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Autore: Hypnotic Poison    22/08/2007    7 recensioni
Erano sei anni che poteva considerare la sua vita – quasi – normale. Anche se di cose ne erano cambiate parecchie. [...]
« Beh! Che c’è, non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa ci fai tu qui! »
[...]
« Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. » [...]
« Ora voi parlate. E vi conviene dire tutta la verità. »

[ATTENZIONE: STORIA IN REVISIONE. Aggiornati al 04/02/2024: 1-18]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter Thirteen – Tonight is gonna be the loneliest

 

 

 

 
 
 
 
 
 
Aveva capito fin da subito che avrebbe replicato quel momento nella sua testa fino all’ultimo dei suoi gironi. Per capire dove aveva sbagliato. Per capire se avrebbe potuto fare qualcosa. Per flagellarsi di non esserne stato capace.
Il rumore della pioggia che attutiva gli stridii dei punti in cui le sue lame collidevano con quelle del nemico.
Il richiamo intimorito di MewPurin che sembrava aver distratto pure Kert, e lui gli si era lanciato all’inseguimento quando si era allontanato più del previsto, perché non si era mai tirato indietro da un duello, non avrebbe mai mollato così facilmente.
Il fischio, fuori luogo, irriverente, quella gelida soddisfazione negli occhi, seguito da quel colpo che avrebbe dovuto aspettarsi – come aveva potuto cadere nella trappola? – ma che li aveva disorientati tutti, travolgendoli, disorientandoli, il fragore così sordo contro al terreno, l’aria che si era fatta ancora più densa e irrespirabile.
Il filo di terrore a perdere il controllo per istanti che mai erano stati così preziosi.
Minto che chiamava Ichigo. Minto che chiamava lui.
Minto che…
Ci aveva impiegato la frazione di un istante a rendersene conto.
Il para para gli spuntò in mano prima che potesse comprenderlo.
Nemmeno un briciolo della rabbia che provava fu sprigionato nell’urlo belluino che gli raschiò la gola.
Ignorò il singhiozzo che percepì univoco salire dalle gole delle altre, voltandosi lentamente verso il Caffè con il respiro mozzato dalla bile che continuava a ribollirgli nell’esofago.
L’avrebbe ucciso.
Se anche solo l’avesse…
Non sarebbe rimasto neanche un pezzetto di lui.
Vide Shirogane, anche lui già bagnato come un pulcino, avvicinarsi tentennante a Ichigo, ancora trasformata ma in ginocchio per terra, il viso nascosto tra le mani, scuoteva la testa e sembrava trattenere i singulti.
Non c’era tempo da perdere, doveva…
Senza neanche pensarci, senza che il suo cervello dovesse anche solo decidere, scese velocemente a mezz’aria e intercettò l’americano a metà strada, afferrandolo per il bavero della camicia e sollevandolo per sbatterlo con un ringhio contro al muro del locale, così veloce che non fu nemmeno sicuro che l’umano avesse notato il movimento.
« Adesso tu usi quel tuo cazzo di bel cervellino per ritrovarla, » latrò, dimentico di ogni buona maniera, di ogni incerto rapporto, ignaro anche del senso di colpa e della preoccupazione visibile negli occhi azzurri confusi e sgomenti.
Ryou gli afferrò i polsi e cercò di scrollarselo di dosso, l’orgoglio ferito anche dal respiro che gli aveva strappato, ma fu Taruto il primo a raggiungere Kisshu e scollargli le dita dal colletto.
« Ehi, ehi, manteniamo la calma, » esclamò a voce rotta, il viso attraversato da un’ombra, « Non è certo colpa di Shirogane. »
« È colpa mia, » continuò a singhiozzare Ichigo, alzandosi su gambe incerte, « L’ho sentita chiamarmi, ma… non si vedeva niente e – »
Zakuro le fu accanto per aiutarla a raddrizzarsi: « Non è colpa di nessuno, se non dei Geoti, » cercò di tranquillizzarla, nonostante il gelo nelle sue parole, « Ora concentriamoci sul riportarla a casa. »
Si scambiò uno sguardo con Ryou, che aveva rimesso insieme i pezzi di ciò che era successo. Lui annuì piano e si allontanò da Kisshu, neanche così poco sottilmente, mentre si riaggiustava la camicia:
« Torniamo dentro, proviamo a rintracciare il segnale del suo ciondolo. »
Pai, il ventaglio ritornato a dimensioni normali che pendeva mollemente al suo fianco, ritenne più saggio non rammentare che non avevano avuto un briciolo di fortuna a intercettare attività dei loro nemici, vista l’espressione omicida del fratello, ancora nella presa di Taruto; fece quindi un cenno con il mento: « Dovrebbe avere avuto con sé anche il nostro comunicatore. Se ha passato qualsiasi barriera protettiva hanno instaurato – »
« Cos’è, vuoi sfruttare la situazione, ora? Usarla come spia? »
Le mani di Taruto si contrassero attorno alle spalle di Kisshu mentre le iridi ametista guizzavano più scure: « Sai benissimo che non intendevo quello. Il segnale dei nostri congegni è solo più stabile, tutto qua. »
« Non preoccuparti, nii-san, mi meraviglierei se la nee-san non gli avesse già fatto saltare per aria mezza base, » Purin tentò di rivolgergli un sorriso convinto da sotto la frangetta inzuppata, « Se ci asciughiamo anche noi un secondo poi… »
« Voi fate come cazzo vi pare, » Kisshu riuscì finalmente a togliersi il fratello minore di dosso e strinse la presa sui sai, « Io vado a cercarla. »
« Kisshu-san, aspetta, non sap – »
Il richiamo di Retasu cadde addosso a orecchie sorde, perché neanche una frazione di secondo e il fruscio del teletrasporto vibrò sotto il rumore della pioggia.
 
