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Autore: carelesslove    22/01/2013    1 recensioni
La donna si chinò sulle ginocchia e si fermò a fissare la figlioletta negli occhi chiari e sgranati. – tesoro, la mamma deve andare via
- Harry, per favore. – la implorò John esterrefatto – parliamone almeno. Non puoi piombare qui in questo modo e sconvolgermi la vita!
- Trovati una baby-sitter. – rispose lei candidamente.
John scosse la testa con rassegnazione - Aveva ragione nostra madre. Sei inaffidabile e impulsiva.
- Me l’ha consigliato la mia analista. E io sono d’accordo. Andare in clinica è la cosa giusta.
- La tua analista un caz…- insorse lui, poi si morsicò la lingua – Al diavolo tu e quella psicopatica…altro che psicologa, è più psicopatica lei dei suoi clienti.
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Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Acherontia Atropos

 
 
John si fermò bruscamente, lasciando cadere a terra il contenitore del caffè, quando in una delle pagine del Times scorse il trafiletto che parlava della miracolosa resurrezione del mitico investigatore dopo tre anni dalla scomparsa.
Mycroft aveva rilasciato ai giornalisti un succinta intervista in cui aveva spiegato per sommi capi le dinamiche della finta morte e come il tentativo di Sherlock di farsi passare per un impostore fosse appunto un elaborato piano congegnato al fine di neutralizzare l’avversario e uscire da una situazione ad alto livello di rischio, per la vita del consulente stesso e dei suoi più stretti conoscenti e amici.
John lesse e rilesse tre volte l’articolo senza sosta, tornando più volte a soffermarsi su alcuni punti essenziali.
Non era a dir la verità un granchè come articolo e la foto del consulente investigativo era piccola e, per quanto poteva sembrare a John, ripresa da un vecchio archivio di file, probabilmente precedente all’incidente.
Incidente, la sua mente si ostinava ancora a definirlo così, in realtà si era tratta di una messa in scena, di un trucco da prestigiatore in cui persone oneste come lui erano state raggirate senza tenere conto delle conseguenze, senza pietà.
Strappò l’intera pagina in un moto di stizza e subito dopo, chinando lo sguardo, si accorse con sgomento che Sofia non era più al suo fianco, si era allontanata mentre era assorto nella lettura e l’aveva persa di vista e dando una rapida occhiata nei dintorni non scorse nessuna bambina che le somigliasse, per quanto il parco fosse gremito di marmocchi scatenati e urlanti.
Fu assalito dal panico e gettando anche il resto del quotidiano a terra incominciò a cercare sua nipote chiamandola a gran voce e chiedendo ai passanti se l’avessero vista.
 
Sherlock era solito seguire John durante le abituali gite al parco che aveva cominciato a fare la domenica con la bambina bionda che aveva visto a casa sua.
Si domandava chi fosse, aveva pensato che fosse sua figlia vista la disarmante somiglianza dei tratti somatici ma l’età non corrispondeva, in quanto la bambina aveva almeno il triplo dei due anni e qualcosa che avrebbe dovuto avere, visto che era abbastanza certo che John non avesse figlie sparse per il mondo all’epoca della propria scomparsa.
Aveva ipotizzato che fosse la figlia di qualche sua nuova fidanzata o convivente .
Ovviamente durante i suoi appostamenti faceva ben attenzione a tenersi a debita distanza e a sparire nel giro di pochi secondi, qualora il medico si fosse per caso voltato nella sua direzione.
A tutti gli effetti si poteva definire uno stalker.
All’improvviso notò avvicinarsi la bambina. Quel giorno era così perso nei suoi pensieri da non aver fatto molto caso agli spostamenti dei due, era assorto a riflettere sull’articolo che lo riguardava, così quando si accorse che lei lo aveva visto temette che il dottore fosse nelle vicinanze e lo riconoscesse.
Si alzò in piedi frettolosamente e si guardò intorno cercando di scorgere Watson tra la gente che affollava il viale. Neppure l’ombra. Si stupì non poco poiché conosceva il suo amico quanto bastava per sapere che non era così incosciente da lasciar gironzolare una bambina sola per il parco.
Forse poteva essere che quel giorno la piccola fosse in compagnia della madre, eppure la vedeva avanzare verso di lui da sola e nei dintorni non c’era nessuna donna giovane che potesse esserle parente.
