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Autore: Vally98    20/01/2013    1 recensioni
una ragazza. a prima vista così semplice, così sorridente. a conoscerla, una pazza.
deve convivere con l'immagine di un ragazzo, un ragazzo distante, magnifico, perfetto.
vuole conquistarlo, avvicinarsi, ma si trova a combattere contro il suo passato, i suoi dubbi e la sua timidezza. chissà se le cose andranno come lei vorrebbe.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amare, piacere, interessare.
Sono parole, semplici verbi, lettere mescolate alla rinfusa.
Hanno un bel suono, piacevole, ma un significato che tutti fraintendono.
- A mio parere ti interessa un ragazzo quando inizi a guardarlo con occhi curiosi, cerchi di fare colpo su di lui, di fare una buona impressione – spiegai a Ginevra.
- Si, lo so.. ma.. insomma..-
- Io non lo amo! – sbottai, intercettando i suoi pensieri – a me piace, anche molto, lo ammetto, ma alla nostra età non ci si può innamorare. Almeno... potrebbe succedere, sì, ma dopo tanto tempo, quando hai una relazione davvero seria con un ragazzo – quasi mi arrabbiai al pensiero che gli adolescenti confondessero semplici cotte con una cosa seria come l’amore.
- Si ma conosco coppie che si sono fidanzate a questa età e poi si sono sposate! – replicò lei.
- Può darsi! Si saranno messe insieme, e poi col tempo i loro sentimenti si sono rafforzati diventando amore..-
Decisi di non continuare la discussione, dato che nemmeno io ne sapevo tanto, e cercare di affermare le mie idee, probabilmente non completamente corrette era ingiusto.
Sbuffai e tornai a fissare fuori dal finestrino, con una strana nostalgia negli occhi.
Qualcosa non andava, qualcosa mi mancava. Lo sapevo, lo sentivo.
Ne fui certa quando mi accorsi di stare fissando l’asfalto umido, invece del cielo; quando mi resi conto di ascoltare il battito del mio cuore anziché le parole che mi volavano attorno.
Qualcosa non andava. Dovevo sistemarla.
La timidezza in quel momento era il mio più grande nemico, dovevo vincerla e farmi avanti. Allora tutto sarebbe andato bene, sarebbe terminato quel gioco fatto di fughe, nascondigli e risate nascoste da uno schermo.
La voglia che avevo di sentire la sua voce era immensa, la sua “erre moscia” che mi aveva confessato di avere. Sapevo che sentire quell’imperfezione uscire dalle sue labbra mi avrebbe fatta impazzire ancora di più.
- Vale ci sei? – mi chiamò Isabel, la mia migliore amica. Era seduta accanto a me.
- Sì sì – risposi prontamente, con un tono di voce che mi smentiva chiaramente.
- Siamo quasi arrivate – annunciò Ginevra.
- Dove? – chiesi, come cadendo dalle nuvole.
- A scuola!? – disse Isabel con ovvietà – ma ce la fai?! – esclamò ridendo.
Quella mattina non connettevo proprio: tra la stanchezza, i pensieri che non mi davano tregua, l’influenza e il tormento della festa sentivo che quella sarebbe stata una pessima giornata.
 
