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Autore: Littlefinger    27/12/2012    1 recensioni
Una nuova avventura per Neil McRoberts. Stavolta il mago-mercenario finisce senza volerlo nel mezzo d'intrighi fra vampiri, mannari e altre creature sovrannaturali in Germania, nel cuore della Foresta Nera.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Neil McRoberts'
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«Cosa sai sui draghi?» mi chiese Josephine.
    Stavamo uscendo dall’ascensore e ci dirigevamo fuori dall’albergo.  Riccioli d’Oro era il mio partner per la missione. Si era offerta di aiutarmi, ma ovviamente aveva il compito di tenermi d’occhio per conto di Greta Zimmermann.
    «Volano, sputano fuoco e non esistono.» risposi. Appena fuori dall’albergo mi guardai intorno, non sapendo da che parte andare.
    «Di qua.» Josephine mi tirò per il braccio. «Hai ragione per quanto riguarda le prime due. Volano e sputano fuoco. Ed esistono.»
    Imprecai sottovoce e poi dissi: «Per cui sarà bene che cominci a pensare al mio epitaffio.»
    Mi lanciò uno sguardo confuso.
    «Perché è molto probabile che muoia. Per la legge di conservazione della pericolosità.»
    L’espressione della donna era ben oltre la confusione.
    «La legge di conservazione della pericolosità. La pericolosità di una categoria è una quantità costante, per cui se i suoi elementi sono pochi allora singolarmente sono pericolosi e, viceversa, se sono tanti allora non lo sono. Le mosche sono tante e non sono pericolose. Gli Aes Sidhe sono pochi e decisamente più pericolosi. I draghi sono generalmente considerati creature mitologiche e protagonisti della fiabe, quindi, visto che a quanto pare esistono veramente, probabilmente ne esistono pochi e sanno nascondersi bene. Per cui… » la conclusione era ovvia.
    «Le zanzare sono tante ma possono attaccarti la malaria.»  replicò. «Il tuo ragionamento non fila.»
    Sbuffai.«Le zanzare in sé non sono pericolose. Poi è una legge empirica. E l’ho inventata un paio d’anni fa. Se ci pensi un po’, fila. Se un gruppo è formato da gente molto potente è facile che si eliminino fra di loro o che vengano contenuti da altri gruppi.» Mi fermai un attimo per cercare un esempio pratico. «Pensa ai nosferatu. Quanti credi ne esistano in tutto il mondo?»
    «Non so.» Mi indicò di svoltare a destra. «Un centinaio?»
    Mi misi a ridere. «Sei pazza? Se in questo periodo storico ne esistono una dozzina è tanto. Non si vedono molto bene fra loro e sono molto pignoli sui territori di caccia.»
    «E quindi?»
    «Quindi si uccidono fra loro. Voi vampiri, invece…»
    «Non sono un vampiro.» replicò, vagamente scocciata. «Sono solo un’umana acqua e sapone.»
    Riuscii solamente a balbettare un “pensavo che” prima che m’interrompesse e continuasse a parlare.
    «Invece i vampiri sono tanti e non essendo molto forti singolarmente tendono a riunirsi in gruppi numerosi.»
    «Esatto.» replicai. «Quindi non oso immaginare di cosa sia capace un drago, oltre al fatto che mi può arrostire con un soffio.» Eravamo arrivati in un piccolo parcheggio. «Qual è la nostra auto?» domandai.
    «Questa.» rispose Riccioli d’Oro, saltando in sella a una moto e mettendosi il casco. Diede un colpetto dietro di sé.«Forza, salta su.»
    Mi feci scappare un’esclamazione di sorpresa. «Bella moto.» dissi, mentre salivo dietro di lei.
    Accese il motore e disse: «Reggiti forte.»
    Mi appoggiai alla sua schiena, stringendole un braccio intorno alla vita, e partimmo.
    «Dove stiamo andando?» strillai, ma la donna non mi sentii, coperta com’era dal casco.
    Josephine sembrava essere una discreta pilota e faceva lo slalom fra gli altri veicoli, infischiandosene di gran parte del codice stradale. Quando cominciai a pensare che saremmo finiti sotto un camion o in una cella della polizia tedesca, la donna svoltò e c’infilammo in un parcheggio sotterraneo.
    «Siamo arrivati.» disse, dopo essersi tolta il casco. I capelli riccioluti le scesero disordinati sulla schiena.
    Scesi dalla moto. «Sul serio? Non l’avrei mai immaginato.» replicai con un leggero accenno di sarcasmo. «Dove siamo?»
    «Il mio appartamento.» Entrammo nell’ascensore e premette il pulsante del terzo piano.
    «Ho proprio fatto colpo se mi fai salire da te senza nemmeno averti pagato una cena.»
    Josephine continuò a guardare avanti, ma sorrise.  «Cala, cala, Mr. McRoberts.» rispose. «Non sono così disperata.»
    «Dicono tutte così.»
