il coperchio di quel gelato vaso in cui aveva rinchiuso tutte le sue emozioni di padre, facendogli ricambiare l’abbraccio e stringendo più forte che poteva, cercando nel contempo di far passare tutte quelle parole che a malapena era riuscito a pronunciare in tutti quegli anni di vita di Nick.
Quando si staccarono, Nick si asciugò velocemente gli occhi, anche se rimasero ancora un po’ gonfi. “Santo cielo, Mya non mi farà dimenticare questa scena per secoli e secoli avvenire.” Scherzò, rompendo quel poco confortevole silenzio.
“Oh, meno male che non c’è Isabelle. – Replicò Bill con lo stesso tono scherzoso del figlio. – In questo periodo è fissata con la fotografia, ci avrebbe fatto di sicuro mille foto per testimoniare questo momento.”
“Fotografa? Davvero?”
“E’ anche brava.”
“Mi piacerebbe vedere qualche foto.”
“Tu e Brian potreste venire a cena. Per la vigilia, magari.”
“E’ un’ottima idea. Lo chiedo a Brian e poi ti faccio sapere.”
“Bene, Isabelle impazzirà dalla gioia.”
“Anche Brian. Ma credo che tu abbia già capito che è stato lui a spingermi. – Commentò Nick mentre entrambi riprendevano a camminare verso la fine del museo. Attraversarono il piccolo cortile, ora completamente innevato, ed entrarono nella seconda ala dell’edificio. – Lo ha sempre fatto, anche quando avevamo appena incominciato a stare insieme. Mi spronava ad ogni esame, una volta organizzò persino un appuntamento proprio qui, in questo museo, per farmi ripassare per un esame. Senza saperlo, è stato lui a spingermi a propormi per lo stage. Se non mi avesse portato qui, non avrei mai saputo che stavano cercando stagisti e senza la sua fiducia innata in me, non l’avrei nemmeno fatto. Per paura, principalmente. Era la mia ultima possibilità, se avessi fallito allora avrei dovuto darti ragione sul fatto che l’arte non sarebbe mai stata la mia reale occupazione. Ma con Brian? Nemmeno un rifiuto mi avrebbe scalfito perché sapevo che in lui non avrei trovato un giudice o qualcuno che mi avrebbe detto “visto? Te l’ho detto che avresti fallito!” Sapevo che, se anche non avrei ottenuto il posto, ce ne sarebbe stato un altro e che avrei avuto comunque il suo appoggio.”
“Sei davvero diventato un uomo, Nickolas.”
Nick non poté fare altro che annuire e non ritenne necessario aggiungere che, se lo era diventato, era stato merito di Brian. Era implicito e sapeva che suo padre avrebbe compreso quell’implicito, perché anche lui stesso lo aveva vissuto e continuava a viverlo.
E mentre osservava suo padre guardarsi in giro con ammirazione, Nick si lasciò andare a quel sentimento di totale felicità che incominciava a pervadere ogni piccola parte del suo essere.
Quell’anno Natale sarebbe stato davvero speciale e già, in piccola parte, lo era.

 

 

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Quella sera fu Nick a rincasare più tardi del solito. Dopo aver terminato il giro al museo, infatti, lui e suo padre avevano deciso di andare a cena insieme e, nonostante lo avesse avvertito tramite messaggio, Brian non era riuscito a raggiungerli. O, forse, non aveva voluto, lasciandoli gustare un meritato momento dedicato solamente a loro e a ritrovare tutte le estremità del loro rapporto per incominciare a legarli di nuovo insieme.
L’appartamento era stranamente avvolto nel silenzio e nell’oscurità. Persino l’albero di Natale era già stato spento o, forse, Brian nemmeno l’aveva acceso quando era tornato. Nell’aria c’era un delizioso profumino di biscotti appena fatti e Nick lo seguì fino alla cucina: sul tavolo, un piatto stracolmo di stelle bianche si stava lentamente raffreddando. Nick ne prese in mano uno e mangiucchiandolo si diresse verso la camera da letto. Sì, erano decisamente deliziosi quei biscotti.
Anche la stanza sonnecchiava nell’oscurità, salvo per quel raggio di luce che entrava dalla finestra e che si posizionava sempre sul centro del letto, stagliando nell’ombra la figura di Brian. Sembrava essersi già addormentato, il piumino avvolto attorno al corpo e la testa nascosta fra il lenzuolo ed il cuscino così, facendo attenzione a non far rumore, Nick andò in bagno per cambiarsi velocemente e indossare il pigiama. Quando ritornò in camera, continuò a cercare di non fare rumore mentre sistemava i vestiti sull’appendiabiti, pronti per la mattina seguente.
“Che ore sono?” Bofonchiò una voce sonnolenta dietro di lui.
Nick sospirò, recuperò un paio di calze dal cassetto e poi si voltò, gli angoli della bocca curvati in un sorriso non appena i suoi occhi si posarono sul viso ancora mezza addormentata di Brian. “Quasi le undici. Ti ho svegliato?”
