Film > Le 5 Leggende
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Autore: Violet 95    02/01/2013    2 recensioni
"Adesso so a chi scaricare la colpa se fa così freddo..."
"Giusto, hai ragione"
"E' colpa di Jack Frost!" [Cap. 1]
E' così semplice dare la colpa a qualcuno che non esiste, ma non in questo caso. Soprattutto se il "colpevole" in questione è un Guardiano abbastanza orgoglioso. Inizia così l'incredibile avventura di due ragazze che, per un malaugurato effetto della visione de "Le 5 Leggende", decideranno di affibbiare tutta la colpa del gelo che ha colpito la loro città a Jack Frost. Quest'ultimo, tuttavia, non resterà a guardare e farà scontare la sua vendetta alle due protagoniste in modo lento e indolore... O quasi.
Prima fanfiction che scrivo in questa sezione, rappresenterebbe, se si vuole, una specie di "parodia" di "Canto di Natale" di Charles Dickens. Buona lettura!
Genere: Avventura, Comico, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Jack Frost, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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24 dicembre

A Natale puoi,

fare quello che non puoi fare mai…

 

 

Violet guardò in cagnesco la pubblicità che erano soliti dare ogni anno alla televisione, come parte integrante di quel magico momento che rendeva unite tutte le famiglie del mondo davanti a un camino – per chi ce lo aveva –, a una tavola imbandita di ogni genere di pietanze o semplicemente davanti a un televisore che ritrasmetteva ogni santo anno gli stessi film: “Santa Claus è nei guai”, “Babbo Natale si sposa”, “Il figlio di Babbo Natale”, “Babbo Natale e la solitudine delle renne”, “Babbo Natale e gli elfi alcolizzati”, “Il Grinch”, “Babbo Natale e Aveterottoimaroni”…

Quel momento era altrimenti conosciuto come Natale.

Un’ottima occasione per i centri commerciali di attirare i compratori nei suoi negozi carichi di sconti del 20-30% e far dimenticare loro che c’era la crisi.

Pensando a tutto questo durante la pubblicità, osservò con più intensità i volti sorridenti dei bambini che si stringevano le manine, che cantavano all’unisono – cosa che nessun moccioso delle elementari era in grado di fare –, e infine guardò quasi con disprezzo bambini e genitori che addentavano voraci il pandoro della Bauli come se si trattasse di ambrosia divina.

 

 

A Natale puoi…

 

 

Lei non odiava il Natale, e neppure il pandoro, che poi era uno dei suoi dolci preferiti.

Non odiava neppure i bambini o i genitori ebeti.

Odiava però la falsità delle pubblicità che infarcivano le menti di buoni ideali e propositi, quando, alla fin fine, non c’era niente di vero neppure in quelle frasi di circostanza.

 

“Che amarezza…” sussurrò, rivolta allo schermo che aveva cambiato subito le immagini.

 

“Che hai detto?” le gridò suo fratello, impegnato nell’ultimare un cartoncino nero ricoperto di cotone, polverina oro e chiazze rosse e bianche che dovevano rappresentare – con un enorme sforzo di immaginazione – la figura tondeggiante di Babbo Natale.

 

“Niente, pensa a finire quel… Coso!” disse lei, distogliendo lo sguardo disgustato dalla televisione.

 

“È il regale per Babbo Natale!” protestò suo fratello, alzando gli occhi marroni e puntandoli sulla sorella.

 

“Ma non dovrebbe portarteli lui i regali? Lo fa ogni anno!”

 

“Ma così lo ringrazio…”

 

Violet sospirò e alzò gli occhi al cielo, sconfitta in prima linea dalle giustificazioni di suo fratello; gli andò vicino e osservò meglio il cartoncino, facendo un enorme sforzo per vederci una figura umana.

 

Vabbé, devo ammettere che è… Carino”

 

“Bugia”

 

“No, dico sul serio: a Babbo Natale piacerà di sicuro!” mentì.

 

Se saprà riconoscersi…

 

“Tu non hai mandato la letterina?”

 

“Edoardo, sono ormai sette anni che non scrivo più a Babbo Natale”

 

“Ma così non ti porterà nulla…”

 

L’innocenza di suo fratello, sebbene le costasse molto ammetterlo, la disarmava ogni volta. Per lui, la sorella non si trovava nella fase adolescenziale – ovvero abbastanza lontani dall’infanzia, non troppo vicini alla fase adulta –, ma in una fase senza tempo, nella quale i bambini sono soliti inserire i “giovani adulti” per non sbagliarsi: una fase in cui si può ancora credere in Babbo Natale, ma fare cose proibite per i bambini.