 
 
 
« Lasciami! Tu… pezzo di – »
 Un’esclamazione in una lingua che non comprese, poi MewMinto avvertì tutta l’aria scapparle dai polmoni quando la gravità pesò su di lei e la fece atterrare di schianto su un pavimento gelido, la sua schiena – le sue povere ali – che contemporaneamente si spiaccicò contro un muro.
Boccheggiò e tentò, nella penombra, di mettere a fuoco la figura che la sovrastava, decisamente più massiccia da così vicino, e che si piegò su di lei abbastanza velocemente per toglierle l’arco prima che lei potesse anche solo iniziare a comprendere del tutto cosa stesse succedendo.
« Per essere così mingherlina, hai la mano pesante, » borbottò la figura con forse una punta di soddisfazione, mentre si massaggiava il costato, « Questo giocattolino adesso lo prendo io. Vediamo se ti passa un po’ la voglia di essere riottosa. »
MewMinto riuscì a riprendere il controllo dei propri polmoni e tentò di tirarsi in ginocchio, l’adrenalina che le pompava il cuore a mille, ma era fradicia, stanca, completamente disorientata, e non poté far altro che guardare la porta – la porta?! – chiudersi alle spalle del suo rapitore.
Perché quella era la situazione, in quel momento.
Le ci volle qualche altro secondo in cui si impose di prendere dei respiri profondi per non cedere alla crescente trappola del panico.
Non perdere la testa, non perdere la testa, non ne ricavi nulla.
Le scappò comunque un gemito tra i denti quando finalmente riuscì a tirarsi in piedi, sostenendosi contro al muro; tra la battaglia appena conclusasi e la botta contro al muro, poteva già sentire tanti piccoli dolorini fare capolino in vari punti del corpo. Torse appena il collo per controllarsi le ali, tastando con prudenza, ma con sollievo le vide solo un po’ ammaccate, nonostante i graffi che percepiva sotto le dita guantate.
Prese l’ennesimo respiro, raddrizzò la schiena, e si scostò i capelli grondanti dal viso, osservando meglio l’ambiente circostante. Era già scesa la sera e il temporale, che continuava a tuonare lì fuori, contribuiva a rendere l’atmosfera ancora più cupa, ma era decisamente rinchiusa in una camera da letto vistosamente elegante ma dall’aspetto trasandato, come se non ci avesse vissuto nessuno per anni. Solo un baldacchino coperto da lenzuola ingrigite era presente, nessun altro pezzo di mobilio a parte le spesse tende di velluto che coprivano le tre alte finestre. Minto vi si avvicinò subito, alla ricerca di qualsiasi altro indizio su dove potesse essere finita, ma quando le scostò non vide altro che una densa nebbia buia, che si muoveva indolentemente in pigri vortici.
Era forse quella maledetta barriera che rendeva impossibile localizzare i loro nemici?
Sentì il cuore risalirle in gola, che si fece all’improvviso più stretta. Si allontanò dalle finestre e andò a tentoni verso la porta mentre l’oscurità si faceva più pesante.
« Voi! Lasciatemi andare! » gridò con quanto fiato le era rimasto, battendo i pugni contro al legno spesso, « Cosa volete da me?! Codardi! Fatemi uscire! »
Strillò e batté finché non le dolsero polmoni e mani, ma non udì nemmeno il sibilo dell’aria oltre l’uscio.
S’impose di deglutire un altro singhiozzo che le gorgogliò in petto e ritornò in un angolo, accasciandosi di nuovo contro al muro quando le cedettero, infine, le gambe.
L’aria nella stanza non era fredda, ma lei era così inzuppata che i tremolii non ci misero molto ad
aggredirla.
Non perdere la testa. Pensa.
Ma solo un nome le risuonò in testa mentre raccoglieva le ginocchia al petto e vi nascondeva il viso, incapace di lottare oltre contro le lacrime.
Kisshu…
 