“Non stavo davvero dormendo. - Rispose Brian, allungandosi e stiracchiandosi. – Bentornato.”
Nick annullò la distanza fra di loro, infilandosi velocemente sotto le coperte. Brian si accoccolò immediatamente attorno a lui, la testa che trovò la sua naturale posizione sulla spalla di Nick.
“A che ora sei tornato?” Domandò Nick dopo aver lasciato un veloce bacio sulla fronte di Brian.
“Blaine mi ha cacciato a casa verso le otto. Te ne rendi conto?”
“Che cosa avevi combinato?”
“Niente. – Rispose imbronciato Brian. – Anzi, ero tornato per dare una mano perché oggi abbiamo avuto un sacco di gente.”
“Sei tornato dopo le prove?” Domandò Nick, lo sguardo accigliato e l’inizio di una predica pronto sulla lingua.
“Sì, tanto tu non saresti tornato per cena.”
“Bri...”
“Che c’è? Volevo rendermi utile!”
“Oh, posso immaginare quanto tu potessi renderti utile essendo mezzo esausto.”
“E con il mal di testa.”
“Pure!”
“Oggi i bambini avevano il volume al massimo. Continuavano ad urlare e gridare.”
“Sentono l’ansia per il gran giorno.”
“La sentono anche un po’ troppo.”
“Ah, giusto. Ho invitato anche mio padre al concerto di domani. Non ti dispiace vero? Ho pensato che così potevo presentarvi come si deve.”
“Hai fatto bene. – Lo rassicurò Brian. – Deduco che l’incontro sia andato bene.”
Nick annuì, aumentando la stretta del suo abbraccio. “Ha superato ogni mia aspettativa. Ancora non riesco a crederci di aver trascorso un intero giorno con mio padre e di esserne addirittura felice.”
“E io sono felice per te.”
“Non sarebbe mai successo senza di te. Non solo perché tu hai fatto da tramite e mi hai letteralmente spinto...”
“Io non ho proprio spinto nessuno.” Obiettò Brian, irrigidendosi in quell’abbraccio.
“Ehi, no, aspetta. Non intendevo in quel senso. – Nick si affrettò a spiegare. Sentì parte della tensione sciogliersi via. – La decisione finale è stata mia, oggi potevo tranquillamente rifiutarmi di vederlo o di farlo parlare. E, lo ammetto, per qualche secondo ne sono anche stato tentato. Ma avevi ragione: in qualunque modo sarebbe potuto terminare, avevo bisogno di questo confronto. Anche solo per sapere per quale motivo papà era scomparso letteralmente dalla mia vita. E, alla fine, la conclusione è stata che siamo davvero uguali. O che, almeno, condividiamo buona parte dei geni. Anche lui aveva paura di un rifiuto, lo stesso motivo per cui nemmeno io alzavo il telefono per chiamarlo.”
“Chiunque sarebbe orgoglioso di te, Nick.”
“E infatti anche lui lo era. No, scusa. Lo è. Non mi sono mai sentito così felice. Sentirgli dire quella semplice parola ha cancellato tutti quegli anni di dubbi, di risentimento e di rancore.”
“Forse ha sbagliato nel modo ma sono sicuro che voleva semplicemente il meglio per te. Voleva proteggerti da una società che ancora non sa bene come comportarsi con chi reputa diverso. Anche se noi non lo siamo. Siamo come tutti gli altri perché l’amore non fa distinzioni di sorta.”
Nick abbassò semplicemente il volto, in modo da sfiorare con le labbra la punta del naso di Brian. “Ed ecco perché ti amo. Non potrò mai ringraziarti abbastanza per non avermi fatto sfuggire questa occasione.”
Brian appoggiò il gomito sul materasso, usandolo per poter alzare il viso in modo da osservare Nick direttamente gli occhi. L’altra mano si appoggiò sul petto, le dita che accarezzarono in dolci cerchi la pelle sotto la maglietta.
“Non mi devi ringraziare, Nicky. - Rispose. – E’ questo che fanno i partner. Si aiutano l’uno con l’altro e cercano di rendere felice l’altro, anche quando sembra impossibile rimettere insieme i pezzi.”
Nick sentì una punta di tristezza avvolgerlo. Oh, quelle parole racchiudevano una verità ineccepibile, un fondo che non poteva né voleva negare ma era anche accompagnato dalla triste consapevolezza che lui non avrebbe mai potuto fare ciò Brian aveva fatto per lui. Quell’unica famiglia che Brian aveva sempre conosciuto e di cui aveva ancora disperatamente bisogno era anche l’unica cosa che non poteva riportare indietro, a meno che facesse un patto con il diavolo o si improvvisasse mago o stregone.
