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Autore: Patta97    19/01/2013    3 recensioni
- E tu chi e che cosa saresti? – chiese Sherlock, ostentando il suo tono più pragmatico.
- Io sono io, Sherlock – rispose la creatura, con una voce bassa e leggermente acuta, come se si trovasse a metri di distanza dal letto e non a un passo. – Sono lo Spirito del Natale Passato –

E se Sherlock ricevesse la visita di tre Spiriti natalizi?
Note: Johnlock, Post Reichenbach
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao!
Sì, mi sa che dovrò accettare la proposta di Sonia_0911 a darmi una mano a prolungare Natale fino a Giugno! xD
Comunque riuscirò a finire, prima o poi, questo è sicuro (purtroppo per voi, ehe).
Vi lascio a questo capitolo appena sfornato e al mio particolarmente adorato Spirito del Natale Presente!
Un bacio a tutti voi che leggete e recensite,
Chiara
______________________________________


Sherlock aprì piano la porta della sua stanza e guardò dallo spiraglio.
 
Uno strano luccichio proveniva dal salotto dell’appartamento.
 
Il consulente investigativo si fece coraggio e aprì di scatto la porta.
 
La stanza era dilatata in ampiezza, lunghezza, altezza; il che era ovviamente impossibile e Sherlock si rese conto di star sognando ancora.
 
Le pareti, il soffitto, tutto era ricoperto di fotografie e di puntine e di percorsi tratteggiati con pennarello rosso.
 
E poi, al centro della stanza, stava un cumulo di ciambelle.
 
Appena se ne rese conto, Sherlock alzò un sopracciglio e sollevò gli occhi al cielo: aveva la certezza che la sua mente – brillante, ovvio – eppure suggestionata, avesse partorito un altro Spirito e sapeva anche di chi avrebbe avuto le sembianze…
 
- Vieni dentro – esclamò una voce.
 
E Sherlock, rassegnato, si fece avanti, cercando lo Spettro con lo sguardo.
 
Finalmente da dietro la montagna di dolciumi, sbucò la stranamente alta figura di Gregory Lestrade.
 
Indossava un impermeabile grigio allacciato alla vita e teneva in mano un’enorme bottiglia di birra; aveva alla vita la fondina della pistola, nonostante fosse vuota. I capelli erano neri e non aveva molte delle sue caratteristiche rughe di espressione.
 
- Mai vista una cucina del genere prima d’ora! – aggiunse lo Spirito-Lestrade, stupito. Aveva una voce possente che rimbombava come uno scroscio di risate.
 
- Ah, no? – Sherlock faticava a prenderlo sul serio.
 
- Già. Neanche una cosa commestibile! Menomale che mi sono portato una piccola scorta prima di venire da te, Sherlock Holmes – disse, ammiccando alla montagnola di ciambelle.
 
- D’accordo – sospirò, gli occhi al cielo. – Tu saresti lo Spirito del Natale Futuro? – dedusse.
 
- Presente – lo corresse lo Spirito, tracannando un gran sorso di birra.
 
Sherlock stava ancora provando a riprendersi dal fatto che Lestrade lo avesse corretto, che quello iniziò a parlare.
 
- Direi che possiamo andare – disse, sorridente e leggermente brillo.
 
- Andare dove? A vedere come si divertono le persone senza di me? – si esasperò Sherlock: dover sottostare a Lestrade era più frustrante e umiliante che ubbidire allo Spirito-sadico-Mycroft.
 
- ! – esultò lo Spirito. – Afferra l’impermeabile -
 
Quel sogno stava diventando frustrante, si rese conto il consulente investigativo, prima di fare come gli era stato detto.
 
I mobili, quelle strane fotografie, i tappeti, il camino, le poltrone, il teschio, le ciambelle glassate, tutto sparì immediatamente e così pure la stanza, l’appartamento, il chiarore biancastro, l’ora notturna.
 
Si trovarono nelle vie della città, quella sera stessa, forse.
 
C’erano persone che suonavano campanelli, luci accecanti, chiacchiere e tanta, tanta neve.
 
Lo Spirito condusse Sherlock, ancora come incollato al suo impermeabile – forse era la glassa appiccicaticcia dei dolciumi, pensò disgustato il detective – davanti a Scotland Yard.
 
Sherlock si stupì nel trovare le luci interne ancora accese.
 
- Instancabili lavoratori, eh? – commentò acido il consulente investigativo, sicuro che dentro ci fossero Donovan e Anderson.
 
E infatti, seduti alla scrivania dell’ispettore, stavano seduti i due colleghi.
 
Sally piangeva. Non sembrava depressa, eppure piangeva frustrata, mentre Anderson la guardava impotente, con un braccio attorno alle sue spalle.
 
Sherlock li osservò per un attimo e poté benissimo rendersi conto che non era stata l’ennesima risposta restia di Anderson a lasciare la moglie per lei che la faceva disperare così tanto.
 