Per loro, questa è la fase migliore di tutte.

Con una scrollata di spalle, Violet si allontanò e alzò gli occhi alla parete in alto, per poi voltarsi immediatamente.

 

“Ehi, sono le dieci e mezza, perché sei ancora qui, sveglio e con le mani occupate? Vai a dormire!”

 

“Ma non ho sonno!” si lamentò il fratello, tornando al suo lavoretto.

 

Violet si massaggiò le tempie e, facendo ricorso al suo miglior tono cattivo e intimidatorio, si apprestò a usare l’eventuale minaccia che era solita rivolgergli ogni anno.

 

“Se non vai a dormire, Babbo Natale non passa, quindi niente regali”

 

L’effetto delle parole fu immediato.

Suo fratello abbandonò la sedia e, lasciando dietro di sé una nuvola di polvere, si rifugiò nella sua camera, chiuse la porta, si infilò sotto il letto e spense la luce, sicuro che non avrebbe chiuso occhio per la prima parte della notte.

Con un’espressione soddisfatta, Violet rivolse un’occhiata fugace all’albero di Natale addobbato con ogni genere di palline, ninnoli e altro. Ricordava che una volta da piccola tentò senza successo di nascondersi dietro l’albero, sveglia, in attesa di vedere Babbo Natale e scoprire finalmente come riuscisse a entrare nella sua casa, che non aveva un camino.

Ma non lo scoprì mai.

Stiracchiandosi, spense la luce del salotto e si diresse nella sua camera, con l’unica compagnia di un libro e del silenzio.

E con l’opprimente sensazione che quella notte sarebbe successo qualcosa di inspiegabile.

Forse proprio per questo non riuscì a chiudere occhio, eccitata, in attesa di quel qualcosa, e forse proprio grazie a questo sentì, nel cuore della notte, picchiettare alla sua finestra.

 

*

 

Re del blu, re del mai, non ho più dentro me quella voglia di terrore e di guai…” canticchiò Elena in giro per la casa, in preda ad un evidente attacco di sonnambulismo cronico.

 

Aveva l’inspiegabile e irrefrenabile voglia di cantare quella canzone di Jack sotto la luna, fuori al freddo e al gelo, con la neve, che in quegli ultimi tempi non smetteva più di cadere, alta un metro e mezzo sotto casa. E tutto questo, come tentava lei stessa di autoconvincersi, non era dovuto al fatto che in quella settimana aveva visto sei o sette volte di seguito “Nightmare Before Christmas”.

Né al fatto che aveva ingerito una quantità esorbitante di zuccheri che le avevano fatto salire il sangue al cervello.

Era talmente euforica ed eccitata – e non era solo colpa dello zucchero – che in quel momento avrebbe creduto a qualsiasi cosa e avrebbe dato per reale perfino l’impossibile. Quasi si aspettava di vedersi comparire sui tetti delle case lo scheletrino con la voce di Renato Zero che tanto amava – Jack, non Renato – e con cui avrebbe fatto uno splendido duetto.

Solo che, quella notte, avrebbe ricevuto un altro tipo di visita…

Con gli occhi sbarrati, il volto stravolto e le movenze di una spiritata, si avviò letteralmente saltellando alla finestra che portava sul terrazzo e l’aprì, sempre cantando.

 

E tutto va via, è la mia routine e mi sento stanco di quest’aria qui…

 

E come se la Natura stessa l’avesse presa in parola, l’aria gelida della sera la colpì in pieno volto. E non solo quella.

Anche le tendine di perline che sua madre aveva tanto insistito di mettere, delle foglie secche che le finirono in bocca e infine, sospinto da un buon vento, un Jack Frost che, invece di atterrare con agilità e grazia sul muretto del terrazzo come aveva lui stesso pianificato, finì addosso, per il volere sadico della scrittrice, alla povera Elena, risospingendola dentro casa.

Entrambi rotolarono per un buon tratto fino a sbattere contro il frigorifero, visto che la finestra si trovava nella sala da pranzo, direttamente collegata alla cucina.

E nessuno, nella casa, si accorse di niente.

Jack Frost, resosi conto dell’enorme figura del menga che aveva fatto, si rialzò subito in piedi con un salto agile e, tentando di recuperare quel poco di contegno rimastogli, la guardò dall’alto con superiorità e sbatté a terra il bastone per richiamare l’attenzione della ragazza.

Elena, al contrario, rintronata prima per i dolci e poi per la botta, ci mise qualche secondo per capire che quello che le era finito addosso non era lo scheletrino, né un enorme uccello. E con un’espressione alquanto vacua, lo osservò attentamente, chiedendosi mentalmente se nei dolci ci fosse stato anche qualcos’altro.