Decise di rimanere immobile per osservare la situazione.
La bambina lo notò passandogli davanti e stranamente lo riconobbe, avvicinandosi per parlargli.
L’investigatore era preoccupato che da un momento all’altro sbucasse John da un cespuglio ad aggredirlo verbalmente, e forse non solo, per aver osato avvicinarsi a lei.
- Ciao – disse la piccola – tu sei quello della foto.
Sherlock aggrottò le sopracciglia – Quale foto?
- A casa dello zio c’è una tua foto.
- Quale zio?
- Zio John.
Sherlock rimase di stucco e all’improvviso capì il perché della somiglianza e tutto gli sembrò incredibilmente ovvio – Tu sei figlia di Harriett?
La bambina fece un gran sorriso, mostrando i dentini – Conosci la mamma? – rispose dando implicitamente conferma.
- In un certo senso.
- Tu sei quello che è venuto a casa e ha fatto tanto arrabbiare zio John.
Sherlock pensò che almeno una cosa dallo zio l’aveva ereditata: la schiettezza e quel modo di essere diretto e di andare dritto al punto, pratico e conciso, che gli era sempre piaciuta in lui.
- Si. Mi chiamo Sherlock. Tu devi essere Sofia…
La bambina annuì guardandosi le scarpette rosse. – Mi chiedo se sei cattivo visto che hai fatto arrabbiare lo zio.
Il detective chinò lo sguardo – Sono complicato. Ma non sono cattivo.
Lei sembrò soppesare la cosa e prendere una decisione, sedendosi sul bordo della panchina vicino a lui. – Mi sono persa. – gli rivelò con aria colpevole – zio John si arrabbierà molto. L’ho cercato dappertutto.
Sherlock pensò che si sarebbe arrabbiato molto di più se avesse saputo della loro chiacchierata.
- Facciamo un patto – disse il moro – io ti aiuto a trovarlo se in cambio tu mi prometti che non ti allontanerai più da lui senza dirglielo.
- Ma lui non mi guardava e non ascoltava… – protestò la bambina.
Sherlock sfoderò uno sguardo glaciale, non gli riusciva particolarmente difficile, pensò che se mai avesse avuto un figlio sarebbe stato un padre autoritario e avrebbe finito per portare la sua progenie ad avere svariati complessi legati alla figura paterna e a far arricchire il conto in banca di qualche sedicente psicologo, pagandolo profumatamente perché glieli risolvesse.
Sofia si arrese all’evidenza e decise di fare la brava -Prometto.
- Brava – si complimentò lui, alzandosi – allora, per cominciare mi devi portare nel punto in cui eravate quando ti sei allontanata. Te lo ricordi?
Lei annuì – più o meno. E’ vicino al venditore dei panini. – aggiunse.
Soddisfatto la prese per mano, cercando di non pensare all’ira in cui sarebbe incorso qualora lo ‘zio John’ lo avesse visto arrivare con la sua protetta alle calcagna.
 La piccola trotterellava al suo fianco apparentemente ignara della catastrofe che sarebbe di li a poco scoppiata e forse ancora preoccupata che lo zio potesse arrabbiarsi con lei, quando Sherlock era certo che tutta la rabbia dell’altro sarebbe stata riversata su di lui.
Arrivati al chiosco ovviamente non lo trovarono, doveva essere in giro per il parco a inseguire ogni testolina bionda che gli capitava di scorgere, facendosi lanciare occhiatacce da tutti.
Vide un giornale e un contenitore del caffè giacere a terra nella polvere. Osservò la sua giovane amica e le chiese – John stava bevendo il caffe?
Lei annuì appena ma era un po’ più preoccupata adesso che non lo avevano trovato nemmeno li e stava per mettersi a piangere quando Sherlock si chinò davanti a lei per scongiurare quest’eventualità, perché odiava il pianto dei bambini e riflettendoci anche quello delle donne in generale.
- Calma, – cercò di rassicurarla – vedi di non piangere, intesi? Se nò ti lascio qui e tuo zio te lo cerchi da sola – ovviamente non lo avrebbe mai fatto, era tanto per dire.
Non lo avesse mai detto, quella incominciò a frignare e lui si rese conto di aver adottato una strategia inadatta per ragionare con una persona in tenera età, anzi assolutamente controproducente.
