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Autore: DK_    10/08/2007    1 recensioni
Lo faresti? Potresti? Squall&Rinoa, la guerra civile di Timber, e cose che avrebbero fatto meglio a rimanere inespresse.
Genere: Azione, Avventura, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rinoa Heartilly, Squall Leonheart
Note: Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti
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v.

Rinoa se la prese con sé stessa mentre finiva di mettersi il mascara, chinandosi pericolosamente sul ripiano del bagno e cercando di non infilarselo nell’occhio – di nuovo. Lo specchio era enorme, e a momenti si sentiva quasi persa nella sua superficie. Riusciva appena a vedere cosa stava facendo, e probabilmente si stava spiegazzando il vestito nel processo, e non era nemmeno un vestito buono, solo un coso color zafferano pallido che aveva preso a Balamb, e comunque stava meglio a Selphie, e non era del colore giusto per quei capelli, che erano spaventosi, così ineleganti, le radici stavano già ricrescendo, ma che avevano in testa-

Non ti va mai bene niente, Rinoa, la rimproverò la voce di suo padre.

Zitto, papà. Buttò il mascara da qualche parte, dandosi un altro sguardo allo specchio, lisciandosi la gonna corta contro le gambe candide. Le macchie rosse e le sbucciature della sua insolazione erano sparite durante la notte, e non aveva neanche dovuto usare i suoi poteri consciamente. Un altro vantaggio dell’essere una strega, suppose.

Chissà quando mi verranno le borse sotto gli occhi. Si sorrise maliziosamente nello specchio, arricciando gli occhi, con delle rosse labbra color ciliegia –oh chissà cosa penserebbe papà di quelle- che facevano spazio alla dentatura bianca. Forse mai.

Qualcuno bussò bruscamente alla porta. “Signorina Heartilly?”

“Arrivo!” disse Rinoa spaesata in una quantità allarmante di forcine per capelli. Si infilò disperatamente le ultime rimaste, appuntando in su i capelli in un nodo folle che sperò di poter far passare per una pettinatura alla moda. Il risultato non assomigliava esattamente a quello di Quistis, ma immaginò importasse poco, dato che comunque Squall non era mai stato interessato a lei.

Aprì rapidamente la porta, senza neanche prendersi il tempo di controllare attraverso lo spioncino come Squall aveva insistito facesse. Il Maggiore Grant aspettava fuori, immobile nella sua uniforme, la schiena dritta e le spalle quadrate. La donna la squadrò da capo a piedi, inarcando un sopracciglio scuro.

“Beh, Maggiore, che ne pensa?” Rinoa si sentì improvvisamente allegra, il suo sangue si era tramutato in champagne frizzante. Piroettò in un cerchio grazioso, facendo in modo che la gonna le sferzasse le gambe in maniera deliziosa.

“Non esattamente il mio genere, Signorina Heartilly, ma a lei sta bene.” Il Maggiore Grant distolse lo sguardo incerta, e Rinoa notò nuovamente i suoi sottili fianchi mascolini e il suo petto piatto. “E’ pronta ad andare?”

“Sì,” Rinoa chiuse la porta dietro di lei, girando energicamente la chiave e mettendola da parte in un borsellino che era decisamente troppo piccolo per servire a qualsiasi cosa oltre che essere messo in mostra. “E chiamami Rinoa, per favore.”

“Se lo dici tu.” Il sorriso del Maggiore Grant sembrava ancora disciplinato e diffidente come il resto di lei. “Ora faremmo meglio a sbrigarci, la macchina ci sta aspettando e c’è una lunga camminata da fare.”

Camminarono nel corridoio completamente coperto da moquette fianco a fianco, stivali da combattimento e scarpette da ballo senza fibbia che calpestavano parimenti più polvere di quanto avrebbero dovuto. Passare l’aspirapolvere in quel luogo era probabilmente l’ultima cosa che avrebbe attraversato la mente di chiunque ad eccezione di lei, e di sicuro non si sarebbe offerta volontaria per farlo di persona. E non era certo l’unica cosa che non andasse in quel posto. L’ascensore non funzionava ancora, e dopo un paio di scalinate piene di silenzio, il lungo viaggio per le rampe di scale divenne assolutamente insopportabile.

“Qual è il tuo nome?” chiese infine Rinoa, il volto vagamente arrossato, tutta concentrata sui gradini ripidi. “Intendo il tuo nome vero, non il tuo grado.” L’ultima parola le lasciò uno sgradevole sapore in bocca.

“Oh.” Il maggiore scrollò le spalle, fissando la successiva rampa di scale. “Leslie. Non che sia importante.”

“Certo che è importante!” Un irregolare pezzo di legno la costrinse ad un rapido passo traballante, ma riacquistò rapidamente l’equilibrio. “Ci sarai alla Residenza Presidenziale stanotte?”

“No… Io… Mi sono stati affidati dei compiti da qualche altra parte. Il Comandante Leonhart ha richiesto che venissi a prenderti, comunque, quindi sono stata temporaneamente sviata dai miei programmi.”

“Oh. Beh, grazie.” Rinoa arrossì leggermente. Non essere ridicola, Rin, hai avuto un Generale per padre, dopo tutto. I Maggiori non vengono invitati alle funzioni di stato.

A telefono nemmeno Squall le era suonato felice di essere stato invitato. Il Presidente Marshall gli aveva assicurato che la cena sarebbe stata piccola, un incontro intimo con solo pochi ministri e ufficiali di alto rango presenti, ma anche così temeva che ci sarebbero state delle infiltrazioni. Eppure, la Repubblica di Timber aveva pagato un’extra per l’incarico, e tecnicamente un tale aspetto poteva contare come obiettivo da conseguire. Una volta venuta a galla la verità, aveva presto deciso che Rinoa, che lo aspettava all’hotel, dovesse raggiungerlo, e perciò c’era stata la telefonata, la fretta, e la disperata ricerca di un vestito elegante, e il maggiore. Squall e gli altri sarebbero arrivati in poco tempo in una macchina; a quanto pareva si fidava del Maggiore Grant –Leslie– tanto da darle il permesso di scortare Rinoa per un pezzo di strada accessibile al traffico del settore al centro della città.

Come se non potessi farlo da sola. Prima giravo in macchine rubate per queste strade ogni notte. E che notti gloriose erano state, i capelli corvini che fluivano dietro di lei al vento, lei che rideva, ubriaca e libera, bruciando l’asfalto e lasciandosi l’inferno alle spalle, facendo dichiarazioni gridando e spruzzando insolenti slogan sui muri. Ma non era un gioco, non lo era-

Uscirono per una porta laterale, emergendo in una strada stretta e silenziosa, uno dei numerosi rami del viale principale della città. I lampioni illuminati sopra la sua testa ancora ardevano di un rosso elettrico, proiettando uno spazio di luce per terra, sebbene la maggior parte di quelli lungo la strada fossero stati rotti o avessero semplicemente smesso di funzionare – la strada era un mosaico di luce sgargiante e buio impenetrabile.

La notte era calda e asfissiante, e non offriva loro nessun sollievo dopo l’estenuante viaggio giù per le scale. Rinoa fece schizzare in alto le braccia, facendosi aria in un movimento che sapeva dovesse sembrare ridicolo e tuttavia era disperatamente necessario. Sperò di non doversi sentire in imbarazzo macchiandosi il vestito col sudore, ma non poteva davvero far altro che sperare, indifesa nella morsa dell’umido calore afoso che aveva afflitto la città per tutta la loro visita.

Missione, la corresse la voce di Squall nella sua testa.

Timber non aveva mai sofferto una tale ondata di caldo da che si ricordasse, e il fatto che stesse sudando era peggiorato dalla proliferazione di mosche. Le peggiori di tutte erano quelle grasse, verdi mosche cavalline, dello stesso tipo che l’avevano sempre fatta strillare di paura quando era una bambina ogni volta che andava a visitare le stalle. Il loro sonoro ronzio e i loro morsi penetranti erano andati pericolosamente vicino a rovinare persino il divertimento di un pony. Ora, cercava soltanto di non pensare con tutte le sue forze a quello che potevano star mangiando, o a dove potessero star crescendo.

Il Maggiore Grant fece qualche passo nell’oscurità, percorrendo con lo sguardo la città. “La macchina dovrebbe essere solo un paio di isolati più in là, e siamo all’interno della Zona Verde, quindi non dovrebbe succederci niente. Il Comandante Leonhart avrebbe voluto portarti lì personalmente, ma lo Staff Generale vuole tenerlo vicino per il momento. Io-”

“Non preoccuparti, Ma- Lesile. Me l’ha spiegato per telefono, sono certa che andrà – owww!” Come se pensare alle mosche cavalline le avesse invocate, una di loro le morse la nuca, mandandole una fitta glaciale di dolore per tutto corpo. “Stupide mosche-”

Riflessivamente, alzò una mano per toccarsi il morso e sentì- sentì-

Metallo?

Cos-?

Le sue dita si strinsero attorno a qualcosa di freddo e metallico. Strattonò l’oggetto assentemente, come se stesse sognando, e se lo sfilò dalla carne: un dardo d’acciaio, dalla cui estremità spuntava una coda quasi comica di piume nere. “Che sta-”

Il Maggiore Grant si voltò per guardarla in faccia, sgranando gli occhi e formando con la bocca una “o” di sorpresa, e la scena avrebbe potuto sembrare buffa, dato che il suo volto serio era per una volta finalmente vivo. Prese il fucile dalla spalla, sganciando col pollice la- la- sicura, e-

Un soffio d’aria, un altro morso di una mosca sulla coscia, un altro soffice dardo che spuntava dalla sua pelle. Rinoa fece un barcollante passo in avanti, agitando le braccia, la notte le avvolse gli occhi, e poi tutto accadde molto velocemente.

Sbucarono da oltre l’angolo, scagliando dardi attraverso le macchie di luce e oscurità, i corpi svolazzanti per l’illuminazione fugace in un modo che le ricordò improvvisamente alla sua mente languida dei ballerini a un rave di Deling City. L’impressione fu solo rafforzata dalla loro apparenza – una sviante macchia di rosse bandane, nastri rossi al braccio, loghi rossi ricamati su giacche logore, della pittura rossa sul viso che spiegava le sue ali lungo le loro guance – niente uniforme caratteristica per questi Gufi, nessun ordinata sartoria o colori in coordinato.

Le loro pistole piccole ed esili fecero uno strano rumore, segnando sul marciapiedi incerte linee di arma da fuoco. Schegge di asfalto e proiettili deviati risplendevano e sibilavano attorno a lei.

“Giù!” Il Maggiore Grant diede a Rinoa un forte spintone, ma non fu quasi necessario, perché le sue gambe si erano già fatte di gomma, costringendola a cadere a terra in un movimento scomposto e senza grazia. Sbatté la testa contro un palo della luce, e il dolore che le sfrecciò attraverso il cranio la scosse per un momento dallo stupore. Sbatté le palpebre e vide il maggiore fiondarsi di fronte e a lei, la sentì aprire il fuoco col suo fucile di gran lunga più grosso di quelli dei Gufi Rossi, cucendo una scia di proiettili tra le loro forme in avanzamento.