    La porta dell’ascensore si aprì e uscimmo. Percorremmo uno spartano corridoio la cui unica decorazione era un tappeto logoro. Josephine aprì una delle porte e mi fece segno di entrare.
    «Un attimo.» dissi, alzando una mano. Mi guardai intorno, ma il corridoio era deserto a parte noi due. «Il tuo appartamento è protetto da Portali sconosciuti?»
    La donna si appoggiò alla porta e mi guardò come se avessi detto un’eresia. «Mi pare ovvio. Per chi mi hai preso?»
    Mossi la mano destra come se stessi aprendo una cerniera e un piccolo strappo dimensionale apparve là accanto. C’infilai la mano e tolsi fuori il mio bastone. Chiusi il Portale e mi passai l’arma da una mano all’altra, assaporando il profumo di cera per legno con cui lo trattavo. Le dita corsero lungo gli intarsi geometrici che correvano lungo la sua superficie: alcuni servivano per amplificare la sua funzione di vettore, mentre altri erano là solo perché mi piacevano come decorazioni. «Senza il mio caro bastone mi sento come nudo.» scherzai.
    «Scomodo e ingombrante.» commentò, scuotendo la testa. Entrò nella appartamento e la seguii.
    «Meglio una bacchettina come la tua? Chi sei, Harry Potter?»
    «Al massimo sarei Hermione.» Chiuse la porta e mi fece accomodare in quello che sembrava essere un piccolo soggiorno. O forse cucina. Più che un appartamento sembrava essere un bilocale. Il mobilio era di alta qualità e la cucina sembrava essere una di quelle console supertecnologiche che si vedono nei film di fantascienza. La mia fervida immaginazione cominciò a pensare a torte olografiche e altra assurdità, ma la voce di Riccioli d’Oro mi fermò.
    «Bello il trucco per conservare il bastone in un’altra dimensione.» disse. «Come funziona?»
    Mi abbandonai a un sospiro a metà fra il divertito e il lusingato. Mi massaggiai il mento - avevo assolutamente bisogno di radermi - e risposi con soddisfazione: «Ti piacerebbe saperlo.» Certi trucchi è meglio tenerli per sé. «Se vuoi approfondire l’argomento ti posso consigliare un paio di quintali di libri tecnici sull’argomento Portali.»
    I Portali, usati soprattutto per la magia di trasporto, in realtà sono applicazioni di un concetto teorico molto più ampio: le intersezioni dimensionali, un parolone brutto per un’idea abbastanza semplice. Circa. Immaginate una sfera n-dimensionale. No, scusate, meglio di no, pensate invece a un semplice cubo. Dentro di esso potete costruire altri piccoli cubi - o altre figure a tre dimensioni - oppure dei poligoni o semplicemente dei segmenti o dei punti. Ora supponiamo che il cubo di partenza sia il nostro multiverso e tutti gli oggetti che ci possiamo costruire dentro delle singole dimensioni. Queste possono essere completamente separate fra loro, una contenuta nell’altra, oppure avere un’intersezione non nulla.  Quest’ultimo caso è il più interessante per il trasporto magico. Pensate a due cubi con una faccia in comune: quando ci si trova là si è contemporaneamente in due dimensioni differenti e ci si può muovere liberamente fra l’una e l’altra. I Portali permettono proprio questo collegamento. Se poi considerate che esistono infinite dimensioni che s’intersecano con la nostra e, soprattutto, che questo ragionamento va fatto non su tre, ma su infinite dimensioni geometriche capirete l’ampia area di sperimentazione su cui si può lavorare.
    «No, grazie.» replicò, delusa. «Non sono molto abile con la teoria, probabilmente non ci capirei nulla. Per quando riguarda il mio modo di usare la magia propendo più verso l’essere una strega.»
    «Non sono mai stato bravo con la terminologia, che differenza c’è fra stregoni e maghi?» Mi sedetti al tavolo, mentre lei metteva un bollitore sul fuoco.
    «Pensavo che queste cose a Xiam ve le insegnassero.» rispose, sedendosi di fronte a me. «Voi maghi siete quelli che hanno studiato, quelli che hanno completato gli esami al Dipartimento di Studi Magici, o quasi.» Le sue labbra sottili si allargarono in un vago sorriso. «Siete un po’ gli ingegneri della magia. Avete le vostre regole e le vostre tecniche e le applicate per ottenere il risultato più efficiente.»
    Annuii. Cercai di non mostrarlo, ma ero lievemente contento. La signorina aveva fatto il proprio compitino e conosceva il mio curriculum scolastico.  Probabilmente aveva fatto qualche domanda a Robert e spulciato qua e là su Internet. Visto che dovevo lavorare con lei, sapere che era una professionista era un’ottima cosa.