“Ti amo.” Riuscì solo a mormorare, la voce rotta da un’emozione che ancora, nonostante l’anno e passa già trascorso di relazione, non riusciva a descrivere: era avvolgente, risucchiava qualsiasi parola e le scambiava con una sensazione di calore quasi incandescente. Era passione, quella ancora non era scemata, ma non solo. Era anche una totale devozione, era la consapevolezza che fintanto avesse avuto respiro, ogni suo battito avrebbe avuto il ritmo di quell’unico nome; era una sicurezza, una protezione, tutto ciò di cui la sua anima e il suo cuore aveva bisogno.
“Anch’io.” Rispose Brian prima di sporgersi in avanti e racchiudere quella promessa in un bacio, il palmo della mano che, carezza dopo carezza, era risalito fino a racchiudersi attorno alla guancia di Nick, la punta del pollice così vicina ed intima all’angolo di quella bocca che stava rispondendo a quella parola silenziata.
Si allontanarono poco dopo, non erano più quei primi baci che sembravano soffiare via tutta l’aria che possedevano o quelli così appassionati che venivano scambiati quando solo il linguaggio dei loro corpi aveva unica ragione d’essere. Brian strofinò la punta del naso contro quella di Nick, lasciando un secondo bacio, più veloce, solo un tocco. “Sai di biscotti.” Affermò Brian con un tono cantileno.
“Potrei aver assaggiato uno di quelle meravigliose e deliziose stelle che hai lasciato in cucina. – Rispose Nick, strofinando di risposta il naso contro quello del ragazzo. – Ora capisco perché avevate il pienone.”
“In realtà, questi li ho preparati qui a casa.”
“Come mai?”
“Ci deve essere un motivo?”
“Ah! Li hai preparati per me!”
“Anche.”
“Come anche?”
“Ero... – Brian si fermò per qualche secondo, ritornando alla posizione di prima. Nick intuii che quel qualcosa riguardava il passato e quella famiglia che proprio a Natale faceva sentire ancor di più la sua assenza. Così, scivolò di qualche centimetro in modo da essere quasi completamente sdraiato e ricingendo i fianchi di Brian con un braccio. – Quando ero piccolo, non avevamo molti soldi. Quasi tutti i risparmi erano stati usati per comprare la caffetteria e quest’appartamento e il resto serviva per me. Così, a Natale, mamma non comprava mai tantissimi addobbi, preferendo usare i soldi per farmi i regali. Di sera, quando tornava dal locale e io avevo finito i compiti, ci mettevamo in cucina e facevamo i biscotti, usandoli poi come decorazioni per l’albero. E’ così che ho imparato a cucinare. Non so, stasera mi è venuta voglia di rifarli, forse perché Natale è sempre un po’ così, è più duro ricordarsi che lei non ci sia più.”
“Se vuoi, possiamo farli ogni sera. Insieme. Così mi insegni.”
“Davvero? Lo... faresti davvero?”
“Perché no? Brian, so che non potrò mai riportartela indietro ma, se proprio è tutto ciò che posso fare, posso aiutarti a mantenere in vita il suo ricordo.”
Fu il turno di Brian di sentirsi come se un potente vortice avesse risucchiato via la sua voce mentre dei pizzichi, ricolmi di calde lacrime, rendevano più lucidi gli occhi. Nascose il viso nell’incavo fra spalla e collo, soffiando fuori quella commozione che una semplice frase era riuscita a far bollir e poi risalire fino a giungere al limite delle sue difese, mura accessibili solamente a Nick e a nessun altro.
“Grazie.”
Nick non rispose, non ce n’era bisogno e mai ce ne sarebbe stato per quelle situazioni. Appoggiò semplicemente il mento sul capo di Brian mentre l’altro braccio andava a ricongiungersi con l’altro, allacciando il corpo del ragazzo nel più intimo e stretto degli abbracci.
“Di che cosa avete parlato? Tu e tuo padre, intendo.” Il sussurrò riecheggiò come se Brian avesse parlato ad alta voce, anche se Nick avrebbe potuto indovinare ciò che gli aveva detto con il semplice e lieve movimento delle sue labbra a contatto con la sua spalla.
“Non molto. Mi ha lasciato parlare per la maggior parte del tempo. Mi ha chiesto molto sull’Europa, lasciandomi blaterare per ore e ore senza sembrare annoiato o altro. – Rispose Nick, ancora sorpreso di quella giornata. – Mi ha domandato quale sia la città di cui sento più la mancanza, quella in cui ci tornerei in un battito di ciglia.”
“E tu che cosa hai risposto?”
“Parigi. Ho amato ogni città ma Parigi aveva qualcosa di speciale. Forse era l’atmosfera, quell’aura bohemien che ancora si respira, soprattutto nel quartiere di Montmartre.”
“Il tuo spirito di pittore è rinato.”
