Autore: Avalon9
Genere: Introspettivo,
Malinconico,
Personaggi Principali: Shinichi
Kudo; Heiji Hattori; Kaito Kid; Saguru Hakuba
Altri
Personaggi: un po’ tutti, in verità^^ Ho cercato di creare una storia corale
Rating: Rosso
In proposito: “Ichigo ichie” le sussurrò, uno sbuffo di
riso. Perché poteva essere l’ultima volta. Perché era sempre un’ultima volta. E
aveva imparato a non volere rimpianti.
Uno sparo; un amico ferito; forse una traccia. . Sono passati sei anni da quando Shinichi
a recuperato il suo reale aspetto. Sei anni passati a
scappare dai MIB, vivendo alla macchia. Da solo. Sei anni in cui le vite degli
altri sono andate avanti, mentre la sua si è fermata a quando di anni ne aveva
ancora sedici. Eppure anche lui è cresciuto. E non da solo.
Disclaimer: i personaggi sono di Gosho Aoyama;
la situazione invece la rivendico mia^^
Note:long-fic; post-series
Cose: perché dopo Solo una notte mi è rimasto
il desiderio di riempire gli anni passati sotto silenzio. Perché mi piace
immaginare una complicità fra i Gosho boys che vada oltre all’occasionale collaborazione. Perché,
in attesa del finale (odissiaco) del manga,
immaginarmi un dopo è stato
stuzzicante. Perché li voglio vedere cresciuti, con più sicurezza e più paure.
Ho cercato di rispettare il Canon dei
personaggi, anche se, per esigenze di trama e temporali, alcuni elementi
saranno evoluti. Sì: evoluti. Shinichi, come Ran, come gli altri personaggi non sono più né bambini né ragazzi.
Sono uomini e donne; sono adulti di ventisei anni, con le loro esperienze e le
loro paure. Con i loro sbagli, i loro segreti e i loro
rimpianti. Certe scelte potrebbero non piacere, vi avviso. Con il tempo,
con gli accadimenti, qualcosa potrebbe risultare indigesto.
Ma se avrete pazienza. Chissà.
Il backgorund,
infine. Sono passati sei anni da quando Shinichi a recuperato il suo reale aspetto. Sei anni passati a
scappare dai MIB, vivendo alla macchia. Da solo. Sei anni in cui le vite degli
altri sono andate avanti, mentre la sua si è fermata a quando di anni ne aveva
ancora sedici. Eppure anche lui è cresciuto. E non da solo.
Ultimo appunto: certi fatti saranno accennati
e mai spiegati. Non è una mia pigrizia, ma il fatto che la storia va inserita
in una serie ancora in divenire. Ne ho già scritta una parte Solo
una notte, che cronologicamente di colloca
quasi interamente dopo questa vicenda. Ne sto scrivendo un’altra, che la
precede. Incentrata principalmente su Shinichi e Heiji. Quindi i salti alogici ci
sono. E ne sono consapevole. Ho scelto tuttavia di mantenere quest’andamento diacronico.
Un po’ per comodità. Un po’ perché, con i miei tempi di pubblicazione, non si
sa mai^^
Ichigo ichie
Prologo
Crak.
Pluch.
Shinichi sospirò, mentre osservava le
piccole bollicine condensarsi e scoppiare attorno alla sim, nella fontanella.
Era il terzo telefono che buttava, in tre giorni. E prima di partire avrebbe
dovuto procurarsene un altro.
Ma in fondo andava bene così. Troppo
rischioso lasciarlo acceso o usarlo di nuovo. Appena avesse avuto il nuovo
numero, avrebbe inviato un sms. Veloce, facile e
relativamente sicuro. In definitiva, quello era solo il cellulare per le
emergenze. L’altro, tutto sommato, poteva conservarlo
anche per qualche giorno.
O forse.
Lo estrasse dalla tasca, ricalcolando velocemente da
quanto lo possedesse. Giovedì sarebbe stato un mese. Troppo. Realizzò arricciando le labbra. Troppo tempo.
Staccò la cover, tolse la batteria e la sim e la spezzò.
Lo avrebbe lasciato in un cestino vicino a un centro per auto a noleggio.
Doveva essercene uno, lungo la strada, se ricordava bene. Se fosse stato in
qualche modo tracciato, sarebbe riuscito a depistarli per un po’ almeno.
Dopo quello che era successo,
dovevano essere in allarme.
Alzò il bavaro della giacca e si incamminò verso l’uscita del parco. La linea Kintetsu distava circa 20 minuti a
piedi; poteva arrivarci come un normale turista, senza destare sospetti.
Con noncuranza, finse di fermarsi a controllare
l’apparecchiatura fotografica. I piccoli gruppi che lo superavano sul
lastricato del tempio gli consentivano di confondersi senza necessità di
particolari accorgimenti.
Nel doppio fondo, trovò il passaporto e la carta
d’identità, assieme ai soldi per le emergenze. Perfetto si compiacque. Saizo Fukura sarebbe scomparso dalla sua stanza d’albergo,
lasciandosi dietro una valigia con pochi vestiti dozzinali e nessun appunto.
Difficile che alla reception ricordassero il suo volto, e dalle poche
telecamere di sorveglianza gli inquirenti avrebbero potuto al massimo ottenere
alcuni sfuocati fotogrammi dei cappellini che indossava.
Sostituì i documenti nel portafogli.
Teika Ishii
avrebbe lasciato il tempio Todaiji abbandonandosi
alle spalle un mucchietto di plastica bruciata dall’odore fastidioso.
Avrebbe preso l’espresso Kyuku.
Controllò l’ora e con un rapido calcolo si convinse che, senza correre, sarebbe
riuscito a prendere il prossimo treno per Kyoto. Quarantacinque minuti. In quarantacinque minuti sarebbe stato
nell’antica capitale, senza inconvenienti. A Yamato Saidaiji avrebbe dovuto cambiare, ma con il
JR ci avrebbe messo lo stesso tempo. Non
conviene. Avrebbero controllato la linea più veloce, era prevedibile.
In fondo, se era riuscito a sfuggir loro così a lungo lo doveva anche al basso profilo che continuava a
tenere.
Fa niente.
Doveva solo cercare di arrivare. Vivo e senza inseguitori,
possibilmente.
A Kyoto avrebbe solo dovuto prendere il JR
per Osaka. Altri trenta minuti. E
poi. Shinichi socchiuse gli occhi, aggiustandosi gli occhiali da sole e la
visiera del cappellino. Non era una bella giornata. Il cielo era basso e
grigio, con un sottile vento che pungeva il viso. Avrebbe dovuto liberarsi
anche di quei vestiti. Appena arrivato a Osaka. Forse ancora a Kyoto sarebbe
stato meglio.
Non ho tempo si ricordò, schivando alcuni
bambini che gli correvano incontro. Non
ho tempo si ripetè, costringendosi a ordinare i
pensieri in modo logico, cercando di non pensare al dopo. A quello che avrebbe potuto trovare una volta arrivato a
Osaka. O a quello che non avrebbe
potuto trovare.
Kuso.
Doveva aspettarselo. Prima o poi
sarebbe successo. Ma pensarci in quel momento; pensarci
mentre l’unica cosa importante era salire su quel maledetto treno senza
attirare l’attenzione; pensarci mentre doveva solo preoccuparsi di non lasciare
tracce.
Kuso
imprecò di nuovo. Questa me la paga.