Suona la campanella. Tutti che si alzano e si accalcano per uscire fuori dall’aula.
Io rimango immobile, seduta al mio posto. Attendo che Isabel prenda il portafoglio, e mi chieda di accompagnarla al bar.
- Andiamo? –
Sospiro e mi alzo in piedi. La seguo fino al corridoio, e ci avviamo dall’altro lato della scuola, per prendere al merenda.
Lei non può sapere con certezza quello che sto provando, non può sentire il vuoto che sento nello stomaco, che mi da la nausea, l’agitazione che sento in ogni centimetro di pelle, che mi fa venire voglia di stiracchiarmi al massimo per scacciarla. Ma io lo so, lo so che rimarrà, come uno strato di catrame incrostato su di me. la colpa di tutto la devo al sintomo più evidente, il batticuore.
Cammino impavida per i corridoi della scuola, sorridendo ad ogni cosa che la mia amica dice, a guardarmi in faccia sembra tutto ok, ma dentro sto esplodendo.
Sono troppo nervosa, non ce la faccio.
- Isa non ci riesco – sussurro con voce flebile.
- Ma smettila! – ribatte lei spingendomi in avanti.
- Mi sento maleee – esclamo con una faccia ridicola.
- Prima o poi dovrai farlo –
Mi mordo il labbro per il nervosismo. So che appena lui apparirà davanti ai miei occhi mi sentirò mancare, mi escluderò dal mondo come se comprendesse solo me, e lui. Non riuscirei ad udire più nulla, dato che il mio cuore avrà la voce che grida più forte, col suo battere impetuoso nel mio petto. A volte ho quasi paura che qualcuno lo senta.
È inevitabile. Questo mi succede ogni volta. Così come si erge un muro insormontabile che mi separa da lui, sempre di più. Mi sento ridicola, troppo direi. Ma non posso permettermi di fare la bambina, non con uno due anni più grande! Scherziamo? Non mi considererebbe più! Devo dimostrare maturità e serietà.
Mi ricomposi.
In quel momento entravamo nel bar.
Lui non si vedeva. Sospirai. Non sapevo se era meglio che non ci fosse, perché non avrei voluto cadere in un turbinio di emozioni così confuse, ma io avevo bisogno di vederlo. Proprio così: era diventato un bisogno averlo sotto gli occhi, studiarlo, toccarlo. Mio.
Magari.
- Non c’era – osserva Isabel, stringendo la sua bella focaccia unta tra le mani, mentre torniamo in corridoio  – andiamo in classe o vuoi fare un giro? –
addenta il suo spuntino.
La mia pancia brontola un lamento invidioso.
- Mmm... andiamo in classe direi –
- Non sei convinta – nota Isa.
- Già..-
- Allora facciamoci un giretto –
- Nah.. sarà già tornato nella sua classe. E poi non mi va di stolkerarlo sempre – non è vero: è la cosa più bella del mondo seguirlo e osservarlo in tutto ciò che faceva. Ma era qualcosa di infantile, da evitare.
- Ma..-
- Dai torniamocene in classe che sta per suonare – le sorrido e le stringo la mano.
Peccato che quando arriviamo in aula me ne pento.
- Ok andiamolo a cercare – esclamo trascinandomi dietro Isabel, tutta di fretta.
- Ok ma deciditi ahahah – ridacchia lei.
So che non le va di farmi da cagnolino di compagnia tutti gli intervalli, accompagnandomi sempre a cercare quel ragazzo che mi prende così tanto.. so che a lei non importa di guardarlo, so che non ha negli occhi la stessa luce che fa brillare i miei quando ce l’ho davanti, che non può avere il mio batticuore. Lei non può capire.
Corriamo su per le scale, fino al secondo piano, dov’è la 3B, la sua classe. Inizio a sentirmi ridicola per quello che sto facendo.
- No, Isa torniamo indietro – dico girando i tacchi – lo vedrò domani –
Lei mi blocca e mi spinge verso la classe.
- Ok! – esclamo – ho capito! Ma non fare così che poi se ne accorgono tutti – mi vergogno come una matta, ma ho BISOGNO di vederlo.
Eccoci davanti alla sua classe.
“E mo che faccio?” penso con il panico in gola, nello stomaco e nei nervi. Il vuoto nello stomaco si accentua.
Isabel inizia a tirarmi verso la porta, ma io mi contrappongo.
- Ferma! – ringhio.
- Dai! Vallo a salutare! –
- No!! ti pare che entro in classe sua come una deficiente, con tutti che mi fissano e gli dico: ma ciao Leo!!!? –
- Si! – riprende a tirarmi per il braccio.
Mi libero con uno strattone e mi allontano dall’aula.
- Dai! Cavolo è qui! Entri e lo saluti! –
- Non è così facile porca miseria! –
- Lo è invece! È un “ciao”, cavolo! Non un “vuoi sposarmi” –
- Che centra!! Non ce la faccio! Andiamocene –
Io in realtà volevo passare davanti alla sua classe, se mi avesse visto passare lo avrei salutato, ma di entrare io per parlargli, con tutti i suoi amici attorno, beh, non me la sentivo.. era davvero troppo.
Faccio per andarmene ma Isabel continua a tirarmi per il braccio.
- No! lasciami! – grido.
Riconosco una delle migliori amiche di Leonardo che ci passa accanto, io lì che mi aggrappo alla parete per evitare che Isa mi trascini nella 3B, mentre grido di lasciarmi stare; lei che mi tira e mi incita. La sua amica mi fissa e sorride, come compiaciuta, e poi sparisce nell’aula.
- Ecco brava ora ci ha viste la sua amica! – sbotto imbarazzata e quasi arrabbiata. Ma poi scoppiamo a ridere entrambe.
- Che figura! – esclamo mentre suona la campanella che annuncia la fine dell’intervallo.
Vedo che Leonardo spunta sulla porta, con la sua amica che gli urla: - DAI! –
Scoppio di nuovo a ridere, pensando a quanto possiamo sembrare buffi, io e lui, che non troviamo il coraggio di parlare, mentre i nostri amici ci incitano sempre, cercano di spingerci l’uno verso l’altro, a farci forza.
Mi fa ridere il fatto che siamo in un punto cieco, siamo nella stessa situazione, entrambi. È una cosa buffa, ridicola, infantile, ma molto, molto tenera.
 
- Vaaaaale! –
- Ci sono –
Mi resi conto di essere in piedi davanti alla porta dell’autobus, Isabel e Ginevra che mi guardavano stranite.
- Tutto ok? – domandarono preoccupate.
- Sì.. è stato solo – abbassai la voce mentre le porte si aprivano – un ricordo -
   
 
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