“In un certo senso. Ero riuscito a ritagliarmi una o due orette al pomeriggio, durante le quali prendevo e andavo a passeggiare sulle rive della Senna. Sceglievo sempre piccoli angoli, in modo da poter essere sempre da solo e avere la tranquillità di osservare senza farmi notare. Il mio preferito era ai piedi di uno dei tanti ponti e da cui c’era una splendida vista della Torre Eiffel. Sceglievo sempre il momento del tramonto, quando il cielo si dipingeva di quella particolare tonalità che non riesco mai a definire, spruzzi di arancione, rosso, rosa fino al violetto e poi al blu. E immaginavo noi due camminare su quell’erba, mano nella mano, senza nessun’altra preoccupazione al mondo se non quella di come trascorrere la serata. Ho disegnato molto, ho disegnato noi, ho cercato di ricreare quel tuo particolare sorriso.”
“Quale?” Domandò Brian curioso.
“E’ il sorriso che hai sempre quando mi osservi e pensi che io non me ne accorga. E’ il sorriso di chi sa di essere fortunato per aver trovato qualcosa di così raro e unico che non puoi fare altro che custodirlo gelosamente. E, per me, è il sorriso più bello che ci sia.”
“Oh, ora capisco. – Rispose Brian, rialzando di poco il viso. Le sue labbra si appoggiarono sull’angolo destro della bocca di Nick. – E’ il tuo stesso sorriso di quando mi guardi come se fossi la cosa più bella che ti sia capitata nella vita.”
Nick spostò il viso di qualche millimetro, giusti quelli sufficienti affinché le sue labbra poterono appoggiarsi su quelle di Brian. “Lo sei.”
“Anche tu, Nick. – Asserì Brian. – Sei l’unica cosa bella che mi sia capitata negli ultimi anni, quando ormai mi ero rassegnato a dover trascorrere i Natali da solo, sei arrivato tu e mi hai fatto ricredere. Mi hai ridato speranza. Prima... prima di te, sopravvivevo.”
“Anche tu, Brian. Anche tu mi hai fatto ricredere sull’amore e sulla famiglia.”
“Ci siamo salvati, no? Eravamo incompleti, rovinati dalla vita e poche persone riuscivano a vedere oltre le nostre cicatrici. Invece, per noi, sono state proprio quelle a renderci così perfettamente l’uno l’anima gemella dell’altro.”
“Sì, lo siamo.”
Non ci fu bisogno di aggiungere altre parole e lasciarono al silenzio il potere di assorbire ogni loro pensiero e trasmetterlo all’altro, appagati solo di addormentarsi al ritmo del battito dei loro cuori.
Fu Brian il primo a scivolare via fra le braccia di Morfeo e Nick rimase ad osservarlo per qualche tempo, senza nemmeno rendersi conto di quanto velocemente le lancette dell’orologio battevano via la notte. Era esausto, era stanco ma più di tutto vinceva quel senso di totale appagamento, come se finalmente ogni pezzo di quel quadro astratto che era la sua vita si fosse finalmente accorto del suo posto e lo avesse conquistato. Natale era un periodo un po’ strano, totalmente differente da tutte le altre festività; era il momento in cui uno incominciava a riguardarsi alle spalle, a fare un bilancio di tutto ciò che era successo nei mesi precedenti e decidere se quell’anno era stato buono o semplicemente da gettare via, aumentando la speranza che quello successivo potesse essere migliore. Era quello che era successo a lui l’anno precedente: oh, era stato unico per il solo e mero fatto di aver incontrato Brian ma quell’ultimo mese di dicembre aveva racchiuso fin troppa sofferenza e dolore per poter definirlo come il miglior anno. Così, quando la mezzanotte era scoccata, s’era promesso che quello successivo sarebbe stato diverso. Migliore. E non solo per quel viaggio in Europa che significava così tanto per entrambi, sia per lui che per Brian. Voleva che fosse migliore soprattutto per loro due, anche se i primi sei mesi sarebbero stati un’agonia.
E c’erano riusciti. In un modo che ancora stentava a crederci, erano riusciti non solo a superare quei chilometri e chilometri di distanza ma ne erano usciti ancora più forti, ancora più sicuri di ciò che li legava e di ciò su cui avrebbero sempre fatto affidamento.
E ora si ritrovava ad amare Brian ancora di più, come se questo fosse anche stato possibile.
Quella giornata gli aveva fatto realizzare alcune verità che prima non aveva ancora potuto comprendere. Per anni, aveva maledetto quelle due famiglie che si era ritrovato ad avere. Non le aveva chiesto, non le voleva nemmeno, eppure aveva dovuto ingoiare il boccone amaro e farselo piacere. Ora, invece, mentre stringeva fra le braccia Brian e lui rimaneva stretto a lui come se avesse paura di perderlo, Nick riusciva a vedere quella strana situazione come un regalo raro. Aveva due famiglia, tre persone che lo amavano e che volevano e desideravano solamente il meglio per lui. Soprattutto, aveva avuto un padre che, indirettamente e molto probabilmente inconsciamente, lo aveva spronato a dare sempre il meglio di se stesso, continuare a dimostrare non solo il proprio valore ma anche quello dei suoi sogni e a renderli possibili. Ne aveva risentito, troppo spesso si era sentito schiacciato da quel peso, ma dove lo aveva portato? In quel luogo, in quel letto fra le braccia di una persona così eccezionale che a volte stentava a credere che, fra tutti, avesse deciso di amare proprio lui; aveva trovato il suo posto all’interno del mondo, un lavoro che lo stressava, soprattutto quando c’erano di mezzo bambini urlanti, ma che amava con ogni sua fibra e che gli permetteva di esprimersi nell’unico vero modo che conoscesse.