    «Gli stregoni, invece, sono come, non so, come dei musicisti.» continuò Josephine. «Qualcuno diceva che la musica dà alla gente il piacere della matematica senza bisogno di conoscerla. Gli stregoni usano la magia d’istinto, senza appoggiarsi a regole razionali, ma seguendo i fili già tessuti dalla Natura.»
    «Quindi fanno le cose un po’ a casaccio e sperano che funzionino.» dissi, tamburellando le dita sul tavolo. «È un metodo che non mi piace.»
    «Però è altrettanto valido.» replicò stizzita. «Non si fanno cose a casaccio, nessuno ci tiene a esplodere. Si cerca di modificare a proprio vantaggio ciò che già esiste anziché congiurare dal nulla palle di fuoco o fulmini globulari.»
    «Cosa sai dei draghi? Sembri molto informata.» dissi per cambiare argomento. Quel modo di fare magia non mi piaceva per nulla e la mia considerazione per lei era calata. La magia non è qualcosa che s’improvvisa dall’oggi al domani:  va studiata, conosciuta e applicata.
    «Per farla breve, sono creature magiche che ottengono il proprio potere dall’accumulare.»
    «Dall’accumulare? Che significa?»
    «Hai presente i classici draghi con il tesoro nella propria tana?»
    «Smaug nella Montagna Solitaria? Sì, certo.» replicai. Il bollitore cominciò a fischiare. «E il potere di un drago è misurato, no, è proporzionale a quanti tesori ha accumulato nella propria tana?»
    Josephine si alzò per spegnere il fornello e rispose: «Sì, circa. Non è necessario che siano tesori come oro e gemme, può essere qualsiasi cosa per cui il drago prova attrazione.» Posò due  tazze sul tavolo e mi porse  una scatola piena di bustine di tè.
    Ne presi una di Earl Grey e riempii la tazza. «Sto pensando a un vecchio cartone della Disney, dove Cip e Ciop accumulavano nocciole nella loro tana nell’albero. Non dirmi che ci sono draghi raccoglitori di nocciole o collezionisti di figurine dei calciatori.»
    «Zucchero?» domandò. Sollevò il cucchiaino, ma al mio cenno di rifiuto si bloccò. «Non credo sia così semplice. Il drago deve avere un legame affettivo con il proprio tesoro e il potere emanato da esso dipende anche dalla rarità degli oggetti. Altrimenti perché gli antichi draghi collezionavano oro e pietre preziose e non patate e rape?»
    «Per fame di potere.» risposi, pensieroso. «E il nostro drago cosa colleziona?»
    «Donne.»
    Feci cadere il cucchiaino sul tavolo. «Donne?» ripetei.
    «Donne, hai capito bene. Glavnyognya colleziona donne. E quando non è lui a rapirle le fa rapire da altri. Dai suoi cultisti o dai suoi servitori.»
    «O mio dio.» esclamai. «Comincio a capire il piano di Greta e Robert.» Ora che i pezzi del puzzle cominciavano a saltare fuori era possibile comporre l’immagine. Glavcoso era il bulletto del quartiere  e maltrattava i vampiri e i mannari rubando loro i soldi per la merenda. Probabilmente richiedeva un qualche pagamento in donne per la sua collezione. Robert e Greta, chiaramente, non potevano contrastarlo in maniera diretta e avevano pensato che rubando chissà quale misterioso artefatto a cui era affezionato avrebbero potuto ricattarlo.
    Sorseggiai un po’ di tè e osservai Josephine. Aveva gli occhi puntati su di me e stava studiandomi. Robert e Greta non aveva accennato ai perché del mio lavoro, per cui probabilmente era curiosa di sapere quanto avessi elaborato per conto mio dalle informazioni che mi aveva dato.
    «Quindi dobbiamo rubare il misterioso cosino per ricattare Glavcoso, affinché non costringa la tua signora a inviare il femmineo tributo.»
    «Esatto.» rispose. Poi si mise a ridere. «Nessuno però l’aveva mai chiamato “femmineo tributo”.»
    «È comunque una missione impossibile.» replicai. Allontanai la tazza e mi alzai. Non che il tè non fosse buono, però lo stomaco mi si era rivoltato al pensiero delle donne imprigionate nella tana del drago. «Dobbiamo rubare un oggetto di cui non conosciamo né la forma né la locazione.» Scossi la testa. «È impossibile.»
    Josephine continuava a sorseggiare il suo tè, senza dar segno di nessuna preoccupazione. «Cerca una soluzione, se vuoi rivedere la tua fatina.» disse senza perdersi in troppi giri di parole.
    In genere reagisco male quando vengo minacciato, ma in questo caso non c’era nulla che potessi fare. In quel momento Chiara era fuori dalla mia portata, non avevo nemmeno idea di dove la tenessero. L’unico modo per aiutarla era completare il lavoro, assumendo che il drago si facesse ricattare e non incenerisse tutti quanti per recuperare il suo artefatto.
    «Visto che non conosciamo chi possiede l’oggetto, suppongo che il drago sia mimetizzato fra la popolazione di quel villaggio.»