Il primo cadde quasi immediatamente, colpito dalla forza dei proiettili che gli perforarono la testa, ma il secondo continuò a muoversi per qualche istante prima di barcollare all’indietro, col corpo che si muoveva in modo spasmodico e sussultante per i ripetuti colpi di maglio, ballando una folle danza della morte, strisciando sull’asfalto, contorcendosi come in quella vecchia canzone, quella in cui devi ballare fino a che non crolli crolli crolli e ancora non puoi fermarti. Un terzo strillò come un animale mentre la sua coscia destra esplodeva in un vulcano di sangue e carne. Continuò a correre senza sosta fino a quando la sua gamba non si rese conto di non avere più il necessario per funzionare, scivolò, incespicò, rotolò fino a fermarsi accanto a un tombino, strillando ancora come un forsennato.

Rinoa riusciva a sentire un grido di terrore devastarle la gabbia toracica, circondato però da un calore ovattato, quasi un insetto intrappolato nell’ambra. Il mondo veniva sospinto dentro e fuori dalla sua concentrazione. Sentiva il suo stesso sangue scorrerle nelle orecchie, precipitarsi nelle sue vene e nelle sue arterie a un milione di miglia l’ora. Le bastò concentrarsi un secondo perché la magia le sfiorasse le punte delle dita, ma proprio quando tentò di avvicinarla, quella le sfuggì di mano. Se avesse potuto fermarla solo per un secondo per-

Un altro, pensò, Quando è successo? Il nuovo dardo si era piantato nel suo petto, proprio sotto la minuscola voglia che a Squall piaceva trovare con la lingua, pulsava allo stesso ritmo del suo frenetico battito cardiaco, cavalcando il crescendo dei suoi rapidi respiri. Molto lontano, riuscì a sentire il Maggiore Grant –Leslie- urlare nella sua radio in cerca di supporto e riferire le loro posizioni.

Una figura sgusciò dalle ombre direttamente di fronte a Rinoa, materializzandosi nel suo campo visivo drogato come un incubo e strano come una cosa che aveva visto alla Mostra di Arte Moderna di Deling, dei sottilissimi, affilati angeli dalle proporzioni impossibili. La sua tuta era nera, il mantello e il cappuccio che la ornavano rossi, e il suo volto – il suo volto-

-e il suo mantello le fece pensare a quella storia, quella stupida vecchia storia, la sua testa era riempita soltanto da storie e canzoni in quei giorni-

O nonnina che occhi grandi che hai

Enormi occhi vitrei eclissavano quel volto, annidati sopra un becco quasi grazioso a uncino. Dove avrebbe dovuto esserci la pelle c’era solo una distesa di corte piume marroni, quasi come quelle sui dardi. Rinoa aprì la bocca, parte per urlare dal terrore e parte per avvertire il maggiore, ma la sua lingua sembrava come impastata nel miele.

Il Maggiore Grant doveva aver sentito i suoi passi strascicati nella realtà concreta. Si voltò, roteando con il fucile, ma il Gufo fece semplicemente un passo in avanti, impugnando il calcio dell’arma e forzandolo in un angolo acuto. L’arma da fuoco latrò, sobbalzò come un essere vivente, sparando proiettili in aria oltre la spalla del Gufo, strappando altri pezzi di muro dal già devastato palazzo dietro di loro, e di sicuro qualcuno doveva aver sentito, Squall doveva aver sentito, perché non veniva, perché non venivano ad aiutare-

L’altra mano del Gufo scattò in avanti, scagliandosi nel piccolo ventre del maggiore, la violenza del pugno piegò quasi in due il suo corpo sottile. Tre acuti, appena percettibili sibili, e tre buchi rossi apparvero sulla schiena della donna mentre il suo intero corpo sussultava. Il tempo rallentò e si riscaldò; dicono che in queste occasioni il tempo si congeli, ma non è così, si allunga, come un elastico tirato fino al limite massimo, fremente, teso. Un involucro caldo scese sulla nuda caviglia di Rinoa lasciando un bruciante fumo nero, e pensò, insanamente, mi si è rotto un tacco.

Il tempo fece uno scatto. Il maggiore sgranò gli occhi, le zampillò del sangue dalla bocca. Ci fu un sibilo, mentre la sua vescica si svuotava, scurendo l’inforcatura della sua piccola e caratteristica uniforme, colando giù per le sue gambe in rivoli osceni, e in qualche modo quella era la parte peggiore, in qualche modo l’oltraggio di quell’atto sembrava peggio della precedente violenza. Gemette silenziosamente, lasciando la presa sulla pistola mentre cadeva all’indietro sulla strada, rotolando su un lato e dando a Rinoa una visione diabolicamente perfetta dei suoi grandi occhi marroni.

Una volta, suo padre aveva provato a stare con lei portandola con Angelo nei boschi vicino a Deling in un campeggio. Quei boschi erano mansueti, i mostri dell’ultimo Pianto Lunare avevano da tempo imparato a starvi lontani, e pensava che sarebbe stato un buon modo per avvicinarla. Per una volta aveva quasi avuto ragione, e fu davvero abbastanza divertente fino a che lei e Angelo non decisero di esplorare. Lo aveva distolto dai sentieri sicuri con elogi e dolci, e per questo era tutta colpa sua se era caduto in quella vecchia trappola per orsi. Rinoa ricordava il modo in cui era stato ferito e gli si era lacerata la zampa anteriore, e poi come tutti avessero cercato di aiutarlo, come avesse roteato gli occhi e implorato per essere aiutato anche quando impazziva nella stretta delle fauci d’acciaio.

Il maggiore ora aveva gli occhi di Angelo, pieni di ottusa paura animale, e papà non era lì ad aiutarla ad uscire dalla trappola, e Rinoa non poteva muoversi, non poteva neanche pensare, quello che le avevano fatto, quello-

Il maggiore tese la mano verso Rinoa, le dita distese, supplichevole. Il Gufo la calpestò, mettendosi a cavalcioni sulla sua forma prona – che ora sembrava così pietosa, così accartocciata e piccola, il corpo di un bambino – il tamburo fumante della sua pistola angolata verso il basso. In quel momento Rinoa seppe che non avrebbe mai potuto dimenticare quel movimento - la freddezza, la sua terribile, meccanica efficacia. La pistola fischiò un’altra volta; la guancia del maggiore sobbalzò sull’asfalto, i suoi occhi animali si sporsero e poi divennero vitrei. Il suo braccio cadde, la sua mano si muoveva ancora in modo sgraziato e invano come un pesce fuor d’acqua, con le dita che si agitavano spasmodiche sull’asfalto.

Maggiore. Leslie. Il sangue di Leslie si era espanso fino alla sua gonna; catturava e tratteneva su di sé la luce del lampione, con tre gocce perfettamente rotonde di sangue rosso rubino.

Stanotte devo andare ad una cena, pensò Rinoa mentre il mondo vacillava attorno a lei e il cadavere del maggiore aveva un altro spasmo. Nulla di tutto ciò può succedere perché mi rovinerebbe il vestito e stanotte devo andare ad una cena.

Aveva la testa di piombo, i suoi muscoli del collo si erano infiacchiti. Le ci vollero tutte le sue forze per alzare la testa. Il Gufo ora era in piedi sopra di lei, fissandola con i suoi enormi occhi vuoti che alteravano l’illuminazione del lampione, e stava diventando sempre più grande, eclissando qualsiasi cosa nella sua vista.

I boschi di Timber sono cambiati, ma i Gufi ci sono ancora, disse una voce ridacchiante nella sua mente, e poi sentì lo stridore di pneumatici, e colpi di arma da fuoco in lontananza, e quello che rimaneva di lei scattò in avanti, con la mente tamburellante di elettricità, emettendo un ultimo, disperato appello.

SQUALL! SQUALL AIUTAMI PER FAVORE AIUTAMI SQUALL HO BISOGNO-

Qualcosa di pesante si scaraventò sulla sua nuca con sconcertante brutalità. Delle luci esplosero alla sua vista e poi riconobbe solo l’oscurità.

vi.

“-conosceva i rischi.”

La prima cosa di cui Rinoa si rese conto era il dolore, che pulsava insistentemente sul retro del cranio come se qualcuno l’avesse presa a pugni in testa e l’avesse lasciata a ciondolare. I suoi pensieri erano velati e confusi, e si chiese se si trattasse di semplici postumi da sbornia. Quella era roba da niente; ne aveva avuti più che a sufficienza durante l’Estate di Seifer, dopo tutto. Ma quanto diamine doveva aver bevuto-

“Vaffanculo!” Questa voce era più sonora, più profonda della prima. “Non lasceremo uno di noi dietro.”

Un momento di silenzio. Poi toccò di nuovo alla prima voce, alta, smorzata. “Non poteva neanche stare in piedi. Non avremmo mai potuto portare tutti e due fuori da quel tunnel, specialmente non quando eravamo sotto di due uomini. Se non l’avessimo presa, sarebbe stato tutto inutile.”

“Allora avremmo dovuto aspettare, provare di nuovo. Ho perso tre amici lì fuori, dei bravi soldati, e in cambio abbiamo guadagnato una troia inutile.”

La sua mente si stava schiarendo, e ora ricordava gli ultimi eventi con subitaneità aguzza, immagini vivide lampeggiarono sulle sue palpebre come se stessero ancora accadendo. La mano del Maggiore Grant, la gamba inutile del Rosso che si dimenava, gli enormi, impassibili occhi del Gufo, anche se almeno quello doveva essere stato una qualche allucinazione- ma se pure fosse stato così, aveva ucciso il maggiore, e lei era lì, ed era circondata, e cosa le avrebbero fatto-

Rinoa si fermò in tempo dall’emettere un gemito disperato, la mente che correva ad altissima velocità, espandendosi. Squall. Per favore. Non riusciva a sentire nulla attraverso il legame, sebbene non si trattasse di una cosa insolita. A meno che non fosse nella stessa stanza con lei, ogni sua impressione che riceveva tendeva a essere come minimo sfocata. Ciononostante, si concentrò più che poté, cercando di inviargli il suo grido d’aiuto. Lui era il suo cavaliere. Doveva sentire qualcosa, in qualche modo.

E io sono una strega. Si tese in cerca della magia, tentando di convincere la calda sfera di creazione e distruzione che batteva sotto il suo cuore. Nulla. Non è come l’ultima volta… allora c’era, solo che… era sfuggente. Ora è sparita. Sparita. Sentì il suo cuore saltare dolorosamente un battito. Che faccio?

La prima voce parlò ancora, da qualche parte dietro di lei.

“Questa ‘troia inutile’ è l’unica Strega conosciuta al mondo. E’ così importante per Wallace laggiù che ha risistemato tutti i miei piani per garantirsi la sua cattura. Tutto quello che ho fatto è stato assicurarmi che tutto andasse liscio come l’olio. Tu non sai di cosa sono capaci lei e Leonhart. Siamo stati fortunati a scappare senza gravi perdite, e se abbiamo rattoppato quell’operazione, di sicuro non avevamo altre chance. E’ costato una fortuna preparare quei dardi col silenziatore da soli, e il tuo caro Wallace è a corto di fondi in questi giorni. Infatti, l’unico errore che ho fatto è stato lasciare vivo Winston per poter dire loro dove-”

Una terza voce la interruppe: giovane, maschile, imponente. “Basta così, tutti e due. Vince, Winston era morto per noi il minuto in cui quella puttana di Timber gli ha sparato alla gamba. Se è ancora vivo, renderà fieri di lui i Gufi Rossi. Non parlerà. E se non vado errando, Red Death,” Rotolò la parola nella sua bocca con insolenza. “Eri tu sulla mia busta paga, e dovevi seguire i miei ordini. Giochiamo a modo tuo fin quanto pare a me. Indossa le tue mascherine, organizza le tue missioncine, fai i tuoi piccoli riti vudù, ma non dimenticarti che sono io a dare gli ordini.”

