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Autore: Eternal_Blizzard    28/12/2012    3 recensioni
Ogni mille anni, sulla Terra, si combatte una guerra per ottenere il titolo di Re dei Mamodo - creature dotate di poteri sovrannaturali - e poter governare quindi sul loro mondo. Sono passati solo dieci anni dall'ultima guerra, che però ha portato all'assenza di un re; lo stato di anarchia che si è andato a creare non può più continuare ad esistere ed è perciò necessario che una nuova Guerra si combatta. Ogni mamodo però, per combattere, deve trovare l'umano che diverrà suo partner in questa tremenda guerra senza il quale non potrà che perire di fronte ai propri avversari.
La battaglia per diventare re inizia ora, ma non sarà affatto facile, per nessuno dei ragazzi scelti come candidati al trono.
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Book #1 × Lilac

Era già una settimana che La Guerra era iniziata e la vita nel mondo degli umani si era rivelata più difficile di quel che pensasse: già il fatto di non poter utilizzare i propri poteri rendeva tutto molto, molto ostico, ma il fatto di non conoscere nessuno, non poter contare sui propri genitori, non avere un’identità in quel mondo sconosciuto rendeva il tutto davvero difficile. Era impensabile cavarsela da soli, almeno per lungo tempo.
Era così anche per Takuto, uno dei Mamodo più intelligenti del suo mondo. Lì era conosciuto per essere responsabile, uno su cui poter fare affidamento e dalle grandi doti magiche, fisiche e mentali. L’unico frangente in cui non dimostrava di essere particolarmente sveglio era l’amore siccome faceva strage di cuori fra le sue simili senza però rendersene conto. Certo, per un re era importante qualsiasi tipo di apprezzamento, ma uno di quel tipo non era ritenuto strettamente necessario, perciò il ragazzo era uno dei favoriti per la candidatura la trono, considerando anche il fatto che proveniva da una famiglia di nobili. Certo, in quel momento il suo aspetto era tutto tranne che elegante: i mossi capelli castani e solitamente vaporosi erano piuttosto secchi e pesanti, con la frangetta che andava a coprirgli gli occhi e i ciuffi che normalmente arrivavano alle spalle erano distesi fino a sotto di esse; gli occhi color nocciola erano visibilmente stanchi mentre si guardavano intorno cercando di individuare qualcuno che conosceva finito a combattere La Guerra come lui senza ottenere risultati; i vestiti, infine, erano abbastanza macchiati come, del resto, la sua pelle. E dire che non era mai stato sporco così a lungo, così malridotto e “rovinato”, come l’avrebbe definito sua madre che all’aspetto “importante” ci teneva molto.
Assicuratosi che il parco dove aveva alloggiato negli ultimi sette giorni fosse nuovamente deserto con l’arrivo della notte, si andò ad infilare in uno degli scivoli tondi, interamente chiusi, e vi si sistemò meglio che poteva: era stretto, certo, ma almeno avrebbe potuto riposare senza visite indesiderate poiché anche se qualcuno fosse andato in quel parco in piena notte, dubitava fortemente che si mettesse a giocare, specie sugli scivoli. Tirò su con il naso e guardò in alto, come se potesse vedere il cielo al di là della plastica gialla che si trovava a pochi centimetri dal volto e sospirò, facendo leva sui piedi per creare il maggior attrito possibile ed evitare quindi di scivolare giù. Doveva ringraziare il fatto che quella giostra non fosse esattamente il massimo della pulizia, perché la polvere e la terra portate lì dai bambini facevano aderire meglio i suoi vestiti alla parete, permettendogli di rilassare i muscoli almeno un po’. «Forza, meglio dormire…» si disse, voltando la testa così da appoggiare la guancia sulla plastica. La premette in modo che il contrasto del freddo di quel materiale e il caldo della sua guancia divenisse un tutt’uno, ma prima che riuscisse a godere della piacevole sensazione che gli avrebbe dato sul viso, della polvere lì sopra gli entrò nel naso insieme all’aria che respirava, facendolo starnutire. Quel movimento brusco ed improvviso gli fece alzare le gambe e la testa facendole sbattere contro la parete superiore ed in più gli fece anche perdere l’attrito creato, così che il ragazzo si trovò inevitabilmente a scivolare giù, arrivando a dare una pesante botta per terra con il fondo schiena. Rimase fermo qualche istante, sforzandosi di scacciare il dolore dovuto alla botta stringendo più forte che poteva gli occhi e le labbra ed appena quello si affievolì si rialzò facendo leva sulle ginocchia, dandosi qualche colpetto sulle parti dei vestiti che avevano toccato il suolo e, quindi, avrebbero dovuto essere più sporchi del resto. Si massaggiò la parte lesa e, quando con la mano arrivò dal bordo dei pantaloni sulla parte posteriore al lembo inferiore della maglia che indossava sgranò gli occhi. Afferrò il pezzo di stoffa e lo girò il più possibile in modo da portarlo all’altezza del fianco così che potesse vederlo: era strappato. Durante la caduta aveva sentito ad un certo momento un pezzo di stoffa fare resistenza su qualcosa, per qualche istante, ma non avrebbe certo pensato che si sarebbe strappato la maglietta! Ah, fosse stato uno dei suoi soliti e costosi vestiti, la madre l’avrebbe ucciso come minimo. Per fortuna, però, aveva convinto la donna a farlo partire con degli abiti più scialbi ed insignificanti, ma più confortevoli e meno pregiati, proprio in previsione di eventuali strappi, macchie indelebili o simili. Sospirò, continuando a tastare il taglio, mentre volgeva lo sguardo al cielo, sconsolato.
