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Autore: CowgirlSara    17/01/2013    2 recensioni
La pace era una sensazione stranissima. Era un qualcosa di bellissimo e fragile che ricopriva tutto come una coltre di brina. Sì, una specie di mattina invernale. Solo che adesso era estate e le battaglie, le perdite, i peccati, i sogni infranti erano veri. Il dolore era reale, ma era come se contasse e pesasse meno di quella pace finalmente raggiunta.
Dal Cap.2: La prima cosa di cui Milo si accorse fu che era sempre uguale, come se il tempo l’avesse, per qualche misterioso motivo, ignorata, nel suo scorrere indifferente.
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo Aiolia, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Rising - Back to the Sanctuary'
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WYA - 1
Dopo anni – sì, anni – che questa ff candisce nel mio pc, mi sono decisa a cominciare a postarla. Visto che è praticamente finita, mi sembrava giusto smetterla di stare a pensarci e passare all’azione.
Parla dei giorni immediatamente successivi alla battaglia del Dodici Case e quindi dei sentimenti causati dalle perdite subite. Ritroverete alcuni dei miei personaggi originali, che chi ha letto altre mie storie conosce ormai bene, ma non è necessario averle lette, perché tanto io mi ripeto sempre XD
Che altro, dire, spero che la storia vi piaccia e che siate così magnanimi da lasciare traccia del vostro passaggio.

I personaggi di Saint Seiya appartengono ai loro legittimi autori, non sono usati a scopo di lucro e questa storia è frutto della mia fantasia. Le canzoni usate in introduzione dei capitoli saranno creditate di volta in volta e sempre correlate al contenuto del capitolo.

Buona lettura!
Sara

- Capitolo 1 -

Se per qualcuno è calato il sipario
E la vita ha detto di no,
Il ricordo consola il mio tempo,
Proprio adesso che tempo non ho...
(L’Eredità – Nomadi)

La pace era una sensazione stranissima. Era un qualcosa di bellissimo e fragile che ricopriva tutto come una coltre di brina. Sì, una specie di mattina invernale. Solo che adesso era estate e le battaglie, le perdite, i peccati, i sogni infranti erano veri. Il dolore era reale, ma era come se contasse e pesasse meno di quella pace finalmente raggiunta.
Milo saliva le scale del Santuario in mezzo alla devastazione, ma sapeva che ora tutto sarebbe stato ricostruito. Gli sbagli erano stati pagati. Le colpe riscattate. Adesso, ogni cosa sarebbe rinata nelle mani di Atena, sopravvissuti compresi.
Una cicatrice, in fondo, era il segno che una ferita stava guarendo, anche se non era facile pensarlo davanti alla vuota e gelida eleganza della casa di Acquarius, ormai mancante del suo custode.
Milo ancora si chiedeva quale fosse l’errore che aveva portato alla sconfitta il suo più caro amico. Eccessiva fiducia in sé? Forse. Sottovalutazione del nemico? Ci era cascato anche lui con Hyoga. Quello più fatale? Essere stato un maestro tanto bravo da aver creato un cavaliere più forte di lui.
La risposta a quelle domande non avrebbe comunque alleviato la sofferenza di aver perso un fratello; c’era una smorfia amara sul bel viso del cavaliere di Scorpio, mentre passava accanto alle candide colonne dell'undicesima casa.
Il ghiaccio non si era ancora sciolto del tutto; non era bastata tutta la notte e parte del giorno successivo, ad avere ragione della vampata gloriosa e inesorabile di due signori del gelo. Il corpo di Camus era stato portato nella cripta, ma era come se il suo spirito aleggiasse ancora tra quelle mura. Milo non ebbe il coraggio di entrare e proseguì verso il Tempio.