    La donna fece un cenno d’assenso. «Sappiamo per certo che vive là in forma umana e che probabilmente usa un’identità russa.»
    «Russa?»
    «Sì. O almeno credo. Glavnyognya ha vissuto in Russia negli ultimi secoli e penso abbia assimilato un po’ della loro cultura. Del resto i russi sono stati i primi a dargli un nome.»
    «E perché si è trasferito qua?» domandai.
    Alzò le braccia e scosse la testa. «Non ne ho la minima idea.»
    Quel punto non era banale. Se sei un pezzo grosso come un drago e una creatura abitudinaria, come qualsiasi essere che ha vissuto per millenni, non abbandoni il tuo territorio senza un valido motivo. Le cause potevano essere due: Glavcoso aveva visto nella Foresta Nera una migliore sorgente di potere; qualcuno più grosso di lui l’aveva fatto sloggiare dai suoi vecchi territori. Nel primo avremmo avuto a che fare con un tizio estremamente geloso del proprio territorio, nell’altro con uno abbastanza adirato per essere stato cacciato dalla sua antica casa. Non male come possibilità.
    Mi passai una mano fra i capelli. Dopo due giorni di viaggi per l’Europa non ero certo pulito e profumato. «Ho assolutamente bisogno di una doccia.» dissi. «Magari pensare sotto l’acqua mi farà venire qualche idea.»
    Josephine si alzò e mi fece strada verso la stanza adiacente. Doveva essere la sua camera da letto, perché c’era un letto a due piazze, un armadio a quattro ante e una cassettiera con specchio di fattura antica. M’indicò una seconda porta e disse: «Là c’è il bagno.» Frugò nell’armadio, prese un asciugamano e me lo tirò. «Non consumare troppa acqua calda.» Poi prese una busta di plastica e la posò sul letto. «Vestiti di ricambio.»
    Stracciai la busta - sarò pure un mago, ma non riesco comunque a sciogliere i nodi nelle buste di plastica - e ne esaminai il contenuto: un paio di boxer, delle calze di spugna, un paio di jeans, una t-shirt bianca e una felpa nera con una scritta rossa, “It’s just a flesh wound”. Sorrisi, era un classico.
    «Eri certa che avrei accettato?» domandai.
    Sorrise. «Chi fai il tuo mestiere non vive a lungo se non impara in fretta a scegliere i lavori giusti.»
    Mi tirai l’asciugamano sulla spalla e dissi con accento italo-americano: «Tendo sempre ad accettare le offerte che non posso rifiutare.»
    Josephine mi regalò uno sguardo divertito e tornò nel soggiorno.
    L’acqua calda che mi scendeva lungo la schiena mi aiutò a rilassarmi e a pensare. La situazione in cui mi trovavo non era fra le più desiderabili, ma era meglio che essere morto. Certo, avrei potuto diventarlo entro pochi giorni, dato che dovevo pestare i piedi a un drago, ma almeno ci si poteva lavorare. Andare a testa bassa contro una creatura di quella forza era un suicidio, per cui dovevo giocare di finezza. Individuare l’oggetto, rubarlo e filarmela prima che il drago potesse accorgersi di me. Poi, una volta consegnato il coso a Robert e Greta, filarmela con Chiara verso qualche spiaggia tropicale. Facile a dirsi.
    M’insaponai con calma, gustando il piacevole tepore dell’aria all’interno del box doccia. La linea d’azione tipica per casi di questo tipo era di usare un rituale di ricerca. Il problema, però, era che non avevo nulla su cui basarmi. Per trovare qualcosa avevo bisogno di qualcos’altro legato a esso: una sua parte, un altro oggetto dello stesso proprietario o un suo simile di potenza equivalente. L’ultimo punto era sensato solo per cercare oggetti o persone così potenti che non ne esistevano molti esemplari. In caso contrario, l’energia del rituale si sarebbe dispersa fra troppi obiettivi, rendendolo completamente inutile.
    Chiusi l’acqua e mi asciugai. Poi mi avvolsi l’asciugamano alla vita e uscii dal bagno. Profumavo di fragole e albicocca. Neil McRoberts, famigerato mago-mercenario, che profumava come un cesto di frutta. Osservai la stanza di Josephine mentre mi vestivo. Non c’era nessun elemento decorativo e l’unico soprammobile era un vaso con dei fiori finti, alquanto vecchio. L’unico indizio che mostrava la presenza di una persona era un libro sul comodino. Lo presi in mano e lessi il titolo: La contessa e lo stalliere. Uno di quei libri di porno per donne, con decine di pagine di minuziose descrizioni dei muscoli dello stalliere e centinaia di similitudini per indicare l’organo maschile.
    «Alla fine lei rimane incinta, ma lo stalliere muore, ucciso dal malvagio conte.» disse una voce alle mie spalle.
