Fanfic su artisti musicali > Arctic Monkeys
Segui la storia  |       
Autore: piuma_rosaEbianca    03/01/2013    1 recensioni
Prima che tutto iniziasse. Cosa può esserci stato dietro quella rischiosa avventura nata quasi per gioco, che adesso chiamiamo Arctic Monkeys.
Un arrivo che sorprenderà tutti, e cambierà abitudini e routine in quel di High Green.
Due ragazzine e una band che inizia a formarsi.
Un teen drama all'inglese, con un'ottima colonna sonora.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
TS - E dopo quasi cinque mesi eccomi di nuovo all'attacco.
Scusatemi, so di essere assolutamemente imperdonabile per tutto il tempo che è passato dal primo capitolo, ma spero che siate ancora disponibili a leggermi.
Per farmi perdonare, questo capitolo è quasi più lungo del primo. Non siete felici? *ride nervosamente*
E, se ne avete voglia, vi invito ad andare a rileggere un po' anche il primo capitolo, dato che ho effettuato qualche piccolissimo cambiamento, e fra le note in fondo c'è una sorpresina che potrebbe piacervi. Credo.
Comunque, vi lascio subito alla lettura, ci vediamo giù.
~

Ero in un confuso dormiveglia, disorientata dalla flebile, grigia luce che riempiva la stanza, quando qualcosa di grosso e rosso mi saltò addosso, togliendomi il fiato.
Mi alzai a sedere di scatto, e l'enorme gatto rotolò giù dal mio petto sollevando una nuvola di peli.
Miagolò una flebile protesta contro il mio tossire, prima di prendere a strusciarsi contro le mie gambe.
Tornai a stendermi, premendomi il cuscino sugli occhi.
Mi girava la testa per il movimento troppo veloce di prima, e il gatto mi si era accoccolato sulle gambe, impedendomi qualsiasi movimento.
-Aslan! Ecco dove ti eri cacciato!- esclamò la voce di Emery, sulla porta.
Sollevai il cuscino per guardarla, e la vidi ridere della mia faccia sconvolta.
Si andò a sedere sul bordo del suo letto, mentre io mi alzavo a fatica, appoggiando la schiena al muro e allungandomi a carezzare il grosso gatto, che subito chiuse gli occhi allungandosi per farsi coccolare meglio.
-Scusalo- disse. -A volte si dimentica di esser un gatto.- rise, sporgendosi per accarezzarlo.
-Tranquilla. Un gatto così può saltarmi addosso ogni volta che vuole.- risposi sorridendo teneramente e grattandolo piano sotto il mento.
Mentre passavo le dita fra il folto, lungo pelo rossiccio, sorridendo delle profonde e sonore fusa che facevano tremare tutto il letto, pensai che il nome Aslan gli si addiceva tantissimo.
Quando lo dissi, Emery rise.
-Puoi immaginare chi l'abbia scelto. I suoi altri, normali, amici di otto anni gli consigliarono Simba, o Mufasa, ma no, lui era indeciso fra Merlin e Aslan.- disse in tono finto contrariato.
Mentre parlava, il gatto si era rotolato sulla schiena, mostrandomi il pelo candido sotto la pancia.
-È troppo poco bianco per chiamarsi Merlin.- dissi, accarezzandolo.
-Jamie disse la stessa cosa.- disse Emery.
Quando non riuscii a trattenere un sorrido compiaciuto, lei mi lanciò un'occhiata strana, ma lasciai correre.
Prima che una delle due potesse aggiungere qualcos'altro, la sveglia sul comodino suonò.
I grossi numeri verdi sul display segnavano le otto in punto.
Ci alzammo entrambe, e fra sbadigli e mugolii ci preparammo per uscire.
Emery, vedendomi indecisa sui vestiti da indossare, mi avvertì sul fatto che ci sarebbe stato da camminare nel fango e evitare i rovi, quindi mi misi vestiti vecchi e sacrificabili.
-Allora. Oggi conoscerai i due lati di High Green. La tua vita qui dipenderà tutta da quale preferirai.- disse infilandosi le Reebok.
Il suo tono serio mi spaventò un po'.
Scendemmo in cucina, e, dato che nessuna delle due aveva voglia di fare colazione, Emery riempì uno zaino con una bottiglia d'acqua, panini al latte e formaggio a fette, nel caso ci fosse venuta fame fuori.
Uscimmo di casa che erano passate le nove, e la città aveva appena iniziato a svegliarsi.
Il cielo coperto e lattiginoso faceva male agli occhi, e rendeva difficile guardare in alto.
Un vento leggero ma gelido accarezzava le strade semi deserte, sollevando pigramente le poche foglie e cartacce sui marciapiedi.
L'aria fredda e chiara era riempita dalle voci assonnate degli impiegati ritardatari, e delle ultime macchine che uscivano dai vialetti e sgommavano via veloci.
Lì, la gente, mi spiegò Emery, o aveva un negozio in centro o insegnava. Il resto lavorava Sheffield, o anche più lontano.
