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Autore: LilithJow    14/01/2013    3 recensioni
Il mio nome è Samantha Finnigan. Sono nata e cresciuta a Rossville, una cittadina con poco più di mille abitanti nell'Illinois, Stati Uniti.
Sto per compiere ottanta anni.
Ho vissuto una vita meravigliosa, ho avuto un marito affettuoso e tre fantastici bambini.
Ma non è di questo che sto per scrivere. Sono convinta che alla gente piacerebbe leggere di una grande storia d'amore, con un bel lieto fine, ma purtroppo io e i lieti fine non siamo mai andati d'accordo.
Ciò che state per leggere, perchè se adesso avete queste righe sotto gli occhi, presumo lo stiate per fare, non ne ha neanche l'ombra, o, per meglio dire, dipende dai punti di vista.
Voglio raccontarvi di un periodo particolare della mia vita, di molti anni fa, cinquantacinque per l'esattezza. Per me è come fosse ieri, forse perchè non ho mai dimenticato quello che successe. Impossibile farlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Il suo ricordo. Eliminerò il suo ricordo. Non soffrirai, Samantha, ti sto facendo un favore. Tu lo dimenticherai, lo dimenticherai”.

La voce di Eric, seppur fossi sola in quella stanza fin troppo fredda, continuava a tormentarmi: metallica, possente, graffiante. Riusciva a mettermi i brividi, fin dentro le ossa.
Eppure, nonostante le sue parole, la sua promessa di farmi scordare ogni momento passato in quei ultimi mesi, nella mia mente era ancora incisa ogni cosa: lui, Evelyn, la schiera di angeli, la stanza nera e, soprattutto e più importante, Daniel.
Lo ricordavo ancora, ricordavo ogni istante trascorso insieme, il suo tocco gelido, i suoi occhi color ghiaccio, i suoi baci che riuscivano a riscaldarmi nonostante la temperatura eccessivamente bassa della sua pelle.

Ero più confusa di prima.

Gli angeli mentivano?

Come al solito, tuttavia, il mio primo pensiero, la mia prima preoccupazione fu Daniel. Dov'era in quel momento? Che gli avevano fatto? Lo avrei più rivisto?
Mi passò persino per la testa l'idea che Eric mi stesse torturando psicologicamente, facendomi credere una cosa e poi facendone un'altra, perché, per quanto mi costasse ammetterlo, vivere con il ricordo di Daniel insieme alla consapevolezza che fosse morto per colpa mia – che si fosse completamente dissolto per colpa mia – era una punizione peggiore del dimenticarlo e basta, sebbene con quella cancellazione, avrei scordato anche tutti i momenti felici e, in particolare, quello che avevo sempre provato nei suoi confronti. 
Era come un enorme labirinto, alla fine del quale ero riuscita a trovare due via di fuga, ma nessuna delle due mi avrebbe condotta verso un lieto fine.
Perché tutto doveva essere così dannatamente difficile? Non avevo memoria di una sola cosa nella mia esistenza, fino ad allora, che fosse andata bene.

Mi lasciai cadere di peso sul divano, sprofondando nei cuscini marroni di pelle, e presi il mio viso tra le mani. Scoppiai a piangere: mi venne automatico, naturale, perché di fronte a me avevo l'ignoto e, con molta probabilità, altro dolore, che a stento sarei riuscita a sopportare.

«Con quelle lacrime, potresti rovinarti gli occhi, Sam».