    «Oh, no! Ora che so come finisce non potrò gustarmi questo capolavoro.» esclamai, mentre poggiavo quelle cinquecento pagine di letteratura colta. In quel momento notai qualcosa sul comodino, una piccola spilla dalla forma particolare, ma prima che potessi capire cosa fosse Josephine mi si parò davanti. Mi diedi due colpetti alla pancia e dissi: «E ora pappa. Cosa hai preparato di buono?»
    Sorrise. «Non sono la tua cameriera, Neil. Se hai fame possiamo…»
    «Certo che ho fame.» borbottai. «Il tuo amico verde mi ha costretto a viaggiare in tutta fretta e in due giorni ho mangiato un gelato a Nizza e un panino a Ginevra!»
    «Se vuoi possiamo andare a un fast food qua vicino.» disse la donna.
    «Un invito a cena!» Ridacchiai. «Però paghi tu.»
    Scosse la testa e tornò in cucina. Feci per seguirla, ma prima guardai nuovamente sul comodino per esaminare la spilla. Era una croce greca e su ogni braccio era avvolto un fiore stilizzato: un tulipano, un giglio, un’orchidea e una malvarosa. Mi sembrava di conoscere quel simbolo e mi chiesi se la Fratellanza della Notte di Valpurga avesse cominciato a produrre del merchandising. Presi la spilla e me la rigirai fra le dita.
    Esistono due giorni che sono molto importanti per i cicli magici: la Notte di Valpurga e la Notte di Ognissanti. Non sono importanti per qualche strano allineamento astronomico o per qualche buffonata astrologica, lo sono perché le persone li hanno resi importanti. Sono due giorni in cui vengono festeggiate tradizioni di culti antichissimi, poi assimilati da religioni meno antiche come il cristianesimo e infine inglobate nella venerazione del grande Dio Consumismo, ma sto divagando. Sono importanti per i maghi perché sono due feste talmente radicate nel mondo e nelle coscienze che durante il loro svolgersi l’energia magica viene purificata, amplificata. In quelle notti è possibile eseguire con facilità incantesimi che di norma non si è in grado di eseguire. Gruppi come la Fratellanza della Notte di Valpurga sfruttano quelli notti per preparare grandi rituali per grandi scopi come salvare gli alberi o abbattere le malvagie multinazionali; gente come me evoca tre demoni egiziani per giocare a poker. Il vecchio Sehaqeq mi deve dodici ettari di terre sul Nilo. Sapere che Josephine facesse parte della Fratellanza era una notizia curiosa: solitamente i membri di questi gruppi sono degli hippie-abbraccialberi o dei wiccan, non gente che lavora nel mio campo e sa uccidere un uomo in almeno dodici modi differenti.
    «Allora, ti sbrighi?» gridò Josephine dall’altra parte della stanza.
    Posai la spilla e tornai in cucina, dove la donna mi attendeva con una pistola in mano. Allenamento e abitudine reagirono istantaneamente alla minaccia e mi preparai ad evocare uno scudo, ma non fu necessario perché me la passò.
    «Meglio avere un’arma a disposizione, non si sa mai.» mi disse.
    Era una SIG P226, una 9mm dalle dimensioni contenute. Feci scorre il carrello per verificare che non ci fosse un colpo in canna, poi estrassi il caricatore e controllai che fosse carico. Lo reinserii, misi la sicura e me la infilai nei jeans, coprendola con la felpa.
    Josephine ripeté le stesse azioni con una seconda pistola e poi mi disse: «Forza, andiamo, Fragolino.»

    Quindici minuti e tre quasi-incidenti motociclistici dopo eravamo nel fast-food, seduti a un tavolo con un vassoio di cibi killer davanti. Non sono un grande fan del junk food, ma una volta ogni tanto non è un crimine. In quel momento non è che avessi molta scelta e non potevo certo fare il sofisticato.
    «Che altre informazioni abbiamo sull’obiettivo?» domandai dopo aver addentato l’hamburger.
    «Sappiamo solo che il drago si nasconde fra la popolazione del villaggio e che ha un culto di seguaci che lo adora come un dio.»
    «Di bene in meglio. Che resistenza dobbiamo aspettarci? PMC, fanatici, creature sovrannaturali?»
    «Soprattutto fanatici, ma probabilmente il drago avrà un cerchio di fedelissimi abbastanza preparato.»
    «E a livello magico? Quanto devo aspettarmi da Glavcoso?»
    Josephine bevette un po’ dalla cannuccia della sua bevanda, rifletté un attimo e poi disse: «Per quel che ne so può essere un totale ignorante oppure un fottuto arcimago con le palle d’acciaio.»
    Una signorina raffinata. «Capisco che viste le capacità combattive di un drago non dovrei preoccuparmi di queste sciocchezzuole, ma sono curioso di sapere se oltre ad arrostirmi, divorarmi e farmi a pezzi può anche trasformarmi in un grillo.» Non che le trasformazioni in insetti fossero particolarmente sensate, ma era più incoraggiante rispetto a “teletrasportarmi nello spazio siderale” o “farmi fare un bagnetto nel magma”. Spiluccai un paio di patatine dalla sua porzione.