Tempo pochi minuti e ricadde il silenzio assoluto.
Sembrava quasi una città fantasma, con tutte le porte e finestre chiuse e nessuno in giro.
Rimanevamo solo noi e il vento ad occupare la strada.
-Se tu non l'avessi ancora capito- disse Emery -High Green è silenziosa.-.
Dal tono che usò capii che la cosa non le piaceva molto.
A me lì per lì piaceva perché non ero abituata a quella calma, ma potevo facilmente immaginare come fosse viverci da anni.
Iniziammo a camminare piano, in religioso silenzio.
Emery teneva lo sguardo basso, mentre io mi guardavo intorno con occhi spalancati, raccogliendo dettagli.
Procedendo lungo Ashwood Road, notai come nelle due file continue di case si alternavano villette a due piani con mattoni rossi a vista e bassi cottage di pietra, tutte corredate di curatissimi giardini e garage.
Le imposte bianche delle finestre erano per la maggior parte ancora serrate, e le poche finestre aperte erano comunque schermate da tende.
Ebbi l'impressione che la gente lì fosse molto riservata.
Lo dissi ad alta voce, ed Emery confermò.
-Sì, stanno tutti molto sulle loro. Ci conosciamo tutti, sì, ma parliamo raramente. Ogni tanto capita di fare una grigliata di quartiere, ed è tutto sempre piuttosto deprimente.- spiegò con una certa amarezza.
Eravamo fuori casa da appena dieci minuti ed ero già piuttosto delusa.
High Green non era altro che fila e fila di case immerse nel silenzio.
Sembrava quasi di sentire odore di chiuso, perfino all'aperto.
Il cielo grigio e l'asfalto umido contribuivano a dare al tutto un'aria davvero, davvero triste.
Girammo a destra alla fine della strada, e ci trovammo davanti al Rose Inn, e il morale di Emery si risollevò un po'.
-Da fuori sembra squallido, ma dentro, la sera, è quasi più confortevole di casa nostra. Magari una sera di queste ti ci porto, se vuoi.- disse abbozzando un sorriso.
La triste facciata grigia e lo sbiadito verde scuro delle insegne e della porta erano rallegrati un po' dal giardinetto sulla sinistra e dal minuscolo portico che si intravedeva sul retro.
Sembrava, tutto sommato, un posto gradevole. Probabilmente l'unico nel raggio di miglia.
Scendemmo per Thompson Hill, per poi girare in Oak Lodge Road.
Rimasi un attimo senza fiato.
Non riuscivo a spiegarmi il perché, ma quella strada emanava una certa vitalità che le strade prima non avevano.
Le case all'inizio della via erano di un rosso più scuro e più acceso delle case viste in precedenza.
Assurdamente, anche l'erba sembrava di un verde più brillante.
C'erano più alberi, più macchine, più finestre aperte, e perfino più suoni provenienti dalle case.
Riuscivo a sentire la sigla di un cartone animato da una finestra aperta poco distante, e vedevo una luce accesa dietro ad un'altra.
Mi guardai attorno con più attenzione, spalancando gli occhi nel tentativo di vedere di più, di riempirli di quella bellezza ritrovata.
Sorrisi dell'aiuola di fiori viola al centro del cortile di un'abitazione, e quasi risi di una staccionata bianca da ranch posta a chiudere un vialetto, due case più avanti.
Il rosso delle case cedette il passo al grigio, di ogni tonalità possibile.
Da un marroncino chiaro, a un grigio scuro, quasi nero.
Quelle case uscivano dagli schemi.
Mi sentii un po' stupida a pensarlo, perché insomma, erano solo case, ma era la verità.
Era come se tutte uscissero individualmente da quell'uniformità che contraddistingueva quella piccola città, e risplendeva di colori, e dettagli che le rendevano uniche, sebbene fossero comunque sempre uguali alle altre.
C'era vita, in quella strada. C'era voglia di vivere ad High Green, voglia di rimanere.
Forse semplicemente del fatto che quelle case sembravano davvero abitate.
Vissute.
Non dissi niente, perché non sarei riuscita ad esprimere ad alta voce quello che pensavo, ma Emery notò il mio guardarmi in torno affascinata con occhi e bocca spalancati, e rise, probabilmente della stupidità della mia espressione.
-Non avevo mai visto qualcuno tanto sorpreso di una strada.- disse, ridacchiando.
-È che è bellissima!- esclamai.
Emery non riusciva a capire cosa ci trovassi di tanto straordinario.
Si limitò a guardare divertita la mia espressione evidentemente molto stupida.
Quasi mi dispiacque arrivare alla fine di quella via.
In Springwood Lane, dopo qualche metro, le case venivano sostituite da due file di alberi.
Emery, lì, si rilassò, e finalmente mi rivolse un vero sorriso.
-La cosa migliore di High Green è, beh, lo dice il nome stesso: il verde.-
Dopo il tratto di strada fra gli alberi Springwood Lane continuava con una sola schiera di case sulla sinistra, mentre sulla destra correva una bassa siepe.
