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Autore: Diadem    10/01/2013    3 recensioni
[Real life]
[Real life][Real life][Real life]“Ma lei ci pensava sempre. Un po' alla mattina, un po' al pomeriggio, un po' alla sera.”
Una storia ambientata nei secoli passati con personaggi di un gioco di ruolo completamente inventato, incastrati tra amori proibiti e famiglie rigide, tra costrizioni e tenacia.
«Non so che fare, da un lato vorrei dimenticarla, contemporaneamente ho la certezza che sia l'unica persona, l'unica dell'intero universo, in grado di rendermi felice.»
Genere: Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: PWP
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Per tutto il tragitto in carrozza, il padre di Diadem non fece altro che darle ordini, e lei puntualmente non lo ascoltò. Odiava sentirsi comandare, ma lui era il Duca di Isindora ed era abituato a guidare tutti come se fosse il re.
Non aveva mai provato a ribellarsi a lui. Quei suoi occhi azzurri come i suoi le facevano paura, come se fossero in grado di congelarti in un istante, nemmeno con sua madre si perdeva in smancerie. Era sempre stato serio e freddo da quando si ricordava.
Lasciò i cuscinetti a cui ‘era aggrappata come un gatto per tutto il tragitto e quando scese dalla carrozza, fece un sospiro di sollievo.
«Muoviti.» La voce fredda e autoritaria di suo padre la riportò alla realtà e prendendo la stoffa morbida dell’abito per non inciampare, lo seguì.
Stavano attraversando un grande giardino verde, costellato da siepi tagliati con diverse forme, mentre il cameriere del Mr. D’Angelo li accompagnava alla porta, ma Diadem non fece caso al suo aspetto. Una forma d’angelo era a pochi metri da lei e stava indicando il cielo. Alzò involontariamente la testa ma non vide altro che l’azzurro. Fece un mezzo sorriso, tornando a guardare quella forma completamente verde. Suo padre la chiamò, e con il sorriso morto sulle labbra, lo raggiunse.
Miss Diadem D’Angelo. Dio mio come suona male.
La villa aveva l’androne centrare più sporgente di quelle ai lati, molto più grandi.
Doveva essere divisa in due piani e quello sopra era pieno di finestre tonde e rettangolari. Sopra, si intravedevano due alberi all’estremità, che incorniciavano le rose poco visibili al centro.
Fece una smorfia entrando. Non le piacevano le rose. Appena varcata la soglia, si ritrovò davanti delle scale in legno scuro con il corrimano identico. Alla sinistra, una grande stanza con due candelabri appesi al soffitto, un grande tavolo almeno per una trentina di persone, ma era stato apparecchiato soltanto per tre.
Bhe, rimaniamo a cenare qui? Non faremo in tempo a tornare a casa poi.
Non fece in tempo a finire il pensiero che sulla destra si ritrovò una stanza con una libreria immensa. Era alta fino al soffitto e lunga tutta la parete, piena di libri. Lasciò il Duca a parlare con il cameriere per il comportamento del padrone di casa che ancora, naturalmente non si faceva vedere.
Accarezzò la copertina di un libro, affascinata e confusa al tempo stesso. Ne aveva trovati due che aveva già letto ed altri mai nemmeno sentiti nominare. Passò in rassegna almeno venti libri prima di sentire parlare qualcuno che non fosse suo padre. In un primo momento pensò che fosse il cameriere ma non aveva mai sentito un timbro del genere. Era una voce calda, confortante.
«Vi piace leggere?» Chiese lo sconosciuto, entrato dalla porta in fondo alla stanza che prima non aveva notato.
Si girò e vide un ragazzo, poggiato allo stipite della porta scura come tutto il resto in quella casa. Era alto, e delle spalle larghe e basse ma il completo elegante non permetteva di mostrare altro al contrario dell’abito oro di Diadem. Un bel viso, labbra sottili e rosee, i capelli castano scuro.
E gli occhi verdi.
Il cuore le fece una capriola guardandoli. Erano gli stessi occhi di Lei, ma con un taglio diverso.
Si riscosse, cercando di moderare la voce.
«Sì, molto.» Rispose, alzando leggermente la gonna e chinando il busto.
«Diadem, giusto?»
Annuì semplicemente, fece un sorriso di cortesia, guardando suo padre in cerca di aiuto, e come previsto, si rivelò una mossa stupida perché lui non fece nulla.
«Sono Sham.» Si avvicinò alla ragazza e prendendole la mano, la baciò. A quel punto, il Duca intervenì.
«Mr D’Angelo, questi documenti?»
«Ma certo, venga con me. Roger, fai accomodare la Signorina nella sua stanza.» Disse al cameriere con un sorriso e un’occhiatina al suo viso, sconvolto.
«Stanza?!» Diadem non si riuscì a trattenere e subito dopo, si tappò la bocca.
«Naturalmente. Rimarrete qui per qualche giorno, non vi è stato riferito?»
Guardò il padre con odio ma lui non ebbe nessuna reazione.
Dio no, ti prego. Fammi sparire. Per favore.
«Oh, sì, la ringrazio.» Sorrise a Sham mentre si allontanava con il Duca e seguì il cameriere.
Salirono le scale e si trovò in mezzo a due corridoi e presero quello di destra. Notò solo che entrambi erano completamente inondati di porte. Sbuffò mentre entrava nella terza stanza a destra.
«Le porto subito i suoi bagagli, Signorina Kuran.»
Bagagli?
Ma non disse nulla. Molto probabilmente suo padre aveva organizzato tutto a sua insaputa.
Quando finalmente il cameriere chiuse la porta, smise di sorridere. Fece un sospiro e si buttò sul letto, facendo alzare per qualche secondo tutte quelle coperte.
Almeno la stanza era carina, ma c’erano rose ovunque. Sulle lenzuola, nel vaso sul cassettone, sulle pareti.
Si alzò e andò alla finestra alla destra del letto e sul giardino, vide l’angelo che puntava il cielo. Le scappò un sorriso e aprì la finestra, mentre bussavano alla porta.
«Entrate pure.» Sentì girare la manopola e qualcuno entrare.
«Puoi metterli accanto al letto.» Si girò e rimase immobile a fissare Sham sulla porta, al posto del cameriere.
«Oh, chiedo venia, pensavo fosse il cameriere..» Arrossì leggermente, distogliendo lo sguardo dal ragazzo.
«State tranquilla, Roger è giù con le vostre valigie.»
In quel momento sentì il suono della frusta e la carrozza che partiva. Se n’era andato lasciandola da sola lì, con lui.
«Mi concedereste l’onore di venire a passeggiare con me?»
Diadem inspirò, lisciandosi leggermente la gonna per prendere forza e si sforzò in un sorriso. E le venne bene, se lo sentì tirare la pelle.
«Con piacere.»
  
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