    «Ehi, fermo!» Mi diede un colpo alla mano. O almeno ci provò, visto che fui più veloce di lei.    
    Morsicai la refurtiva e sorrisi soddisfatto.
    «Come ogni creatura sovrannaturale, di solito i draghi non s’interessano allo studio delle arti magiche Preferiscono usare la propria energia nella maniera più naturale.» continuò Riccioli d’Oro.
    «Super forza e super velocità come folletti e vampiri?»  domandai.
    Josephine ridacchiò. «Quando sei lungo dodici metri dalla testa alla coda e pesi un paio di tonnellate non hai bisogno di super forza o super velocità.»
    Immaginai un corpo di diverse tonnellate muoversi alla velocità del suono: era una scena abbastanza inquietante.
    «In genere usano l’energia magica per rimanere in forma umana e per volare e sputare fuoco o altro.» continuò lei, finendo l’ultimo morso del suo hamburger. «Non penserai certo che possano volare solo grazie alla loro muscolatura?»
    Alzai le spalle. Non ero esperto di uccelli o rettili volanti o qualsiasi cosa fossero i draghi, una cosa però mi aveva incuriosito. «Sputare fuoco o altro?»
    «In genere incendiano del metano che producono tramite la digestione, ma in altri casi utilizzano sostanze acide o narcotizzanti oppure producono correnti d’aria…»
    «Rutti magici. Sempre meglio.»
    «… per cui è molto raro trovare  draghi che praticano seriamente l’arte magica.» continuò, ignorandomi.
    Tolsi il tappo della mia bevanda e bevetti direttamente dal bicchierone di plastica. Odio le cannucce. «Com’è che sai tutte queste cose sui draghi?»
    «Ne ho conosciuto uno. Il nome Huísheng ti dice qualcosa?»
    «Purtroppo sì.» Chiunque abbia studiato un po’ di geometria ritualistica o abbia fatto qualche lettura su rudimenti di taumaturgia conosce quel nome e ha imparato a imprecarci contro. Il teorema di Huísheng è una delle cose più intricate che abbia mai incontrato e ogni studente di magia ci sbatte il muso contro almeno una dozzina di volte. «E sarebbe un drago?»
    Josephine annuì. «Vive in un piccolo eremo in Mongolia e possiede una biblioteca di almeno cinquantamila libri, fra cui dei pezzi antichissimi.»
    «Lui è un fottuto arcimago con le palle d’acciaio, no?» commentai.
    Sorrise. «Non è una persona che mi farei nemica. È l’eccezione che conferma la regola.»
    Nessuno vorrebbe inimicarsi il genio magico che ha dimostrato il Teorema di Huísheng. Feci per replicare con qualche fantastica battuta, quando degli spari infransero le porte a vetri del locale. La gente cominciò a strillare e un paio di uomini con dei passamontagna entrarono. Erano tutti armati con pistole.
    Riccioli d’Oro e io, abituati a trovarci in certe situazioni, ci buttammo subito a terra ed estraemmo le armi contemporaneamente, come un’affiatata squadra di nuoto sincronizzato.  Avevamo preso un tavolo sul muro, accanto a una di quelle porte “Accesso riservato al personale” molte comode per svignarsela in caso di guai. Uno degli uomini gridava qualcosa in tedesco. Non sapevo cosa stesse dicendo, però ero certo che non fosse una barzelletta. Guardai interrogativamente Josephine che mi sussurrò: «Sta dicendo di stare calmi e che nessuno si farà male. Stanno cercando dei vecchi amici.»
    Chissà perché avevo il sospetto che si riferisse a noi. «Sei pronta a correre ?»
    «Sono nata pronta.»    
    «Allora infiliamoci nella porta di servizio e vediamo di levarci dal loro raggio di tiro, dopo cercheremo di capire chi diavolo sono. Prima scappare, poi ragionare.»
    Mi spostai lentamente verso la porta, ma sicuramente non avremmo fatto in tempo ad evitare il contatto con i cattivoni. Se cercavano noi - e chi altrimenti? Di certo non cercavano il ragazzino ciccione o la coppietta di sedicenni nei tavoli accanto al nostro - al primo movimento ci avrebbero  identificato. Tanto valeva attaccare per primi.
    Mi alzai e puntai la pistola verso gli uomini. Reggevo il bastone con la mano destra, per cui sparai tenendo la pistola con una mano sola. Nono sono mai stato un eccellente tiratore, figuriamoci impugnando male l’arma. I proiettili sibilarono intorno ai bersagli, che si buttarono a terra.