Al di là di essa ci si poteva riempire gli occhi della natura selvaggia che circondava il paese.
Guardai quel paesaggio, e avrei dovuto apprezzarlo, ma, mio malgrado, non riuscivo a gioirne. Il connubio di cielo grigio ed erba giallognola non faceva che rattristarmi.
Il campo incolto e poi il bosco, la natura così vicina alla città, sovrana della zona, faceva sentire in un certo senso liberi, perché non c'era il senso di soffocamento che si ha vivendo in città grandi, ma anche intrappolati fuori dalla realtà, in quella cittadina di provincia dimenticata dal mondo.
All'improvvisò capii come doveva sentirsi Emery, confinata da tredici anni in quella finta libertà fatta di silenzio, grigiume e sterpaglie.
-Questa è davvero la cosa che preferisci di High Green?- le chiesi cercando di nascondere la mia incredulità.
-Capisco che per te possa essere difficile da capire. Sei abituata ad un posto totalmente diverso.- disse con un sorriso sincero. -Ma devi vederla dal punto di vista giusto. Qui fuori sono da sola. Posso saltare la siepe, andarmi a perdere fra gli alberi e fingere di essere, che so, l'ultima sopravvissuta all'apocalisse. Per me è l'unico modo di sopravvivere qui, dimenticarmi ogni tanto dell'esistenza degli altri, e senza questo non ci riuscirei.- continuò, indicando il paesaggio con un ampio gesto della mano.
Rimasi un attimo spiazzata da quella risposta. Collegai quelle parole a l'insinuazione che l'amico di Jamie aveva fatto il giorno prima sul suo non avere amiche.
-Io non vedevo l'ora di venire qua sperando che gli inglesi fossero davvero persone migliori degli italiani.- dissi, abbassando lo sguardo.
Lei rise, com'era prevedibile.
-Credo che la gente di qui ti deluderà. Vecchi insopportabili, ragazzine spocchiose e ragazzini immaturi che cercando di andarsene non appena finita la scuola, ma che a mala pena riescono ad arrivare a Sheffield.- disse.
Intanto eravamo arrivate alla fine di Springwood Lane e avevamo girato a sinistra in Greengate Lane.
Percorrendo quella strada leggermente in salita non riuscivo ancora a metabolizzare le parole di Emery.
Ritenevo, sì, che quel quasi assoluto silenzio fosse un po' più fuori luogo lontana dalla vista sulla sterminata campagna, ma continuavo ad adorare quelle casette a schiera, e l'aria di serenità domestica che emanavano.
Forse, pensai, era dovuto al fatto che quello per me fosse una novità.
In quel momento sperai con tutta me stessa che non avrei cambiato idea col tempo.
-È tanto diversa la tua città da High Green?- chiese Emery mentre imboccavamo Foster Way, sulla sinistra.
Stavolta fu il mio turno di ridere.
-Non puoi neanche immaginare quanto.- risposi scuotendo leggermente la testa.
-Ma sarà più o meno come Sheffield, no?- insistette lei.
-Beh no, è sicuramente più piccola, ma è, come tutta l'Italia del resto, molto più rumorosa. E sporca, e piena di incivili e di teste di cazzo.- spiegai sputando le ultime parole quasi con rabbia.
-Sai, credo che sarà difficile per questo posto deludermi dopo lo schifo che ho visto laggiù.- aggiunsi sovrappensiero, guardandomi intorno.
Foster Way procedeva sinuosa tagliando a metà High Green e formando quello che si poteva chiamare il suo centro.
Ai suoi lati si aprivano molti vicoli ciechi che costituivano come dei piccoli quartieri, un po' come la strada in cui vivevano i Cook.
-Il centro di Firenze è puro caos. Troppe macchine, troppi negozi, troppe persone ovunque. Visitarla immagino che possa essere bello, ma viverci, viverci è un incubo.- dissi continuando il discorso precedente.
-Qui per la maggior parte del giorno puoi sentire una porta sbattere nella via accanto.- commentò Emery.
-Per me è il paradiso. Stanotte, per esempio, ho dormito come mai prima d'ora. Fra i rumori di fuori e i rumori dentro, per anni mi è stato impossibile dormire per più di poche ore a notte.- dissi, per poi accorgermi di aver detto troppo.
Con molto tatto, Emery evitò di fare domande sulla mia sbadata allusione, anche se potevo vedere chiaramente dalla sua espressione che avrebbe tanto voluto.
Probabilmente non le era stato spiegato niente del perché io mi ero ritrovata ad invadere la loro vita, e altrettanto verosimilmente le era stato vietato di fare domande.
Volevo scusarmi perché mi sembrava di starmi vittimizzando, ma sarebbe sembrato fuori luogo, così evitai.
Continuammo a camminare per un po' in silenzio, a passo svelto.
Verso la metà di Foster Way le case sparivano e si apriva un ampio spazio verde, occupato da un campo da calcio e uno da basket.
Sulla sinistra si stagliava un enorme condominio dall'aria piuttosto inquietante.