Era esattamente come lo aveva visto nel film: un ragazzo alto, pallido, con i capelli bianchi e gli occhi azzurri come il cielo, con indosso una felpa del medesimo colore e in mano il mitico bastone che ghiacciava tutto.

Un’altra ragazza, al suo posto, lo avrebbe guardato con aria sognante e cominciato a tessere elogi sulla sua bellezza. Elena, invece, lo guardò come si poteva guardare un professore che tentava di fare una battuta spiritosa per strappare una risata agli alunni. Senza risultati.

E la domanda che gli rivolse, fece cadere quell’ultimo brandello di sicurezza che Jack conservava nonostante il rovinoso atterraggio.

 

“Dov’è il Coniglio Pasquale?”

 

“Oh, ma cosa vuoi che t’importi di quel coniglio?! Adesso ci sono io!” sbottò Jack, sbattendo più forte il bastone.

 

Elena lo guardò delusa e, tenendo d’occhio il bastone che temeva glielo avrebbe dato sulla testa se avesse di nuovo nominato il Coniglio, si rialzò sorreggendosi al frigorifero.

Con sua enorme sorpresa, era calma, come se tutto ciò fosse nella norma: infatti, avveniva ogni notte che si catapultasse un ragazzo che ricordava vagamente l’Omino Bianco nelle camere di giovani pulzelle e le minacciasse con un bastone simile a quello di Gandalf.

Come non poteva far parte della routine?

Questa sua tranquillità sorprese molto il guardiano.

 

“Non sei spaventata?”

 

“No, solo delusa”

 

“Perché?”

 

“Perché volevo il Coni…” la bastonata in testa arrivò subito, impedendogli di finire la frase.

 

“Intendevo, perché non sei spaventata? Insomma, uno sconosciuto ti è appena entrato in casa e pensavo che avresti cominciato a urlare terrorizzata…”

 

“Ma spaventare non è compito di Pitch?” fece notare lei.

 

“Sì, è vero… Ma non è normale il tuo comportamento! Stai parlando tranquillamente qui con me, quando chiunque si sarebbe spaventato!” disse Jack, dandole le spalle e cominciando a guardarsi intorno, curioso.

 

Elena lo lasciò fare per un po’, come si farebbe con un bambino piccolo, fino a che quel bambino non cominciasse a mettere le mani dove non doveva.

 

“Se tocchi il microonde di mio padre, la tua carriera di Guardiano è finita” gli fece osservare Elena, pensando all’incredibile potere di suo padre: se qualcuno toccava la sua roba, non importava dove si trovava in quel momento, lui lo percepiva e la sua furia era temibile.

 

Jack si voltò di nuovo verso lei, dimenticatosi per tutto quel tempo della presenza di Elena nella stanza.

 

“Conosci la mia storia…”

 

“Chi non la conosce?”

 

“E mi vedi… Nonostante tu sia un’adulta”

 

“Non sono così vecchia!” si lamentò Elena.

 

“Sei proprio la persona che cercavo” sorrise soddisfatto, avvicinandosi con un balzo leggero alla ragazza.

 

La stanza divenne ancora più fredda.

 

“La persona che cercavi per cosa?” biascicò Elena, battendo i denti.

 

“Ascolta!” la zittì il Guardiano, assumendo un contegno serio che mal si addiceva alla sua natura, “Nelle notti che verranno riceverai la visita di alcuni Guardiani”

 

“Anche del Coniglio?” chiese lei eccitata.

 

“Sì, forse anche di lui…” disse a denti stretti Jack.

 

“Ma non potrei riceverli tutti insieme?”

 

“No, così è più interessante” ghignò Jack, sinceramente divertito.

 

“Ma perché?”

 

“Perché così imparerete la lezione… Il motivo, se non lo avete capito ora, dovrete scoprirlo da sole…” sussurrò da ultimo il Guardiano, rivolgendole uno sguardo di sfida.

 

Jack Frost si stava prendendo gioco di lei, questo lo sapeva.

Ma voleva stare al gioco, fino a che quel sogno non si fosse dissolto come tutti gli altri. Anzitutto, perché si stava divertendo anche lei e poi perché la visita delle cinque Leggende la faceva gongolare di gioia, soprattutto se si fosse trattato del Calmoniglio.

