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Autore: Patta97    23/01/2013    4 recensioni
- E tu chi e che cosa saresti? – chiese Sherlock, ostentando il suo tono più pragmatico.
- Io sono io, Sherlock – rispose la creatura, con una voce bassa e leggermente acuta, come se si trovasse a metri di distanza dal letto e non a un passo. – Sono lo Spirito del Natale Passato –

E se Sherlock ricevesse la visita di tre Spiriti natalizi?
Note: Johnlock, Post Reichenbach
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao!
Ok, penultimo capitolo. Il caro Spirito del Natale Futuro mi inquieta leggermente.
La cosa piuttosto triste è che ho ideato come scrivere di lui mentre ero sotto la doccia, a riflettere sui misteri della vita, sulla seconda parte della settima stagione del Doctor Who e sulla terza serie di Sherlock (dato che il sadico Arwel Wyn Jones ci sta riempiendo di immagini su Twitter).
D'accordo, dato che questo vi interessa poco e niente, vi lascio al capitolo.
Lasciatemi un parere, eh!
Chiara
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- Il terzo Spirito! – disse Sherlock ad alta voce, per ingannare se stesso di avere più coraggio di quanto in realtà ne avesse.
 
Ma solo il buio più assoluto e tenebroso gli venne in risposta.
 
- Mostrati! – intimò, pervaso da un senso di freddo.
 
Di nuovo nulla rispose, ma accadde qualcosa di strano: tutta quell’aria nera si scosse, come se stesse ghignando.
 
- Devo venire con te, immagino – continuò Sherlock, perché parlare era l’unica cosa che lo riscaldava.
 
Una sagoma più nera del nero che lo circondava comparve accanto a lui.
 
Non era più alta di lui, ma era solenne, grave e cattiva, imprevedibile.
 
Il consulente investigativo si sentì spiato da più punti da piccoli occhi rossi e cercò di reprimere i brividi. Evidentemente non ci riuscì, perché l’aria tremò di nuovo fra le risate.
 
La figura nera iniziò a camminare e rivolse il viso verso Sherlock, scrutandolo con invisibili e terribili occhi derisori.
 
L’uomo lo seguì, non sapendo che altro fare: era inevitabile.
 
Londra venne verso di loro e si trovarono in una stanza illuminata da luci al neon: l’obitorio del Bart’s.
 
Sherlock si voltò verso lo Spirito, adesso sicuro di poter distinguere i suoi tratti, ma quello si era rintanato fra le ombre ed osservava la scena, cupo e solenne.
 
Dopo qualche attimo la porta si aprì ed entrò Molly Hooper.
 
Si diresse verso uno dei tavoli di metallo coperto da un lenzuolo e rimase ferma a fissare il punto dove doveva esserci il volto.
 
Sherlock si avvicinò a lei e si accorse di quanto fosse più matura della Molly che vedeva abitualmente.
 
La porta sbatté di nuovo ed entrò un accaldato Mike Stamford.
 
- Ciao, Molly – salutò in tono compunto, con solo metà del suo solito sorriso sul volto.
 
Lei sollevò lo sguardo e Sherlock notò che aveva gli occhi vitrei.
 
- Un cadavere non reclamato – sussurrò lei, indicando con un cenno del capo il corpo nel lenzuolo. – Lui avrebbe voluto qualcosa. Sarebbe venuto qui, avremmo parlato un po’… - sospirò. – Poi io gli avrei regalato una mano o un piede per un qualche suo intelligente e improrogabile esperimento – la voce le si ruppe ed abbassò la testa.
 
Il consulente investigativo si sentì pervadere da una strana sensazione e il suo battito accelerò.
 
- Ti trattava male – constatò Mike.
 
- Solo dopo che John è andato via – si risentì la dottoressa. – Prima eravamo amici, quando io l’ho aiutato sei anni fa… - la sua voce si spense.
 
- Io vado a casa, Molly – disse l’altro dopo un minuto di silenzio. – Tu… stammi bene. E buon Natale -
 
Il dottore uscì dall’obitorio lasciando sola la collega.
 
- Oh, Sherlock – sospirò la donna, accorata. – Mi manchi… perché lo hai fatto? -
 
Lo Sherlock che guardava la scena avrebbe voluto scoprire di più, ma il buio lo avvolse di nuovo.
 
Di nuovo al chiuso, stanza con qualche fiore qua e là.
 
Pareti con carta da parati con disegni che potevano sembrare allegri, se non per il fatto che fossero neri su sfondo grigio. Qualche candela e una lampada al soffitto a trasmettere luce fioca, quindi il misterioso e freddo Spirito trovò con facilità dove rintanarsi.
 
- Povero diavolo – disse una voce e Sherlock si girò di scatto.
 