La osservò quasi avesse davanti un ordigno esplosivo che sarebbe saltato in aria nel giro di pochi secondi. Metà dei passanti si erano girati verso di loro. Cosa si presumeva dovesse fare lui? Non aveva mai avuto a che fare con un marmocchio in vita sua.
- Coraggio, non fare così. Era uno scherzo – le disse dandole piccoli colpetti sulla spalla – non ti lascio da sola. Smetti di piangere, per favore.
La avvicinò a se e le sussurrò all’orecchio – Ho avuto un idea. Smetti di piangere che te la dico.
La bambina emise ancora un singhiozzo e tirò su col naso – Quale? – gli chiese, un po’ sospettosa.
Lui la prese per le spalle e continuò – Penso che dovremmo rimanere fermi qua, perché John potrebbe tornare a controllare che tu non sia tornata indietro per cercarlo. E poi potresti salirmi sulle spalle. Io sono abbastanza alto e in questo modo potrebbe vederci più facilmente, anche da lontano.
Sofia valutò un attimo la proposta, era una bambina molto sveglia – Va bene. – acconsentì, continuando però a tenergli il broncio.
Lui la aiutò a salirgli sulle spalle e poi si sollevò in piedi, tenendo la bambina con presa salda.
- Sai, quand’ero piccolo mio fratello maggiore faceva lo stesso con me. Roba da non crederci se ci guardi adesso.
La piccola gli aveva afferrato due ciocche di capelli, cosa che Sherlock non apprezzava affatto, ma fece di necessità virtù e si sottomise a quel trattamento pur di tenersela buona. Intanto si guardava intorno cercando il dottore con gli occhi, cosa non semplice dal momento che c’era più di un uomo basso e biondo nei dintorni.
A un tratto la bambina esplose in grida di giubilo e indicò un punto in lontananza, dimenandosi sulle spalle del detective tanto che questi temette potesse cadere.
Sherlock seguì la direzione indicata dal suo dito e lo individuò a una certa distanza, che si rivolgeva concitato a un gruppo di persone.
Si rivolse a Sofia – Chiamalo che non ci ha visti. Anzi, scendi giù e vai a raggiungerlo – e sedendosi sulla panchina vicina la aiutò a scendere.
- Tu non vieni?
- No. Meglio di no. – fece Sherlock, immaginandosi la reazione che avrebbe avuto l’altro nel vederlo. Purtroppo John si girò verso di loro proprio in quel frangente, riconoscendoli entrambi, Sherlock si portò una mano sugli occhi, sospirando.
- Ci ha visti! – esclamò lei saltando giù dalla panchina e correndo verso lo zio che la raggiunse a metà strada, sollevandola e stringendola in braccio.
- Mi hai fatto spaventare a morte! – la rimproverò – non farlo mai più, Sofia.
- No. Sherlock me l’ha fatto promettere. – disse, posandogli la testa sulla spalla.
John inspirò rabbiosamente nel sentire quel nome – E’ simpatico. – proseguì lei.
Intanto John tornò a guardare verso la panchina e la trovò vuota ma i suoi sensi di soldato non lo tradivano quasi mai e riuscì a individuare il ben noto cappotto farsi strada tra la folla.
Lo seguì di slancio, senza pensarci, trascinandosi la nipote appresso che protestava perché non riusciva a stargli dietro, e finalmente raggiunse il moro che stava cercando di farsi largo tra un gruppo di marmocchi, anziane signore e un giovanotto in bici che stava per investire un cane.
- Fermati - ringhiò, afferrandolo per una spalla.
Questo si voltò per fronteggiarlo, con sguardo freddo e risoluto – Me ne stavo andando.
- Cosa ci fai qua? – lo interrogò il dottore, seccato.
- Una passeggiata. – rispose asciutto.
- Da quando passeggi al parco la domenica? – insinuò.
- Da quando hai una nipote?
- Devi starmi lontano …
- E’ quanto stavo facendo, per l'appunto.
- Si, sei bravo a sparire quando la situazione si fa scomoda
La nipote si dimenò dalla stretta della sua mano – Non mandarlo via. Lui non è cattivo
John replicò sarcastico – Prova a viverci insieme un paio d’anni, poi vedi.
Sherlock chinò lo sguardo.
Sofia mise il broncio, incrociando le braccia al petto – Perché non fate pace?
Sherlock guardava John e questo guardava altrove.