-Quelli sono i Fosters. Nessuno sa bene chi ci vive, ma non è granché sicuro passarci vicino di notte, a quanto dicono, né in macchina né tanto meno a piedi.- spiegò Emery tentando forse di essere minacciosa, senza riuscirci.
-E in realtà?- chiesi.
-In realtà la cosa più spaventosa che puoi trovarci sono topi, scarafaggi e ogni tanto qualche spacciatore, ma loro se ne stanno vicino ai garage ed è facile evitarli. C'è gente che si diverte a inventarsi leggende, ce ne sono a decine per ogni appartamento, e a sfidare gli amici a passarci la notte. Quello stupido di Jamie una volta l'ha fatto. Matt è stato morso da un ratto ed è si è rotto un polso inciampando per le scale.- disse lanciando un'occhiataccia all'edificio, come se fosse colpa sua.
Cercai di trattenermi dal ridere.
-Tu ci sei mai entrata?- domandai, invece.
-Una volta stavo per farlo, l'estate scorsa, con delle mie compagne di classe, ma Jamie mi ha vista e mi ha fatto una scenata, prima di portarmi via praticamente di peso. A scuola qualcuno ancora mi prende in giro per questa cosa.- rispose amareggiata, lo sguardo basso fisso sull'asfalto, probabilmente intenta a rivivere la scena.
-E il parco? Non dirmi che anche questo è pericoloso.- dissi subito, cercando di sviare il discorso e i suoi pensieri da quel brutto episodio.
-Dipende cosa intendi per pericoloso.- disse lei, ritrovando il sorriso.
Superammo i Fosters e ci avvicinammo al parco che si apriva enorme sulla destra.
C'era un gruppo di ragazzi che giocavano a calcio, urlandosi insulti da una parte all'altra del campo.
Erano in dieci, cinque contro cinque, e dovevano far parte tutti dello stesso gruppo perché praticamente nessuno di loro giocava per far vincere la squadra, ma piuttosto per segnare personalmente più goal.
C'era un ragazzo enorme, da quella distanza non capivo se fosse grasso o muscoloso, che doveva piuttosto temuto dagli altri a giudicare da come gli si tenevano a distanza.
-Se ti metti contro di loro sì, è molto pericoloso.- disse Emery, indicandoli.
-Quel tizio è enorme.- commentai stupidamente, seguendolo con lo sguardo.
-Dovresti vederlo da vicino!- rise lei, capendo ovviamente subito a chi mi riferivo.
-Voi non venite mai a giocare qui?- chiesi.
-Quasi mai. Questo posto è controllato da loro, bisogna chiederglielo settimane prima e avere fortuna che il giorno prescelto siano di buon umore. Di solito i ragazzi, come tutti gli altri, preferiscono andarsene nei due parchi più verso Chapeltown. Ci sono tipo otto campi, mi pare, tre da una parte e cinque dall'altra. E sono gestiti dalla parrocchia di Saint Saviour Mortomley, quindi con un certo criterio. In più hanno anche tre campi da tennis. Non che qualcuno ci sappia davvero giocare, ma si divertono provandoci.- rispose, ridacchiando sommessamente probabilmente in ricordo di qualche partita.
-Non è difficile il tennis, basta avere i riflessi pronti.- dissi, memore del corso di tennis fatto a scuola l'anno prima.
-Dillo ad Alex tira-più-piano Turner.- commentò lei scoppiando a ridere.
Continuammo a camminare lungo il parco, mentre Emery mi raccontava una serie delle migliori figuracce fatte dai ragazzi giocando a calcio o a tennis.
Li prendeva in giro con una velata tenerezza, con un sorriso che lasciava trapelare tutto l'affetto che provava per loro, nonostante si lamentasse della loro costante presenza nella sua vita.
-È come avere quattro fratelli maggiori, uno peggio dell'altro. A volte è bello, ma ci sono momenti in cui diventano eccessivamente protettivi. Tutti quanti. Contemporaneamente. A volte sembrano una scorta piuttosto che degli amici. A scuola poi, dato che Jamie non c'è perché va ad Ecclesfield e noi a Stocksbridge, diventano insopportabili. Soprattutto Matt. Se qualcuno non lo sapesse lo denuncerebbe per stalking per il modo in cui mi tiene d'occhio da lontano.- raccontò con aria infastidita.
-Per non parlare delle figure di merda che mi fanno fare. Quello che ti ho detto prima è solo una. Non posso avvicinarmi a nessun ragazzo, neanche miei compagni di classe, senza ritrovarmi Matt o Alex a portata d'orecchio che cercano di fare gli indifferenti. Ma sono dei pessimi attori, fidati. E intimidiscono la gente fissandola, così che poi mi girano largo. E hanno anche la faccia tosta di prendermi in giro sul mio non avere amici.- continuò piuttosto infervorata.
Per quanto per lei probabilmente fosse abbastanza brutta come cosa, io non potei impedirmi di sorridere
-Non dovrebbe lusingarti almeno un po' sapere che loro ti considerano qualcosa da proteggere? È abbastanza tenera come cosa.- dissi.