Non poteva chiedere nient’altro dalla vita.
O, forse, una cosa c’era ma non era per lui. Ma per Brian.
Uno dei motivi che lo aveva spinto a cercare una soluzione con suo padre aveva anche, no, soprattutto, a che fare con il suo compagno. Forse era stata un’idea sciocca, forse era stata puntellata da quegli ideali romantici di troppi libri letti e fantasticato nell’adolescenza, ma forse non era nemmeno così campata in aria.
Perché, oltre a lui, Brian non aveva nessun’altro.
Certo, c’erano gli amici e quei pochi che Brian aveva non sarebbero scomparsi nell’aria alle prime avvisagli di intemperie. Ma presto anche loro avrebbero intrapreso le loro strade, avrebbero conosciuto altre persone e incominciato una famiglia tutta loro e Nick non voleva pensare a che cosa sarebbe successo a Brian nel malaugurato caso che lui non potesse più essere al suo fianco. In quel caso, in quel maledetto e già fin troppo agognante caso, voleva che Brian avesse una famiglia che lo avvolgesse fino a farlo sentire nuovamente normale. Non voleva più lasciarlo totalmente da solo.
Ecco perché, quel Natale, voleva regalargli una famiglia.
E fu con quell’ultimo desiderio che si addormentò, il viso avvolto nei riccioli di Brian mentre la luna, scompigliata dai fiocchi di neve, vegliava sui loro sogni.

 

 

 *_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*

 

 

Nick si rigirò nel letto. Ancora addormentato, allungò il braccio per stringersi attorno a Brian ma le sue dita incontrarono solamente il lenzuolo. Con i sensi ormai risvegliati, Nick tastò il materasso per averne assoluta certezza. Niente, la sua mano incontrò solamente una molla del materasso, il lenzuolo e si adagiò poi sul cuscino.
“Bri?” Bofonchiò con voce ancora impastata dal sonno mentre si alzava lentamente, appoggiandosi sul gomito e scacciando via gli ultimi granelli del dormiveglia dagli occhi con l’altra mano. La sua vista confermò la prima sensazione del tatto: il lato del letto solitamente occupato da Brian era vuoto, eccezion fatta il gomitolo di lenzuola e coperte gettate in fondo. Fu quello l’indizio che gli fece capire immediatamente che cosa avesse svegliato all’improvviso il suo compagno, considerato il fatto che raramente Brian si svegliava nel cuore della notte e dormiva sempre tutto arrotolato nelle coperte, creandosi quasi una tana attorno a lui.
Con un calcio, anche lui buttò le coperte verso il fondo del letto e si mise seduto sul bordo, passandosi una mano fra i capelli e sul viso mentre si lasciava sfuggire uno sbadiglio. La sveglia, sul comodino, lo informò con le sue lineette rosse che era ancora troppo presto per essere svegli, un’ora in cui la notte ancora stava sovrana con il suo manto nero e puntini argentati. Rabbrividì per qualche secondo, la temperatura della stanza nettamente più fredda rispetto a quando si erano addormentati; recuperata la felpa ancora sul pavimento, Nick la indossò e si alzò, andando come prima cosa ad alzare di qualche grado il riscaldamento. Poi, si mise alla ricerca di Brian.
Gli incubi non erano più frequenti come i primi mesi né rispetto al periodo in cui era stato in Europa; la fortuna, in quel caso, si era rivelata essere il fuso orario perché quando a New York era notte, lì da lui era ancora giorno e gli era più facile rispondere e calmare il compagno. Serviva solo quella, serviva solo la sua voce per rimettere nel cassetto le paure e le ansie che erano uscite dalle loro gabbie.
Però, ogni tanto ancora gli incubi tornavano e non c’era niente che Nick potesse fare per fermarli. Li aveva accettati, esattamente come lo aveva fatto Brian, ma almeno ora poteva essere lì fisicamente.
Nick trovò Brian in sala, seduto a gambe incrociate sul pavimento, una scatola marrone aperta davanti a lui e fogli sparsi attorno a lui. Appoggiandosi per qualche secondo allo stipite della porta, Nick aguzzò gli occhi per capire quale scatola fosse e lo comprese solo quando vide Brian recuperare da essa una lettera bianca, aprirla con delicatezza e incominciare a leggerla. Nel riflesso del vetro, vide un triste sorriso apparire sul volto di Brian, cancellando parte di quelle lacrime sfuggite via nel silenzio.