Sorrise a Sofia e salutò John con un ‘ciao’ talmente flebile che il dottore dovette stringere gli occhi per impedire che lacrimassero, e non a causa del vento e della polvere.
 

***

 
- Non mangio più se non mi permetti di parlargli di nuovo domenica prossima . Forse oggi era al parco ma non mi hai portata.
- Sofia, cosa sono questi capricci? Non esiste che non mangi, come non esiste che parli di nuovo con quel signore, - tanto più che Harriet non avrebbe certo approvato che la sua figlioletta lo frequentasse – andremo da qualche altra parte la domenica.
- Ma era tuo amico.
- No. Eravamo solo coinquilini.
- Cosa significa?
- Dividere la casa, e le spese dell’affitto.
- E avete litigato per l’affitto?
John scoppiò a ridere all’improvviso, senza sapere perché, non c’era proprio molto da ridere in fondo – Ma no, figurati. Su mangia che si fredda.
- Io comunque voglio parlarci e, se non mi ci porti tu, ci vado da sola – sbattè la forchetta per terra. Era più caparbia di quanto non fosse la madre al doppio della sua età, John avrebbe potuto giurarlo.
- SOFIA – la sgridò – Se non vuoi mangiare allora vai a letto senza cena! – disse, sbattendo il suo piatto pieno nel lavello – e niente televisione.
La nipote non lo aveva mai visto gridare a quel modo e stava per mettersi a piangere.
- Puoi andare in camera.- le ordinò John, che le aveva trovato una sistemazione nella propria stanza, aggiungendo una branda al mobilio del soggiorno in cui andava a dormire lui. Così che non fossero costretti a dividere la stanza. – Vai!
- Ti odio. E odio la mamma che mi ha portata qui – disse, correndo fuori dalla cucina.
Watson si sedette al tavolo e guardò il suo piatto senza più voglia di mangiare, posò forchetta e coltello sulla bistecca e andò a versarsi un bicchiere di Whisky, lo scolò tutto e non gli fu di alcun giovamento ma non se ne versò dell’altro, o l’indomani a lavoro sarebbe andato ubriaco, perché dopo il secondo non si fermava mai a quello.
Attraversò il soggiorno guardando di sfuggita la foto di Sherlock e si diresse verso la propria camera. La nipote stava piangendo sommessamente, rannicchiata sotto le coperte.
Si sedette sul bordo del letto – Scusami – incominciò – ho esagerato. Non sono arrabbiato con te. – le sfiorò i capelli con la mano ma lei non rispose – Sofia, mi dispiace. Ho sbagliato a gridare così.
Lei si girò a guardarlo da dietro la spalla – Voglio vedere la mamma.
John sospirò – Lo so che ti manca tua madre, ma domani è il giorno di visita, puoi andarla a trovare con la babysitter.
- Non mi piace la tata Julia. – protestò.
- Lo so. Ma non ho avuto tempo per trovarne un'altra. Facciamo che ci vai con la Sig. Hudson, le chiedo se è libera domani pomeriggio. Vedrai che ti troverai bene con lei.
La bambina annuì e si asciugò gli occhi .
– E per la domenica al parco …ok. Ti porto ma io non ci voglio parlare con lui .
Lei gli sorrise – Grazie. – poi continuò – non è vero che ti odio.
John le scompigliò i capelli con una mano – Lo so, piccola peste. Ma non pensare di poter averla sempre vinta.
Lei si coricò di nuovo e strinse il peluche a sé. Era un po’ triste, pensava all’amico dello zio che aveva incontrato, sembrava così solo, anche John sembrava un po’ solo a volte.
- Mi racconti una storia?
- Va bene. Che storia preferisci?
- Mh, non quelle per bambini. Una di avventura o di mistero. Tipo l’isola del tesoro.
- Non ce l’ho quel libro. – riflettè un attimo - Però ne ho un altro, aspetta qui e mettiti il pigiama.
Tornò con Viaggio al centro della terra di Jules Verne e sperò che andasse bene, si addormentò lui per primo, nel senso che alla ventesima pagina era troppo stanco per continuare e spense la luce. Avendo già indossato il pigiama si infilò sotto le coperte e si abbandonò semplicemente al sonno.
- Buonanotte – bisbigliò a Sofia che gli si era fatta più vicina, rassicurata dalla sua presenza. Lei non voleva ammetterlo ma aveva ancora un po’ paura del buio. Di solito dormiva da sola e John le lasciava la abat-jour accesa. Poco dopo lui russava già leggermente.