“Per un’altra settimana, patetico e mediocre stronzetto. Nulla nella descrizione del lavoro dice che mi debba piacere.”

Rinoa aprì gli occhi di una piccolissima frazione, abbastanza per vedere almeno in che buco dell’inferno era sprofondata. La luce era insopportabilmente accecante persino per la sua visione socchiusa, e spostò leggermente la testa, ancora intorpidita di confusione. Realizzò grazie a un velo di altre fitte e dolori che le sue mani erano piegate scomodamente dietro la sua schiena, legate assieme con una corda stretta. Aveva i piedi intirizziti; altro spago le affondava nella carne del ginocchio, segregandola alle fredde gambe della sedia di metallo.

Una voce acuta dall’angolo. “Si sta svegliando!”

“Lasciatela stare.” Nuovamente la voce smorzata. “Non ci farà del male.” Rinoa ebbe la sensazione che qualcosa le battesse i polsi incrociati e sentì un debole suono metallico. “Non con un paio di queste addosso.”

Dottor Odine, pensò Rinoa, colma di un improvviso scoppio d’ira nei confronti suoi, di Esthar, e anche del padre di Squall, Laguna. Adele non era stata un’ottima strega, ma forse se l’avessero smessa di ingegnarsi ad escogitare modi per ferire le streghe, forse queste sarebbero state più propense a lasciare chiunque altro in pace.

Questa volta Rinoa aprì gli occhi per davvero, sbattendo le palpebre fino a che la luminosità non diminuì abbastanza da permetterle di vedere. Era legata ad una sedia, a un capo di una lunga stanza angusta. La luce che l’aveva accecata veniva da una fila di grandi finestre alla sua sinistra, polverose e piene di crepe, molte anche rotte e frettolosamente ricoperte di brandelli di cartone e vecchi giornali. Alla sua destra c’era un basso muro di gesso spoglio, screpolato e bagnato, le lettere rosse TIMCO verniciate sulla sua superficie che si erano sbiadite in un patetico rosa. L’alto soffitto della stanza era più che andato, ridotto ad uno scheletro di tegole e fluorescenti lampadine fulminate attaccate con fili di isolamento che oscillavano come carne putrida ridotta a brandelli.

Diverse spesse colonne di calcestruzzo svettavano attraverso la stanza; i suoi occhi le seguirono in alto verso il tetto fino al pavimento frantumato seguente, e poi quello dopo ancora, attraverso cornici d’acciaio e penzolanti linee del telefono fino ad arrivare ad una chiazza di terso cielo grigio. Un ammasso di vestiti messi alla rinfusa e rovinati giaceva in un angolo, e un manichino senza volto e senza braccia era eretto di profilo contro una delle finestre distanti, con ancora indosso i rimanenti strappati di un vestito verde, con scure macchie di muffa che spiccavano sul tessuto. La stanza puzzava di muffa, umidità e sudore: un odore rancido, di marcio, selvaggio che non aveva sede in città.

Il suo stomaco si rovesciò, per la fame o la nausea o la paura. Prese un respiro tremante. Sii coraggiosa. Sii coraggiosa. Squall, ti prego sbrigati.

“La principessa si è svegliata alla fine.” Era la voce sonora e profonda, ma l’uomo a cui apparteneva le sembrò sin troppo piccolo. Percorse la stanza di fronte a lei, con le sottili spalle simili ad un uccello curvate in una gobba sotto una cenciosa giacca di pelle. Un tatuaggio si trascinava sul lato destro del suo viso, ricordandole per un istante Zell, ma quello di Zell era ben fatto, carino, addirittura, e questo invece era solo uno stupido, sciatto Gufo Rosso, modellato con linee approssimate, e il suo colore sbiadito quasi quanto quello del logo sulla parete.

Notando il suo sguardo, si voltò bruscamente per guardarla in faccia, curvando la bocca in un sogghigno beffardo che deformò ancora di più il gufo. “Hai qualcosa da dire?”

“Chi siete voi? Che cosa volete?”

“Sta zitta,” Dalla donna rannicchiata nell’angolo. Si accovacciò su un secchio, i capelli arruffati e sporchi raccolti da una bandana rossa, i pantaloni attorno alle anche. Un soffocato sibilo metallico si levò dal secchio mentre orinava. Nessun altro nella stanza sembrò notarlo o importarsene.

Rinoa distolse lo sguardo, concentrandolo sul proprio grembo, dove il sangue del Maggiore Grant si era asciugato in brutte macchie nere. “Mi avete chiesto voi di parlare.”

L’uomo dalla voce fragorosa, avvicinandosi ancora di più, scagliò improvvisamente un pugno sul braccio della sua sedia, scuotendola violentemente. Cercò di non tirare indietro la testa.

“Ti ho chiesto se avevi qualcosa da dire, troia. Non ho detto niente a proposito di rispondere alle tue fottute DOMANDE!” Adesso stava urlando, il volto a pochi centimetri dal suo, il respiro caldo e maleodorante nelle sue narici. Gli uscì della saliva dalla bocca, coprendole le labbra, le ciglia.

Hai affrontato cose peggiori, non aver paura, non aver paura. Oh, ma ne aveva, ne aveva, perché non si era mai sentita così indifesa prima di allora, anche di quando l’avevano portata ad Esthar. Almeno non l’avevano trattata in quel modo perché erano spaventati da quello che avrebbe potuto fare. Queste persone sembravano troppo selvagge e feroci per aver paura, e lei era totalmente alla loro mercé.

Poi una mano dalle dita sottili si posò sulla sua spalla, il tocco stranamente gentile, quasi confortante se si fosse trovata da qualsiasi altra parte. Lì, un tocco dolce sembrava ancora peggio di uno crudele, e le venne la pelle d’oca al pensiero di cosa potesse significare.

Squall. Sono qui. Sbrigati.

“Basta così, Vince.“ di nuovo la voce smorzata, quella che loro chiamavano Red Death, il Gufo. Perché era così gentile con lei? Ci sono i buoni e i cattivi, proprio come in tutti quei film che andavo a vedere a Deling, tutti fingono e basta. Non gli importa di me. Vuole soltanto piacermi per farmi parlare.

“Sono stanco di sentire cosa basta per te, Red. Non sei il mio capo.” Tuttavia, il minuscolo ometto feroce indietreggiò, appoggiandosi ad una delle colonne di calcestruzzo e guardandola subito torvo.

Ha paura. Da quello a cui aveva assistito, aveva ogni ragione per averla.

Un ragazzo strisciò per un davanzale, la sua figura venata dalla luce screziata dalla polvere che irradiava la stanza. Era vestito in una versione rossa dell’uniforme che portava il maggiore, una folta chioma di capelli neri che spuntava da sotto il suo berretto rosso. Era diverso dagli altri, poteva esserne sicura dal primo sguardo - un segno che tutte le funzioni sociali a cui suo padre l’aveva trascinata quand’era un’adolescente non erano completamente inutili.

Gli altri, a parte Red Death, apparivano per quello che erano: combattenti sulla parte che sta per perdere di una guerra disgustosa, stanchi e affamati e aggrappati a qualsiasi cosa con le unghie. Questo invece era ordinato e raffinato dagli stivali di combattimento al viso simile a quello di una bambola di porcellana. Mentre si alzava, Rinoa vide che anche la sua andatura era unica: precisa, delicata, aristocratica. Avrebbe potuto scommettere un bel po’ di guil che non avrebbe mai potuto beccarlo a fare pipì in un secchio, e non sarebbe probabilmente apparso fuori posto alla cena di stato della sera prima.

“Signorina Heartilly, essendo tu stessa stata una combattente della resistenza per tanto tempo, sono sorpreso che tu non riesca a riconoscere i suoi confratelli quando ne vedi.” Il giovane le sorrise, inchinandosi con finta teatralità. Anche la sua voce era diversa da quella degli altri, untuosa, di plastica e zuccherosa, con un tocco di un certo accento che non riuscì a riconoscere. “Sono Wallace, e questi sono i miei associati. Siamo, per dirla con semplicità, patrioti.”

“Siamo la vera Timber Maniacs,” disse Vince, allungando il braccio oltre la sua testa. Il suo sogghigno mancava di più che qualche dente.

“Pensavo che scrivessero giornali.” La voce di Rinoa era tranquilla, i suoi pensieri amari. Scommetto, che allora non eri neanche nato, stupido idiota.

“Per pulirsi la coscienza, e non tutti.” Vince stringeva in mano un rasoio dritto col manico d’acciaio. Lo apriva e lo chiudeva in continuazione, probabilmente nel tentativo di terrorizzarla. Funzionò. “Le parole non cambiano mai nulla. Anche il pezzo grosso del Maniacs, Laguna-Il-Fottuto-Presidente-Loire, l’ha capito. Non dirmi che ha cercato di spodestare Adele dal suo trono parlandole. Con le streghe si può trattare in un modo solo - tagliando le loro teste di merda, magari con dei rasoi.”

La mano sulla sua spalla si strinse lievemente, il più infimo degli abbracci.

“Non avreste il coraggio di dirlo se non fossi legata.” Rinoa sentì una scintilla di rabbia sollevarsi, e la ventilò disperatamente, sperando che le sue fiamme potessero tenere a bada la paura. “Io potrei-”

“Sì, giusto.” La donna dell’angolo chiuse la zip dei pantaloni e si appoggiò alla parete. I suoi occhi, piccoli e gretti come quelli di un furetto, perforarono quelli di Rinoa. “Non farai un cazzo. Non l’hai mai fatto. Pensi che non ricordiamo? Tutto quello che hai fatto è stato giocare a fare piani che non avresti mai attuato. Quando hai avuto il potere per fare veramente qualcosa, te ne sei andata via come se niente fosse. Per te era tutto un gioco.”

“Non è vero!” Arrabbiati, arrabbiati, e ora era facile, perché lo era davvero, suonavano come suo padre, come Seifer, come tutti quelli che l’avevano criticata per voler aiutare. “Ho fatto tutto quello che ho potuto.”

“Stronzate,” La donna increspò le labbra in sua direzione e sputò, sputò per davvero, nessuno mi ha mai fatto qualcosa del genere, queste persone davvero- “Hai presente questi uomini che la tua puttana di Timber ha sparato? Loro hanno fatto tutto quello che potevano. Tu, ti chiamavano principessa, ed è proprio così che ti comportavi. Non hai mai voluto sporcarti le mani.”

“E- e allora?” Il cuore di Rinoa accelerò nel suo petto, e realizzò di essere più arrabbiata che spaventata per un momento, e più ferita che arrabbiata. E’ una cosa stupida. Queste persone sono assassini e ti hanno rapita, che t’importa di quello che dicono? “Pensi che l’unico modo utile sia essere un’assassina come te? Sei arrabbiata perché non ho bombardato un mucchio di persone innocenti per dimostrare una cosa così stupida?”