Senza più dire nulla, e impedendo a Elena di chiedergli altro, Jack indietreggiò fino alla finestra e, aggrappandosi a una corrente gelida, si lasciò trasportare fuori, per poi ricadere giù dal muretto con il perenne sorriso da mascalzone dipinto sul volto. Elena, spaventata, corse sul terrazzo e guardò in basso per controllare che non ci fosse il corpo rotto del ghiacciolino; lo vide invece su uno dei tetti di fronte a lei, che si spostava di camino in camino sospinto dal vento, libero come lo era sempre stato, con la luce della luna che rendeva splendente la sua pelle.

Non lo vide voltarsi indietro.

Aveva un’altra meta in mente.

 

*

 

“… Ed è per questo che sono venuto: per avvertirti” concluse Jack Frost, appollaiato con un volatile in fondo al letto di Violet, con la finestra dietro le spalle aperta e il gelo che entrava nella stanza, facendole perdere quel poco di calore che aveva.

 

Violet, invece, stava in cima al letto, a debita distanza da quell’apparizione che all’inizio aveva scambiato per un ladro e a cui aveva dato in testa un vocabolario di greco. Con la coperta che le arrivava fino al collo, meditava sulle parole del Guardiano, chiedendosi se fosse tutto l’effetto di un’allucinazione dovuta agli spinaci mangiati o se semplicemente stesse impazzendo.

Dovette ammettere che era più propensa per la seconda.

Jack, invece, sembrava a suo agio. Nonostante il vocabolario evitato per un soffio, era riuscito a fare un’entrata decente rispetto alla prima, di modo da sorprendere l’altra prescelta e instillarle il rispetto. Avevano avuto una conversazione abbastanza tranquilla e normale – ad eccezione di qualche riferimento al Coniglio Pasquale da parte della ragazza – e lui si sentiva soddisfatto per il lavoro riuscito.

Ora, poteva anche andarsene.

 

“Non ho altro da dirti”

 

“Io invece avrei molto da chiederti…”

 

“Ma il tempo è breve, e io ho da fare”

 

“Perché riesco a vederti?”

 

“Perché forse, in fondo al tuo cuore, credi in me” le fece notare Jack, sinceramente lieto di quell’affermazione.

 

“Ma se fino all’uscita del film non sapevo nemmeno della tua esistenza!” gridò quasi esasperata Violet.

 

Non riusciva a credere a tutto questo, non poteva: qualcosa glielo impediva.

 

La razionalità? Non ne ho mai avuta!

 

“Comunque, io devo andare. Medita su quello che ho detto e… Ah, un’ultima cosa: non affronterai questo viaggio da sola” disse infine serafico, prima di gettarsi all’indietro fuori dalla finestra e scomparire nell’oscurità.

 

Violet non si alzò per controllare, infreddolita com’era. Sapeva bene che si era lasciato trasportare da qualche corrente, non era così idiota da sfracellarsi al suolo: era semplicemente un vanitoso.

Facendo un enorme sforzo di volontà, si alzò dal letto e, in punta di piedi, si avvicinò alla finestra per chiuderla, osservando un’ultima volta la neve sopra i tetti e infine la luna. Bella, splendente, mutevole.

L’incontro avuto con Jack Frost e la situazione in cui si trovava – molto simile al “Canto di Natale” di Dickens – andavano contro ogni logica. Era tutto così irreale, così improvviso…

Esattamente come i racconti che scriveva.

E, come scriveva lei stessa, nulla avveniva per caso. Se Jack Frost si era disturbato per andare a cercarla, il motivo non doveva essere una sciocchezza.

Così, cominciando già a farsi viaggi mentali sulla possibilità di diventare una nuova Guardiana, una domanda sorse improvvisa.

 

“Cosa vorrebbe dire che non affronterò il viaggio da sola?!”

 

 

 

SPAZIO DELL’AUTRICE:

Odio la canzoncina della pubblicità della Bauli, mi ha fatto venire il palletico!

Ehm, comunque, la storia comincia a prendere una direzione precisa (più o meno) e questa cosa alla “Canto di Natale” mi fa quasi sorridere!

JACK: Cos’è “Canto di Natale”? Un musical di Nord?

No, mio caro ghiacciolino, è solo una delle più belle storie di Natale mai scritte… Fatti una cultura!

JACK: Preferisco dipingere le uova per il Canguro, piuttosto che mettermi a studiare.

CALMONIGLIO: Non sono un canguro, sono un coniglio!

ELENA/VIOLET: Aaaaah, il Calmoniglio! *Gli saltano addosso per coccolarlo come un peluche*

Tutti amano il Coniglio Pasquale! XD

Bene, dopo questo piccolo intermezzo, vi aspetto al prossimo capitolo!

See you again! *Torna a strapazzare il Coniglio, che tenta di fuggire*

  
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