Ancora Lestrade, così ingrigito che Sherlock pensò di essere nuovamente alla presenza del secondo Spirito. Ma, osservando meglio, quell’ispettore era dell’altezza giusta e aveva il suo solito e caratteristico atteggiamento che lo rendevano parecchio umano.
 
La signora Hudson – non sembrava cambiata di una virgola, sempre abbigliata e truccata in maniera impeccabile - era accanto a lui e c’era anche Molly, gli stessi occhi vitrei di un attimo – o di qualche ora? – prima.
 
- È la seconda volta che sono davanti alla sua bara – disse la signora Hudson. – Ma adesso è vero -.
 
Molly si limitava ancora a un pesante silenzio contemplatorio nei confronti della bara di legno cui stava davanti.
 
- Mancherà a tutti, temo – sospirò Lestrade. – Un dannato bastardo. Ma ci mancherà -
 
- Era così freddo negli ultimi tempi… sapete, da quando… - tentò di dire la vedova, ma fu interrotta da una porta che si apriva.
 
Con sorpresa di tutti i presenti, Mycroft Holmes, stempiato, fece qualche passo nella stanza, altero nella luce flebile.
 
Si posizionò alla destra di Lestrade, che gli lanciò un’occhiata comprensiva e gli sfiorò il braccio.
 
- Uomo puntuale, mio fratello – commentò l’ormai unico Holmes. – Mia madre e mio padre, morti a distanza di qualche anno il giorno di Natale, lui non poteva essere da meno. Tutto pur di non esserlo. Anche morire -
 
- Non mi sembrano commenti da fare – borbottò la signora Hudson, alterata.
 
- Oh, andiamo – Molly prese la parola per la prima volta. – È morto un vostro amico, un vostro parente. Che fosse antipatico, gentile, scontroso o matto, smettetela di fare commenti inadeguati o pettegolezzi inutili – esplose. Tutte le voci si spensero.
 
A Sherlock ricordò tanto sua madre, quando aveva scacciato tutti quegli odiosi parenti approfittatori dalla stanza d’ospedale di suo padre. Sorrise nell’osservare la piccola e intrepida Molly sovrastare tutti quanti.
 
- Era un genio. Un brav’uomo. Tutti gli avvenimenti della sua vita non hanno certo contribuito a far di lui una persona felice o disponibile… o gentile – abbassò lo sguardo ed arrossì. – Ma qualunque cosa l’abbia spinto, ieri notte, a prendere quell’eccessiva dose di cocaina e a morire, siatene dispiaciuti e basta. A nessuno interessano i vostri commenti – terminò, riprendendo a fissare la bara come un paio di minuti prima.
 
Lestrade, la signora Hudson e perfino Mycroft si misero a fare lo stesso, dispiaciuti e mortificati.
 
E Sherlock Holmes si sentì grato e commosso.
 
Quindi andava così, alla fine: si sarebbe suicidato. Come sarebbe dovuto essere.
 
Fin da ragazzino, nella morbosa età in cui si pensa alla propria morte, aveva sempre pensato che si sarebbe ucciso da solo, se non altro per non dare a qualcuno la soddisfazione di farlo al posto suo.
 
Ma poi la sua opinione era cambiata. Dopo aver conosciuto John e dopo aver inscenato la propria morte. C’era qualcuno che soffriva davvero. Il suicidio non era più sembrato una prospettiva così allettante, sentiva lo strano e nuovo bisogno di vivere ogni secondo che poteva appieno, una volta finiti quei tre anni di scena.
 
Era tornato, c’erano voluti quattro mesi, ma John aveva ceduto ed erano tornati a vivere insieme, quasi come nulla fosse accaduto. Non era così: John era più restio ad accettare i suoi umori e malumori, le sue assurde pretese e le sue mancanze. Possibile che, in quell’orrendo futuro, John l’avesse abbandonato definitivamente a causa di un comportamento sbagliato? Era un pensiero insopportabile. Eppure sembrava l’unica possibile tessera del puzzle.
 
Poi l’immagine, il ricordo, la proiezione, il sogno – qualsiasi cosa fosse – s’immobilizzò. Tutti i presenti si bloccarono a metà di un respiro o di un colpo di tosse, un moscerino rimase attaccato a un petalo di giglio bianco, la fiamma di una delle candele rimase ondulata a causa di un soffio di vento.
 
Lo Spirito si spostò da un’ombra all’altra, fino ad arrivare nella pozza di buio alle spalle di Sherlock.
 
E l’uomo, spaventato e tormentato da quella risata silenziosa che il buio gli rivolgeva, venne avvolto nuovamente dalle tenebre e l’ultima scena di quella lunga notte gli venne mostrata.
 
Sapeva che sarebbe morto, prima o poi. Non c’era nulla di sconvolgente nel sapere il quando o il come. Morire. È quello che la gente fa.
 