“Quello che la mia cara collega Juliet sta cercando di dire, Signorina Heartilly,” intervenne Wallace, il sogghigno di plastica ancora incollato al viso, “E’ che quando uno combatte per un ideale, deve farlo con il conseguente ammontare di… dedizione. Passione.”

Juliet. Che bel nome per una persona così orrenda. Le ricordava il nome di sua madre, e si ritrovò a pensare ancora una volta alla canzone che avevano sentito sulla strada per Timber.

(Lo farai?)

Ti prego… Squall…


Wallace si voltò, puntando lo sguardo fuori dalla finestra su file dopo file appartamenti sfasciati e di strade coperte di macerie, parlando col tono di un attore che ha fatto bene le prove. La rese più nauseata di quanto avesse potuto il tanfo di quel luogo.

“Non sono nativo di Timber, sai. Non l’ho mai visitata fino a quando non sono venuto qui per studiare al college. Ma sono finito per voler bene a questo posto, ad odiare quello che i Galbadiani gli avevano fatto. E quando ho visto l’opportunità di cambiare le cose, l’ho colta. In qualsiasi modo e ogni volta possibile, qualsiasi fossero le conseguenze.”

“Amo Timber, capisci. Non quello che è ora,” E qui si voltò per un istante per sfoderare una falsa smorfia, indicando la devastazione fuori. “Ma quello che potrebbe essere. Quello che dovrebbe essere. E amo abbastanza quell’ideale per fare tutto il necessario per realizzarlo. Lo stesso vale per i miei colleghi qui. Stiamo combattendo per amore, come tutti quei grandi romantici del passato. E’ per questo che i Gufi Neri non possono fermarci, non importa quanti di noi ne uccideranno. Sono patetici criminali o mercenari, che combattono per la scelta più facile, nascondendo la testa nella sabbia con quei leccaculo Galbadiani piuttosto che drizzarsi a sedere e guardare il mondo attorno a loro. Non hanno passione. E’ per questo che loro non riescono a capire perché non cederemo.

Wallace si girò di nuovo, indicandola distrattamente, pigramente. “E’ questo che non va con il nostro amico ‘Red Death’, ed è questo che non va con te. Semplicemente non ami abbastanza.”

Rinoa pensò alla storia del maggiore. Forse era stata in disaccordo con le accuse di Wallace ai Gufi Neri, ma aveva detto grossomodo la stessa cosa, e Rinoa si chiese se lei avrebbe mai potuto fare cose crudeli come quelle che aveva fatto lui per quello in cui credeva.

(Lo faresti davvero?)

(Potresti farlo davvero?)

(Lo faresti, potresti?)

Non è questo l’amore. Non sapete
nulla. Non si considerava un’esperta del campo, ma dopo quello che le era accaduto l’anno precedente, sapeva tutto sull’amore, l’aveva vissuto completamente, fino alle ossa. L’amore poteva risolvere ogni problema, ma non con le bombe o le pistole o il sangue. Non dovevi combattere per lui anche se potevi morire per lui, c’era e basta e tu lo sapevi e basta e poteva cambiare le persone, non ucciderle. Si trattava di creare qualcosa di bello, non di distruggerlo. Si trattava di vita, non di morte. Si trattava di-

Squall. Sono una strega.

Non m’importa.


-fiducia.

“Parli in maniera molto commovente, Wallace,” disse Vince. Lui e Juliet condivisero un breve sguardo. “Per un uomo che combatte con noi da forse un mese.”

Wallace scrollò le spalle. “Se non vado errando, è stato allora che avete cominciato a vincere.”

“Non grazie a te,” disse Juliet, facendo un cenno in direzione di Rinoa. Red Death rimase in silenzio.

Non apprezzano neanche Wallace, realizzò Rinoa. Pensano che faccia parte di questo posto quanto me, ma hanno bisogno di lui. Forse io… Ma lei non era Quistis, che avrebbe potuto trovare un modo per farli rivoltare l’uno contro l’altro, o Selphie, che avrebbe potuto acquietarli e fargli abbassare la guardia in un falso senso di confidenza, o Squall, che avrebbe potuto farli a pezzi con la sua semplice forza di volontà. Lei era solo Rinoa, e si sentiva soltanto indifesa e sola.

“Oh, intendi Red. E’ qui solo per soldi. I miei soldi. E quando il Garden avrà pagato per la Signorina Heartilly qui presente, ce ne saranno molti di più. Abbastanza per aprire di nuovo le comunicazioni con Dollet, abbastanza per pagare una dozzina di ‘Red Death’.” Fece l’occhiolino a Rinoa. “E poi, potrai tornare a casa, mia cara, e vivere la tua piccola, tiepida vita in compagnia del tuo piccolo fidanzato psicopatico, e poi sarà tutto bello come prima.”

Fu allora che le ricordò suo padre, che accondiscendeva con lei come se fosse una bambina, e questo creò un impeto di rabbia dal suo petto. Riusciva a sentirlo divamparle in viso, e sapeva che le sue guance erano rosse quanto lo erano state quando si era presa l’insolazione. Non era lei a pensare che amare significava uccidere persone. Lei non si pavoneggiava in un’uniforme contraffatta, fingendo di essere qualcosa che non era. Era Wallace il soldato giocattolo, che giocava a un violento giochetto per bambini, senza mai capire chi feriva.

“Non importa. Comunque perderete.” Gli diede un’occhiata torva. “Tutti voi siete stupidi. Non fate altro che starvene seduti qui a lamentarvi e a mettere su piani per uccidere persone, e questo non risolve nulla. Vi farà soltanto odiare di più.”

Le dita sottili affondarono nella sua spalla. Vince estrasse di nuovo il suo rasoio, voltando la lama per catturare la luce, muovendosi verso di lei a passi risoluti. Non può farti niente, si disse Rinoa, ricordalo. Se ne dimenticò quasi quando sentì un lato del rasoio premuto contro la sua guancia, così freddo che bruciava.

“Potrei tagliarti la faccia, puttana.” Ma non l’avrebbe fatto, non l’avrebbe fatto, e stava già facendo marcia indietro. Lo odiava, odiava i suoi occhietti gretti e la sua voce forte e la sua scadente e vecchia giacca di pelle e sì anche quel coso.

Rinoa sorrise in modo affettato, arricciando il naso nello stesso modo che faceva arrabbiare da morire Papà. “Se hai intenzione di tagliar via qualcosa, perché non cominci con quel brutto tatuaggio rosa?”

Vince rise, un breve, rozzo latrato fatto per pura apparenza. “Grazie per la soffiata, Rinoa. Anch’io ho qualcosina per te.” Raggiunse rapidamente l’angolo, e Rinoa dardeggiò con gli occhi per controllare la reazione degli altri. Né Juliet né Wallace sembravano sorpresi per il suo sfogo. Probabilmente faceva così tutto il-

Il contenuto del secchio schizzò su di lei a tutta forza, strappandole il respiro dai polmoni, infradiciandola fino alle ossa, incollandole i capelli al cuoio capelluto. Annaspò, tremando per la bruschezza del gesto, sentendoselo gocciolare dalle frange e colare sulla sua nuca e sulle ginocchia, e poi la colpì il puzzo ed era pipì e riusciva a sentirla sugli occhi e sulle labbra e bagnarle il vestito e le mutandine sotto e poi sentì la nausea, tanta nausea, il suo stomaco si rivoltò violentemente, il suo intero corpo perse tutto il contegno che lo contraddistingueva.

Rinoa cercò di voltare la testa, ma non fu abbastanza veloce; si vomitò addosso, imbrattandosi il seno, il vestito, senza fine, anche dopo che il suo stomaco si era svuotato e non poté fare a meno di boccheggiare spasmodicamente. Le corde incisero dolorosamente le gambe mentre il suo corpo si contorceva e le sue dita si artigliavano inutilmente all’aria. Fu allora che li sentì ridere.

Non si era mai sentita così sporca, così volgare e brutta e degradata, e realizzò che anche dopo aver finito di vomitare il suo corpo continuava a tremare e scuotersi. Stava piangendo, non le lacrime dignitose che accompagnavano un film triste o un litigio con Squall, ma il singhiozzare profondo e indifeso di un bambino, così forte che sembrava come se qualcuno le avesse strappato il cuore dal petto, e non sarebbe finito, non sarebbe finito, voleva Squall e voleva una doccia e voleva andare a casa.

per favore per favore aiutatemi qualcuno per favore-


Un soffice panno si premé sul suo viso mentre la figura dietro di lei cambiava posizione, permettendole di vederla per la prima volta. Red Death indossava ancora lo stesso soprabito, la stessa maschera da Gufo con gli occhi vitrei. Sapeva che aveva ucciso il Maggiore Leslie e probabilmente era il peggiore di tutti loro, ma mentre le asciugava il mento con la punta del mantello, non riuscì a sentire altro che un senso di gratitudine cruda e disperata così forte che le fece quasi venire di nuovo dei conati di vomito.

“Hey,” disse Juliet. “Credo che Red sia troppo dolce con lei.”

Rinoa alzò lo sguardo verso di lui. Non riusciva a vedere nulla nei giganti occhi di vetro se non il suo stesso viso, contuso, venato di fanghiglia e rosso per il pianto. I suoi occhi erano la cosa peggiore, gonfi e dilatati, pieni di evidente paura. Come aveva potuto pensare di poter far loro credere che non aveva paura quando aveva questo aspetto?

“Suppongo che sia una possibilità,” disse Wallace, imperturbato. “Solo non affezionarti troppo, Red. In un modo o in un altro, non resterà in giro per molto.”

vii.

Il giorno passò lentamente, le ore scorrevano in un astioso silenzio. Dopo un certo tempo, il divertimento dei Gufi sulla sua condizione era misericordiosamente scemato, rimpiazzato dai doveri del giorno. A un certo punto mangiarono qualcosa da dei piatti da elemosina, litigando aspramente tra di loro per la scelta delle porzioni. A Rinoa non fu offerto nulla e lei stessa non era comunque dell’umore per mangiare. Dopo un po’ di tempo, si accorse di dover fare pipì e alla fine la fece lì dov’era seduta, odiando loro per averla ridotta ad un animale, odiando se stessa per il sollievo che la inondò quando nessuno di loro la notò e rise di lei.

Red Death trascorse il giorno fuori dal suo campo visivo. Dopo il suo precedente gesto, e il commento di Wallace, non parlò più.

Una luce rossa proruppe nella stanza mentre le ore si trascinavano pian piano, arrampicandosi sull’economico muretto di gesso accanto a Rinoa, spiegando il suo profilo distorto lungo la sua superficie. La fissava tranquillamente, piena di vergogna per il suo precedente sfogo, piena di paura di uno peggiore, la sua mente concentrata a raggiungere lui.

Squall.

La luce scivolò sul muro in una marea prossima alla ritirata mentre dentro s’instaurava il crepuscolo, gettando la stanza in smorte tonalità di grigio. Alla fine Juliet e Vince finirono la loro cinquantesima partita a Triple Triad e lasciarono la stanza. Quando tornarono cinque minuti dopo, un ronzio appena percettibile palpitò attraverso l’edificio e le poche e spoglie lampadine sul soffitto cominciarono a ballonzolare, bagnando la stanza di una sterile luce bianca che le fece apparire tutti loro come malaticci, facendo diventare la loro carne cerea e pallida, trasformando i loro occhi in profonde orbite vuote.