 

***

 
John aveva mantenuto la promessa, l’aveva portata al parco e adesso stava seduta vicino a Sherlock. Watson non si era avvicinato a salutare l’investigatore, si era limitato a darle un bacio e le aveva detto che sarebbe tornato un oretta dopo a prenderla.
Sherlock le aveva comprato un chupa-chupa. Lui non aveva mai amato molto i bambini, però la nipote di John sembrava amare lui e pensava di poter fare un eccezione per una volta, anche se l’atteggiamento distaccato di Watson lo rattristava, strano ma vero aveva scoperto di non essere del tutto immune ai sentimenti.
- Com'è?
La bambina annuì soddisfatta, Sherlock la guardò scettico, stava bevendo un caffè in un contenitore di plastica biodegradabile, senza zucchero, lui i dolci li detestava, era a John che piacevano.
Andarono poi a dare una sbirciatina alla bancarella di libri che c’era ogni tanto vicino al venditore di panini.
Sherlock le indicò la copertina di un libro che sembrava trattare delle varie tipologie di farfalle.
- Ti piace quella?
Sofia scosse la testa.
- Perché?
- Non è colorata, è tutta marrone e ha le ali piccole.
Sherlock assunse un espressione di superiorità.
- Io la trovo molto bella. Ha una particolarità che nessun altra possiede.
- Quale?
Lui si allungò a prendere il libro per mostrarglielo da vicino.
- Vedi quella macchia dalla strana forma che ha sul dorso? E’ incredibilmente somigliante a un teschio.
La bambina la guardò per un po’ – Le farfalle hanno tutte nomi strani. Questa come si chiama?
- Acherontia Atropos. Il primo nome deriva da Acheronte che secondo i greci era il fiume infernale che bisogna attraversare per arrivare nell’aldilà. Il secondo da una delle tre moire, Atropo – non si soffermò sul compito che spettava a quest’ultima perché non era un argomento adatto a una bambina di quell’età.
- Come sai tutte queste cose?
- Internet. – non stette a specificare che riguardava un caso che aveva risolto in passato, in cui un killer seriale si firmava lasciando vicino al corpo delle vittime quell’insetto.
La bambina continuò a sfogliare il libro guardando ammirata le immagini delle ali maculate delle farfalle dai colori variopinti e sgargianti.
- Costa venti pounds. Se non lo intendete comprare …
- Non si preoccupi, non glielo roviniamo. Anzi glielo compro – gli allungò le banconote e si allontanarono dal banchetto.
- Davvero posso tenerlo? – esclamò lei speranzosa, entusiasta del regalo.
- Ormai l’abbiamo comprato. E temo che non lo rivorrà indietro il venditore.
- Non vedo l’ora di farlo vedere a John.
Il detective sentì un senso di desolazione nell’udire quel nome e guardò altrove. Aveva pensato di sapere gestire quella situazione ma ci stava riuscendo piuttosto male, ogni giorno che passava era sempre più dura fare i conti con l’indifferenza del suo vecchio amico.
Lei gli tirò una manica per attirare la sua attenzione – Posso chiederti una cosa? Perché hai litigato con mio zio?
- Ho fatto una cosa…sei troppo piccola per capire.
- Anche mamma ha detto così e poi è andata a stare in una clinica e mi ha lasciata.
Sherlock la guardò considerando che anche lei, per quanto piccola, aveva i suoi problemi.
- Gli ho detto una bugia. Una di quelle terribili. Di quelle che non si dovrebbero mai dire.
- Ma tutti possono sbagliare.
- Non se c’è in ballo la vita di altre persone.
La bambina si ammutolì un attimo e smise di camminare, il detective si fermò a sua volta guardandola in silenzio, c’era qualcosa che sembrava volesse dirgli.
- Torniamo alla panchina. Fra un po’ ti verrà a prendere.
Sofia lo seguì finchè, quando fu seduta, non si decise a parlare – Quando guarda la tua foto è sempre molto triste. Di notte parla nel sonno e una volta l’ho visto piangere, anche se lui non lo sa.
Sherlock rimase un attimo in silenzio, gli si era stretta la gola e aveva sentito una lama di dolore attraversargli il petto.
- Io gli voglio bene e mi dispiace se sta male. Tu gliene vuoi?