Era quella la scatola che conteneva tutti i ricordi della mamma di Brian, scatola che appariva ad ogni incubo per poi essere riposta via e dimenticata fino a quello successivo. Di tanto in tanto, Brian gli mostrava qualcosa, facendo tornare in vita quel ricordo con le parole, disegnando nell’aria scenari e immagini che avevano un sapore dolceamaro ma che erano anche una nuova chiave di lettura per quella persona che aveva scelto di amare.
Non si sarebbero mai conosciuti a fondo, non come in quel modo irrealistico che veniva descritto nei film che ogni tanto Brian ancora gli faceva subire; era un qualcosa che lo stesso Brian gli aveva detto, con quel tono di chi non si rende mai conto di pronunciare parole dal sapore saggio e maturo. Gli aveva rammentato che ci sarebbero sempre stati sfumature ancora rimaste all’oscuro, aneddoti da raccontare o tratti di carattere che ancora non erano usciti allo scoperto, semplicemente perché non ancora messi alla prova. E, in tutto quel buco nero che ancora dovevano scoprire, c’era quel presente insieme che li cambiava, modellava i loro comportamenti e li rendeva quasi come se fossero nuove persone. E, d’altronde, come poi aveva aggiunto con il suo sorriso, era proprio questo il bello di vivere insieme, svegliarsi e domandarsi che cosa avrebbero potuto imparare l’uno dall’altro e rimanere sorpresi ogni giorno.
Con pochi passi, Nick raggiunse Brian e si sedette dietro di lui, circondandolo con braccia e gambe.
“Ehi.” Mormorò in un orecchio, lambendo poi quello stesso centimetro di pelle con un bacio.
“Ehi. – Rispose Brian, lasciando per terra la lettera che aveva in mano e appoggiandosi contro il petto di Nick. – Ti ho svegliato?”
“Avevo freddo.”
“Scusa, ieri sera mi sono dimenticato di programmare il riscaldamento per la notte.”
“No, no. Aveva più a che fare con l’assenza di mille coperte vicino a me.”
“Scusa.” E poi Brian si voltò, strofinando il viso contro la guancia di Nick.
“Incubo?”
“Mh mh. – Annuì Brian. – E’ stata una lunga giornata.”
Nick non indugiò in domande, lasciando al compagno tutto il tempo e spazio necessario per riprendere i fili, metterli in ordine e poi mostrarglieli. Le dita, intrecciate assieme a quelle di Brian, incominciarono a disegnare e tracciare linee, curve e cerchi sullo stomaco del ragazzo, raggiungendo il doppio scopo di calmarlo e rilassarlo, oltre a provocare un brivido lungo la spina dorsale che poco aveva a che fare con il freddo.
“E’... oggi, al locale, è venuto un vecchio cliente. Si era trasferito sulla costa orientale ed erano anni che non tornava a New York. Non sapeva che mamma era morta quindi ho dovuto informarlo e... – L’intreccio delle dita si fece un filo più stretta. -... non pensavo che potesse essere ancora così difficile. Quando ne parlo a persone che non lo sanno, mi sembra di rivivere quel giorno.”
“Perché non mi hai chiamato?” Domandò Nick, una punta di accusa che aleggiava nella voce.
“Eri con tuo padre, non potevo rovinarti la giornata. E tanto sapevo che saremmo finiti qui quindi... non prendertela.”
“Non me la prendo.”
“Bugiardo.” Lo scherzò Brian, dandogli un buffetto con la spalla.
“Mi preoccupo, credo che sia perfettamente normale.”
“Lo è, lo è. – Lo rassicurò. – Sai, oltre a quello strato di dolore che ogni volta arriva e a cui non sono mai abituato, mi sorprendo sempre di quanto mia mamma era amata praticamente da tutti. Era davvero eccezionale e... sarà stupido, ma in qualche modo allieva un po’ la sua assenza.”
“Non è stupido. - Disse Nick, appoggiando il mento sulla spalla dopo aver lasciato un bacio. – Che cosa sono queste?” Domandò poi, indicando con un cenno del volto verso i fogli scritti da un’elegante calligrafia in nero.
Brian ne prese in mano una, accarezzando quelle lettere come se potesse ancor percepire qualcosa, anche il più piccolo profumo, di sua madre. “Sono delle lettere che lei scrisse a mio padre.”
“Oh.”
“Non le ho mai lette tutte, solo una ogni tanto. Da quello che ho capito, lui è partito per l’Europa prima che mamma scoprisse di aspettarmi. Ha continuato a scrivergli per mesi, raccontandogli della prima visita, di quando ha scoperto che aspettava un maschietto e che aveva deciso di chiamarlo Brian. L’ultima lettere è di quasi un anno dopo la sua partenza.”
“Non ci sono le risposte?”
“Non le ha mai risposto. Ecco perché dopo un anno ha smesso.”