Decise di ascoltare quel che stava dicendo Anderson per capire qualcosa, nonostante le sue orecchie si rifiutassero palesemente di sintonizzarsi sulla stupida voce dello stupido uomo.
 
- Non preoccuparti, Sally! Sappiamo tutti quanto tu… - stava tentando di dire.
 
Ma la donna lo interruppe. – Non m’importa di questo! Io… io ho lavorato duramente per arrivare fin qui. Prima per pagarmi gli studi e poi per guadagnarmi un titolo! –
 
Sherlock iniziò ad intuire dove il discorso andasse a parare e guardò lo Spirito. Ma quello osservava la scena stranamente silenzioso, gli occhi severi ed arrossati dall’alcol.
 
- Io provo a dare il meglio di me… - un’altra lacrima le scese sulla pelle scura e Anderson la guardò con lo sguardo più comprensivo che la sua faccia potesse fare. – Ma poi arriva lui. Rovina sempre tutto. Mi fa sembrare un’idiota. Fa sembrare te, un’idiota. E tutto quello che ho fatto da una vita si… disintegra -
 
Anderson fece una smorfia e la strinse più forte.
 
Sherlock si sentì leggermente in colpa: quella mattina in dieci minuti aveva scoperto il colpevole di un omicidio su cui Donovan stava lavorando da un mese. Poi si era burlato di lei (forse) ed anche di Anderson (probabile).
 
Ma in fondo era in rapporti meno amichevoli che mai da quando era tornato: sapeva che erano stati loro due ad indurre Lestrade nel dubbio quando Moriarty aveva appena iniziato a minare la sua reputazione.
 
Praticamente tutto il senso di colpa sparì a quel pensiero e Sherlock si ricoprì di freddezza.
 
- Non preoccuparti, Sally – ripeté nuovamente Anderson. – Devi farci l’abitudine. Io ormai non mi arrabbio più, è solo un’idiota -
 
Sherlock alzò un sopracciglio a quel discutibile commento.
 
Ma sembrò che per Sally quella fosse la cosa giusta da dire, perché lo abbracciò con trasporto.
 
- A proposito – esclamò la donna, asciugandosi le lacrime. – Tua moglie? -
 
- Ehm… - iniziò a balbettare Anderson, mentre la scena svaniva.
 
Sherlock e lo Spirito erano fuori Londra, a circa un’ora di macchina dalla capitale: Braintree.
 
Dalle case spaziose ma non ricchissime, Sherlock intuì di trovarsi in Stetson Street.
 
Passarono attraverso le pareti di una casa azzurro acceso.
 
Si ritrovarono in un salotto dai toni giallo limone e verde scuro di gusto contestabile.
 
Uno spazioso divano (giallo) era occupato da persone che Sherlock conosceva, a parte due.
 
C’era Lestrade, intento a mangiare un pezzo di torta, c’era Molly con un bicchiere di vino fra le mani, c’era John, con un sorriso mite rivolto alle sue interlocutrici.
 
Una era senza dubbio sua sorella Harry. Aveva i capelli dello stesso biondo di John e gli occhi blu. Lo stesso sorriso del fratello minore, nonostante le labbra fossero più carnose e truccate. Aveva una mano impegnata a reggere il suo secondo… no, terzo bicchiere di vino e l’altra a stringere quella dell’altra estranea.
 
Questa aveva capelli rossi, ordinati ai due lati del viso, e occhi verdi troppo grandi per il viso piccolo e magro. Non portava nessun gioiello e stava raccontando qualcosa di esilarante, probabilmente, perché tutti scoppiarono a ridere.
 
Compreso John, notò Sherlock con una punta di gelosia.
 
- Vieni, Mary* – disse poi Harry rivolta alla ragazza. – Devo dirti una cosa – si alzarono e sparirono fuori dalla stanza.
 
“Devo dirti una cosa” doveva essere il nuovo modo per dire “ho il bisogno assoluto di baciarti”, perché era chiaramente quello l’intento di Harry.
 
Sherlock tornò a concentrarsi sulla scena, sentendo nominare il proprio nome.
 
- Notizie di Sherlock? – chiese infatti Lestrade.
 
John si alzò dal divano e arrancò verso la mensola sopra il camino, da dove recuperò il suo cellulare.
 
John stava zoppicando, vistosamente**. Oh, John, pensò Sherlock, dispiaciuto.
 
Il dottore premette il tasto di chiamata veloce e mise il cellulare all’orecchio.
 
Dopo qualche secondo lo mise giù, di nuovo sul camino.
 
- Niente – scosse il capo e zoppicò verso il divano, dove si risedette sconsolato.
 
- Dispiace anche a me che non ci sia, John – sussurrò Molly, comprensiva. – Ma parliamo d’altro! Mary mi sembra adorabile, a voi? – abbassò il tono e tentò vivacemente di cambiare discorso.
 
Cercava di riparare i danni che Sherlock lasciava dietro di sé, come sempre, e questi provò un moto d’affetto nei confronti di quella donna minuta e dolce.
 