- Che importa? Tanto lui non mi vuole più vedere.
- Ma gliene vuoi?
Il detective soppesò la risposta e rimase in silenzio, ma annuì.
- Secondo me lui non lo sa. Ma penso che tu non glielo dirai…
Il detective scosse le spalle.
- Siete troppo complicati voi grandi.
Il detective sospirò e intanto era arrivato Watson, a una cinquantina di metri da loro li osservava parlare.
- Devi andare – la avvisò il moro.
Lei si girò e salutò suo zio, che ricambiò alzando la mano, cosa che fece anche Sherlock pur sapendo che il saluto non era rivolto a lui.
La bambina fece per scendere dalla panchina quando Sherlock gli fece notare che aveva una scarpa slacciata e tentò di aiutarla ma lei lo scacciò e volle fare da sola.
A John quella scena scaldò il cuore e pensò che non si era mai neanche lontanamente immaginato il suo coinquilino alle prese con una pivellina, se non lo avesse visto coi suoi occhi non ci avrebbe mai creduto, ma che tutto sommato adesso gli appariva la cosa più normale del mondo, lo faceva con una naturalezza disarmante per essere un sociopatico genio del cazzo.
L’amico non aveva mai mostrato particolare interesse per i bambini e Watson si stupiva del fatto che non considerasse uno spreco di tempo trascorrere qualche ora con Sofia. Forse lo faceva solo perché era sua nipote, nella speranza di riallacciare i rapporti con lui. Forse era un po’ meno sociopatico di quanto pensasse, o magari la domenica c’era penuria di casi su cui investigare perché anche i delinquenti si prendevano un giorno di festa, come tutti.
- Salutamelo. – fece il detective prima di darle il libro e lasciarla andare.
Lei volò tra le braccia dello zio e gli diede un bacio sulla guancia – Questo è da parte di Sherlock. – lui rimase un momento interdetto, poi guardò verso la panchina ma il suo ex coinquilino se n’era già andato.
- Di cosa avete parlato? – indagò.
- E’ un segreto.
- E quello? – riferendosi al libro.
- Me l’ha comprato. – disse mostrandoglielo orgogliosamente.
Riconobbe l’Acherontia Atropos, era uno dei casi di Sherlock che avevano avuto più successo di pubblico sul suo blog e così il dottore aveva deciso di approfondire l’aspetto simbolico della farfalla aggiungendo in una nota al racconto il significato del suo nome e alcune altre cose. Era certo che Sherlock non l’avesse mai letto fino a quel punto. Non era tra i suoi maggiori fan e leggeva solo qualche spezzone mentre lui lo scriveva sul pc.
- Non avrete parlato di cose strane? Tipo indagini di polizia?
- No. – rispose Sofia, perplessa.
- Mi ha raccontato del nome della farfalla, del fiume che porta all’aldilà e del secondo nome non mi ricordo bene.
- Atropo
- Si quello.
- E come lo sapeva?
- Internet.
John era sconcertato. Quegli elementi Sherlock non li aveva mai approfonditi perché non erano pertinenti con la risoluzione del caso. La propria piccola ricerca personale era una cosa puramente dilettantistica, non aveva particolare rilevanza con il resto dell’indagine. A parte il fatto che il killer era un esperto entomologo tutti quei particolari erano solo un teatrino, una vena artistica dell’omicida. Probabilmente per via della macchia a forma di teschio sul dorso o forse perché era un fan del film con Anthony Hopkins, avrà pensato che era adatta a una scena del crimine. Forse anche per i molti riferimenti del nome alla morte.
Così Sherlock aveva letto il suo blog anche se non lo ammetteva. E si era ricordato di quel particolare dopo tutto quel tempo. Forse lo rileggeva persino adesso di tanto in tanto. Si dispiacque di non aver pubblicato più un post sul blog, ormai abbandonato da tre anni, nemmeno dopo il ritorno di Holmes, poi pensò che sarebbe stato assurdo. In fondo lui ne sapeva meno di tutti di quella storia e non voleva averci più niente a che fare.
 
 
 
 
n.d.a.: temo sia ooc Sherlock in sto cap., nel suo modo di interagire con Sofia… ç_ç doh. Ma che ...ç_ç ho il cervello in pappa. Rileggendo ho visto che qualche virgola si è persa per strada, la aggiungerò quando avrò tempo
  
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