-Beh sì, mi fa piacere, ma spesso esagerano. E poi mi irrita la loro incoerenza nell'essere tutti iperprotettivi fuori e nel trattarmi di merda in privato. Soprattutto Matt.- rispose.
-Il loro scopo suppongo sia quello di proteggerti dagli altri per tenerti tutta per loro. Ha senso il proteggerti fuori e lo strapazzarti dopo. Probabilmente lo vedono come una sorta di premio per il lavoro che hanno fatto.- dissi cercando di non suonare saccente.
Emery mi guardò un po' stupita, poi sembrò decidere che era troppo tardi per cambiare idea e cambiò argomento.
Salivamo a passo lento lungo Thompson Hill, io guardandomi intorno senza riuscire ancora a smettere di stupirmi per quanto grazioso fosse quel posto, ed Emery, pensierosa, tenendo lo sguardo basso.
Avevamo appena superato una stranissima casa quasi completamente ricoperta di vite americana, quando iniziò a piovere.
Prima piano, pianissimo, così piano che neanche si sentiva, ed Emery mi disse di star tranquilla, sarebbe finito entro qualche minuto.
Ma non successe.
Lentamente la pioggia si infittì ed aumentò d'intensità, e noi accelerammo il passo fino a ritrovarci a correre sotto quel pungente getto gelato.
In pochi secondi ci ritrovammo fradice e congelate.
Emery correva qualche passo avanti a me per farmi strada.
Percorremmo quello che rimaneva di Thompson Hill e poi giù a rotta di collo per Ashwood Road.
Rischiammo svariate volte di cadere, in discesa sul marciapiede bagnato.
Emery aveva lasciato il cancello aperto prima, quindi imboccò il vialetto senza esitazioni e si fiondò alla porta, attaccandosi al campanello e sperando che Jamie fosse sveglio.
La seguii a ruota, o almeno ci provai.
Nel salire le scale del portico scivolai su un'impronta fangosa lasciata da Emery e caddi per terra.
Posai una mano sul corrimano per rialzarmi, ma scivolai sul legno bagnato e mi tagliai con un chiodo leggermente sporgente.
La ferita non sembrava profonda, dato che la punta del chiodo era piuttosto corta, ma usciva un sacco di sangue.
Non appena andò a mescolarsi alla pioggia sui gradini scuri e il suo odore mi riempì il naso la testa prese a girarmi fortissimo e svenni.


Mi risvegliai dopo quelle che a me sembrarono diverse ore e ci misi un po' a capire dove mi trovassi.
Girai la testa sulla sinistra e vidi, attaccato alla parete bianca, un cartello con su scritto “Northern General Hospital”.
Diedi un'occhiata al mio polso e lo vidi fasciato.
Andai poi a tastarmi la testa che mi faceva un male cane, e sentii una fasciatura anche lì.
Dedussi che dovevo aver battuto la testa cadendo.
Mi sentii improvvisamente stupida e debole.
Non mi era mai capitato di svenire alla vista del sangue. Che mi girasse la testa sì, ma mai così forte.
Guardai di nuovo la benda bianca intorno al polso e dovetti trattenere l'insana, improvvisa voglia di strapparla via.
Riabbassai la mano e riportai la testa dritta, gli occhi al soffitto dello stesso identico bianco accecante delle pareti.
La testa mi faceva troppo male per anche solo tentare di sollevarla.
Mentre stavo cercando una posizione comoda per rimettermi a dormire sentii la porta aprirsi e qualcuno entrare.
Mi voltai di scatto e feci appena in tempo a vedere Jamie avvicinarsi al letto prima che una serie di lucine colorate mi esplodesse davanti agli occhi e la testa prendesse a girarmi di nuovo.
-Ehi, tutto bene?- chiese lui evidentemente preoccupato.
Aspettai che la stanza smettesse di ruotarmi intorno prima di rispondere un flebile sì.
Attese per un po' che aggiungessi qualcosa, poi si voltò e uscì, borbottando che andava a chiamare un medico.
Pochi minuti la stanza fu riempita da un dottore seguito da Jamie, Emery e il signor Cook.
-Ciao Cassandra. Sono il dottor Gaines. Come ti senti?- mi disse il tarchiato e barbuto uomo che stava in piedi accanto al mio letto coprendomi la vista di tutti gli altri.
Un cartellino pinzato a una tasca del suo camice riportava scritto Dr. J. Gaines.
-Sto bene. Quando posso andarmene?- chiesi subito, piantando lo sguardo più convinto che avevo dritto nei suoi occhi.
Rise del mio pessimo tentativo di fingermi forte.
-In teoria dovremmo tenerti una notte in osservazione. Anche se non hai battuto molto forte è meglio non rischiare, alla tua età, e nella tua condizione.- rispose.
-Quale condizione? Non ho nessuna malattia, sono solo svenuta!- dissi allarmata.
-Lo sappiamo. Mi riferivo alla tua condizione, beh, psicologica.- disse lui con un sorriso che voleva essere rassicurante.