Mi raccomando, Takuto, devi darti da fare. Tu nel nostro mondo sei molto potente, ma nel mondo degli umani ti ritroverai solo, all’inizio, e senza un compagno non puoi sperare di fare alcunché. Devi cercare il tuo compagno e devi farlo in fretta, altrimenti non potrai affrontare i Mamodo che ti si pareranno di fronte. Aspetteranno solo un tuo attimo di debolezza o distrazione; non sottovalutare mai nessuno, non abbassare mai la guardia sia che si tratti di un amico, sia che si tratti di uno dei Mamodo più deboli. Fidati, te lo dico io che ho perso il titolo di re proprio all’ultimo secondo.
Gli aveva detto così il suo professore prima che partisse per il “fronte”. Gonfiò le guance, ripensando a tutto ciò che di utile gli avesse detto riguardo quella guerra. In realtà, però, non aveva potuto dargli troppe informazioni poiché altrimenti sarebbe sembrato di parte e tutti i partecipanti avrebbero dovuto cavarsela da soli facendo ricorso solo alle notizie che gli erano state fornite a scuola. L’unica cosa che gli aveva ripetuto più e più volte era di non sottovalutare nessuno e trovare il suo compagno… Poi, ovviamente, a scuola avevano ripetuto fino alla nausea a tutti i possibili re che non dovevano mai e poi mai lasciare incustodito il proprio libro.
Un attimo.
Smise di passarsi fra le dita la stoffa strappata ed iniziò a tastare con preoccupazione la propria schiena, per poi passare alla pancia e, inutilmente, alle gambe. Dov’era finito il suo libro. Dove. Diavolo. Era. Normalmente lo teneva sotto la maglietta, che a sua volta infilava all’interno dei pantaloni così da creare una sorta di grande tasca – data la decorazione sulla copertina monocromatica era facilmente riconoscibile e quindi non era una buona idea portarlo in giro come fosse un testo qualsiasi – e stava sempre attento a non separarsene. Essendosi strappata la veste, perciò, l’unica spiegazione era che fosse caduto lì a terra durante la scivolata, ma vicino ai suoi piedi non c’era traccia del tomo. Spaventato si gettò a terra – magari era solo colpa del buio che gli impediva di individuarlo, dato anche il marrone scuro della copertina – tastando il suolo sperando di trovarlo, invano. Si morse il labbro ma mantenne la calma, riflettendo a mente fredda. Non era per niente sicuro dell’idea che gli era venuta, ma come si soleva dire, “tentar non nuoce”. Gattonò fino alla bocca dello scivolo e, titubante, guardò dentro: a strappargli il vestito era stato un pezzo rotto di plastica che si era rialzato e quello stesso pezzo, in quel momento, teneva incastrato il tanto agognato libro. Alzandosi, il castano poté tirare un sospiro di sollievo, per poi allungarsi in modo da arrivare a toccare e quindi prendere il volume. Lo rigirò più volte tra le mani e l’osservò al meglio che la poca e fioca luce dei lampioni permettesse; non aveva riportato alcun danno, ma doveva prestare più attenzione. Forse passare altre notti in quell’attrazione non era esattamente una buona idea… E poi, cambiando “letto” avrebbe anche evitato di svegliarsi con dolori articolari o muscolari come succedeva ogni mattina da una settimana a quella parte.
«Ah, se mamma mi vedesse conciato così mi diserederebbe…» ridacchiò. «Sembro un barbone, e dire che nel mio mondo abito in un castello» ricordò, sedendosi pesantemente per terra e poggiando la schiena all’apertura della giostra da cui era uscito poco prima. Piegò le ginocchia e, dopo aver delicatamente sistemato il libro sulle cosce, vi poggiò le braccia, rivolgendo nuovamente gli occhi alle stelle. Dove si trovava il suo mondo? Era uno di quei corpi celesti che brillavano lassù? O magari si trovava in un’altra dimensione? Se non ricordava male, il suo mondo era un pianeta differente lì in quello stesso universo o almeno così gli sembrava di aver letto. A scuola aveva sempre il massimo dei voti, ma di quella “Terra” non sapeva quasi nulla, siccome era nato appena tre anni prima dello scoppio della Guerra precedente, quella di soli dieci anni prima. Non avrebbe dovuto essere coinvolto nella corsa al trono ed avrebbe dovuto sapere il minimo indispensabile sugli umani e ciò che li riguardava, perché avrebbe vissuto mille anni in tranquillità sotto il dominio del vincitore di dieci anni prima.