- Adorabile, sì! – ribadì Lestrade, allegro, finendo in un boccone quel che restava della sua torta. – Non mi stupisce che Harry sia così attaccata a lei -
 
- Lo era anche con Clara – ricordò John, acido.
 
Molly si rese conto di aver parlato solo di un’altra preoccupazione del dottore e così fissò il pavimento, intristita anche lei.
 
Lestrade batté le mani e si alzò. – Scusate, ragazzi, ma io devo andare. Ho… faccende di lavoro da… fare. Sbrigare, cioè – annaspò.
 
John fece un sorrisetto strano e girò il capo verso il posto accanto al suo. Si incupì nuovamente quando si rese conto che quel posto era vuoto e che nessuna frecciatina sugli appuntamenti “segreti” di Lestrade sarebbe giunta.
 
Harry e Mary si materializzarono nuovamente nella stanza, le guance arrossate, e porsero l’impermeabile – gli scherzi del destino, osservò Sherlock lanciando un’occhiata all’impassibile Spirito accanto a lui – a Lestrade.
 
Questi salutò tutti e ringraziò Harry per la cena, scusandosi ancora per la sua dipartita.
 
Mary lo accompagnò all’ingresso.
 
- Salutami Mycroft! – gli gridò dietro John, mai troppo triste per battute del genere.
 
- Dannazione – si sentì mormorare.
 
Tutti scoppiarono a ridere e Sherlock fu invidioso di non essere lì con loro.
 
Ma lo fu per poco, perché la scena sparì.
 
Si trovavano in una strada buia ed innevata, con solo la luna a dare chiarore.
 
Sherlock notò che lo Spirito non aveva più i capelli neri, bensì bianchi.
 
- Stai morendo – constatò il consulente investigativo.
 
- Vivo poco – sussurrò lo Spettro e Sherlock lasciò andare il lembo di impermeabile.
 
- C’è una mano – si rese conto poi, indicando qualcosa ai piedi dello smisurato e vecchio Spirito.
 
Due bambini sporchi vennero illuminati dai raggi lunari e Sherlock trovò i loro volti e nomi impressi nella memoria: Claudie e Max Bruhl.
 
I due bambini che avevano gridato a Scotland Yard non appena lo avevano visto. Non li aveva ancora eliminati dal suo Palazzo Mentale perché era stato grazie a loro che tutti avevano iniziato a dubitare di lui, quasi quattro anni prima.
 
Anche in quest’occasione erano vestiti con un pigiama lacero ed erano sporchi e smagriti come due piccoli scheletri.
 
- Cosa ci fanno qui? – “nel mio sogno?” avrebbe voluto aggiungere.
 
- Non sono chi tu pensi siano. Non sono quei due bambini. Loro sono i tuoi migliori amici – disse lo Spirito con voce affannata e Sherlock dal volto ormai irriconoscibile di Gregory Lestrade per concentrarsi sui due ragazzini.
 
- E quali sono i loro nomi? – domandò, socchiudendo gli occhi.
 
- Arroganza e Ignoranza – i bambini risero, inquietanti, udendo i propri nomi.
 
Sfregarono le manine ossute l’una contro l’altra e iniziarono ad arrancare verso Sherlock, sul ventre e aiutandosi con le braccia e le unghie, come se le gambe fossero effettivamente troppo fragili per reggere il loro peso.
 
- Arroganza – Sherlock ripeté, guardando la bambina. - Ignoranza – ripeté, volgendo gli occhi al bambino. Un moto di consapevolezza le percosse e sollevò il mento.
 
- Dove posso mandarli? – chiese, perché il pensiero di far loro del male, sopprimerli in malo modo, era impensabile.
 
- Annientali – fu la risposta del decrepito Spirito, accartocciato su se stesso.
 
- Mai – Sherlock scosse la testa, sconvolto da quella richiesta.
 
Un’ultima risata possente scosse lo Spirito del Natale Presente e la bottiglia di birra, tenuta stretta in mano nonostante le forze manchevoli, cadde sull’asfalto e si infranse. Lui sparì nelle ombre della notte.
 
I due malconci, inquietanti e tanto cari bambini, dopo essersi guardati intorno spaventati ed angosciati, seguirono il loro appena defunto padrone.
 
Le luci sembrarono tornare e Sherlock si accorse che c’erano case attorno a lui, dalle quali provenivano festosi auguri di buon Natale.
 
Il consulente investigativo si guardò intorno, spaesato, non sapendo cosa fare o dove fosse.
 
Ma evidentemente mancava un terzo Spirito all’appello, il più terribile, improbabile e pazzo.
 
E Sherlock si ritrovò nel buio.
 
 
 
 
*Sì, la nuova fidanzata di Harriet Watson è Mary Morstan. Leviamola pure dalla piazza, John è di Sherlock. xD
 
**Se avete letto A Christmas Carol, avrete capito: John è il “mio” Piccolo Tim.
  
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