Un crepitio dalla minuscola radio all’angolo, e Juliet era lì, infilandosi una cuffia che era stata azzardatamente riparata con dello scotch. Ascoltò con un momento, la testa ritta, poi abbaiò: “Affermativo, rimanere in silenzio fino al cessato allarme.”

Prima che avesse potuto anche solo riporre le cuffie, stava gridando agli altri, raccogliendo di tutta fretta il fucile del Maggiore Grant dall’angolo. “Wallace, la postazione del sud ha visto una volante andare verso nord, pare che sia un aeroplano. Un Cargo rimesso in sesto, probabilmente. Se avessero avuto qualcosa di meglio ce l’avrebbero già usato contro.”

Squall. Un barlume di speranza si accese dentro Rinoa, bruciando intensamente e dolorosamente nel suo petto. Deve essere così. Non riusciva a sentire la sua mente, non ancora, ma doveva essere lui. Raddoppiò i suoi sforzi mentali, chiudendo gli occhi, cercando di raffigurare il luogo in cui la tenevano. Sono qui, Squall. Sbrigati.

Wallace buttò via il libro di citazioni politiche che aveva sfogliato sino ad allora e raccolse anche lui la sua piccola mitragliatrice. “Spegnete le luci.” La stanza piombò nell’oscurità mentre Vince dava un colpetto all’interruttore alla parete e Wallace si agitava frettolosamente per mettere delle tende pesanti di fronte alla finestra. “E spegni quella fottuta sigaretta, Vince.”

Qualche minuto dopo, lo sentì: un basso ronzio attraverso la notte, che si avvicinava sempre di più alla loro posizione.

“Non se ne vedevano di areoplani dalla loro parte in questi giorni,” La voce di Vince uscì dall’oscurità da qualche parte di fronte a lei. “Devono davvero pensare che sei speciale, Principessa.”

“Quella cosa del cazzo sta venendo dritto da noi,” Juliet tolse la sicura dal suo fucile con un click. “Winston ha cantato.”

“Non è possibile!” disse Vince. “Non avrebbe-”

“Se l’ha fatto, non la riavranno mai viva,” La voce di Wallace era sufficientemente pragmatica da far tremare Rinoa. “Ora state zitti.”

E poi sentì qualcosa, un semplice solletico, ma era lì. La mente di Squall stava trasmettendo con feroce intensità, ordine e caos mischiati insieme, una gabbia di disciplina che tratteneva una macchia rossa di rabbia, paura, e qualcos’altro, qualcosa che non riconobbe del tutto. Era furioso, aveva paura, ma stava venendo per lei, e aveva un piano.

E qualcos’altro. Qualcosa di alieno, che odorava di ozono e di temporali. Quetzal. Non riusciva a leggerlo come riusciva con Squall, ed era ignaro come lui della sua presenza, ma era lieta che Squall avesse deciso di junctionarlo.

Il ronzio si trasformò in un ruggito, ed ecco che l’aeroplano stava passando sopra di loro, un piccolissimo lampo di luce e movimento contro lo sfondo scuro del cielo. Non si fermò, né rallentò, né virò come seconda mossa; continuò semplicemente verso nord, come se non fosse assolutamente interessato a loro.

Parte per le storie che le avrebbe raccontato e parte dalle cose che aveva spigolato dalla sua mente -e lì dentro non si trovavano solo quelle cose, non è così, Rinny, e rabbrividì nella casa sulla spiaggia- avrebbe visto spiegato il piano di Squall. Avrebbe visto come lui avesse messo l’autopilota al grande e maldestro mezzo di trasporto, come se fosse sceso arrampicandosi sullo sportello e poi sull’ala, il vento che gli sventolava la giacca, gli strattonava i capelli e gli sferzava il viso mentre aspettava che l’aereoplano passasse sul devastato scheletro d’acciaio del grande magazzino.

Aveva steso le braccia e si era lasciato cadere all’indietro nel vento, reso invisibile dai suoi abiti scuri contro la notte mentre piroettava in caduta libera. Si allungò dentro di sé in cerca del luogo in cui Quetzal si era appollaiato sulla sua mente, dando un rapido comando. La prima breve esplosione di vento magico rafforzò la sua discesa; la seconda l’aveva fermata completamente, permettendogli di aggrapparsi al lato frontale dell’edificio, facendo ciondolare una gamba dall’altra parte della gigante O al neon della scritta TIMCO come un cowboy Galbadiano a cavalcioni su un cavallo selvaggio. Poi, cominciò a scendere, facendosi strada a mani nude come un ragno attraverso il labirinto di travi d’acciaio arrugginite, il calcestruzzo frantumato, e dondolandosi tra i fili mentre il vento cercava di sradicarlo.

Tutto questo lo seppe più tardi.

Allora, sentì soltanto l’aereoplano passare accanto a loro e superarli. La disperazione le zampillò nella gola, ostruendole i polmoni, lasciandola senza fiato e senza speranza. NO non può non può lui deve TROVARMI. Sentì di nuovo la vergognosa puntura bagnata delle lacrime e si morse il labbro fino a che non sentì il sapore del sangue, odiandosi per aver lasciato che loro la vedessero in quello stato. Sono una strega, quelle come me non dovrebbero - cos-?

Sebbene il suono del motore dell’aereo fosse diminuito, il flusso mescolato di paura, rabbia e determinazione più nera strofinò la sommità della sua mente più feroce che mai, più forte, diventa più forte ogni secondo di più-

E’ ancora qui. Rinoa cercò di sembrare quanto più possibile accuratamente miserabile, cosa che non era poi realmente difficile, circondata com’era da persone che le avrebbero sparato alla prima occasione, e il suo stesso sporco che le riempiva le narici. Almeno non potevano vederla al buio, anche se quello significava che neanche Squall poteva.

Fa attenzione, Squall. Chiuse gli occhi per un istante, cercando di visualizzare la stanza e le persone che vi erano presenti quando le luci erano accese, mandando a lui le loro immagini. Non aveva nessun dubbio che avrebbe potuto infliggere una pesantissima umiliazione a Wallace e ai suoi amichetti in un attimo, ma Red Death era qualcosa di completamente diverso, e se Squall non sapeva che lui era lì-

Una forte esplosione perforò il silenzio, e spalancò gli occhi. Juliet scattò verso la cuffia, cercandola a tastoni nel buio prima di schiaffarsela contro l’orecchio. Passò solo qualche secondo prima che parlasse di nuovo, la voce traboccante di trionfo.

“Affermativo.” Lasciò cadere la cuffia. “L’hanno preso! Un paio di missili Marquis, sparati dai nostri due strade più giù. Hanno controllato, niente superstiti.”

Vince schiamazzò in segno di vittoria, riaccendendo le luci in un rapido movimento trionfante. La reazione di Wallace fu più delicata, ma anche più nauseabonda. Un sorriso acquoso, un vago cenno del capo in direzione di Rinoa.

“A quanto pare la Forza Aerea dei Gufi Neri… che come puoi vedere non vale granché… è sotto di un altro ridicolo aereoplano. E il tuo ragazzo non verrà a farci una visitina molto presto.”

Rinoa abbassò lo sguardo al suo grembo, pregando che non avesse letto la speranza che doveva trovarsi sul suo viso.

“Non mi piace,” parlò per ultimo Red dalla sua posizione accanto alla finestra. “E’ stato troppo facile. Qualsiasi cosa si possa dire sui Gufi Neri, non sono stupidi. Non avrebbero sprecato uno dei loro mezzi aerei in un gesto inutile come quello.”

“Chi se ne frega?” disse Vince, gettando uno sguardo truce oltre la sua spalla a Rinoa. Aveva rinunciato al Triple Triad e ripreso la sua posizione curva contro la colonna. “Non sarebbe la prima cosa stupida che fanno. Cazzo, forse il ragazzo di questa puttana ha deciso di rubarne uno e di andare in una missione di salvataggio da solo.” Il suo viso era troppo smussato per riuscire a fare un sorriso compiaciuto, ma ci provò lo stesso. “Le cose che le persone fanno per amore.”

Wallace era ancora in piedi con la schiena alla finestra, l’arma da fuoco in mano. “Vince potrebbe aver ragione,” disse in un tono che suggeriva che questo non accadesse spesso. “Timber non è l’unica variabile in quest’equazione, dopo tutto. Ma in ogni modo importa poco ora, no?”

“Voi non lo conoscete,” insisté Red.

“E tu sì?” Il sopracciglio sinistro di Wallace si fece lentamente strada lungo la sua fronte, come per caso. “Ma certo, allora, perché non ti presenti a Rinoa qui e-”

Non fu un suono fortissimo; un flebilissimo rumore da qualche parte oltre il muro di gesso. A Rinoa, suonava come se avesse potuto essere qualsiasi cosa: un topo, un uccello, qualcosa di sfiorito abbandonato dal vento. Non era mai stata una persona curiosa sui rumori strani nella notte; preferiva aspettarli con calma con la testa sotto le coperte. Una parte di lei non voleva fare nient’altro al momento, solo chiudere fuori il mondo, solo essere al sicuro tra le sue braccia.

Squall, sei tu?

Per il tempo in cui Wallace alzò una mano per ottenere il silenzio, Red Death era a già a metà strada dalla porta, il corpo spigoloso curvato come un gatto pronto all’inseguimento. Voltò il suo viso senza espressione verso Wallace per un momento, facendogli un affilato gesto con la mano prima di sgusciar via senza far rumore nella porta spalancata e nell’oscurità oltre.

Continuate a parlare, labializzò sottovoce Wallace agli altri. Poi, sonoramente. “Idioti. Pensavate che avessero imparato la lezione dopo la battaglia di Monroe.”

Vince non sembrò capire, ma Juliet si riprese abbastanza rapidamente. “Forse quelle armi le hanno fregate a Galbadia. Forse avrebbero un po’ di fegato in più se avessero più aeroplani da sprecare.”

Rinoa sentì una scossa di cruda adrenalina correre lungo il filo del legame, così forte che le sue stesse vene iniziarono ad ardere, il suo stesso cuore ad agitarsi dolorosamente. Un’improvvisa smania s’impadronì di lei, consumando il suo pensiero consapevole, guidando l’aria dai suoi polmoni. Lui era in pericolo, stava per essere ucciso, doveva FARE QUALCOSA FA QUALCOSA

“SQUALL!” Il grido le scappò prima ancora che sapesse che era lì, nutrito dalla sua collera e dalla sua paura, come lo strillo acuto e forte di un uccellino. “SQUALL SANNO CHE SEI QUI STA ATTENTO STA ATTENTO!”

Anche mentre le parole la lasciavano, realizzò sconvolta che l’emozione che aveva sentito fino ad allora era di lui, percosso da un’intensità febbrile per il bisogno di salvarla.

Accadde tutto nello spazio di dieci secondi.