 
 
 
Rui sbucò nel corridoio principale in una furia di passi pesanti e un turbinio di gocce bagnate che lasciarono una scia gelida attorno a sé.
« Dov’è, » ringhiò, quasi scagliando via la propria arma.
Espera gli corse incontro, osservando preoccupata la compostezza abbandonata per un’espressione furibonda, i capelli fradici che scappavano dal nastro di pelle: « Cos’è successo?! »
Lui non le rispose e continuò a marciare per il corridoio; Pharart e Zaur apparvero pochi istanti dopo di lui, ed Espera rivolse loro con gli occhi la stessa domanda. Il biondo, però, si limitò a fare un cenno di diniego con la testa, così la ragazza si accodò a loro.
Nello stesso istante, Kert sbucò da uno dei corridoio laterali con tutta la calma del mondo. Espera non fece in tempo a corrucciarsi, stupita – eppur non troppo – dal fatto che non fossero tornati insieme, quando Rui quasi gli si lanciò contro con un ruggito, e fu probabilmente solo perché Zaur lo trattenne per una spalla che non afferrò il fratello per il collo.
« Qual è il tuo diavolo di problema!? »
Kert gli rivolse un sorriso irriverente e sventolò l’arco blu che teneva in mano, che sembrava aver perso la brillantezza che lo circondava: « Si dice prego, fratellino. »
« Prego un cazzo, » insistette, « Hai fatto tutto di testa tua, come al solito! Cosa ti salta in mente?! »
« Questa l’ho già sentita, » quasi passando attraverso il muro, Sunao spuntò con una piccolissima agitazione nell’aria, « Sarebbe questa la vostra maniera di fare rapporto dopo un attacco? »
« Chiedilo a lui com’è andata, » ribollì Rui, mente il fratello alzava gli occhi al cielo, « Chiedigli perché per l’ennesima volta ha fatto come gli pareva e ora abbiamo un ostaggio. »
Sunao sbatté le palpebre, l’unico segnale della sua sorpresa: « Hai portato qui un’umana? »
« Non è un’umana qualunque, non so se l’avete inteso. Così finalmente saremo in grado di capirci un po’ di più su quelle tizie, non capite? »
Zaur piegò appena il capo, come non potendogli dargli torto, ma Rui persistette a guardarlo con scetticismo:
« E cosa avresti intenzione di fare? »
« Intanto, lasciare cuocere l’uccellino un po’ nel suo brodo. Vedi se questo può essere interessante, » lanciò l’arco a Pharart, che lo prese un po’ dubbioso, « Poi, domani, con calma, potremmo valutare quanto la solitudine le abbia fatto venire voglia di cantare. Abbiamo anche un’ospite che potrebbe darci una mano. »
Sunao alzò appena un sopracciglio: « Per quanto apprezzi la tua stima, Tha, sono fisicamente a una distanza troppo grande per poter usare i miei poteri su di lei. Dovrete farlo alla vecchia maniera. »
Kert si strinse nelle spalle: « Poco male, c’è sempre Zaur. Non dite che non era un’occasione troppo ghiotta per non essere sprecata, io mi ero rotto il cazzo di osservare quelle tizie da uno schermo senza capirci niente. Dobbiamo ottenere tutti i vantaggi possibili, no? »
