Scaravento a terra il cellulare rabbiosamente. Potrebbe aiutare a rintracciarmi, e l'ultima cosa che voglio è tornare a casa. Contro ogni mia previsione resta intatto, il che mi fa arrabbiare ancora di più. Lo raccolgo, e inizio a scavare una buca con le mani. La terra mi entra nelle unghie, e la pioggia mi sferza il viso. Forse oggi non era il giorno migliore per scappare. E probabilmente nemmeno la stagione. Sono finalmente riuscita a fare un piccolo buco di una ventina di centimetri, ci butto dentro il telefono e ricopro tutto con la terra. Mi guardo le mani, sporche di fango, i capelli bagnati, i vestiti anche. Serro i pugni repentinamente, ho voglia di urlare, ma tutto quello che esce dalla mia bocca è un singhiozzo sommesso. Mi accascio a terra, tremo come un bambino. Le lacrime si mescolano alla pioggia e mi rialzo in piedi. Non posso lasciarmi andare in questo modo. Sono scappata di casa, non posso permettermi di cedere alle emozioni.

Due uomini in divisa trasportarono fuori dalla scuola un cadavere avvolto in una coperta.
- L’abbiamo trovato, signore – disse uno dei due rivolto ad un omone corpulento che sostava davanti alla macchina della polizia.
- Ottimo, un problema in meno. Gli faremo fare un’autopsia, è molto probabile che si sia suicidato – rispose quest’ultimo.
Con noncuranza caricarono il cadavere su un’ambulanza appena arrivata, poi l’omone si diresse verso una donnetta sulla cinquantina che piangeva sconsolata sull’entrata.
- Continuerete le ricerche, commissario, vero? – disse in un singhiozzo.
- Certo signora. Fino a quando non avremo trovato la sua bimba.
- Secondo lei… quel pazzo l’ha… uccisa? – chiese con l’espressione più terrorizzata che il commissario avesse mai visto.
- No signora, sono sicura che Caroline è ancora lì dentro. Probabilmente ha visto il pazzo, e si è nascosta. Non sa che l’uomo non è più all’interno dell’edificio, e quindi non sa se uscire allo scoperto. Tutto qui.