Wallace aveva fatto un singolo passo dalla finestra quando quella esplose dietro di lui, spargendo per la stanza vetro e ritagli di vecchi giornali. Un braccio vestito di pelle nera si serrò alla sua gola, affondando profondamente nella sua trachea. Ebbe soltanto il tempo di dimenarsi una volta prima che l’altra mano di Squall arrivasse dalla destra in un gesto di disinvolta brutalità, fracassandosi contro la tempia di Wallace con la piena forza del corpo di Squall dietro di esso. Il collo di Wallace diede un umido schiocco, da cartilagine strappata, la sua testa sbandò lateralmente, i suoi occhi si spalancarono, della bava spumeggiò dalla sua bocca. La pistola gli scivolò dalla presa, risuonando sul pavimento tra i suoi talloni scalcianti. Mentre Squall lo rilasciava, il corpo cadde a terra, atterrando con lo scricchiolio del vetro rotto e lo schiaffo della carne cruda sbattuta su un bancone da macello.

Quando ho imparato che suono fanno i corpi che cadono? Il pensiero le attraversò la mente così rapidamente da essere quasi subconscio, e non vi fu il tempo di soffermarcisi.

Vince si tuffò verso la sua pistola mentre Juliet sfoderava il fucile del Maggiore Grant, sparando selvaggiamente nel panico. Dei proiettili urlarono nell’aria, rimbalzando sulle colonne di calcestruzzo, depositandosi sul gesso di poco valore, infrangendo le finestre. Squall balzò lateralmente, sospingendosi con le gambe magre un passo oltre l’arma da fuoco mentre attraversava la stanza verso di lei.

Prima che Rinoa potesse anche solo registrare a dovere cosa stesse avvenendo, Squall aveva aggirato la colonna di fronte a Juliet ed era saltato in avanti. Raccolse le braccia dietro la testa prima di fendere l’aria col gunblade in un arco scintillante che catturò e poi sparpagliò la luce asettica della stanza.

Non sembrò nulla di più di un brutale colpo dall’alto fino all’ultimo istante, quando Squall girò i polsi, lasciando che la punta della sua arma scorresse fluida e lenta attraverso la gola di Juliet. Rinoa ebbe un lampo momentaneo di un concerto al Parco di Deling City, i violinisti che tendevano gli archi sulle corde, prima che un improvviso schizzo di sangue prorompesse dal collo della donna e distruggesse l’illusione.

La mano di Juliet si strinse convulsamente sul grilletto mentre cadeva, cucendo sul pavimento un inutile filo di proiettili. Batté la testa contro il tavolo di fortuna con un solido thunk, facendolo crollare in un geyser di carte del Triple Triad. Caddero attorno a lei, volteggiando nell’aria come uccelli feriti prima di discendere sulla sua figura immobile.

“Jules!” Vince barcollò verso Squall, la pistola dimenticata nel suo dolore, facendo volteggiare il rasoio. I due uomini si scagliarono l’uno contro l’altro con il liquido suono setoso dell’acciaio che squarcia la pelle.

Un altro suono che ho imparato.

“Sei fottuto, brutto figlio di puttana!“ urlò Vince, e Rinoa vide con suo sommo orrore che stava dicendo la verità. Aveva fatto roteare il rasoio in un arco ampio e rozzo, ma era riuscito a intagliare un accurato canale oltre la giacca di Squall, fino alla carne. Il sangue zampillò di fronte a lei, svanendo nello sfondo nero della giacca. “Sei fottuto, fottu-… oh.”

Vince arrancò lontano da Squall, il rasoio che risuonava per terra mentre lui cercava di usare entrambe le mani per trattenere le sue interiora. Mentre aveva puntato verso l’alto, Squall aveva mirato in basso, conficcando il filo del suo gunblade nell’altro uomo così aspramente che quello non se ne era neanche accorto. Anche solo intravedere la ferita fu troppo; Rinoa sentì la bile calda bruciarle in gola, tenuta soltanto dalla stretta di ferro della sua paura. Più tardi, avrebbe vomitato, si disse, più tardi, e sarebbe stata tanto, tanto bene.

Il Gufo Rosso aveva perso il combattimento, assieme alla maggior parte del suo sangue. Si inginocchiò accanto al corpo esanime di Juliet, accarezzandole teneramente la guancia, mentre il loro sangue si mescolava.

“Tu… non dovevi… perché hai fatto del male a lei?” La sua voce ora era docile, il suo corpo scosso da singhiozzi soffocati. “Era… perché le hai… ohhh fa ma-”

Squall ruotò su un piede solo, spingendo il gunblade alla base del collo di Vince e tagliandogli la spina dorsale in un tocco fluido ed efficiente. L’ometto si scagliò in avanti, cadendo sul corpo di Juliet, mentre la lama di Squall scivolava agevolmente fuori dalla sua carne mentre la gravità li divideva.

Squall lo degnò di una semplice occhiata prima di voltarsi verso Rinoa, ponendo la lama a riposo sulla sua spalla incolume. La sua mente era una gabbia di ghiaccio, così fredda che la scottò quando la toccò, e dentro, qualcosa stava ancora sbatacchiando le sbarre nella sua fretta convulsiva di scappare.

“Rinoa.” La sua espressione di pietra si addolcì quando notò i suoi lividi, le macchie che la coprivano. “Stai bene?“

“Ce n’è un altro, Squall!” La sua voce scoppiò in un improvviso sbotto. “E’ quello che-”

“Lo so.” Gli occhi di Squall erano fissi sul corridoio dove si trovava ora Red Death, la pistola in mano. “Pensavo che sarebbe stato qui.”

La gabbia mentale di Squall tintinnò di nuovo. “Sono qui per prendere Rinoa. E per ucciderti. C’è forse qualcosa di cui parlare?”

Per tutta risposta, Red Death sollevo la mano libera, ripiegando indietro il cappuccio, sfilandosi la maschera e gettandola con indifferenza da parte. Il viso che aveva nascosto era di porcellana bianca, delicato in un modo quasi artificiale, tutto angoli affilati dalle labbra rosa agli occhi stretti. Era un viso che conosceva.

“Molto,” disse Shu.

Rinoa non riuscì a credere a quello che stava vedendo per i primi secondi, la sua sorpresa che si fondeva con quella di Squall da qualche parte nella sua mente. Poi, si sentì piena di una rabbia calda e feroce. Lei e Shu non erano grandi amiche - e non lo sarebbero mai state, vista la sua avversione per la disciplina militare e la fissazione al contrario dell’altra donna per questa - ma si parlavano quando si incontravano nelle sale, si vedevano nelle sere fuori, e c’era stata anche una volta in cui aveva bevuto un bicchiere di troppo a Balamb e Shu l’aveva aiutata a barcollare fino al taxi e Shu le era sempre sembrata a posto allora ma Shu era rimasta lì impassibile mentre loro la coprivano di insulti e di sporcizia e la minacciavano e Shu aveva ucciso il Maggiore e-

-Squall farebbe la stessa cosa, se fosse in missione? Ma Shu non poteva essere in missione, o Squall l’avrebbe saputo-

“Non capisco.” Squall scosse leggermente la testa, senza distogliere neanche per sbaglio gli occhi da Shu. La cosa che vagava predatrice nella gabbia della sua mente ora era diffidente, nell’osservare un suo eguale come se si aspettasse di scagliarglisi addosso ad un qualsiasi momento. “Non dovresti essere qui, Shu. Tu lavori a Dollet.”

Shu indicò con la mano libera il cadavere di Wallace. “Per una famiglia di aristocratici di Dollet, i Wallace hanno delle tendenze particolarmente rivoluzionarie. Mi era stato dato il compito di fare da guardia del corpo per un mese quando quell’idiota laggiù ha deciso che voleva scuotere un po’ le cose a Timber.”

“Perché?”

Scrollò le spalle strette. “Onesto fervore rivoluzionario. Un vantaggio nelle industrie belliche di Dollet. Entrambe. Non lo so. Qualsiasi fosse la ragione, volevano che stessi qui, e il Wallace più anziano ha pagato un piccolo extra per un comando operativo sul posto. Non avevo molta scelta.”

Le costole di Rinoa parvero contrarsi; il suo respiro si trasformò in rantoli brevi e rapidi, i suoi polmoni si dibattevano negli angusti confini del suo petto. Rabbia mista a paura pulsò nella sua testa con ogni frenetico battito del suo cuore. All’inizio non sapeva perché dovesse sentirsi così arrabbiata ora che era finita, ma poi realizzò che la rabbia di Squall stava nutrendo la sua, trapelando lungo la loro connessione come catrame bollente, infangando la sua mente fino a quando non riuscì a provare altro che pura collera.

“Allora è per questo che l’hai fatto?” Le parole le esplosero dalla bocca in una corrente incontrollabile. “E’ per questo che mi hai sparato, e hai ucciso il Maggiore Grant, e hai lasciato che loro mi trattassero in questo modo? Perché quel tizio ha pagato un piccolo extra?”

“Rinoa, mi dispiace,” disse Shu, ma i suoi occhi non lasciarono mai Squall e la scintillante lama affilata della sua arma. “Non sapevo che tu avresti fatto parte del piano fino a questa settimana. Wallace ha sentito che eri in città da uno dei suoi contatti governativi e ha ordinato l’operazione. Ti ho protetto meglio che potevo sotto le circostanze.”

“Mi hanno fatto paura,” disse Rinoa. “Tu mi hai fatto paura. Pensavo- pensavo che fossimo amiche.”

“Rinoa, noi-” La sua voce si irrigidì, l’autorità militare sosteneva la temporanea debolezza nelle sue difese. “Questi sono affari.”

“No, non lo sono,” disse Squall con la voce stanca di un uomo con il doppio dei suoi anni. Le sue spalle sembrarono cedere lievemente sotto il peso del gunblade, ma Rinoa poté leggere nei suoi pensieri che era uno stratagemma. “La tua missione è finita. Il tuo principale è morto, i tuoi legami al campo troncati.”

Legami. Rinoa lasciò che il suo sguardo vagasse sui cadaveri dei Gufi Rossi. Era davvero questo tutto quello che erano stati? Tutto quello che era stato il maggiore? Tutto quello che Squall e Shu erano? Una serie di esplosioni distanti lacerò l’aria, seguita dal flebile vibrare di armi da fuoco. Rinoa voltò la testa per guardare, e anche gli occhi di Shu guizzarono per un istante oltre le finestre, ma Squall proseguì, imperturbato.

“I Gufi Neri hanno ottenuto la posizione di almeno metà delle basi dei Rossi durante l’interrogatorio. Stanno lanciando il loro attacco maggiore dall’inizio della guerra, e con l’esperienza che hanno, vinceranno. La guerra è persa. Lascia andare Rinoa, va via, e considereremo entrambi le nostre missioni concluse.”

Shu guardò Rinoa per un secondo, facendo l’errore forse fatale di distogliere gli occhi da Squall. L’indecisione di un momento, ma solo un momento.

“No.”

“Shu-”

“E’ suo padre ad avere il contratto. Si trova a Dollet, e questa storia non è finita.” Shu indietreggiò di un passo, facendo un movimento brusco eppure quasi impercettibile con l’arma che aveva in mano. Rinoa quasi strillò un avvertimento, ma poi si rese conto che se lei aveva notato una cosa del genere, di sicuro lo stesso doveva essere stato per Squall. Shu tuttavia non era ancora pronta a fare un qualcosa di brutto; stava ancora parlando, usando le parole invece dei proiettili, sebbene quello che dicesse faceva male quasi allo stesso modo.