Già. Vincitore inesistente.
Per carità, era molto fiero del suo insegnante perché anche se aveva perso il trono aveva comunque sconfitto ogni avversario che gli si era parato davanti ed aveva sempre combattuto egregiamente, ma in quel momento avrebbe preferito che lui o il suo ultimo nemico avesse vinto. Se così fosse stato, in quel momento si sarebbe trovato a casa sua, suonando il suo meraviglioso pianoforte, passando il tempo con i suoi amici e quant’altro.
Ed invece si trovava lì in completa solitudine. Non c’erano i suoi compagni di scuola, non c’erano i suoi famigliari, non c’era nessuno. Cominciava a sentire la mancanza anche di quei ragazzi che gli erano amabilmente odiosi ed avrebbe pagato pur di non rivederli mai più. E invece, piuttosto che stare solo, avrebbe preferito anche la compagnia di qualcuno di loro. Schioccò la lingua, poggiando un gomito sul ginocchio e premendosi la fronte sul palmo della mano, mentre con l’altra accarezzava il proprio libro, stringendo le labbra. L’osservò attentamente mentre con le dita percorreva i piccoli solchi decorativi presenti sulla copertina, che andavano a formare un rettangolo nella parte superiore che sovrastava due triangoli uniti solo per un vertice, i cui angoli erano circondati da altrettanti cerchi. Era davvero così difficile da leggere la loro lingua? D’accordo che lui c’era nato e cresciuto, ma era abituato a darla per scontata quando invece non lo era affatto. Anzi, erano loro Mamodo ad essere fortunati, perché una volta giunti sulla Terra erano in grado di parlare la lingua del loro futuro compagno, altrimenti non sarebbero riusciti a combinare un bel nulla.
«Perché dobbiamo fare affidamento su un umano? Così rischiamo di essere svantaggiati» storse le labbra, aprendo il libro e scorrendo le pagine senza una meta precisa siccome nonostante tutto quel libro apparisse illeggibile anche ai suoi occhi. «Poi mi domando più che altro perché dobbiamo coinvolgere degli innocenti che…» sbadigliò mentre richiudeva il libro; gli occhi che diventavano pesanti. «Che non c’entrano nulla…» poggiò le labbra e il naso sul tomo, stringendolo al proprio petto insieme alle ginocchia. Chissà che tipo sarebbe stato il suo partner. Innanzitutto, sarebbe stato un ragazzo o una ragazza? E poi, che età avrebbe avuto? O ancora, sarebbe stato buono o cattivo? Continuò a farsi diverse domande del genere, mentre le palpebre s’imponevano sulle sue pupille ed un secondo sbadiglio fuggiva dalla sua gola. Doveva trovare un altro posto per dormire, non poteva certo rimanere lì alla bocca dello scivolo; tuttavia, tempo di alzarsi di qualche centimetro da terra che ricadde pesantemente su un fianco, stremato. Vi un ultimo, inutile, tentativo di aprire gli occhi o di fare un qualsiasi altro movimento e poi, buio.
 
«Sarà un barbone?» domandò una donna restia ad avvicinarsi più del dovuto.
«Così giovane? Non credo, dai! Magari è stato abbandonato» tentò un uomo, in risposta.
«Un po’ troppo grandicello, per essere abbandonato» replicò allora l’altra.
«Mamma, forse è solo scappato di casa, lasciamolo stare e andiamo che altrimenti arriveremo tardi» s’intromise un ragazza evidentemente scocciata dalla situazione. «Non sono problemi nostri, del resto» sbuffò.
«Ma è solo un ragazzino!» intervenne un terzo uomo, preoccupato. «E se l’avessero rapito? Qualcuno di voi ha visto il suo viso tra gli annunci dei bambini scomparsi?» domandò guardando ogni viso delle persone radunatesi nel parco. «Dobbiamo chiamare un’ambulanza?» chiese, poggiando una spalla sulla mano del ragazzino intorno al quale si era formata una fitta massa di gente. Tutta quella folla attirò l’attenzione di due ragazzine che passavano lì vicino, di ritorno dal convenience store per conto dei genitori di una delle due. Quando gli sguardi delle due caddero sui piedi del ragazzo al centro dell’attenzione sobbalzarono, lanciandosi un’occhiata preoccupata; sembrava che qualcuno fosse a terra svenuto e, anche se forse non avrebbero potuto aiutare in alcun modo, non se la sentivano di andare via senza aver almeno provato a vedere se potevano fare qualcosa di utile per lo sventurato, anche fosse solo assicurarsi che non aveva nulla di grave. Strinsero le buste della spesa che portavano leggermente a fatica e si avvicinarono, alternando sguardi dal centro della folla ai propri piedi, a loro stesse. «E se… se fosse la scena di un crimine? Ce la faresti a vedere qualcuno accoltellato? O con un proiettile nel corpo?» domandò esitante una, facendo deglutire l’altra che si sforzò di sorridere.