    «Vai!» urlai a Josephine, la quale scattò verso la porta di servizio. Continuai a sparare, affinché gli uomini tenessero la testa basta. Non appena aprì la porta, fu lei a far fuoco per coprirmi. Una volta che anche io entrai, chiuse la porta e scappammo  per i corridoi. Non avevo bene idea di dove stessimo andando, ma l’importante era mettere più angoli possibili fra noi e gli inseguitori.
    «Sai chi diavolo sono?» gridai.
    «Non ne ho idea!»
    «C’è un infiltrato nel clan di Greta.»
    Arrivammo a una porta tagliafuoco. Josephine si fece avanti per aprirla, ma la trattenni per un braccio. Misi l’indice sulle labbra e la tirai indietro. Drizzai le orecchie ma non sentii nessun rumore oltre la porta. Comunque non avevamo tempo per certe sottigliezze. «Io esco per primo» dissi sottovoce «tu pensa a disarmare il cattivone che mi sparerà addosso. Lo voglio vivo.»
    Fece cenno di aver capito e aggiunse: «Come fai a sapere che c’è qualcuno fuori?»
    «Vuoi scommettere?»
    Non attesi risposta e spinsi il maniglione antipanico, evocando contemporaneamente uno scudo magico.
    La rosa di pallini avrebbe dovuto centrarmi in pieno petto, invece si fermò a pochi centimetri da me e l’energia cinetica si trasferì verso di me, facendomi barcollare un attimo. Alle mie spalle sentii Josephine esclamare qualcosa di molto simile a “Expelliamus”. Il cattivone - un uomo vestito in pelle e con un passamontagna, come i suoi amici che ci stavano inseguendo - era sdraiato a terra, il fucile qualche metro più indietro. Non persi tempo, mi avvicinai a lui e lo colpii in faccia con la punta del bastone.
    L’uomo sputò sangue e mi urlò qualcosa in tedesco, magari quanto fosse sexy la mia chioma scompigliata. Non feci complimenti e lo colpii una seconda volta, poi gli misi il piede sulla gola. Mi rivolsi a Josephine e dissi: «Chiedigli chi lo manda.» Aumentai la pressione del piede; non avevamo tempo da perdere, i suoi compagni sarebbero arrivati fra poco.
    Riccioli d’Oro cominciò a parlare in tedesco e l’uomo scuoteva la testa e rideva, facendo lo sbruffone. Purtroppo, però, non era in una posizione per farlo né io avevo il tempo per certe cazzate. Lo colpii ancora una volta col bastone  e poi evocai una palla di fuoco, facendomela girare intorno alla mano.
    L’uomo continuò a ridere sguaiatamente, ignorando le domande insistenti di Josephine. Al diavolo! Lanciai il dardo infuocato sul petto dell’uomo e poi corsi verso la porta. Mormorai un incantesimo veloce per bloccarla e come ulteriore sicurezza ci misi davanti un bidone della spazzatura. L’uomo si rotolava a terra urlando, e Josephine mi guardava stranamente, forse disturbata dalla mia azione.
    «Non hai mai visto un uomo bruciare?» domandai ironico. «Forza, datti una mossa e andiamo via.»
    «Non ti sembra di aver esagerato?» mi disse, mentre correvamo per i vicoli. «C’era bisogno di ucciderlo?»
    «Non credo sia morto e comunque volevi che c’inseguisse e indirizzasse i suoi amichetti?»
    Dopo un paio di minuti di svolte a caso ci ritrovammo in un parcheggio davanti a un supermercato. Mi frugai nelle tasche e trovai il pacchetto di fazzoletti di carta che mi porto sempre appresso per ogni evenienza. Ne offrii uno alla donna che fece cenno di no con la mano.
    «Prendine uno e soffiati il naso, oppure sputaci, come preferisci. Mi serve qualcosa di te e quelli sono i liquidi più veloci da… produrre.»
    La donna mi guardò con un’espressione abbastanza disgustata, ma prese il fazzoletto. Io feci lo stesso e mi soffiai il naso, poi appallottolai il fazzoletto e mi chinai.
    «Hai qualcosa per scrivere sull’asfalto? Un gessetto o qualcosa di simile.» Allungai la mano e mi feci dare il suo fazzoletto.
    Josephine si frugò nelle tasche e tolse fuori un rossetto. «Questo può andare.»
    Alzai la mano e me lo lanciò. Intanto avevo posato i due fazzoletti, contenenti parte di noi, a una certa distanza uno dall’altro. Aprii il rossetto e tracciai due tremolanti circonferenze intorno a essi. Scrissi altri simboletti tutto intorno e poi posai la mano sulle linee di un rosso intenso, rilasciando abbastanza energia magica per attivare l’incantesimo. Mi alzai in piedi, soddisfatto per il risultato, e allungai il rossetto verso Riccioli d’Oro.
    «No, grazie.» disse, rifiutandolo. «Dubito che ora possa servirmi a qualcosa.»
    Scossi le spalle e m’incamminai, allontanandomi dal luogo dell’incantesimo.  Josephine mi seguì a ruota.