Qualche ora prima gli altri cavalieri d’oro rimasti, mentre ancora Saori, Seiya e gli altri riposavano, avevano messo su una specie di assurda assemblea permanente, come se le decisioni dovessero essere prese per forza nelle successive ventiquattro ore. Dopo un tedio durato per un tempo approssimativamente infinito, Scorpio era stato preso da lancinanti dolori un po’ dappertutto; si sentiva come se avesse degli spilloni infilati nei punti colpiti durante la battaglia contro Cigno ed avvertì l’immediata necessità di togliersi l’armatura.
Con un sofferto: “Basta, non ce la faccio più” aveva abbandonato la riunione, sotto gli sguardi malevoli di Mu e Aldebaran e le proteste non tanto velate di Ioria.
Era tornato all’ottava casa e per prima cosa si era liberato delle vestigia ancora incrostate col sangue di Hyoga, poi s’era tolto tutto il resto e gettato nudo sul letto. Il sonno era stato immediato e profondo, al risveglio l’orologio segnava le tre del pomeriggio. Aveva impiegato il tempo successivo per ripulire l’armatura, quindi farsi una lunga doccia.
Alle cinque e qualche minuto, con addosso una maglia porpora senza maniche, un paio di jeans sdruciti e le infradito, i capelli ancora umidi, si era avviato per tornare dai compagni.
Adesso, che era arrivato in cima, si trovava davanti lo sguardo accusatorio di Ioria, che lo fissava torvo, a braccia conserte.
“Che significa?” Domandò il cavaliere di Leo, indicando con un cenno del capo l’abbigliamento del compagno. “È in corso un’assemblea dei Cavalieri e…”
“Senti.” L’interruppe Milo. “Questa assemblea si può fare tranquillamente in abiti civili, avevo l’armatura addosso da quasi due giorni, ero pieno di dolori e stanco, perché se non l’hai capito, qui qualcuno ha combattuto.” Affermò provocatorio.
“Finché non sarà cessato l’allarme…”
“Ma quale allarme del cazzo!” Sbottò Scorpio. “Saga è stato sconfitto, Atena è salva, mi spieghi di quale allarme parli?”
“La smetti d’interrompermi?!” Replicò Leo, brandendo l’indice. “In questo specifico momento, mentre Atena riposa, la responsabilità della sicurezza del Santuario ricade su noi Cavalieri d’Oro, quindi sei pregato di tenere un atteggiamento degno… e d’indossare l’armatura!”
I due cavalieri si fissavano negl’occhi lanciando lampi pericolosi, serissimo Ioria, beffardo Milo; Unicorno e Kiki, che li stavano osservando, erano perplessi.
“Guarda, non me la rimetto neanche se crepi.” Ribatté provocatorio Scorpio. “Non c’è pericolo, tu sei paranoico, Ioria.” Aggiunse scuotendo il capo.
“E tu sei un gran paraculo, lascia che te lo dica.” Dichiarò l’altro, impassibile. “Non puoi pensare sempre di risolvere le cose con un sorrisetto e due paroline simpatiche.”
“Ma che cosa c’è da risolvere!” Esclamò lui allargando le braccia. “Adesso va tutto bene e non ci corre dietro nessuno!”
“Uhm, certo che questi due non vanno molto d’accordo…” Commentò Kiki rivolto a Jabu.
“Non credevo ci fossero queste lotte intestine tra i Cavalieri d’Oro…” Replicò lui, meritandosi un’occhiata seccatissima di Milo e una cupissima di Ioria.
“Adesso basta.” Ordinò pacatamente una dolce voce alle loro spalle; tutti si voltarono e videro Saori. La ragazza sorrise e si avvicinò.
“Mia Signora.” Proclamarono all’unisono Scorpio e Leo, inginocchiandosi.
“No, vi prego, alzatevi.” Li supplicò lei; i due giovani ubbidirono vagamente imbarazzati. “Non è necessario discutere, sapete?” Riprese quindi la ragazza. “Avete ragione entrambi: Ioria quando parla di responsabilità e Milo quando dice che non c’è pericolo.”
I due cavalieri si scambiarono un’occhiata; Scorpio sorrise soddisfatto ottenendo per risposta una specie di grugnito.
“Sono state ore interminabili, quelle che abbiamo appena passato, tutti necessitiamo di riposo.” Continuò tranquilla Saori. “Penseremo a quel che c’è da fare più tardi, adesso siete liberi da impegno, se avrò bisogno di voi lo saprete.” Concluse  la frase guardando negl’occhi prima Ioria e poi Milo e loro capirono che la volontà di Atena li avrebbe comunque raggiunti.
I caldi occhi neri di Saori comunicavano una grande pace, ma, allo stesso tempo, un’enorme forza; la fanciulla prese loro le mani, trasmettendogli il calore del suo cosmo ed i cavalieri non poterono fare altro che sorriderle e sottostare al suo volere. Quando li lasciò si sentirono come smarriti, ma non fu per questo che Milo la richiamò, prima che si allontanasse.
“Mia signora.” Le disse il ragazzo, allungando timidamente una mano verso di lei; Saori si voltò sorridendo.
“Dimmi, Cavaliere.” L’incitò.
“Vorrei chiedervi il permesso di assentarmi dal Santuario.” Affermò Milo.
“Ma…” Fece per intervenire Ioria, bloccato subito da un cenno della mano di Saori.
“Qual è il motivo che ti spinge, Cavaliere, se posso chiederlo?” L’interrogò lei, più spinta dalla curiosità che dalla prudenza.
Milo abbassò gli occhi, la sua espressione si fece seria. “C’è qualcuno, ad Atene… che andrebbe informato della scomparsa di Camus dell’Acquario…” Rispose infine, tornando a guardarla negl’occhi.
A Saori non sfuggì il moto di sorpresa di Ioria e la sua espressione che, subito dopo, si era contratta, pietrificandosi mentre fissava il vuoto. Sapeva certo di chi stavano parlando. La ragazza tornò a guardare Scorpio, il suo viso triste, i begl’occhi quasi velati.
“Aveva dei parenti? Non credevo…” Replicò quindi.
Milo si grattò la fronte imbarazzato. “Non si tratta proprio di un parente…” Mormorò. “Ma certo di una persona cui era molto legato, e credo sia mio dovere, come suo amico, portare la notizia.”
“Lo saprà già.” Intervenne Ioria, sorprendendoli entrambi.
“Non ne dubito.” Affermò Milo rivolto a lui, poi tornò a guardare Saori. “Ad ogni modo penso che manifestare il mio cordoglio personalmente sia diverso.”
“È un nobile intento, il tuo, Cavaliere.” Gli disse la dea. “Ti concedo il mio permesso.” Annunciò poi; Milo, entusiasta, dopo un veloce inchino, si allontanò in fretta.  
“Mia Signora.” Il tono della voce di Ioria, però, bloccò i passi del cavaliere di Scorpio e lo costrinse a voltarsi verso gli altri due. “Vorrei accompagnare Milo, se mi è concesso.” Chiese Leo.
“Che cosa…” Sbottò l’altro, posandosi le mani sui fianchi.
“Eri anche tu amico di Acquarius?” Gli domandò sorpresa la ragazza.
Ioria si grattò la nuca, si sentiva molto a disagio. “In tutta sincerità… non posso dire che fossimo amici…” Milo fece un sorrisino sardonico a quelle parole. “…ma conosco questa persona di cui si parla e… devo chiederle perdono.”
Saori lo fissò per un lungo attimo negl’occhi color smeraldo e vide la sua sincerità, anche se non ne conosceva il motivo; poi guardò Milo, che non sembrava propriamente entusiasta.
“Andate.” Concesse loro infine, tornando a girarsi verso Ioria, quindi lasciò la sala, seguita da Kiki e Jabu.
I due cavalieri erano rimasti immobili, a fissarsi nella penombra dell’atrio. Entrambi avevano buoni motivi per fare quel viaggio, e lo sapevano. Milo fu il primo a girare le spalle e incamminarsi verso l’uscita.
“Mi devo cambiare.” Gli disse Leo.
“Fai pure.” Ribatté noncurante l’altro. “Ci vediamo tra un po’ in garage.” E salutandolo con la mano uscì.