«Ma cosa ti viene in mente, hai letto troppi libri gialli in questa settimana!» ridacchiò nervosa. «Questo è un quartiere tranquillo…» bofonchiò più per ricordarlo a se stessa così da non lasciarsi influenzare da quelle parole senza smettere di guardare l’amica che, invece, aveva indirizzato gli occhi davanti a sé, siccome avevano raggiunto il gruppo di persone. «Sì, insomma, perché qualcuno dovrebbe-» si bloccò di scatto quando sentì la sua compagna urlare e la vide lasciar cadere le buste a terra, rompendo parte del loro contenuto. Sgranò gli occhi e smise di camminare, con le mani che iniziavano a tremare. Perché aveva urlato? Era davvero la scena di un crimine? C’era forse del sangue sparso? Era davvero tanto tremenda, la situazione, da dover lanciare quell’urlo? La ragazza deglutì e spostò prima gli occhi sul punto dove l’amica aveva puntato i suoi, per poi voltare tutta la testa: vide un ragazzo molto sporco disteso a terra, che respirava a fatica, ma senza segni di tagli, ferite o qualsiasi altra cosa da film poliziesco che la mente della giovane aveva iniziato ad immaginare. Sentendo che il battito del cuore dopo un primo istante di accelerazione tornava regolare e con lui il respiro, rilassò i muscoli e tirò un sospiro di sollievo, abbozzando un mezzo sorriso. «Accidenti a te. Di solito hai una voce così flebile, quindi quando hai lanciato quell’urlo mi hai spaventata a morte…» ammise, portandosi una mano al petto nonostante la pesante busta. «E io che mi ero immaginata chissà cos’avessi visto…» scosse la testa ritrovando il buon umore. Sì, c’era un ragazzo svenuto, ma lì era pieno di adulti che sicuramente avrebbero chiamato i suoi genitori o un’ambulanza, quindi potevano evitare di preoccuparsi dato che non sembrava avere nulla di grave.  Fece per intimare la seconda ragazza a raccogliere ciò che aveva fatto cadere – più tardi l’avrebbe rimbeccata per le uova ormai inutilizzabili – e dirle di sbrigarsi, che sua madre le stava aspettando. Quando vide la sua espressione, però, non riuscì a dire nulla: gli occhi dell’altra, infatti, erano spalancati e leggermente lucidi, mentre le mani tremanti, come le gambe, tenevano la bocca tappata per evitare un secondo grido, visto che già il primo aveva innervosito alcuni degli adulti lì presenti.
«Beh, comunque io ho una vita da vivere, ci pensi qualcun altro a questo… mini barbone o quello che è» sbuffò una donna, voltandosi e facendo per andarsene. Prima che potesse muovere un passo di più, però, venne urtata dalla giovane che aveva lasciato le buste in terra, corsa per gettarsi in ginocchio accanto al ragazzetto.
«Lui non è un barbone! È un nobile!» sbottò per quanto la sua voce delicata permettesse. «Cos’è successo… svegliati…» piagnucolò, prendendogli le spalle con entrambe le mani, ma non sapendo se fosse più corretto scuoterlo, non muoverlo o adagiarlo in qualche posizione precisa. La donna che era stata urtata fece per sbraitare contro la ragazzina che le era andata addosso, ma decise di evitare rogne, optando per l’andarsene senza aggiungere altro, roteando gli occhi. Dopo l’apparizione di quella fanciulla che sembrava conoscere il ragazzo a terra, la gente iniziò a dileguarsi tornando alla proprie mansioni o decidendo di non impicciarsi oltre. Rimase solo un uomo che, comunque preoccupato vista la giovane età sia del malcapitato che delle due ragazzine, domandò se fosse necessario chiamare qualcuno. La giovane si avvicinò di più allo svenuto, guardando confusa il signore scuotendo la testa, non capendo cosa dovesse dirgli.
«Ci scusi per il disturbo» intervenne allora la ragazza ancora con le buste in mano. «Lui è un nostro amico cagionevole di salute. La madre glielo vieta, ma lui esce sempre di casa e questi sono i risultati…» disse con tono rassegnato. «Purtroppo è una cosa normale, non ha nulla di grave, quindi non deve preoccuparsi, che lo riportiamo a casa noi. Grazie per il suo interessamento e ci scusi per il disturbo» gli sorrise rassicurante. L’uomo lanciò un’ultima occhiata al ragazzo e poi alla fanciulla che aveva appena parlato, la quale mostrava un’espressione fallacemente sincera. Convintosi, l’adulto salutò e, come poco prima gli altri, se ne andò. Le due rimasero in silenzio qualche secondo, come in attesa di qualcosa, ma quella quiete creatasi fu interrotta dalla ragazza che aveva appena inventato la storia: «Allora? Se non vuoi riprendere le buste, almeno porta lui fino a casa!» imbeccò, prendendo i sacchetti da terra.
«Ma… tu hai mentito. Per uno sconosciuto…» sussurrò incredula l’altra, guardandola con gli occhi che le brillavano per la gratitudine. L’amica scosse la testa.