Rui si scrollò finalmente Zaur di dosso: « Delle tue ideone dovresti prima parlarne con me. »
Lui non sembrò turbato dal sibilo del fratello: « Ho sfruttato il momento migliore. E comunque – »
Il rumore dei battiti contro la porta e delle grida della loro prigioniera rimbombarono per il corridoio, interrompendolo. Espera oscillò pericolosamente per qualche istante, il viso che le divenne verdognolo, e mormorò qualcosa di incomprensibile.
« Dovevi proprio portarla qua? » Rui ringhiò a bassa voce, lanciandole un’occhiata preoccupata.
Kert rispose alzando gli occhi al cielo: « Oh, perdono, aspetta che vado a costruirmi un altro campo base lontano dalla principessina bisognosa. »
« Non ti azzardare, » il fratello fece un altro passo avanti e gli puntò contro l’indice, gli occhi blu che fiammeggiavano di rabbia, « Sei a tanto così da passare il segno. »
L’altro non nascose il ghigno di stizzoso divertimento: « Se vuoi lascio a te l’onore del primo giro. »
Il minore fece schioccare la lingua, e gli diede le spalle per confortare invece Espera, che aveva iniziato a respirare in pesanti boccate che parevano vuote.
« Non la possiamo lasciare là… così, » mormorò a bassa voce, scuotendo la testa, « Ha… freddo, e paura, e… »
« Non siamo in un lussuoso luogo di ristoro. Siamo in guerra. »
Espera lo guardò con stizza: « Sì, ma - »
Rui la interruppe prendendole il viso tra le mani e annuendo: « Non verrà trattata in maniera degradante. »
Kert alzò di nuovo gli occhi al cielo, contenendo uno sbuffo: « È nella stanza più in fondo al corridoio. Ma ci posso entrare solo io. »
Questa volta fu Pharart a sgranare gli occhi verso l’amico, più spazientito che curioso: « Seriamente? Era a questo che ti serviva il dispositivo di isolamento? »
Kert rispose con una scrollata di spalle, poi accennò verso Espera: « Abbiamo testato che anche questo non serve a nulla con lei. »
Rui emise un altro mezzo ringhio, e Sunao si fece avanti prima che la situazione degenerasse ancora, lanciandosi i capelli dietro la spalla: « Sia come sia, sappiate che non ho voglia di riportare al Consiglio che non c’è equilibrio all’interno della missione. Quindi vedetela di risolverla in fretta. »
« Chiedigli se non è stata un’idea geniale. »
Gli occhi violetti incontrarono spazientiti quelli dorati: « Non tirare troppo la corta, Tha. »
« Buona fortuna a farti ascoltare, Sunao, » Rui spinse gentilmente Espera verso il salotto e fece per seguirla, non prima di sibilare con alterazione verso il fratello, « Spera solo che questa tua idea geniale non ce li faccia piombare tutti in casa. Magari abbiamo avuto solo fortuna, fino ad ora. »
Kert rimase di sale, l’espressione impassibile e le braccia incrociate mentre lo osservava andarsene insieme agli altri.
« Rui, » lo chiamò appena prima che girasse l’angolo, e lui lo guardò appena da sopra la spalla, « Era la stanza più lontana che ci fosse. »
Gli occhi blu lo scrutarono per un secondo, prima di voltarsi senza aggiungere altro.
 