    «Hai fatto quello che penso tu abbia fatto?» mi chiese.
    «Se pensi che abbia costruito un’esca per un rituale di ricerca indirizzato a noi, sì.»
    I rituali di ricerca erano i più semplici incantesimi per trovare una persona. Non abbastanza semplici, però, da poter essere utilizzati da un singolo mago, i rituali, infatti, richiedono una preparazione spaziale con diagrammi e vettori e richiedono diverse persone per tenerli attivi. I fattori limitanti sono la necessità di possedere una qualche parte della persona da trovare - capelli, unghie, liquidi o altro - e la grandezza dell’area di ricerca. Se non ricordo male, vi è una relazione quadratica fra l’area in chilometri quadrati e il numero di maghi di primo livello richiesti per il rituale.
    Io avevo semplicemente costruito due spaventapasseri per depistare gli inseguitori. Si era trattato di utilizzare delle parti di noi e amplificare il loro “segnale” tramite i cerchi e i simboli che avevo disegnato col rossetto, in tal modo il rituale avrebbe indirizzato gli inseguitori verso i fazzoletti, dandoci il tempo di seminarli completamente. Qualche anno fa ero sulle tracce di un mago della Yakuza, per via di una questione di debiti di gioco. Il bastardo mi aveva fatto sudare sette camicie solo per riuscire ad individuarlo e ci misi un paio di giorni per raggiungerlo. Finalmente ero certo di averlo rintracciato in un love hotel a Shibuya. Entrai di corsa nella sua stanza deciso a provocare un finimondo, ma rimasi deluso. Ci trovai soltanto una ragazzina vestita, anzi svestita, da Sailor Moon e un preservativo usato circondato da simboli magici.
    «Capito.» replicò. «Nei sei certo? Che ci stiano cercando con un rituale, intendo.»
    «No, ma è sempre meglio pensare alla peggiore delle ipotesi.»
    «Prima dicevi che c’era un infiltrato nel clan Schwarz.» Era il nome del clan di vampiri di Greta Zimmermann.
    «Non credi? Dei misteriosi uomini mascherati ci attaccano un’ora dopo aver parlato con due vassalli di Glavcoso, i quali stanno progettando una ribellione.»
    «E quindi decidono di farci fuori per far vedere loro che non si fa.»
    «Esatto. Ora però abbiamo bisogno di un rifugio sicuro, un luogo protetto dai rituali.»
    Annuì e prese il cellulare. Premette un tasto e mi disse: «Come puoi sapere che l’infiltrato sia nel clan di Greta e non sia qualcuno del branco del tuo amico mannaro?»
    Feci spallucce. «Onestamente non me ne può fregar di meno di chi sia la talpa. Sono affari vostri. Non appena avrò finito il lavoro e libererete Chiara me ne andrò da qua e non sarà più un mio problema.»
    Josephine si mise a parlare al telefono. Dopo un minuto chiuse la comunicazione e mi disse: «Un’amica sta venendo a prenderci.»
    «Bene.» Sorrisi. «C’è qualche possibilità per un ménage à trois?»
    «Dubito.»
    Tornai serio. «Possiamo fidarci?»
    «È il braccio destro e guardia del corpo di Greta. Se c’è un traditore, lei è interessata quanto noi a identificarlo ed eliminarlo. È una persona fidata.»
    «È sempre così. Poi si scopre che l’uomo più fidato del mondo aveva bisogno di soldi.» risposi. Solitamente, i motivi di un tradimento sono tre: soldi, la persona è avida e vuole mettere da parte un gruzzoletto per la pensione; l’ideologia, il fanatismo è il più grande motore del mondo, dopo i soldi, ovviamente; infine c’è la costrizione. Una persona può venire ricattata in cambio d’informazioni.
    «Guadagna in un mese quanto un PMC di una compagnia privata può guadagnare in un anno. Non ha problemi di soldi.»
    «Può essere stata compromessa? Che so, ha uno stile di vita discutibile o qualche vizio su cui si potrebbe fare leva?»
    Josephine scosse la testa. «È un soldato, figlia di soldati e nipote di soldati. Sua padre era uno spetsnaz e la nonna era un cecchino che ha combattuto a Stalingrado. Il suo unico vizio è l’attività fisica.»
    «È russa» dissi «come il drago.» Ecco il motivo ideologico.
    «E quindi?» replicò irritata. «Che diavolo c’entra? E poi il drago non è russo, ma ha razziato la Russia, è una cosa ben diversa. E come puoi pensare che una donna possa aiutare un drago che rapisce ragazze?»
    Non aveva tutti i torti, era abbastanza improbabile.
    Alzai le braccia e dissi: «Mi fido.»
    Alla fine m’importava relativamente. Se la missione fosse andata a donnine di facili costumi, me la sarei svignata veloce come il vento.  Da morto difficilmente avrei potuto aiutare Chiara.
   
 
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