«Non ho mentito per uno sconosciuto. Ho mentito per te che sei la mia compagna» roteò gli occhi. «Mi sembra che sia una persona importante per te e visto che lo conosci dev’essere per forza un Mamodo, mica potevo mandarlo in ospedale siccome suppongo che internamente siate diversi da noi» sospirò e l’altra le mostrò il sorriso più grande che riuscì a fare.
«Grazie! Mi sdebiterò!» le urlò, sincera.
 
«Ah ecco… E così, questo è il “Takuto-sama” di cui parli sempre, eh, Akane?»
«A-Aoi! Non ne parlo sempre!»
«Quanto sei carina così imbarazzata! Ma non devi vergognartene!»
«Non mi vergogno affatto! Io…»
«Oh, silenzio, credo stia per svegliarsi!»
Takuto strinse gli occhi e prima di aprirli se li stropicciò diverse volte. Si sentiva la gola secca e lo stomaco vuoto, ma in quel momento erano due pensieri secondari perché era troppo preso dal tepore che l’avvolgeva e lo faceva stare meglio. Si girò su un fianco e si raggomitolò, facendo aderire al meglio al corpo il soffice panno che lo sovrastava. Sul suo viso, vista la comodità, si fece largo un sorriso istintivo, involontario; non l’avrebbe mai detto, ma uno scivolo sapeva essere davvero, davvero comodo se si trovava la posizione giusta. Si sistemò un altro po’ e poi si bloccò di colpo, ancora con il sorriso stampato sulle labbra. Aveva ancora gli occhi chiusi, ma il cervello si era finalmente messo in funzione e, no, decisamente non si trovava su uno scivolo, non serviva guardare per accorgersene. Spalancò gli occhi terrorizzato all’idea di non sapere dove di trovasse e si tirò su di scatto, intenzionato a correre via in caso fosse stato in pericolo, ma quello gli fu impossibile, visto che un capogiro lo fece quasi ricadere all’indietro.
«No, sei debole, non devi fare gesti improvvisi!» gli corse accanto una delle due ragazze, di cui riconobbe la voce. Mentre si portava le mani a tenere la testa, si voltò appena per guardarla e la vide: lunghi capelli di un castano chiarissimo raccolti i due trecce ed appuntati a sinistra sulla fronte; gli occhi lilla sempre socchiusi l’osservavano preoccupati, mentre le sue mani candide lo sorreggevano.
«A-Akane..?» chiese, massaggiandosi la fronte ed iniziando a guardarsi intorno. «Dove sono..?» domandò e nel frattempo sul volto della ragazza si allargava un sorriso sollevato.
«Benvenuto, questa è casa mia, Takuto-sama. Il mio nome è Sorano Aoi!» si presentò sorridente la seconda ragazza nella stanza, porgendogli una mano. Il castano alzò lo sguardo su di lei e vide una giovane ragazza dai grandi e vispi occhi azzurri, contornati da folte ciglia scure come i suoi capelli, corti fino all’inizio del collo e di un blu intenso. Chi diavolo era? Osservò la sua mano e la strinse, esitante.
«Scusa, come mi hai chiamato..? “Takuto-sama”?» domandò interdetto e a quella domanda la sconosciuta annuì, ovvia. Quando fece per dire che era sempre Akane a riferirsi a lui a quel modo, la ragazza chiamata in appello quasi le saltò addosso, avvampando e tappandole la bocca.
«N-no, le ho solo detto come ti chiami. Ti ha detto “Takuto”!» gli rispose, affannata per lo scatto e l’imbarazzo.
«Certo, che sciocco, devo aver sentito male io…» annuì allora il ragazzo, abbassando lo sguardo sulle sue gambe. Notò solo in quel momento che era coperto da un lenzuolo rosa con sopra i disegni di qualche strano personaggio a lui del tutto ignoto. Indicò il panno alla due giovani, estremamente confuso, per poi fare lo stesso con il resto della stanza. «Come ci sono finito?» domandò allora, perplesso.
«Eri svenuto nel parco. Akane ti ha riconosciuto e quindi eccoti qui» spiegò Aoi, sintetica. Il castano annuì, tranquillo, ma alla domanda che gli fece poi la giovane gli si gelò il sangue nelle vene: «Sei un Mamodo?»
Quelle parole gli squillarono in testa come un campanello d’allarme: era così calmo perché si trovava accanto ad Akane, ragazza che era abituato ad avere intorno costantemente in quanto compagni di classe e che si era sempre dimostrata gentile e disponibile nei suoi confronti. Invece doveva fare attenzione perché erano avversari ormai. Nemici. Lanciò uno sguardo serio alla compagna Mamodo e poi fulminò anche quella che, ormai a rigor di logica, doveva essere la sua partner, diffidente. La fanciulla gli sorrise, alzando una mano.
«Se tu non hai intenzione di attaccarci, noi non lo faremo» lo rassicurò, ma Akane si voltò di scatto verso di lei.
«Non lo attaccheremmo comunque!» asserì convinta, suscitando un sospiro dell’altra.