Avevo ancora lo sguardo fisso sul pavimento, quando una voce, quella voce, quella di Daniel, riecheggiò nell'aria. Alzai di scatto la testa e me lo ritrovai davanti, a pochi metri di distanza, in piedi, con le mani nelle tasche dei jeans neri e stretti, una camicia bianca e candida, che quasi si confondeva con il pallore della sua pelle, e un lieve sorriso abbozzato sul volto.
Non stetti molto a chiedermi perché fosse lì, come ci fosse arrivato, che cosa gli fosse successo: lui era di fronte a me, più raggiante che mai e il resto non contava. Abbandonai il divano, allora, e balzai in avanti, raggiungendolo in soli due passi; gli buttai le braccia al collo, stringendolo a me, e percepii le sue mani fredde sulla mia schiena. Il suo profumo era divino: era fresco, ma dolce. Era vaniglia, forse, o zucchero filato. Non seppi definirlo, ma era dannatamente buono.
«Pensavo di averti perso per sempre» sussurrai, non accennando a distaccarmi dal suo corpo. Non lo vidi, ma sentii come accennò una risata. «Ti ho detto che sarei rimasto finché ne avresti avuto bisogno, no?» replicò.
Annuii, distrattamente e, con coraggio, riuscii a staccarmi almeno un po' da lui, in modo da poterlo guardare negli occhi, quei due diamanti azzurri che, in quel momento, continuavano a scrutarmi in maniera così dolce da farmi sciogliere. Io, tuttavia, non avevo smesso di piangere, anche se le ragioni per cui lo facevo erano cambiate: quelle erano lacrime di gioia.
«Eric mi ha detto che Evelyn ti avrebbe ucciso» singhiozzai «e che avrebbe eliminato il tuo ricordo dalla mia testa, Daniel... Io... Non sapevo che fare, non volevo e non voglio dimenticarti, perché... Perché io ti amo, ti amo così tanto e un amore così grande non può essere cancellato solo perché un angelo pazzo lo vuole, io non...».
«Shh». Daniel poggiò due dita – l'indice e il medio - sulle mie labbra e il flusso di parole venne interrotto, così come la mia capacità di ragionare lucidamente. Rimasi in silenzio, a osservare ogni tratto del suo viso perfetto: dalla mascella sottile, ma ben definita, lo zigomo alto, gli occhi azzurri, le sopracciglia sollevate, i capelli biondi che gli ricadevano sulla fronte.

Era più di un angelo: si avvicinava sempre di più al concetto di divinità.

Daniel avvicinò la sua bocca alla mia e ci baciammo. Fu qualcosa di assolutamente intenso, come se lo stessimo facendo per la prima volta. Sentii le sue mani sulle mie guance, mentre le mie, di mani, scivolarono piano sul suo petto.
Quando le nostre labbra persero il contatto tra loro, Daniel mi rimase abbastanza vicino, da poter poggiare la fronte sulla mia e io potei chiaramente percepire il suo respiro gelido sul viso.

«Che cosa è successo?» domandai, con un filo di voce.

«Niente di cui tu ti debba preoccupare».

«E' un po' tardi per non preoccuparmi».

«Dico sul serio, Sam. Ora non c'è più nulla di cui preoccuparti».

«Questo vuol dire che resterai con me per sempre?».

Sorrise, allo stesso modo di poco prima, ma io ebbi la netta sensazione che qualcosa fosse cambiato e così la mia gioia sembrò spegnersi e assomigliare più ad un lampo, un flash, piuttosto di qualcosa di concreto e longevo.

«No» sussurrò «sono venuto qui per dirti addio».

Aggrottai le sopracciglia, premendo le mani sul suo petto e, inconsciamente, strinsi la camicia tra le dita. «Addio?» ripetei, a fatica. «Tu non... Non puoi dirmi addio. Tutto quel “rimarrò finché ne avrai bisogno”, che fine ha fatto?».

Lui restò assolutamente calmo, tanto che, per la prima volta, mi venne voglia di prenderlo a pugni. Distese le braccia lungo i fianchi, mentre io cominciai a spingerlo piano, all'indietro. Ero arrabbiata, completamente accecata dal dolore e le lacrime erano tornate a rigarmi il viso per le ragioni iniziali: dolore, tristezza, abbandono.
Non appena iniziai a spingere più forte, tanto da costringerlo a indietreggiare per qualche metro, Daniel mi bloccò, tenendomi per i polsi e mi costrinse a guardarlo nuovamente negli occhi. «Ho tenuto fede alla mia promessa» disse «sono davvero rimasto finché ne hai avuto bisogno. Adesso è giunta l'ora che io me ne vada».

«Non hai mantenuto proprio nulla, io ho ancora bisogno di te».

«No, non ne hai».

«Ne ho. E ammetto che il tuo sentire quel che provo è nettamente peggiorato».

Daniel, a quel punto, rise, e aumentò la mia voglia di schiaffeggiarlo, ma la sua presa, stranamente, era forte, tanto da non permettermi di muovere un muscolo.

«Sarai felice» mormorò.

«Smettila di dirlo» replicai. Avrei voluto urlarlo, ma ciò che ne uscì fu solo un lamento. «Non sarò mai felice senza di te».

Lui continuò a sorridere, imperterrito, e non capivo come potesse farlo, mentre io stavo letteralmente crollando, in mille pezzi.

«Sei splendente, Samantha Finnigan» sussurrò ancora, abbandonando la presa sui miei polsi. «Continua a brillare».

Non capii le sue ultime parole. Riuscì a confondermi più di quanto non lo fossi già.

Fece un passo indietro. Io feci appena in tempo a sbattere le palpebre, lentamente, per due volte, e Daniel non c'era più.

Di nuovo sola, in quella stanza vuota e gelida.

  
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