“Bri...” Il nome sfuggì come un gemito, l’unico suono che Nick riuscì ad emettere perché non c’erano parole che potessero servire in quel momento. Non sapeva nemmeno come poteva commentare quella situazione, senza usare frasi di circostanza che Brian odiava più di qualsiasi altra cosa al mondo. Così Nick scelse il silenzio, un mantello di conforto che avrebbe potuto parlare al suo posto ed essere molto più efficiente.
“I primi anni, mamma mi diceva sempre che mio padre era andato in Europa per cercare fortuna e che sarebbe tornato solamente quando avesse avuto soldi sufficiente per rendermi felice. Non le rispondevo mai che non mi interessavano giochi o altro, ero solo un bambino che voleva la sua famiglia al completo e che ogni notte desiderava poter avere un padre che gli insegnasse a giocare a calcio o andare in bicicletta. L’anno in cui feci l’angelo, feci anche questa. - Dalla scatola, Brian fece emergere una campanella. Era bianca, i glitter blu erano quasi tutti scomparsi salvo per qualche spruzzo qua e là. – Dissi a mia madre che era una campanella magica: funzionava solamente a Natale e aveva il poter di poter richiamare mio padre, ovunque lui si trovasse. Ogni anno, la tiravo fuori e la mettevo sul davanzale della mia finestra. Ogni anno, la facevo suonare la sera della Vigilia, qualche minuto prima di andare alla messa di mezzanotte. Speravo sempre che, una volta tornati, lui potesse essere sulla soglia ad aspettarmi. E, ogni anno, la mia risultava essere sempre un’illusione. Così smisi di farla suonare e smisi di domandare a mamma quando papà sarebbe tornato.”
“Deve essere stato brutto.” Mormorò Nick, non riuscendo bene a trovare una parola che potesse descrivere appieno quel senso di totale e completa delusione che, per un bambino di quell’età, doveva sembrare il più terribile dei mostri.
“Non quanto vedere mia madre rimanerci male non sapendo mai come rispondermi. Non ricordo bene quanti anni avevo ma mi ricordo di aver sentito una conversazione tra lei e una donna alla caffetteria e... non so, forse sarà stata una specie di epifania, ma smisi di lamentarmi ed avercela con il mondo per il fatto che non avevo un padre. Perché avevo una cosa molto più importante, avevo la madre più eccezionale e straordinaria al mondo e... sarà anche stata anormale, differente, ma ero orgoglioso della mia famiglia. Ero orgoglioso di lei. E quindi andava bene che non avessi un padre, magari c’era qualcuno in Europa che non aveva una madre come la mia ed era giusto che almeno avessero un padre.” L’ultima sillaba uscì in un sussulto mentre una goccia di lacrima si posava sull’indice di Nick. Con il suo medio, Nick la asciugò via, accarezzando in cerchi la pelle della mano. Avrebbe voluto dirgli di smettere, non importava che gli raccontasse qualcosa che lo stava facendo sentire così male, ma dal’altra parte sapeva che Brian aveva bisogno di quel momento, esattamente come lui la notte precedente aveva avuto bisogno di buttare fuori tutto ciò che aveva tenuto per sé su suo padre e la sua famiglia. Ed era questo uno dei segni più importanti di quanto era ormai profondo ed indissolubile il legame che li univa, il fatto che si fidassero l’uno dell’altro a tal punto da aprire quei vasi di Pandora a cui nessuno aveva avuto accesso e di farsi vedere in quelle condizioni, sentendosi così fragili, deboli e imbruttiti da quelle lacrime che gonfiavano gli occhi e arrossivano la pelle.
L’indice si spostò verso il basso, fermandosi sul polso. Tum tum. Il cuore batteva sotto la pelle e la punta del dito incominciò a picchettare allo stesso ritmo. “Non lo hai mai cercato?”
“A che scopo? Crescendo e tolta quell’innocenza infantile, capì che lui non sarebbe mai tornato né lo aveva mai voluto fare. Perché non aveva risposto alle lettere? Anche solo per dirle che non voleva più sentirla, anche solo per dirle di lasciarlo in pace. L’ho odiato per questo. L’ho odiato per tutte quelle notti in cui sentivo mamma piangere, per tutti quegli attimi in cui la sorprendevo ad osservarmi con uno sguardo triste, felice per me ma con quel desiderio di avere qualcuno al suo fianco per condividere ogni conquista e ogni vittoria. L’ho odiato perché mi ha spezzato il cuore anche senza vedermi o parlarmi ma, soprattutto, l’ho odiato perché ha spezzato quello di mia madre.”
Non era odio quello che Nick aveva colto nelle parole di Brian, l’odio non era un sentimento che ben combaciava con la sua anima. Era più risentimento, rancore e rabbia mischiati insieme alla paura del non sapere e di sapere e Nick, quell’emozione, era qualcosa che comprendeva più di qualsiasi altri.