«E comunque, anche volendo, non avremmo possibilità di farlo» l’informò, facendo spallucce. Da cauto, lo sguardo di Takuto divenne interrogativo, non capendo il motivo dell’affermazione dell’umana, la quale prese il libro color lilla di Akane, non prima di essersi scambiata con lei un’occhiata eloquente. «Assist!» chiamò a gran voce mentre la Mamodo prendeva la mano del compagno tra le sue, sorridendogli. Non accadde chissà quale grande spettacolo, ma un lieve bagliore illuminò i palmi della ragazza per poi sparire pochi istanti dopo.
«Allora? Va un pochino meglio?» domandò fiduciosa e l’altro, stupito, annuì. Boccheggiò qualche istante ed allontanò la mano che teneva ancora premuta sulla testa: il senso di smarrimento e la stanchezza si erano affievoliti di molto; rimanevano vagamente fame e sete, ma le forze erano state recuperate.
«Vedi? Per adesso è il nostro unico incantesimo, quindi come ti stavo dicendo non potremmo nuocerti in alcun modo» annuì Aoi, riponendo accuratamente il libro all’interno di un cassetto della sua scrivania. Takuto, ancora stupito, annuì alle sue parole, per poi guardare Akane.
«Non sapevo avessi incantesimi di questo tipo. A scuola non ne hai mai usati… Che bello» sbatté un paio di volte le palpebre e l’altra ridacchiò, arrossendo appena.
«Però è l’incantesimo più debole, allevia un po’ la stanchezza e basta. Credo tu debba anche mangiare e bere, per riprenderti» gli disse, facendo per uscire dalla stanza. «Ti porto qualcosa da mettere nello stomaco» confermò prima di uscire, cosa che fece talmente veloce da non lasciargli nemmeno il tempo di ringraziare. In effetti, per il bere se l’era cavata in quella settimana, mentre di cibo ne aveva toccato davvero poco, anzi, quasi niente a dirla tutta. Con l’uscita di scena di Akane, nella camera era calato il silenzio siccome Takuto era piuttosto imbarazzato dalla situazione ora che l’aveva analizzata a mente lucida – si trovava con un aspetto a dir poco impresentabile nella camera di una ragazza sconosciuta partner di una sua amica ormai diventata nemica e oltre al letto stava per scroccare anche cibo ed acqua – mentre Aoi attendeva tranquilla il ritorno dell’amica.
«Senti, come mai sei ridotto così?» decise di domandargli con nonchalance. «Per caso… Hai combattuto con un Mamodo forte? Se sì, potresti dirmi se è ancora in circolazione?» domandò svelta, con il tono di voce che passava da calmo ad allarmato. Loro due erano state fortunate a trovarsi in breve tempo, o meglio lo era stata Akane, ma erano deboli e se in giro c’era un nemico potente… beh, erano nei guai. In parte però la ragazza era rasserenata dal fatto che la sua compagna aveva sempre parlato di “Takuto-sama” come uno dei giovani più potenti della sua razza, quindi probabilmente se si era davvero scontrato con qualcuno, avrebbe dovuto vincere. Sempre che la castana non avesse parlato inebetita dall’ammirazione che provava per il suo idolo.
«Cosa? Combattuto?» ripeté, guardandosi imbarazzato. Scosse lievemente la testa, arrossendo appena. «No, io… Nulla del genere. Solo che è da una settimana che…» strinse le labbra, non volendo ammettere ciò che stava per dire. «Vivo di stenti nel parco» sputò rapidamente ogni parola sperando che la ragazza dai capelli blu non vi badasse. Dopotutto si erano appena conosciuti, non aveva idea di chi fosse e quindi non avrebbe potuto fare commenti stupidi come sarebbe successo con qualcuno del suo mondo.
«Che smacco, per un nobile. Spero non ti abbia visto nessuno che ti conosce…» fece spallucce Aoi. Appunto. Come faceva a sapere la sua classe sociale? Akane, sicuramente.
«Beh, non so Akane quanto ti abbia spiegato, ma questa è una guerra. Qui la classe sociale non conta nulla, siamo tutti uguali!» sbuffò puntando lo sguardo al muro, indispettito. Come se stare una settimana in un parco fosse una passeggiata. Se lei fosse finita nel mondo dei Mamodo? Lì sì che ci sarebbe stato da ridere!
«Non ti stavo prendendo in giro, eh!» si discolpò la ragazza, sedendosi alla scrivania. «Comunque, mi ha detto tutto, a sua detta. Per questo mi domando: voi Mamodo siete molto, molto più resistenti di noi umani. Possibile che una settimana ti abbia ridotto così?» domandò cercando di mantenere una certa compostezza, senza tradire la curiosità che invece la divorava da dentro. Il castano puntò gli occhi in quelli di lei e sospirò.
