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Autore: LadySherry    27/01/2013    3 recensioni
Ogni volta che decidi, perdi qualcosa.
Quando arrivi alla conclusione che la vita non è altro che un insieme di decisioni prese per ipotesi, capisci che non poteva andare in modo diverso. E quando, alla fine, ti si presenta davanti l'occasione di riscattarti, qualcuno inciampa nei tuoi passi e cambia la direzione. Non sai dove stai andando, eppure vai lo stesso. Andresti anche ad occhi chiusi perchè hai la sensazione di sapere esattamente dove quella strada ti porterà.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uno

 

 

Guardo il sole che splende fuori dalla finestra e intravedo l'oceano cristallino illuminato da quei tiepidi raggi che mi scaldano appena le guance. Los Angeles è una grande città, così grande da far venire il mal di testa solo a immaginarla. Chi l'avrebbe mai detto che sarei finita qui? Io, proprio io, sì. Io che nonostante maledissi ogni cinque secondi il piccolo paesino che una volta era casa mia, ora mi trovo spaesata e confusa all'idea di vivere qui per i prossimi mesi. In fondo, però, non posso lamentarmi. Ho una casa bellissima, rigorosamente con giardino e piscina perchè qui “la gente a posto” fa così. Ho un cane che ogni vota che mi vede fa i salti di gioia e due genitori che fortunatamente credono ancora nel loro futuro come famiglia unita.

Guardarli mi ricorda tante cose. Ripenso a quando Bill si fermava dopo scuola a casa mia e ogni volta mi ripeteva quanto fosse felice per me, quanto amasse il fatto che avessi alle spalle una famiglia stabile. Tom è sempre stato quello un po' più duro, un po' più rigido, ma in fondo io e lui siamo sempre riusciti a capirci.

«Virginia, io e papà usciamo a fare la spesa. Il frigo è già incredibilmente vuoto!».

Mi volto e vedo mia madre affacciata alla porta, con un sorriso che sfiora la gioia e la voglia di piangere.

Sorrido, divertita. «Tanto lo so che ami da impazzire i market americani!».

Scrolla la testa, ormai arresa. «Ci vediamo dopo!».

La saluto con un gesto della mano e mi butto sul letto a pancia in giù.

Chissà che stanno facendo.

Chissà che stanno facendo.

Me lo chiedo spesso, da quando sono qui. Di solito, quando questi pensieri mi affollano la testa, ho la sempre la tentazione di prendere la borsa e catapultarmi fuori alla ricerca di quei due deficienti. Poi mi fermo, a un passo dalla porta, dandomi della scema e riponendo chiavi e borsa sulla mensola.

Dopotutto non dovrei farmi tutti questi problemi. Los Angeles è una grande città, è immensa, piena di gente. Se li trovassi sarei veramente...sfigata. Sì, sfigata è la parola giusta. Le probabilità di incontrarli sono due su cento milioni, quindi voglio sperare di non avere nulla a che fare con loro.

Mi concentro sulla scuola. Domani comincio. L'idea non mi diverte nemmeno un po', ma in un modo o nell'altro dovrò pur finire il liceo, no?

Sospiro.

Ho bisogno di aria, di sentire quel venticello solleticarmi i capelli e le guance. Ho decisamente e oltre ogni modo bisogno di aria.

Salto giù dal letto, infilo le scarpe da ginnastica e senza darmi la possibilità di cambiare idea, esco di casa.

Los Angeles è proprio come la immaginano quelli che la guardano ad occhi sognanti nelle riviste di gossip o nelle agenzie di viaggi. Non è poi niente di così esagerato, a parer mio Miami merita molto di più, forse anche per le temperature più alte.

Mi avvicino al primo chiosco e compro un gelato. E' una delle cose più belle che puoi fare qui, comprare un gelato e passeggiare in riva al mare godendoti il sole, l'acqua che ti bagna i piedi e una sensazione di leggerezza che ti fa sentire libera.