Rimasi un attimo interdetta, non certa di aver capito bene.
-Mi scusi, ma adesso chi inciampa sulle scale deve avere dei problemi mentali? Pioveva, era scivoloso, sono caduta.- dissi, cercando di mantenere la calma.
Lui rise di nuovo. Non mi stava prendendo sul serio.
-Certo, Cass. Però dovrai comunque parlare con qualcuno.- disse poi, in tono accomodante.
-Mi chiamo Cassandra, e l'unica cosa di cui ho bisogno è uscire di qui.- ribattei seriamente irritata.
Il sorriso del dottore vacillò per un attimo, velandosi per un attimo di irritazione.
-Cassandra, non importa essere così aggressive. Si risolverà tutto, vedrai. Adesso facciamo un po' di controlli, ok?- disse poi, ritornando a sorridermi smagliante.
Lo guardai con gli occhi sgranata, non potendo credere alla sua stupidità.
Dovetti mordermi la lingua per evitare di insultarlo.
Me ne stetti buona mentre mi puntava una lucina negli occhi e mi controllava le fasciature che scoprii avere anche sulle ginocchia.
-Fisicamente stai bene. Hai bisogno di un po' di riposo, ma ti riprenderai in fretta. Adesso vado a chiamarti la dottoressa Joyce.- disse e uscì prima che potessi dire qualsiasi cosa.
Emery e Jamie stavano in silenzio a fissarmi, probabilmente si sentivano in colpa per non essere riusciti ad aiutarmi in qualche modo.
Il signor Cook invece si avvicinò preoccupato.
-Quello che hai detto prima al dottore è la verità? È stato un incidente?- mi chiese.
Non riuscivo a capire il motivo di quella domanda.
-Sì che è la verità. Cos'altro può essere stato? Non sono stupida, non mi faccio male volontariamente.- dissi, provando anche a ridere della cosa.
Ma appena pronunciate quelle parole capii, e le cose mi sembrarono addirittura peggiori, se possibile.
-Credete che mi sia fatta male da sola? Seriamente? Ma è assurdo! Perché dovrei?- chiesi, davvero sconvolta.
Il signor Cook lanciò un'occhiata ad Emery e Jamie come per dirgli di uscire, ma li fermai.
-Non ce n'è davvero bisogno. Non abbiamo niente di privato da dirci.- dissi, ridendo adesso per l'assurdità di tutto quell'accaduto.
Ma prima che qualcuno potesse dire qualsiasi cosa, la dottoressa Joyce entrò nella stanza, anche lei sfoderando un tiratissimo sorriso tutto denti come il dottor Gaines.
-Se mi fate il piacere di lasciare la stanza. Il colloquio fra me e Cassandra durerà solo mezz'ora.- disse ai miei visitatori.
Lanciai uno sguardo supplicante di aiuto in direzione di Emery e Jamie, sperando che dicessero qualcosa che mi avrebbe risparmiato quell'ennesima tortura.
Fu Emery ad intervenire, probabilmente memore di quello che le avevo detto la sera prima riguardo a tutti i controlli psicologici che avevo affrontato nei mesi passati.
-Dottoressa io non credo che ci sia bisogno di parlare con Cass. Io...- cominciò, ma la dottoressa la interruppe.
-Grazie, ma credo di sapere di cosa Cass abbia bisogno.- disse sempre sorridente.
Emisi un suono che suonava in modo inquietante come un ringhio, reprimendo davvero a fatica l'impulso di prenderla a pugni.
Il signor Cook spinse i figli fuori, lasciandomi sola con l'irritante psicologa.
-Allora Cass, dimmi un po', come ti sei sentita quando sei caduta?- mi domandò, prendendo una sedia dal fondo della stanza e accomodandosi alla mia destra.
-Mi chiamo Cassandra, e ho sentito dolore. Poi altro dolore. Poi sono svenuta. E prima che lei possa fare altre domande stupide, no, non mi ha fatto piacere, e no, non me lo sono auto inflitto. Abbiamo finito?- risposi in fretta, gelida.
Lei tirò ancora di più il suo sorriso, al punto che mi chiesi quanto poteva sopportare la sua faccia prima di strapparsi.
-Non c'è bisogno di essere così aggressive. Sei al sicuro qui.- disse.
Se qualcuno mi avesse ripetuto un'altra volta di non essere aggressiva, mi dissi, lo sarei diventata sul serio.
-Dottoressa, può per favore dimenticarsi l'idea assurda che vi siete fatti di me, iniziare ad ascoltare quello che le sto dicendo e quindi mandarmi a casa in pace? Glielo chiedo per favore.- dissi con estrema calma.
-Quale idea pensi che ci siamo fatti di te?- chiese senza cambiare di una virgola il suo tono mellifluo e accondiscendente.
Sospirai esasperata, alzando gli occhi al cielo.
Mio malgrado, decisi di rispondere alla sua domanda, nella speranza che tutto quello sarebbe finito presto.
