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Autore: Eryca    16/01/2013    6 recensioni
Ce ne sono a milioni, di storie.
Ma questa non può essere classificata in nessuna di esse.
Forse, questa, non è nemmeno classificabile come storia.
Eppure deve essere narrata.

*
La realtà può trasformarsi in qualcosa di magico, se solo ci si ferma ad ascoltare, osservare.
Ed è proprio quello che accadrà al protagonista, che intraprenderà un vero e proprio viaggio attraverso la natura, sé stesso, i sentimenti e il mondo che lo circonda.
Una storia fatta di sensazioni, di odori e di personaggi alquanto bizzarri.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parte II – Il fiume

Lasciarsi indietro il passato è scorrere, come il fiume.

 

 


Guardo il tram scomparire tra le vie della città, mentre io rimango fermo sul marciapiede, l’asfalto che, come un lingua infuocata, ha mangiato ogni cosa che gli sta intorno.

Cemento, catrame. È artificiale, tutto questo. È come l’attrezzatura di scena per una grande pièce teatrale: stupenda, creata con cura, ma finta. Rappresentazione del reale.

E io, del reale, necessito.

Inizio a camminare al centro della strada, le macchine sembrano essere scomparse tutte d’un tratto ed io vado avanti. Cammino. Un passo. Un altro passo. Un passo. Un altro passo.

Camminare è un po’ come attendere, in fondo. Mi è sempre piaciuto muovermi, sin da bambino; odiavo usare la macchina, preferivo andare a piedi, correre. Sentirmi vivo. Reale. Poi, con il tempo, ho imparato ad apprezzare anche i mezzi di trasporto. Credo che sia per questo motivo che ho cominciato a prendere il tram.

Non c’è nessuno, in giro, sembra tutto così estremamente vuoto. D’un tratto, mi accorgo che l’asfalto non c’è più e nemmeno i casermoni in cemento armato. Dove sono? Com’è possibile che io non mi sia accorto di dove stavo andando? Ero troppo concentrato su me stesso per capire ciò che stava succedendo.

Alberi alti mi circondano, come se fossero delle enormi e vegetali guardie del corpo, sotto i miei piedi il terreno è fangoso ed erboso. Sono in un bosco. Non un bosco qualunque, ma uno di quelli che ti danno una sensazione ineguagliabile di intimità e magia.

Continuo a camminare, ora più lentamente, lanciando occhiate qua e là, interessato come sono all’ambiente che mi circonda. Succede, quando ci si trova in un luogo nuovo, che ci si senta come un bambino alle prese con il suo primo giocattolo. Sorpresa, stupore, curiosità.

Il terreno diventa ripido, ma io non mi fermo, perché sento di dover continuare. Anche se tutto sembra intimarmi di tornare all’asfalto, il mio cuore scalpita per tutta quella purezza, quella sincerità in mezzo ad un mondo di finzione. Come si può non rispondere al richiamo della natura?

Perché la vegetazione, quella che crediamo sia come i sassi, parla. Anzi, urla. Chiama con un’insistenza senza pari, eppure la maggior parte della popolazione è sorda. Non la sente. Ma come si fa a non udirla? A me fa quasi venire l’emicrania.

Sposto delicatamente una pianta che mi intralcia il passaggio – non voglio farle del male, dopotutto – e lo vedo.

Sta lì, a pochi passi da me. Anche lui sta chiacchierando, probabilmente con gli alberi seduti accanto a lui. È un vero e proprio spettacolo, alla quale tutto il resto del bosco sembra assistere. La foresta sembra tacere di fronte a lui.

Lui, il fiume. Il sovrano indiscusso della selva, con la sua maestosità e il suo scorrere, sempre e comunque, nonostante tutto il resto si fermi; non importa se gli alberi prendono fuoco: lui continua a correre, imperterrito.

Mi siedo sopra un masso che dà sul ruscello. Mi tolgo le scarpe e lascio che i miei piedi vengano bagnati dalla fresca acqua. Rispondo al richiamo della natura, sì.

«Non ti sei chiesto perché non ci sono animali, in questo bosco?» Alzo la testa. Sopra un albero rinsecchito, sta un piccolo gufo dai grossi occhi gialli. Ha l’aria fiera, incute timore, ma la sua voce è simpatica, socievole.

«Sinceramente no.»

Ride, il gufo. Non sapevo che potessero sorridere, ma, in fondo, sono tante le cose che non conosco, quindi non devo stupirmi. Sorrido anche io e non so il perché, ma questo animaletto mi mette allegria, con quei suoi occhi sproporzionati.

«Poco tempo fa, vi è stato un enorme incendio. Gli animali sono fuggiti tutti. Non è rimasto nessuno.» Il suo tono si fa solenne. «Gli alberi piangevano disperati. La vegetazione era deturpata, sfigurata. Molti avevano perso i loro cari. E il fiume era rimasto solo.» Tengo gli occhi fissi sul piccolo volatile, sento che questa sua storia ha un senso profondo ed importante.

«Ora, però, è ricresciuta.» affermo, guardandomi intorno: gli alberi sono colmi di foglioline verdi e sotto di me l’erba struscia sui pantaloni. C’è di nuovo vita, qui. Lo vedo, lo sento.

«Credi che sarebbe potuta rinascere se avessero continuato a piangere le loro perdite? A leccarsi le ferite e ricordare malinconici la loro vita prima della catastrofe?» mi chiede l’animale, gli occhi gialli fissi su di me, in attesa di una risposta.

E allora capisco. «Sono andati avanti. Come il fiume.»

Il mio amico sorride soddisfatto e annuisce, rivolgendo la sua attenzione al colosso che ci divide: il rio. Se la natura non avesse seguito l’esempio del fiume, adesso sarebbe nella stessa situazione della donna budino del tram, che continua a ricercarsi nel passato. E invece no, il fiume lascia indietro ciò che è stato e continua il suo cammino, lavando ogni macchia con la acqua linda e pura.

Il fiume non porta rancore, non si attacca ai ricordi.

Il fiume è speranza. È risurrezione.

Se solo la donna budino potesse essere qui...

«E tu perché sei qui, gufo?»

«Perché io non sono come gli altri animali, scettici sul fatto che questo bosco possa offrire loro cibo e riparo. Io ho dato una seconda possibilità alla foresta.»

Mi sembra chiaro ciò che il mio amichetto stia cercando di dirmi. Guardo la superficie cristallina del fiume e mi specchio in esso: i miei occhi sono sbiaditi dai fantasmi del mio passato, la mia anima è colma di cicatrici dovute agli eventi. E io, io continuo a vivere di questo dolore, crogiolandomi in esso.

Lasciarsi indietro il passato è scorrere, come il fiume.

Lasciarsi indietro il passato è provare, come il bosco.

Lasciarsi indietro il passato è credere, come il gufo.

Lasciarsi indietro il passato è vivere.

«Io sono vivo.» Mi accorgo che il gufo è sparito, volato chissà dove. So che il mio tempo, qui è terminato. Mi alzo.

E, mentre torno indietro sui miei passi, do il mio saluto al passato.

*

 

Angolo Autrice

Carissimi lettori,

è con immenso piacere (e timore) che vi presento la seconda parte di questo viaggio (in tutti i sensi :P).

Spero vi sia piaciuto e lo abbiate capito, nonostante sia un po’ particolare. Che ne pensate del gufetto? :D

Non ho molto da dirvi, se non chiedervi di lasciare il vostro parere, perché per l’autrice è importante sapere cosa ne pensano i lettori della storia.

Un grande abbraccio,
Eryca

 

   
 
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