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Autore: xmagslaugh    02/01/2013    1 recensioni
Scaravento a terra il cellulare rabbiosamente. Potrebbe aiutare a rintracciarmi, e l'ultima cosa che voglio è tornare a casa. Contro ogni mia previsione resta intatto, il che mi fa arrabbiare ancora di più. Lo raccolgo, e inizio a scavare una buca con le mani. La terra mi entra nelle unghie, e la pioggia mi sferza il viso. Forse oggi non era il giorno migliore per scappare. E probabilmente nemmeno la stagione. Sono finalmente riuscita a fare un piccolo buco di una ventina di centimetri, ci butto dentro il telefono e ricopro tutto con la terra. Mi guardo le mani, sporche di fango, i capelli bagnati, i vestiti anche. Serro i pugni repentinamente, ho voglia di urlare, ma tutto quello che esce dalla mia bocca è un singhiozzo sommesso. Mi accascio a terra, tremo come un bambino. Le lacrime si mescolano alla pioggia e mi rialzo in piedi. Non posso lasciarmi andare in questo modo. Sono scappata di casa, non posso permettermi di cedere alle emozioni.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Mi sveglio con la voglia di piangere, ma ho gli occhi troppo asciutti. Ha smesso di piovere, e una leggera foschia ricopre come una coperta i campi circostanti. Fa freddo, tutti i miei abiti sono umidi. Potrei prendere una polmonite e morire, sarebbe meglio così. Il sole cerca timidamente di liberarsi dalle mura di nubi che lo intrappolano. Una grigia giornata di novembre, niente di più. Sento un rumore, rami spezzati. Altri fruscii soffocati, poi da dietro ad un albero spunta una figura eterea, quasi impalpabile. Una bimba a cui non darei più di otto anni, piccola, fragile. Le scarpette nere eleganti che puntellano la terra umida, il vestito bianco, leggero, la giacchetta di pelle sgualcita. Mi guarda timidamente. Si avvicina silenziosa e si siede accanto a me.
- Ciao. - inizio dolcemente.
La ragazzina esita.
- Ciao. - risponde con voce sommessa. Rimaniamo in silenzio per qualche minuto, scrutando l'orizzonte. Non so chi è lei, non so che intenzioni ha. Cosa posso dirle?
- Chi sei? - chiede come se mi avesse letto nel pensiero.
Quanto sono stata stupida, era così facile.
- Mi chiamo Nicole. Ho quindici anni - esito - sono scappata di casa.
Mi osserva, osserva i miei abiti macchiati di fango, i capelli unti, le unghie sporche.
- Perchè? - domanda con una purezza consumata. Ho l'impressione che la sua innocenza di bambina, la sua ingenuità sia stata rovinata da qualcosa, forse da qualche dolore.
- Perchè sì. - ribatto dura. I motivi per cui sono scappata non sono cose per una ragazzina.
- Non sono stupida. Anche io vorrei scappare. Stamattina, affacciandomi alla finestra ti ho vista, distesa in mezzo al nulla. Ho pensato che fossi morta, ma quando mi sono avvicinata respiravi. Ho voluto aspettare che ti svegliassi, nascosta dietro a quell'albero - e indica un pioppo malconcio, a qualche metro di distanza. La guardo interessata e mi lascio sfuggire una risata.
- Perchè vorresti scappare? - chiedo in tono ironico.
- Perchè sì.
Questa bambina è sveglia. Non devo sottovalutarla, o sopravvalutarmi solo perchè sono più grande. A questo punto mi chiedo chi delle due meriti di usare l'ironia. Mi sono sentita superiore, solo per qualche attimo, davanti a quella bimba che probabilmente ne sa più di me.
- Come hai fatto... ad addormentarti qui? - domanda.
Nei suoi occhi leggo la curiosità, la speranza che io possa aiutarla. Esito qualche secondo.
- Voglio raggiungere la città. Correvo, sono inciampata e... non avevo le forze per rialzarmi. Mi sono addormentata. - Io so come si arriva in città. Portami con te, ti prego. Soffoco un'altra risata di superiorità.
- Non posso. Sei troppo piccola, e per i tuoi genitori sarebbe un immenso dolore.
- I miei genitori non soffriranno. Per loro sono un peso, e scommetto che tireranno un sospiro di sollievo quando me ne andrò.
Quelle parole risvegliano il ricordo di mio padre, della sua noncuranza nei miei confronti. La sofferenza che è dentro di me emerge e ricomincio a soffrire, le gambe raggruppate fra le braccia, scruto l'alba in tutti i suoi colori, le morbide velature che sembrano pennellate nel cielo, le sfumature. D'un tratto mi sembra di conoscere da una vita la bimba, perchè in lei vedo me stessa. So cosa prova, riesco persino a ripercorrere tutti i suoi pensieri dalla nascita, e ripercorrendo i suoi affiorano i miei. Il dolore straziante, quando mia madre è morta, l'insicurezza e l'angoscia quando mio padre ha preso la via sbagliata, la rassegnazione quando l'ho seguito. La solitudine, quando mi ha abbandonato, il mio desiderio di scappare, di liberarmi delle catene che mi legavano a lui, il desiderio che riconosco anche dagli occhi della ragazzina e dalle sue parole profonde, sincere, schiette. Perchè solo con la sofferenza diventi una persona, una persona che sa veramente cos'è la vita, che ha perso tutto, ma che spera nel domani. E così quella ragazzina mi appare talmente sofferente, in cerca della sua strada, desiderosa di gioia, affamata di serenità, che merita qualcosa di più. Pretende una possibilità dalla vita, come me, e nel suo caso, come nel mio, questa possibilità può essere solo rappresentata dalla fuga da tutto ciò che non le consente di raggiungere i suoi desideri, da tutto ciò che la ancora a terra.
- Come ti chiami?
- Sara.
- Bene, Sara. Prendi le tue cose e andiamocene.
   
 
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