Scorpio, questa volta, entrò nella casa di Acquarius. Sapeva di ubbidire ad una necessità puramente materiale, ma si sentiva in diritto di farlo.
Il salone principale era rischiarato dalla luce proveniente dall’esterno ed era ancora lastricato da un sottile velo di ghiaccio che si stava sciogliendo con lentezza. Il pavimento era scivoloso. Il pattinaggio artistico non era mai stato il suo sport preferito.
Milo arrancò di colonna in colonna, rischiando un paio di volte una umiliante caduta di sedere, fino a raggiungere le scale interne che portavano al piano superiore. Anche quelle erano ghiacciate.
Il ragazzo si fermò in fondo alla rampa, era sudato e arrabbiato. E aveva freddo ai piedi. Certo, sapeva che le sue infradito tipo spiaggia di Ipanema non erano le calzature più adatte ad affrontare i ghiacci eterni, ma non aveva tempo da perdere per andare a mettersi le scarpe. Si aggrappò saldamente alla ringhiera gelida e cominciò a salire.
Nella vita ci sono le centinaia di volte in cui cadi e ti rialzi, spolveri i vestiti e via, riparti. Verità valida specialmente per un cavaliere. E poi ci sono quelle volte in cui cadi, e basta.
Milo scivolò a circa metà della rampa. Le sue mani intorpidite non ce la fecero a reggerlo e si ritrovò steso a faccia in giù sulle scale. Rimase lì, immobile, almeno finché non fu scosso dai singhiozzi; poi cominciò a battere un pugno contro la superficie di marmo, resa ancora più lucida dal ghiaccio che si scioglieva.
“Camus, maledizione!” Imprecò, con il viso soffocato in un braccio. “Brutta testa di legno!” Il dolore e la rabbia, trattenuti per ore dalla dignità e dall’orgoglio, erano esplosi all’improvviso, su quelle scale umide e fredde. “Come hai potuto lasciarci così… come…”
Il cavaliere, dopo qualche minuto d’imprecazioni e lacrime, con i vestiti ormai mezzi zuppi, si voltò sospirando e asciugò il viso alla belle e meglio, respirò profondamente, quindi si alzò. Era inutile stare a piangersi addosso. “Non è da Cavaliere.” Avrebbe detto Camus. Milo, adesso, avrebbe fatto una cosa da cavaliere. Concentrò la sua energia ed espanse il cosmo, caldo come le sabbie del deserto; il ghiaccio sulle scale si sciolse in breve con una colata fumante.
Soddisfatto, il giovane salì nelle stanze al piano superiore e prese quello per cui era venuto. E poi andò a mettersi le sue vecchie scarpe da ginnastica.