Una ragazza, seguita poi da altre dieci, mi passano accanto correndo e urlando, armate di macchina fotografica e tanta, tanta voglia di urlare. Le guardo stranita, togliendomi gli occhiali da sole per vedere meglio da lontano la situazione.

Un ragazzo alto, molto alto, con affianco una ragazza un po' più bassa, capelli di un rosso che sembrano appena esser stati tinti per sbaglio in una pozza di sangue, troppo eccentrici. Un po' bruttina, ma non importa.

Mi volto a destra e noto un'altra ragazza, sempre con la macchina fotografica in mano, che però ha deciso di rallentare rispetto alle altre in nome della sua salute, soprattutto dei polmoni.

«Ma che succede?» chiedo, curiosa.

Si volta e sorride, quasi sembra riprendersi dallo sforzo della corsa. «Quel...quel ragazzo, io lo sogno da una vita!» esclama, allungando una mano e puntando il dito verso quello che pare un alieno.

«Quel coso con i rasta sparati in un aria da una coda che cammina affianco a Puffetta in rosso?».

«Ah-ah, esatto!»

«GesùGiuseppeMaria» borbotto, schiaffeggiandomi la fronte con una mano, esasperata.

Non ci posso credere.

Non. Ci. Posso. Credere.

«L'hai detto! Piace anche a te? Perchè non sembri molto emozionata!». Mi guarda alzando un sopracciglio, trovando particolarmente ridicola la mia reazione.

Scossi la testa. «No, affatto!» esclamo, cercando di risultare convincente.

«Oh... Be', io sono Katy, tu...?».

«Virginia, piacere» allungo una mano per stringere la sua.

Sorride, appena imbarazzata. «Ecco... Sai, io sono molto timida con i ragazzi. Visto che a te i Tokio Hotel nemmeno piacciono, andresti da Tom a chiedergli l'autografo per me? So che è una richiesta assurda ma...».

Annuisco, anche se poco convinta. «Va bene!».

Afferro il suo blocco con una penna e mi incammino verso il ragazzo accerchiato da mille ragazzine urlanti.

Mi tappo le orecchie, per coprirmi le orecchie da quel suono assordante. Cerco di farmi strada ma è impossibile. Perchè mi sono cacciata in questo guaio? Perchè non sto mantenendo il sano e buon principio di stare lontana da loro?

Abbandono le braccia lungo i fianchi e stringo i pugni, infastiditi.

«Oh, ma insomma! Potete smettere di urlare per almeno cinque secondi?» urlo, attirando finalmente l'attenzione delle ragazzine che smettono finalmente di urlare.

Tom alza lo sguardo dal foglio e sorride appena, quasi a ringraziarmi. Vorrei togliermi gli occhiali, con la speranza che mi riconosca. Vorrei che mi riconoscesse anche con gli occhiali da sole addosso. Ma sono passati troppi anni perchè questo accada.

Finisce di firmare, saluta la ragazza con uno di quei sorrisi che una volta mi facevano girare la testa e si avvicina a me, mantenendo lo stesso sorriso.

Stai calma, Virginia. Respira, dai, puoi farcela.

«Where's your notebook?» mi chiede in inglese.

Sorrido, cercando di stare tranquilla, ed estraggo dalla tasca dei jeans il quadernino.

«Here it is. Please, give me an autograph and tell me why you don't remember who I am» rispondo, senza pensarci.

Sgrano gli occhi, sconvolta anche dal suo sguardo interrogativo.

«Oh, sorry, please, forget what I said!» mi affretto a dire, agitando una mano in aria.

Continua a guardarmi. Decido di togliermi gli occhiali da sole.

Sorride, quasi senza saper bene cosa dire. «Ciao, Virginia».

 

 

 

Note: eccomi! Scusate il ritardo ma ho avuto davvero tanto da fare! Mi scuso in anticipo se nelle frasi in inglese doveste trovare degli errori, ho scritto di getto come le ho pensate :) Spero il capitolo vi piaccia. Fatemi sapere cosa ne pensate! Un bacio, -Sere

  
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