 
 
 
Keiichiro passò l’ultima tazza di tè bollente a Zakuro, la quale lo ringraziò con un impercettibile cenno del capo. Lui e Shirogane li avevano praticamente costretti a dedicarsi una doccia rovente, nonostante le proteste delle ragazze contro il perdere del tempo prezioso, ma visto il tremolio ancora persistente nelle dita, sapeva che avevano avuto ragione. Un’intera squadra ancor più sottotono non sarebbe servita decisamente a nulla.
« Potresti… raccontarmi di nuovo cos’è successo? »
Le Mew Mew, i capelli arruffati dagli asciugamani, si strinsero ancora un po’ di più tra loro, e Ichigo deglutì sonoramente mentre chiudeva gli occhi.
« Lei era… vicino a me, » pigolò con un brivido, « Stavamo affrontando Rui insieme a Taruto, a un certo punto abbiamo sentito Purin gridare… e… non ho nemmeno capito cosa stesse succedendo perché poi c’è stato quel botto, e non si vedeva più niente… lei mi ha chiamata, ho cercato di raggiungerla, però… »
« Avrei dovuto estendere la barriera più in là, » soffiò a denti stretti il più giovane degli Ikisatashi, « Forse non avrebbe… »
« Non potevi fare nulla contro l’effetto sorpresa, » tentò di rincuorarlo Zakuro, « Né potevamo aspettarci che quell’alieno avesse simili poteri. »
Retasu tremò visibilmente al ricordo: « È stato come se… come se non ci fosse più ossigeno. Come se non ci fosse più nulla. Neanche un’emozione. »
Ichigo girò di scatto il viso verso di lei mentre sgranava gli occhi: « L’aveva già fatta, la… la cosa dell’aria, durante il nostro primo scontro. Come se ci fosse qualcosa che mi strangolava, anche se in realtà non era niente di reale. Ma le sensazioni… »
« È successo quando mi è arrivato davvero vicino, » continuò la verde con un filo di voce, « Forse c’è un limite a ciò che riesce a fare. »
« È un’informazione preziosa, » constatò gelido Pai, l’orgoglio ferito alla consapevolezza che c’era cascato pure lui, « Sappiamo che dobbiamo stargli lontano. Possiamo studiare strategie più dettagliate. »
Ichigo soffiò tra i denti: « In questo momento dobbiamo pensare ad altro. Non so se vi rendete conto che – »
« We know, Ichigo, » tagliò corto Shirogane, facendola corrugare appena la fronte, « Ma ogni dettaglio in più può essere fondamentale. »
Lei si limitò ad osservare la schiena del marito, già impegnato a digitare forsennatamente sulla tastiera.
« Cosa possiamo fare noi? » domandò afflitta Purin, per una volta assolutamente senza energia.
« Per ora, riposatevi, » rispose comprensivo Keiichiro, rabboccando le tazze di tè, « È tardi, siete tutte fisicamente e mentalmente distrutte. Mangeremo qualcosa, nel frattempo noi continueremo a lavorare. La troveremo in fretta, vedrete. »
La biondina annuì, decisamente poco convinta, e non disse nulla mentre tirava su con il naso.
L’occhiata che Pai si scambiò con il fratello minore sottolineò come anche lui non fosse del tutto sicuro delle affermazioni del suo collaboratore.
Ichigo si sciolse dall’abbraccio delle amiche e sospirò sottovoce: « Vado a dar da mangiare a Kimberly e la cambio per la notte. »
Il passeggino della bimba, che gorgogliava tranquilla, era parcheggiato quanto più vicino all’ingresso del laboratorio, così che fosse disturbata il meno possibile. La rossa sorrise spontaneamente a vederla, nonostante lo strattone al cuore, e si strinse la figlia al petto con più forza del solito, prendendosi un istante più lungo per annusare il suo profumo dolce.