«Indubbiamente, ma una settimana non è leggera neanche per noi. Non ho mai mangiato praticamente, è già tanto che abbia bevuto» spiegò e a confermare ciò che aveva appena detto ci pensò il gorgoglio del suo stomaco che si impose nella stanza, facendo colorare maggiormente le sue gote. «E poi, quando arriviamo su questo pianeta siamo come addormentati. I nostri poteri e la nostra forza si sbloccano quando troviamo il nostro partner» inarcò un sopracciglio mentre parlava con tono saccente, ma non per quello antipatico. «Di conseguenza, anche la nostra “resistenza superiore” viene meno. In sintesi, più incantesimi sblocchiamo, più ci avviciniamo alla nostra vera forza, se no…» concluse. «Possibile che Akane ti abbia detto tutto, ma non questo?»
«Certo che gliel’ho detto» replicò la ragazza chiamata in causa, entrando nuovamente nella stanza portando con sé un vassoio carico di biscotti, un paio di panini, una bottiglia d’acqua, una di cola e altre chicche varie. «Aoi, tua madre ha detto che tornava al lavoro, quindi stasera ceneremo un po’ più tardi» informò la padrona di casa mentre porgeva il cibo al ragazzo, che scuoteva la testa ed agitava le mani affermando di non poter mangiare tutto ciò che aveva preparato perché troppo.
«A parte questo, Takuto… Devo dedurre che quindi non hai ancora trovato il tuo partner, giusto?» riprese l’interrogatorio. A quella domanda il Mamodo socchiuse gli occhi, versandosi un bicchiere d’acqua e scuotendo piano il capo, sconsolato.
«Mi rendo conto che siamo arrivati qui da soli sette giorni, ma… Il fatto di non averlo ancora trovato mi rende ansioso» ammise, addentando un panino. «Aoi, posso chiederti com’è fatto questo mondo, geograficamente?» la guardò, serio. L’umana inclinò la testa ed alzò l’indice, prima di rispondere.
«Beh, escluso l’Antartide che è disabitato… Ci sono cinque continenti, tutti molto grandi» rese noto. «Questi a loro volta sono divisi in diversi paesi. E ti assicuro che sono tanti» annuì. «Ma se ti può consolare, il Giappone non è così grande, quindi..!» gli sorrise raggiante. Aveva tranquillamente chance di trovare il suo partner a breve. Chissà, magari era dietro l’angolo! Takuto spalancò gli occhi e rimase immobile con il panino in bocca per un paio di minuti prima di strappare il pezzo da mangiare e, tornando con lo sguardo basso, sussurrare un seccato ed ironico “bene”. A quella parola Aoi domandò quale fosse il problema, se il partner non si poteva trovare solo in Giappone ma anche in altri paesi del mondo e, con espressione dispiaciuta, Akane annuì in risposta.
«A questo proposito, posso chiedervi di ridarmi il mio libro?» chiese allora l’unico ragazzo presente, estremamente serio. Sul volto delle due fanciulle apparve un’espressione spaventata che inquietò Takuto a sua volta. Quando le due si guardarono con preoccupazione, il castano tirò via il lenzuolo che ancora in parte lo copriva e poggiò i piedi per terra, pronto a correre a cercare il proprio tomo. «Perché quelle espressioni? Quando sono svenuto avevo il mio libro fra le braccia» affermò, cercando di mantenere la calma. «Quindi, visto che avete portato me in questa casa, deduco ci sia anche lui. dove l’avete messo?»
«No, Takuto, non c’era nessun libro tra le tue braccia…» gli disse Aoi, alzandosi e muovendo qualche passo verso i due non umani, in pensiero.
«Pensavamo che l’avessi nascosto da qualche parte per tenerlo al sicuro…» dichiarò Akane, portandosi una mano al petto in pena. «Volevamo chiederti dove l’avevi messo, così ti accompagnavamo a riprenderlo» illustrò.
«Non è possibile» scattò in piedi nonostante la proprietaria del libro lilla glielo sconsigliasse.  «Devo trovare quel libro. Se qualcuno lo bruciasse per sbaglio? Se ci fosse un nemico e lo bruciasse con intenzione?» si allarmò, fiondandosi sulla porta, ma sia Aoi che Akane lo bloccarono.
«Non è detto che succeda! Magari è rimasto al parco ed è ancora lì!» tentò di tranquillizzarlo l’azzurra.
«Se può tranquillizzarti, non ho visto nessun Mamodo in zona!» gli disse allora la ragazza con le trecce.
«Però… Non conosci tutti i partecipanti alla Guerra. Non è detto che non ci siano dei nemici che non hai riconosciuto» le disse secco e la giovane non trovò parole per ribattere a quell’affermazione, allentando la presa sulla maglia del ragazzo. «Però è anche vero che se l’avesse trovato un nostro avversario, non avrebbe aspettato due secondi a dargli fuoco…» sospirò. Ritrovata la calma sorrise alla due alleate in segno di scuse e quelle, sollevate, ricambiarono; la stanchezza l’aveva innervosito troppo. L’occhio gli cadde sulla grande sveglia accanto al letto e l’indicò. «È passato tanto tempo da quando mi avete trovato?» chiese e come risposta ottenne un semplice “un paio d’ore”. Takuto respirò profondamente, e si massaggiò il mento, pensieroso.