-Penso che voi crediate che io sia una ragazzina problematica che ha avuto un crisi nervosa dopo il trasferimento e che per qualche ragione ha deciso di fingere un incidente per farsi male. Ma non è così. Non ne avrei motivo. Sono felice di essermene andata e non vorrei fare del male neanche a mio padre, figuriamoci a me stessa!- dissi, alzando la voce sull'ultima frase.
-Ti senti in qualche modo responsabile di quello che è successo alla tua famiglia?- chiese la dottoressa senza dar segno di aver ascoltato le mie parole, ma scrivendo qualcosa sulla mia cartella.
-Non ho mai avuto una famiglia. Eravamo solo tre persone capitate insieme per sbaglio.- dissi con decisione.
Avevo maturato quel pensiero solo nell'ultimo anno, osservando mio padre distruggersi. Tutto l'odio che provavo prima verso di loro per aver distrutto quello che avevamo era sparito quando avevo capito che non avevamo davvero mai avuto niente.
-Pensi di essere sbagliata?- domandò la psicologa interpretando di nuovo male le mie parole.
-No.- risposi seccamente, con un sospiro.
-Sono felice di essere nata e non mi dispiace quello che mi è successo. Poteva andarmi meglio, sì, ma anche peggio. Le cose brutte succedono e non ha senso lamentarsene e passare la vita ad odiare qualcuno per qualcosa che doveva succedere comunque.- aggiunsi poi, giusto per mettere in chiaro le cose.
-Non senti la mancanza di una figura di riferimento nella tua vita?- domandò l'incompetente.
-Perché dovrei? I miei genitori mi hanno insegnato abbastanza su quali errori non fare nella vita.- risposi concedendole un mezzo sorriso mentre vedevo che il suo svaniva lentamente.
Sembrava delusa.
-Bene. Abbiamo finito. Magari ci rivediamo presto.- disse dopo qualche secondo, risfoderando quei maledetti denti in un sorriso che mal celava una certa rabbia.
-Magari no.- dissi io serissima.
Uscì trattenendosi dallo sbattere la porta.
Sentii delle voce da fuori che riconobbi come quelle del dottor Gaines e del signor Cook. Non mi sforzai di capire cosa dicessero, stanca com'ero mi rimisi distesa e chiusi gli occhi, che avevano preso a bruciarmi a causa dei neon.
Dopo qualche minuto il dottor Gaines entrò, con il suo sorriso inquietante e il suo irritante modo di fare.
-Ti faccio cambiare le fasciature e poi ti dimettiamo, ok? Riposati ed evita movimenti bruschi nei prossimi giorni. Dovrai tornare fra una settimana che ti togliamo i punti, e poi speriamo di non rivederci più.- disse e rise della sua battuta.
-Speriamo davvero.- commentai io a denti stretti.
Finse di non avermi sentita e uscì.
Arrivò subito un'infermiera che mi tolse la fasciatura alla testa e mi sostituì quelle alle ginocchia e sul polso.
Chiusi gli occhi per evitare di guardare le ferite e sentirmi male di nuovo, e la ragazza si limitò a dirmi solo di alzare o abbassare le gambe o il braccio.
Se ne andò in silenzio com'era arrivata lasciandomi finalmente davvero sola.
Lentamente mi alzai e andai a chiudere la porta a chiave prima di cambiarmi con i vestiti che qualcuno, probabilmente Emery, aveva provveduto a portarmi.
Poi uscii, zoppicando un po' per via del leggero dolore alle gambe.
Fuori c'erano ad aspettarmi i tre Cook.
Non dissero niente. Si alzarono dalle seggioline verdi che costeggiavano tutto il corridoio e si avviarono verso l'uscita.
Jamie mi stava accanto con un braccio leggermente teso verso di me, probabilmente per riuscire a prendermi in fretta in caso fossi caduta.
Finsi di inciampare un paio di volte per il gusto di farlo preoccupare.
Vedevo Emery che ogni tanto si girava verso di me come per dirmi qualcosa, ma cambiava idea quasi immediatamente.
Scendemmo nel parcheggio e montammo in macchina nel più totale silenzio. Emery sembrava quasi scoppiare dalla voglia di parlare, al punto che spesso si mordeva le labbra per impedirselo.
Fu uno dei peggiori viaggi della mia vita, e sebbene fosse durato solo meno di venti minuti a me parvero ore, immersi come eravamo in quel pesante, imbarazzantissimo silenzio.
Non per me, che ero ancora piuttosto arrabbiata a causa di quei medici idioti, quanto perchè sentivo chiaramente che c'era una parte della questione che mi stava venendo nascosta.
Scendemmo, e lo sbattere delle portiere risuonò in tutta la strada.
Erano le tre di pomeriggio e c'era ancora silenzio totale.
Prima di entrare mii attardai un attimo sulle scale del portico e constatai che la pioggia aveva lavato via a dovere tutto il sangue.
Stupidamente, mi misi a grattare via con la punta del piede il fango incrostato, con rabbia, come se fosse stata tutta colpa sua.