“Non le farò del male, Squall. Stavano solo bluffando. Non hanno mai avuto l’intenzione di ucciderla; era l’unico gettone di contrattazione che avevano. Prometto che non lascerò che nessuno le faccia male, ma non posso dartela. Non ora, non finché il contratto non scade. E’ solo un’altra settimana.”

“Shu,” La voce di Squall era acida, la gabbia di ghiaccio un’isola nel violento vortice rosso della sua mente. I suoi passi chiusero la distanza tra di loro. “Lasciala andare, ora. Che cazzo c’è che non va?”

Shu fece un altro passo indietro, il dito che si piegava nella guardia del proiettile della sua pistola. “Non posso,” disse, e per un momento, la sua voce si tinse di un accento maniaco prima che la riportasse sotto controllo.

“Non posso. Saprebbero che io sono sopravvissuta e lei scappata. Potranno pure essere a corto di soldi, ma hanno ancora una buona influenza. Squall, lo diranno alla gente. Se i SeeD non mantengono la loro parola, non sono buoni. Nessuno si fiderà più del Garden. La nostra reputazione sarà rovinata. Saremo finiti.”

“Non m’importa,” ringhiò Squall, e Rinoa sentì la speranza dilatarsi dentro di lei. Non è un soldato, è un uomo, e mi ama più di quel posto. “Lasciala andare.”

“Il mondo ha bisogno del Garden,” Le dita di Shu si serrarono sulla presa dell’arma, i suoi occhi si strinsero. “Io ne ho bisogno. Non ti permetterò di distruggerlo, non così. Non per nessun motivo-”

“Il motivo più importante,” disse Squall. La rabbia era defluita dalla sua mente, la freddezza stava tornando con incedere maestoso, una tormenta mentale con dei fiocchi invece che di neve, di ferro. Quando parlò di nuovo, la sua voce era sonora, tonante, formale.

“Tu mi vedi, Shu?”

Che cosa stupida. Ovvio che lei-

“Squall, non deve finire così.” L’espressione di Shu vacillò.

“Tu mi vedi?”

“Sì.” Quella parola era come una scheggia di ghiaccio.

Squall sguainò lentamente il gunblade dalla sua spalla, impugnando fermamente l’elsa con entrambe le mani. “Tu mi riconosci?”

“Sì.” Shu alzò la pistola, entrambe le mani strette con forza attorno la presa. Un frammento di luce scivolò sul cilindro del silenziatore in una linea luminosa, bruciante.

Il vento ululante graffiava sulla fiancata dell’edificio con un milione di unghie imperfette, insinuandosi attraverso le finestre infrante, agitando le lampadine dondolanti e spoglie in una maniera quasi giocosa. Le ombre dei SeeD schizzarono ferocemente sui muri.

“Tu mi contrasti?”

“Sì.”

“Tu mi rifiuti?”

Si muovevano circolarmente l’uno attorno all’altro, lentamente, ora, come un paio di avvoltoi intorno ad una preda, gli occhi cauti che saettavano dalle armi ai volti. Si allungò il silenzio, e Rinoa aprì la bocca per chiedere cosa diamine stessero facendo, per implorarli di fermarsi perché la stavano spaventando di nuovo, per fare qualcosa e fu allora che finalmente Shu parlò.

“Sì.”

I loro movimenti si fecero più veloci e più brevi, facendoli avvicinare, due lupi in cerca di un modo per affondare i denti nel collo dell’altro. Rinoa riuscì a sentire il sospetto pungere la mente di Squall. Lui sapeva che Shu non avrebbe infranto le regole del duello, qualunque esse fossero, ma il suo corpo non confidava in questa consapevolezza; doveva scattare, muoversi, preparare un attacco fasullo. Lo stesso valeva per il corpo di Shu.

Si mossero nuovamente in cerchio, gli occhi di lei fissi in quelli di lui con un’intimità che le avrebbe di sicuro provocato delle fitte di gelosia in un qualsiasi altro momento, ma che ora servì soltanto a terrorizzarla.

Fu Squall a parlare per prima. “Visto.”

Del sudore imperlava la fronte di Shu. “Riconosciuto.”

“Contrastato.”

“Rifiutato.”

Squall girò la presa, mettendo il gunblade in una posizione di difesa di fronte a lui, la sua lucida superficie screziata dal sangue dei Gufi. “Solo uno può sopravvivere.”

“Solo uno può sopravvivere,” gli fece eco Shu. I suoi occhi erano imperscrutabili, persi nell’oscurità delle loro cavità infossate.

“L’altro deve morire.” Smise di camminare, indietreggiando di qualche passo verso il muro di gesso. Dinanzi a lui, Shu si trovava davanti alla fila delle finestre rotte, il vento che le scompigliava i capelli lisci e appiccicaticci per il sudore.

“L’altro deve morire.” La voce di Shu sembrava fredda come la mente di Squall, e Rinoa sentì che qualcosa dentro di lei voleva urlare.

Non lo fanno davvero, non possono-

Una grossa falena svolazzò intorno alla lampadina più vicina, proiettando la sua ombra su di loro, il fioco suono del suo corpo che batteva il vetro udibile nel totale silenzio.

Per un istante la mano di Shu sembrò tramare prima di stabilizzarsi. “Accetto l’Asfodelo Nero.”

Squall annuì. “Le mie scuse ti seguano fino alla tomba.”

E così, cominciò.

La pistola di Shu fischiò tre volte, brusca, stridula. Apparirono dei buchi nel muro alla spalle di Squall con degli sbuffi di vecchio gesso mentre si gettava di lato per terra, rotolando per un secondo prima di riprendere l’equilibrio e di scattare. Shu corse parallela a lui, la pistola puntata verso di lui in un braccio esile mentre sparava, i suoi proiettili pizzicavano le caviglie di lui e intagliavano pericolose ferite nel pavimento e sul muro.

Squall si tuffò dietro uno dei pilastri di calcestruzzo della stanza, facendosi temporaneamente scudo dall’arma da fuoco di Shu. Shu fece marcia indietro, prendendo una mira quasi casuale prima di sparare tre colpi in aria. Ognuno di essi ruppe una lampadina, immergendo la stanza nel buio.

L’oscurità si schiacciò contro gli occhi di Rinoa, ingoiando il mondo. Soltanto la fioca luce della luna filtrava nella stanza attraverso le finestre infrante, ma a poco serviva ad illuminare la stanza. Shu e Squall si erano entrambi fusi col buio senza particolare sforzo, favoriti dal loro abbigliamento scuro, e lei non riusciva a sentire assolutamente nulla; non un singolo rapido respiro, né il fruscio di un passo. Era come se fosse stata lei a morire, invece di- invece di-

Come possono farlo? Che faccio? Il pensiero di gridare ad entrambi di smetterla le attraversò la mente e represse velocemente l’impulso di farlo. Se l’avesse fatto, avrebbe anche potuto peggiorare la situazione, o distrarre Squall, e questo l’avrebbe ucciso.

Preferiresti piuttosto che lui uccida Shu? La sua mente si rifiutava di rispondere a quella domanda, non che riuscisse a pensare a dovere con la concentrazione di Squall che come uno scalpello martellava i suoi pensieri. La sua tensione le vibrava nella testa come una corda di chitarra strappata sul punto di scattare; riusciva quasi a sentire il suo cuore battere all’unisono col proprio.

I secondi si allungarono, battuti dagli spari di distanti armi da fuoco. Mentre i suoi occhi cominciavano ad abituarsi all’oscurità, riuscì a riconoscere piccoli dettagli… le colonne più vicine a lei, vaghi esempi di luce e di oscurità, e -

LI’

Il pensiero di Squall fece eco al suo mentre individuava un brandello di rosso nell’angolo lontano. Un rapido scalpiccio di piedi, il suono di una lama che fendeva l’aria, e poi l’esplosione mentre Squall premeva il grilletto, portando la sua arma a velocità supersoniche. Il lampo della carica portò nella stanza un improvviso sollievo tinteggiato di arancione, mentre delle frastagliate ombre rompighiaccio correvano sul pavimento e sui muri. Dal meccanismo simile a quello di un revolver della sua arma, fuoriuscì una singola cartuccia dello spessore del suo polso, che sembrò rimanere sospesa nel chiarore della luce.

La metà superiore del manichino volò attraverso la stanza come strattonato su una corda invisibile, piroettando continuamente nella caduta, trascinandosi con sé il soprabito come un brandello di carne lacerata. Si scaraventò contro una delle finestre ancora intatte, distruggendola con uno schianto. La luce che fluì nella stanza dall’ultima breccia illuminò Squall, ancora in piedi accanto all’altra metà del manichino, col gunblade a mezz’aria.

La metà inferiore del manichino cadde, risuonando sul pavimento proprio mentre Shu piombava giù dal soffitto spoglio, atterrando in piedi, la mano impugnata di fronte a lei con entrambe le mani. Corse verso Squall, la pistola che fischiava stridula.

Squall ebbe appena il tempo di schivarla, gettandosi per terra mentre i proiettili sibilavano sull’aria sopra di lui. Shu continuò a correre, riprendendo la mira, e lui fu costretto a rotolare su un fianco, cadendo con un tonfo sulla schiena e lasciando andare il gunblade mentre i proiettili di lei stracciavano il pezzo di pavimento in cui si era trovato pochi attimi prima. Poi si mise a cavalcioni su di lui, premendogli la canna della pistola sulla fronte e stringendo il dito sul grilletto.

NO!

Click


Le braccia di Squall strisciarono verso l’alto, mentre le sue mani afferravano Shu per le spalle e le facevano abbassare bruscamente le mani. La colpì con la fronte in pieno volto, rompendole il naso con un rumore sordo. Entrambi incespicarono all’indietro, Squall ricadendo di nuovo per terra, Shu barcollando, lasciando cadere la pistola, mentre il suo naso cominciava a perdere copiosamente sangue. Prima che potesse riaversi, la gamba sinistra di Squall scattò in avanti, dandole una ginocchiata crudele tra le gambe. Shu espulse tutta l’aria che aveva in corpo con un sonoro whuff, mentre il suo corpo si richiudeva su se stesso a fisarmonica mentre un altro colpo le spazzava le gambe da sotto di lei, facendola crollare sul pavimento col capo.

Scivolando da un lato, Squall si rimise in piedi, raccogliendo in fretta il suo gunblade e sollevandolo oltre la sua testa in un unico movimento. Grugnendo per lo sforzo, fece roteare l’arma in un pericoloso arco al di sopra delle sue spalle in direzione del pavimento, premendo violentemente il grilletto.

Click

Senza l’esplosione di accompagnamento, la rotazione non fu abbastanza veloce; Shu puntellò le mani sul pavimento e si spinse in piedi, con il corpo che si contorceva in modi impossibili mentre con una capriola si allontanava dalla traiettoria dell’attacco. Seguì lo slanciò, rimettendosi in equilibrio e ritirandosi verso l’angolo opposto mentre il gunblade sfregiava di un’altra enorme incisione il pavimento. Si mosse con più rapidità e più precisione che mai, sebbene ora il suo affaticamento stesse iniziando a mostrarsi, con le spalle che si appesantivano, e la sua bocca aperta per aspirare avidi respiri.