« Ehi, » avvertì Ryou raggiungerla ancora prima che posasse la mano sull’incavo della sua schiena, « Scusami, non volevo scattare prima. Ma… »
« Lo so, » Ichigo sospirò e si poggiò a lui, continuando a cullare Kimberly, « Non posso crederci che stia succedendo davvero. »
Il marito le accarezzò una guancia: « Vuoi che sentiamo se i tuoi possono venire a prenderla? »
« No, » rispose quasi senza fargli terminare la domanda, scuotendo la testa con decisione, « Ho bisogno più che mai di sapere che c’è, che è qui con me. »
« D’accordo, » le lasciò un bacio tra i capelli e poi accennò ai computer, « Se hai bisogno con lei, chiamami. »
La rossa scosse di nuovo il capo: « Noi ce la caviamo. Tu vai a cercare Minto. »
Lui annuì e si risiedette accanto a Pai, mentre Ichigo si allontanava lentamente verso il piano superiore.
L’ora successiva passò in un semi-totale silenzio, interrotto solamente dal ticchettio delle tastiere, dal ronzare dei computer e dai fugaci sospiri delle ragazze, che praticamente non si scambiarono una parola. Come se interrompere la concentrazione dei tre scienziati non potesse che aggravare una situazione già degna dei loro incubi.
Solo quando lo stomaco di Purin brontolò rumorosamente, Keiichiro si concesse un sorriso un attimo più rallegrato: « Non preoccuparti, sta arrivando la cena. »
Il cellulare di Zakuro vibrò in quell’istante, ma lei stessa era così frastornata che le ci volle qualche secondo per comprendere il contenuto del messaggio.
O per focalizzare appieno sul fatto che, dopo una rapida bussata, Joel comparve sull’uscio del laboratorio, con indosso un impermeabile grondante.
« Hiya, » strascicò, sollevando una larga borsa di carta che emanava un profumino promettente, « I brought supplies. »
Zakuro s’impose di ignorare l’occhiata indagatoria che si scambiarono le altre ragazze, e lasciò che fosse Keiichiro stesso ad andare incontro al texano per ringraziarlo. Confabularono per qualche istante, poi il moro sparì dietro l’angolo per andare in dispensa a recuperare tovagliolini e piatti extra.
« Ciboooo! » cercò di canticchiare Purin, ma le uscì piuttosto un mormorio poco convinto cui Retasu e Taruto tentarono di rispondere con sorrisi abbozzati.
Joel distribuì a lei per prima l’hamburger avvolto in una carta oleosa, sprigionando ancora più aroma di prima, e in effetti il colorito della mewscimmia sembrò riprendersi un poco non appena ebbe dato il primo morso, azzannandolo con più convincimento poi.
La busta fu svuotata velocemente, e infine l’americano si fermò davanti alla modella con un sorriso genuino: « Told you we’d make dinner anyways, » scherzò, passandole l’ultimo panino, « I’m sorry, though. »
Zakuro lo afferrò lenta, continuando a ignorare gli sguardi curiosi delle amiche che facevano finta di nulla, e annuì. Non aveva voglia di mangiare né tantomeno di spiegare, ma sapeva che sprecare forze necessarie non sarebbe valso assolutamente a nulla.
« Shirogane mi ha chiesto di darvi un’occhiata, » continuò lui in inglese, accennando allo zaino che portava in spalla, « In caso vi siate fatte male. »
Lei piegò appena un sopracciglio verso il biondo, la pelle giallastra sotto il riflesso del computer: « Cortese, da parte sua, » mormorò solo.
A Joel non sfuggì la vena di sarcasmo, ma le rivolse solo un sorriso più convinto: « Traduci tu? »
 