E come Brian il giorno prima l’aveva aiutato a combatterla, ora la spada fendi paura era passata nelle sue mani e Nick aveva tutta l’intenzione di usarla. “Non è solo quello il motivo, lo sai bene.”
Un sospiro, Nick percepì l’alzarsi ed abbassarsi dello sterno di Brian sotto di lui. “Paura. – Rispose il ragazzo, allacciando la mano attorno a quelle dita che continuavano ad accarezzare il suo polso. – E se non mi volesse? Sapeva... sa che esisto, perché non mi ha mai cercato? E se... e se anche lo trovassi, nessuno mi garantirebbe di essere accettato con braccia aperte e un sorriso. Così, è meglio continuare con questa mezza verità, almeno non c’è da soffrire.”
“Non sei curioso? Almeno di sapere che faccia abbia, se hai preso qualche tratto da lui...”
“E se... – Nick sentì lo stesso tremore della voce percorrere le ossa e i muscoli. - ... E se fosse una cattiva persona? Se fosse un egoista, dedito solo ai soldi e a cui non importa nulla degli altri?” C’erano altri mille se che viaggiavano a tutta velocità nella sua mente: e se fosse stato un criminale? Un assassino?
Fu la voce di Nick a interrompere quel treno. “E se fosse invece una brava persona? Possiedi metà dei suoi geni, è impossibile che sia così un mostro come lo dipingi. Magari anche lui non sa come contattarti. Magari anche lui ha paura.”
Per qualche attimo, rimasero solo i loro respiri a riempire il silenzio. Nick, quasi inconsciamente, incominciò a cullare entrambi mentre Brian continuava a leggere quelle parole che non aveva mai avuto il coraggio di toccare con mano. Ma con il supporto di Nick, con quella forza che solo poteva nascere dal loro abbraccio, quelle lettere non sembravano più così minacciose. Erano semplicemente dei fogli bianchi, scritti, e con il potere di riportare in vita sua madre per qualche minuto. Non vi era dolore in ciò, non quando finalmente aveva qualcuno che lo ancorava nel presente e non lo lasciava in balia delle onde del passato.
Ad una ad una, le lettere finirono sul pavimento di fianco alle loro gambe.
Ad una ad una, Brian lesse le frasi e le parole ad alta voce, anche quando essa diventò un rantolio rauco.
Ad una ad una, Nick venne avvolto dalla presenza di quella persona che non aveva mai conosciuto ma a cui doveva così tanto, non solo per aver messo al mondo quella persona straordinaria che era Brian ma per essere riuscita a farlo diventare quella persona che lui stesso voleva diventare. In quelle frasi, in quei fogli a volte macchiati da lacrime ormai asciutte dagli anni, Nick imparò cose che, solitamente, i fidanzati conoscevano dalla stessa voce orgogliosa dei genitori: imparò che Brian era nato in una notte calda per essere febbraio, con la stessa tranquillità in cui era entrato a far parte della sua vita. Imparò che aveva fatto dannare sua madre i primi mesi di vita perché capace di addormentarsi solamente al suono di un vecchio carillon.
“Credi che sia orgogliosa di me?” Sussurrò Brian mentre continuava a fissare quei fogli con lo sguardo deluso di chi ormai sa che non c’era più niente di nuovo da scoprire su qualcuno ormai scomparso. Erano state le sue ultime parole e non ci sarebbero state altre parole da scoprire, altri racconti o sogni.
“Non solo lo credo. Ne sono certo.”
Furono quelle ultime parole a spezzare l’ultimo controllo rimasto. Non ci furono singhiozzi né respiri affannati alla ricerca di nascondere le lacrime. Brian semplicemente si voltò, nascondendo il viso nel pigiama di Nick e lasciò libere le lacrime, silenziose gocce d’acqua che lasciavano il loro sentiero sul tessuto.
E stringendo Brian più forte che poteva, accarezzando senza aggiungere stupide parole di conforto, Nick si ritrovò a cambiare il desiderio pronunciato nemmeno qualche ora precedente: voleva ancora dare una famiglia a Brian ma, più di prima, voleva provare a ridargli quella famiglia di cui aveva sempre avuto bisogno. Vi avrebbe provato ma avrebbe cercato di portare quell’uomo sconosciuto nella vita di Brian, anche solo per finalmente mettere a tacere quel silenzio che urlava più di centomila demoni.
Se lui era riuscito a riavere suo padre, perché lo stesso non poteva accadere a Brian?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Finalmente!

Mi scuso per il ritardo. Questo capitolo avevo intenzione di pubblicarlo per la Vigilia ma il tempo è stato tiranno. E poi amo questi due Brian e Nick e più scrivevo più mi venivano in mente dialoghi e scene. Insomma, la verità é che potrei scrivere per giorni e giorni di quest'universo senza mai stancarmi. 
Beh, non so se riesco a pubblicare l'ultimo capitolo per la fine del 2012. Al massimo, sarà un nuovo augurio per il nuovo anno, incominciare finendo una storia. ^__^
Buone feste!

   
 
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