Emery mi raggiunse, chiudendosi la porta alle spalle.
Mi osservò in silenzio finché non mi scocciai di ascoltare il suo respiro, accelerato dall'imbarazzo per quello che aveva da dirmi, e alzai lo sguardo dall'infausto gradino per posarlo su di lei e invitarla a parlare.
Inspirò profondamente, aprì la bocca con decisione, e poi la rischiuse.
Sospirai esasperata.
-Se hai da dire qualcosa fallo, sennò datti pace. Ho già le palle abbastanza girate per tutti quegli idioti, non vorrei peggiorare le cose.- sbottai.
-È colpa mia.- disse veloce.
La guardai come a dirle di spiegarsi meglio.
-Dopo aver chiamato l'ambulanza abbiamo telefonato a papà per dirgli cos'era successo e, ecco, potrei, nel panico, avergli detto solo che ti eri tagliata e che eri svenuta. Poi dopo ho tentato di spiegarlo al dottore, ma evidentemente non ci ha creduto.- spiegò imbarazzata e dispiaciuta.
La guardai fissa, indecisa fra ridere o arrabbiarmi.
Non feci niente.
-Che idioti. Spero di non rimetterci più piede.- mi limitai a commentare acida.
-Hey, non ce l'ho con te, tranquilla. Non è colpa tua se ci sono medici incapaci.- aggiunsi poi, vedendola piuttosto abbattuta.
Annuì, ma con poca convinzione.
Allora, trattenendomi dal sospirare di nuovo, salii le scale, la raggiunsi e la spinsi con delicatezza in casa.
Il signor Cook si stava preparando per tornare a lavoro.
Prima di uscire mi prese un attimo da parte in cucina.
-Scusa per prima. Emery mi ha riferito male cosa era successo e mi sono lasciato prendere dal panico. Ho raccontato ai dottori cosa credevo che fosse successo e non ho voluto ascoltare Emery mentre cercava di spiegarsi meglio.- disse, e stava per continuare, ma lo interruppi.
-Senta, davvero, basta. Non è la fine del mondo, è stato un malinteso, non importa. L'importante è esserci capiti.- dissi con fermezza.
Lui rimase un attimo interdetto. Sperai con tutte le mie forze che non dicesse niente perché non ne potevo davvero più.
-Bene così, allora.- disse infine, e tirai un sospiro di sollievo.
Uscì salutando i figli e chiudendosi la porta alle spalle.
Pochi secondi dopo chiamò Emery per farsi portare le chiavi della macchina.
Lei si fiondò subito fuori ma si fermò appena vide Alex e quella che supposi essere sua madre avvicinarsi al cancello. Io andai a distendermi sul divano nella speranza di farmi passare il mal di testa martellante, e da lì, attraverso la porta lasciata aperta da Emery, sentii la signora Turner informarsi sull'ambulanza che avevano evidentemente sentito arrivare, e il signor Cook spiegare un modo sbrigativo cos'era successo.
Chiusi gli occhi poi e distolsi l'attenzione da quanto succedeva fuori, per niente interessata a sentir raccontare la mia disavventura.
Fui però costretta a riscuotermi dal mio pacifico torpore faticosamente guadagnato quando furono le voci di Emery ed Alex a risuonare da fuori, sempre più vicine.
-No tranquillo, non ci sono problemi se state un po' da noi!- disse lei con un tono di voce inappropriatamente allegro.
Sospirai sconsolata.
Sarebbe stato un lungo, lunghissimo pomeriggio.

~
Ecco qua.
Deluse? Contente? Indifferenti?
Please let me know in any case. It really means a lot to me.
Il lavoro di ricerca per questo capitolo è stato lungo e faticoso. È anche per questo che ci ho messo tanto a scriverlo.
Il titolo del capitolo è un verso di Terrible Love, dei The National.
Tutte i luoghi descritti sono fin troppo attinenti alla realtà, High Green e il Northen General Hospital esistono davvero, come ogni altro posto citato.
Quasi tutti i personaggi sono frutto della mia fantasia, un po' influenzata da altri fandom, ma comunque fantasia. Ogni riferimento a fatti e/o persone realmente esistenti è puramente casuale. (quasi perché ovviamente Jamie, Alex e la signora Turner esistono davvero, come tutti sapete)
Gli Arctic Monkeys appartiengono a se stessi, non conosco né loro, né le loro famiglie, e non ricavo alcun compenso monetario da questa storia.
Vi invito nuovamente a leggere il diario di Emery se non l'avete già fatto.
E vi prometto che stavolta non ci metterò cinque mesi ad aggiornare. Giuro.
Ringrazio tutte le persone che hanno recensito lo scorso capitolo e messo la storia fra le seguite: spero di riuscire a mantenere vivo il vostro interesse.
Ne approfitto per augurarvi, un po' in ritardo, un buon anno e un buon rientro a scuola/lavoro.

A presto, mi auguro,
Piuma_

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Arctic Monkeys / Vai alla pagina dell'autore: piuma_rosaEbianca