«Senti, se mi prometti che dopo ti fai una doccia di minimo mezza giornata… Ti aiuto a cercarlo» ammiccò Aoi.
«Io ti aiuto anche se non ti lavi» asserì poi Akane, con gli occhi che le brillavano. Poteva rendersi utile al suo Takuto-sama! Non le sembrava vero!
«Grazie» disse sincero ad entrambe, per poi ridacchiare grattandosi la testa. «Mi fa piacere, ma una lavata vorrei proprio darmela, in ogni caso. Ovvio, se l’unica umana che conosco mi presta la doccia» abbozzò un sorriso alla padrona di casa che annuì pimpante. «Comunque una volta trovato il libro e sistematomi, non vi disturberò oltre» informò, avviandosi all’ingresso.
«Ma tu non disturbi affatto! Vero, Aoi?» incalzò Akane, seria, portandosi entrambe le mani chiuse a pugno vicine al viso. Dopo una risatina della partner, quella annuì.
«Certo, Akane ha già insistito tanto perché ti facessi rimanere con noi… Ho anche mezzo convinto mia madre» informò, seguendo il ragazzo che faceva da guida davanti a tutti. «Ah, non ho fratelli, ma per i vestiti non devo preoccuparti. Due miei compagni di scuola abitano accanto a me, quindi possiamo chiedere qualcosa in prestito a loro» decretò, ma Takuto replicò che non voleva disturbare più di quanto non avesse già fatto, venendo rimbeccato dalla castana, che insistette affinché non si facesse scrupoli. Arrivarono alla porta che Aoi fece per chiudere, ma prima di farlo si schiaffò una mano in fronte.
«Non devo mai separarmi dal libro di Akane, caspita!» si rimproverò. «Se mi aspettate un attimo corro su e torno!» disse, iniziando a correre già mentre diceva quell’ultima frase. Non ci volle che qualche istante perché tornasse sull’uscio trafelata dalla repentina corsa stringendo al petto il tomo color lilla. «Ho preso anche una borsa, così lo tengo nascosto, che non si sa mai…» disse, riprendendo fiato. Non aveva fatto tanti metri, ma non era esattamente il ritratto dell’atleticità.
«Aoi?» chiamò una quarta voce, sconosciuta ai due ragazzi non umani. «Quel libro che hai in mano..?» domandò. I tre alzarono lo sguardo e videro un ragazzo dai grandi occhi gialli e i capelli lisci ed azzurri che scendevano fino alle spalle. Prima che lei potesse dire alcunché, Takuto sgranò gli occhi, notando che il giovane giocherellava con un volume marron scuro, tirandolo con nonchalance in aria e riprendendolo.
«Quello..! È il mio libro!».


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Yeeeeh. Avrei postato in queste notti precedenti, ma una mia amica mi ha rapita e abbiamo fatto maratone di DuckTales, quindi-- Vabbè non i interessa, giustamente.
Salve! Questo... è... un capitolo inutile. Cioè, non succede una sega, se non la presentazione (e manco tanto) di shindou. Che non ha un cognome perché si chiama solo Takuto. TAKUTO, Enrica, TAKUTO. L'ultima parte l'ho scritta con la testa fra le nuvole e quanti "Shindou" mi sono scappati. Che nervi.
Beh... ecco la prima coppia, Akane-Aoi! Ve lo dico, tutte le coppie avranno un loro perché, quindi se magari non siete d'accordo o non trovate un nesso plausibile... sarò ieta di darvi spiegazioni, in caso in cui una mia scelta "non approvata" posso compromettervi la lettura!
Avverto ora su una cosa, visto che è solo il primo capitolo: Io per i nomi sono come Kariya. Quindi, sono stupida, perché vado a scrivere una cosa che è TUTTA INCANTESIMI. Eh beh. Per adesso ho usato Assist per Akane, perché è una sua tecnica nel gioco *santa wikia*. Quindi... per gli incantesimi userò i nomi delle tecniche. Alcuni poteri storpiarli. Ma- vedrò di non fare una cosa ridicola. ...sigh. Comuqnue, sono soddisfatta del fatto che gli incantesimi saranno colorati *si accontenta di poco* e che ogni capitolo avrà il colore caratteristico del libro del mamodo protagonista! <3 In questo caso, Akane, quindi lilla! <3
E dovevo dire un'ultima cosa. Ah sì, che siccome le mosse dei pg non sono troppissime, in caso gli appiopperò anche le mosse del suo compagno umano. Ma ripensandoci non dovevo dire questo, ossia:
tenterò di fare capitoli non troppo liunghi per avitarvi la noia. Ad esempio questo è 5 pagine di word. Spero vada bene °^°"
Ok smetto di blaterare, che non vorrei ammorbarvi x°
Spero questo cpaitolo vi piaccia, grazie a tutti coloro che hanno letto, recensito, messo le mie fic tra le ricordate/seguite/preferite!
Alla prossima, Ryka
  
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