Trovò Ioria che lo aspettava nel garage guardandosi intorno vagamente spaesato. Non doveva esserci stato molte volte, in quel luogo ai confini del territorio del Santuario, costruito a ridosso di uno dei posti di guardia. Una specie di punto di frontiera tra il passato ed il presente.
Il cavaliere di Leo se ne stava lì, in mezzo alle varie auto e moto parcheggiate nello stanzone; indossava un paio di pantaloni classici color caki ed una camicia bianca.
“Ioria, ma che carino!” Non poté esimersi dal commentare ironico Milo, facendolo voltare con la fronte aggrottata. “Sembri un commercialista.” Continuò Scorpio avvicinandosi. “Oggi o domani decidi di piantarla con cavalieri e armature, hai un mestiere pronto.” Scherzò.
“Humpf…” Sbuffò l’altro. “Senti da che pulpito… sottospecie di rockstar fallita…” Ribatté poi, quindi scrutò il compagno. “Ma dove sei finito?” Gli chiese, osservando i vestiti ancora un po’ bagnati.
“Sono andato a prendere le chiavi della macchina.” Rispose tranquillamente lui, superandolo; Leo lo seguì con lo sguardo.
“E dove le tieni, sotto la doccia?” Replicò sarcastico.
“Nella casa di Acquarius.” Spiegò Milo senza voltarsi, con tono amaro; seguì un attimo di silenzio.
“E… perché proprio quelle?” Si decise a domandare Ioria, capendo che doveva essere stata dura per Milo entrare nell’undicesima casa.
Scorpio alzò le sopracciglia. “Beh, credo di poter dire che quella macchina è la mia eredità.” Affermò stringendosi nelle spalle.
“E in base a che cosa?” Ribatté Ioria. “Camus ha forse fatto testamento?”
“Hm…” Fece Milo dirigendosi sulla sinistra. “…più che altro lo definirei un testamento spirituale…”
“Mi predi per il culo?” Sbottò retorico l’amico. “Piuttosto, qual è la macchina?” Domandò seguendolo.
“Quella.” Milo gl’indicò un grosso SUV tedesco color blu oltremare metallizzato, cerchi in lega e vetri oscurati, che torreggiava lucido vicino alla saracinesca sulla sinistra.
“Ma che ci faceva Camus con un’auto del genere?” Domandò perplesso Leo, osservandola con le mani sui fianchi.
“Figheggiava.” Rispose Milo con aria furba, mentre premeva il pulsante per aprire le portiere; Ioria fece un’espressione tra lo scettico e l’incredulo. “Andiamo, sali.” L’incitò l’altro.
“Senti un po’, Mister Ironia, te la ricordi la strada?” Chiese Ioria, quando furono entrambi seduti nel confortevole abitacolo.
“Non ce n’è bisogno!” Esclamò Milo. “Basta sapere la via e qui noi abbiamo un utilissimo navigatore satellitare che farà il resto!” Aggiunse dando una lieve pacca al piccolo schermo.
“Hm… non mi fido granché di questa roba…” Affermò l’altro storcendo il naso.
“Allora perché non guidi tu?” Sbottò scocciato Scorpio girandosi verso di lui.
Ioria lo guardò per un attimo, poi voltò gli occhi altrove, grattandosi un orecchio; Milo aggrottò la fronte sospettoso. “Non ho la patente.” Ammise infine il possente cavaliere di Leo.
Milo alzò le sopracciglia sorpreso, mentre un sorrisetto beffardo gli increspava lentamente le labbra. “Ah.” Fece soltanto.
“Avevo cose più importanti cui pensare.” Grugnì Ioria senza guardarlo. “Ora metti in moto.” L’altro cavaliere, senza mascherare l’espressione divertita, ubbidì.

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