Ma non era pronto a quello che stava per ascoltare.
 
Lo Spirito gli teneva saldamente una spalla, quasi come un gesto di conforto, affettuoso ed opprimente.
 
Era John. Tutto quello che aveva davanti era John, in tutta la sua disarmante presenza.
 
Era John con la sua psicologa.
 
- Non veniva qui da sei mesi – disse la dottoressa con voce pacata, distaccata. – Stavolta cos’è successo? -
 
- È successo – rispose semplicemente John, con una smorfia di autocommiserazione.
 
- Davvero, stavolta – aggiunse la psicologa.
 
- Davvero, sì. Si è ucciso ed io non ero lì, ad impedirlo – il dottore chiuse gli occhi ed inspirò a fondo.
 
- Perché non era lì, mentre il suo migliore amico si uccideva? – chiese la donna, spietata.
 
Sherlock avrebbe voluto saltarle addosso per farla tacere e lo Spirito rise alle sue spalle, con la mano sempre artigliata alla sua spalla.
 
- Abbiamo litigato. Non era più come prima. Litigavamo spesso… lui pretendeva che fosse tutto come prima, ma non lo era. Io ero insofferente alle sue solite lamentele – si odiava per ogni parola che diceva, eppure la psicologa gli fece cenno di proseguire col capo.
 
- Una sera sparì. Tornai nell’appartamento e lui non c’era. Aspettai in piedi tutta la notte, il suo cellulare era staccato e nessuno sapeva dove fosse andato. Andai nel panico – John fece un sospiro e continuò. - Tornò quarantott’ore dopo, comportandosi come se fosse appena rientrato da una passeggiata su e giù per la strada. Ovviamente non gli chiesi cos’avesse fatto: non mi avrebbe risposto. Salii al piano di sopra, feci la valigia, misi dentro tutte le mie cose che trovai in giro e me ne andai -
 
- E lui non fece nulla per fermarla, John? – disse l’altra.
 
- Lui non faceva mai nulla – fu la risposta triste del dottore. – Non lo sento da allora, ed è successo dieci mesi fa. È stato come vivere di nuovo quei tre anni, quando lui prese in giro il mondo inscenando la sua morte – John rise senza allegria. – Dopotutto, questi mesi sono stati solo un preludio di cosa sarà la mia vita adesso -
 
Seguirono dei minuti di silenzio. E poi John risprese a parlare. Parlò e le sue parole furono impresse a fuoco nella mente di Sherlock, facendolo cambiare intimamente.
 
- Perché Sherlock Holmes si è suicidato? Qualcosa mi dice che io ero il suo contagocce. Limitavo la sua esuberanza, la sua voglia di farsi del male, le sue dipendenze. Io ero… indispensabile, a volte forse sono stato troppo, ma comunque necessario. Sono andato via, e Sherlock è esploso come un fiume in piena. Si è drogato di nuovo. Con l’intento di morire. È stata colpa mia – John chiuse di nuovo gli occhi e le sue palpebre tremarono. Strinse le labbra. - Dovrei morire io. Sarebbe giusto così -
 
Sherlock non ascoltò più, sarebbe stato troppo. Crollò in ginocchio.
 
Non ascoltava più ciò che la psicologa diceva a John e le sue risposte.
 
Lo Spirito se ne accorse e lasciò che il buio si impadronisse nuovamente di loro.
 
Sherlock si tenne la testa fra le mani, ancora inginocchiato sull’inconsistente pavimento, ma lo Spettro lo costrinse ad alzarsi in piedi con la pura forza mentale.
 
- Spirito, ti prego – supplicò Sherlock. – Lasciami cambiare le cose. Lascia che non succeda questo -
 
Ma sempre lo strano e freddo silenzio venne in risposta.
 
Lo Spirito però fece un passo avanti e una pozza di luce si allargò sul suo volto, illuminandolo.
 
Sherlock boccheggiò, gli occhi vitrei di fronte a quel fantasma.
 
Gli occhi infossati e neri di James Moriarty, Spirito del Natale Futuro, si rivelarono e l’uomo pensò che fosse arrivata la sua ora definitiva.
 
Senza poter aiutare Molly, Lestrade, Mycroft, la signora Hudson. Perfino Sally ed Anderson. O John.
 
La mano dello Spirito lasciò la salda presa sulla sua spalla e, prima di sentirsi cadere nel buio vuoto, Sherlock ebbe l’ultima visione di quei freddi occhi derisori.
 
Per la seconda volta quella notte, Sherlock provò l’orribile sensazione di cadere per miglia e miglia nel buio più assoluto.
 
Poi, si rese conto che le interminabili pareti buie erano le lenzuola del letto pigiate sui suoi occhi.
  
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