“Anche tu a corto di proiettili, Squall?” La voce di Shu era piatta, madida del suo stesso sangue.

Prima che Squall potesse replicare, sorse dalle ombre su di lui, il fucile che una volta era appartenuto al Maggiore Grant tra le mani. L’ultima raffica di Juliet aveva esaurito le munizioni dell’arma, ma la baionetta sulla punta era più affilata che mai e Shu la usò a dovere, emergendo dall’oscurità con un turbine di coltellate a tradimento. Mise tutto il peso del suo corpo a spago dietro ogni affondo, dardeggiando con le braccia tese fluidamente, la punta dell’arma persa in una macchia informe di movimento.

Squall ricadde a terra, muovendosi verso Rinoa, il suo corpo e la sua lama che si contorcevano convulsamente mentre eludeva e scansava gli impeti implacabili. Riuscì ad evitarne molti, ma qualcuno riuscì a prenderlo, segnando delle ferite contro il suo corpo che infiammarono brevemente il legame: un taglio lungo e superficiale sulla gamba sinistra, una ferita più profonda sul fianco destro, numerose lesioni sugli avambracci.

Ora che la sua arma aveva assaggiato il sangue, Shu impose sul suo attacco una disperata, ferita ferocia. Squall le si avvicinò, e sul muro i loro fantocci d’ombra danzarono una danza spietata e all’ultimo sangue.

Shu si chinò sotto l’attacco di Squall e riemerse con una frecciata della sua arma. Squall rovesciò la testa all’indietro, evitando il contatto con l’arma per pochi centimetri, e fece ruotare la propria lama in una sferzata orizzontale che avrebbe dovuto decapitare Shu. Ma lei era veloce, anche ora, talmente veloce, mentre girava i polsi e catturava il gunblade in una delle scalanature della baionetta con uno stridore metallico e una spruzzata di scintille. Il gunblade fremette, intrappolato nella morsa di metallo della baionetta. Shu mantenne il fucile di lato, fissandolo lì con un pugno talmente serrato da farle diventare la nocca bianca, tenendosi in equilibrio su una gamba mentre l’altra si alzava, in procinto di consegnare un calcio a tradimento al ginocchio di Squall.

Il volto di Squall era contorto di rabbia e di fatica, le sue labbra scoprivano i denti quasi fosse un cane ringhioso, ma i suoi occhi erano freddi, duri e piatti, e quando parlò, lo si sentiva anche dalla sua voce da briefing, formale e informativa, che non aveva più niente di carino.

“Mi ero tenuto una strada aperta.”

Il gunblade urlò e spaccò il mondo a metà, sbocciando in un fiore di fronte agli occhi di Rinoa. Li chiuse per riflesso, sentendo l’aria calda colpirla in viso come un pugno, bruciandole le sopracciglia, inaridendole le lacrime di dolore. Il ruggito sembrò consumare il mondo per un momento, ma oltre ad esso si poteva sentire l’irrefrenabile gridare di Shu. Era un suono animale, il guaire di un neonato, colmo di nient’altro che crudo dolore e angoscia.

Rinoa aprì gli occhi e le rivenne quasi da rimettere.

Il fucile di Shu giaceva sul pavimento, ancora stretto convulsamente tra le sue mani, e la sua baionetta si era frantumata in uno sprazzo di frammenti d’acciaio. Shu aveva fatto qualche passo indietro, tenendosi le braccia monche e insanguinate di fronte al suo viso, gridando e gridando e gridando fino al punto che Rinoa pensò che quel suono l’avrebbe fatta impazzire. Brancolò alla cieca lontano da Squall, sbattendo sul muro. Vi raspò furiosamente contro per un momento come se stesse cercando di scavarci dentro, lasciando tremende macchie rosse. Quando si voltò, il suo sguardo incontrò quello di Rinoa, e Rinoa si rese conto che i suoi occhi erano gli stessi del maggiore, di Angelo, spalancati e terrorizzati e pieni di frenetica energia animale.

Tutto a causa mia, pensò Rinoa, mentre Shu scivolava sul muro, tracciando una scia rosso fuoco lungo tutto l’intonaco da quattro soldi. Quando si accasciò sul pavimento, aveva smesso di gridare. La mente di Squall tamburellava e sibilava come una teglia da forno, ancora bollente per lo sforzo e il fremito del combattimento. E’ successo… tutto a causa mia.

Il mondo divenne grigio, appannandosi di fronte ai suoi occhi come l’immagine su una televisione di pessima qualità. Indistintamente, marginalmente, era conscia del fatto che Squall stava rinfoderando il gunblade, occupandosi delle sue ferite, sondando il battito di Shu, ma non riusciva a pensare ad altro che allo sguardo negli occhi dell’altra donna, al modo brutalmente efficiente in cui Squall l’aveva uccisa, al suo gunblade che affondava nella schiena di Vince. Aveva combattuto al suo fianco, ma contro dei mostri. Non avrebbe mai immaginato che avrebbe potuto fare una cosa del genere, così brutale, così rapida, così meccanica.

Squall ora era dietro di lei, stava recidendo premurosamente col gunblade (e adesso ci era schizzato sopra anche il sangue di Shu) le sue catene. I suoi polsi si erano talmente intirizziti che non si accorse che lui l’aveva liberata dai bracciali di Odine finché non sentì la magia rifluire nella sua mente. Fece girare i polsi, facendoli strofinare reciprocamente, piegando le dita, e abbassando infine lo sguardo al suo grembo.

“Squall… Hai ucciso Shu.” La sua voce suonava distante e sciropposa alle sue stesse orecchie.

“Lo so.” Riuscì a sentire un pizzico di rimpianto nella sua mente, ma subito dopo quello, una marea crescente di calore. “Non ti avrebbe lasciato andare, Rinoa.”

“Lei non… Non mi ha fatto del male…”

“E se le avessero ordinato di farlo?” Si accovacciò di fronte a lei, poggiando le dita calde sulle sue ginocchia. “Non potevo correre il rischio, Rinoa. Non con te.”

“Squall…” Le sue dita seguirono i lineamenti del viso di lui, indugiando sulla scottatura circolare che la canna dell’arma di Shu aveva lasciato sulla sua fronte. Lasciò che il suo sguardo le percorresse, si abbassasse sulle sue altre ferite - nuove cicatrici. Anche quelle sono state tutte a causa mia. Non avrebbe mai immaginato che il loro amore avrebbe potuto essere un fardello così pesante, tanto da potergli far del male in quel modo. E Shu…

“Non potevo, Rinoa,” ripeté. “Pensavo che ti avrei persa, e io- io non riuscivo a pensare a nient’altro da fare.”

La abbracciò, non badando al fatto che era sporca, e sentì le sue braccia stringersi attorno a lui quasi di propria spontanea volontà. Posò il suo viso bruciato di polvere nella sua spalla, odorando il suo profumo sotto il sangue e il sudore, e in quel momento seppe che qualsiasi cosa fosse successo, lui era ancora Squall, e lei lo amava ancora. Aveva desiderato che lui venisse a salvarla, e l’aveva fatto, rischiando la propria vita per la sua, ponendosi dalla parte del torto. Un cavaliere, alla fine, guidato attraverso un dungeon soltanto dalla semplice, pura forza del loro amore.

“Squall…”

In seguito, si sarebbe detta che quello avrebbe potuto sopportarlo. Avrebbe potuto perdonarlo per quello che aveva fatto a Shu, e per l’insabbiamento che ne conseguì, e per la violenza che aveva inflitto ai Gufi Rossi. Non c’era stata altra scelta, e loro erano altrettanto riluttanti a cedere quanto lo era stato lui, e avrebbero davvero potuto ucciderla, nonostante Shu l’avesse negato.

Quello sarebbe stato tollerabile. Non perfetto, neanche lontanamente, ma sufficiente. Se fosse finita lì, le loro vite sarebbero tornate alla normalità presto o tardi, una volta che le loro ferite si fossero rimarginate e i loro ricordi sbiaditi.

Ma mentre lo abbracciava, il sollievo e l’amore che inondavano la sua mente si sovrapposero alla gabbia di ghiaccio, divorandola, e la cosa all’interno riuscì a fuggire, precipitandosi attraverso il legame, battendo e intrappolando la sua mente. Il legame non aveva mai brillato di una tale intensità, non le aveva mai dato un così chiaro assalto di emozione e di visioni e di ricordi in un solo istante. Era come se qualcuno avesse praticato un buco nel suo cranio e vi avesse versato dentro i ricordi di lui, riempiendo il suo cervello al punto da sommergerla di immagini che si rovesciarono poi nei suoi occhi.

La comprensione fu quasi istantanea, e mentre le immagini ondeggiavano di fronte alla sua visione e Squall bisbigliava contro il suo collo, un caldo respiro nel suo orecchio, Rinoa realizzò che stava ricacciando indietro l’impulso di urlare, di divincolarsi, di correre più veloce e più lontano che poteva.

Le sue braccia non le davano la sensazione che aveva immaginato avrebbero dovuto. La strinsero sempre di più e di più, intrappolandola in una gabbia di carne. Squall si avvinghiò a lei come un uomo in preda ad uno spasmo tremendo, e avrebbe dovuto essere romantico, ma faceva male, e non riusciva a respirare, e il sangue di Shu ricopriva entrambi, e poteva vedere i cadaveri dei Gufi morti oltre la sua spalla, ed era sbagliato, era tutto sbagliato, non avrebbe dovuto essere così-

“Ti amo.”

Rinoa si accasciò contro di lui, i suoi muscoli la stavano abbandonando per la spossatezza e l’orrore intorpidente. Fuori, l’artiglieria schiamazzò. L’edificio tremò sulle sue fondamenta, e grossi pezzi di muro e lampadine sciolte crollarono sul pavimento attorno a loro.

“Dobbiamo andarcene,” disse Squall, mettendola in piedi. Ma non andò bene; dopo tutte quelle ore sulla sedia, le sue ginocchia si rifiutarono di piegarsi, e lui dovette tenerla saldamente per evitare che cadesse. I suoi pensieri ora erano fusi in tenera apprensione, ma sembravano distanti e ovattati, irraggiungibile oltre le braccia della cosa che attanagliava la sua mente e che le stava mostrando cose che non avrebbe mai potuto immaginare di vedere neppure nel suo peggiore incubo.

“Shu…” La testa della donna morta ciondolò innaturalmente sul suo collo, e i suoi morti occhi fissi sembrarono accusare Rinoa, rinfacciarle le sue stesse parole. Pensavo fossimo amiche, Rinoa. Non lasciarmi qui come cibo per cani e vermi. Non trattarmi peggio di un animale morto.

“Non c’è tempo. Non capirebbero comunque, Rinoa.” Squall l’alzò di nuovo, mettendo le braccia sotto le sue ginocchia e la sua schiena come se si stesse preparando a farle varcare una soglia impossibile da superare altrimenti.

E allora pensò: Forse lui l’ha già fatto.


Nota della traduttrice: a-ehm. Non ho nulla da dichiarare :o Vi chiedo solo un favore: se lascerete delle recensioni, cercate di evitare spoiler sull'identità di Red Death, e sul suo assassinio, così nessuno rischia di rovinarsi la sorpresa. Grazie mille! A breve l’ultima parte.

Youffie
   
 
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