 
 
 
Saettò ancora una volta quanto più possibile per non essere visto tra i palazzi, al tempo stesso cercando di percepire ogni singolo dettaglio.
Sapeva che era inutile (chi mai avrebbe scelto il centro della città come covo?), ma non poteva starsene fermo. Avrebbe cercato ogni singolo centimetro quadrato di Tokyo e dintorni pur di trovarla il prima possibile.
Dove sei?
Tese ancora i sensi, come se avesse potuto avvertire il suo profumo o udirla chiamare il suo nome – non avrebbe mai dimenticato come l’aveva chiamato in quell’istante – sotto il rumore incessante della pioggia e del traffico sotto di lui. Il connettore nella sua tasca, invece, rimaneva silenzioso tranne per gli sporadici richiami di Pai, che gli intimava di non fare il deficiente e di ritornare al Caffè.
Come se suo fratello non avrebbe smosso mari e monti per Retasu.
(Forse tuo fratello non avrebbe mai lasciato che ciò accadesse a Retasu).
Digrignò i denti e scartò a destra, in direzione di un parco buio e desolato, vista l’ora e il tempaccio. Si stava imponendo di non pensare alla possibilità che davvero i loro nemici avessero la capacità di creare dimensioni alternative, come avevano fatto loro tutti quegli anni prima; non riuscire a trovarli sulla Terra era un conto, non riuscire a trovarli nel caso in cui potevano nascondersi tra le pieghe dell’universo…
Dove sei?
Solo quando fluttuò pericolosamente verso il basso si rese conto del gelo che provava fin nelle ossa e della stanchezza che gli faceva vedere doppio.
Solo mezz’ora, si disse, per riscaldarsi e bere un caffè, poi avrebbe ricominciato. Non era quello il momento di mollare.
Prima di poter ripensarci, si teletrasportò nel salone principale del Caffè; il calore del locale fu un balsamo per le sue membra stanche, ma il sottile chiacchiericcio che proveniva dal seminterrato, unito all’odore di cibo, gli fecero ribaltare lo stomaco.
Non prese neanche le scale, ma di nuovo si fece comparire vicino all’entrata del laboratorio.
« Bene, bene, » gli uscì con più cattiveria di quanto aveva inteso, ma provò una sensazione di crudele soddisfazione quando li vide sobbalzare tutti con aria colpevole, « Vedo che qua ce la spassiamo. »
Zakuro lo guardò con gelida ragione: « Dobbiamo mangiare in ogni caso, Kisshu. Nessuno di noi si sta divertendo. »
« Nessuno di voi sta facendo un cazzo, » reiterò lui con veleno, noncurante delle espressioni afflitte delle Mew Mew, « Mi sembrate tutti abbastanza al calduccio. »
« Non è vero e lo sai benissimo, » ribatté Taruto, spostandosi leggermente davanti a Purin, « Ma mettersi a marciare alla cieca sotto un temporale – »
« Cos’è, non ne vale la pena? »
« Adesso piantala, » Ichigo strillò, guardandolo con gli occhi pieni di lacrime, « Non stai male solo tu, sai? E fare lo stronzo non aiuta certo la situazione. »
« Dubito che tu possa capire. »
La rossa si alzò di scatto dal divano, Ryou insieme a lei, mentre Kisshu ringhiava cupo.
« Cosa staresti insinuando!? »
« Non è il momento di fare il cavaliere, biondino, rimettiti a - »
« Basta. »
Zakuro comparve tra di loro veloce come un lampo, una mano testa in fronte al petto dell’alieno e l’altra più rassicurante sulla spalla di Ichigo.
« Darsi addosso in questa maniera non riporterà Minto a casa, » lo ammonì severa, guardando anche la rossa di sbieco, « Sono la prima a volerla ritrovare, ma dobbiamo mantenere la lucidità e agire razionalmente. »
« Stiamo davvero facendo tutto il possibile, Kisshu-san, » Keiichiro s’intromise pacatamente, annuendo, « Tutti i nostri sistemi sono accesi e sincronizzati, e stanno scannerizzando ogni angolo della città. »
Kisshu fece per ribattere di nuovo, ma un’ennesima occhiataccia della mewlupo lo fece desistere; lei poi afferrò un asciugamano dal bracciolo del divano e glielo porse, forse con un po’ troppa decisione:
« Asciugati e mangia qualcosa. Non appena avremo recuperato le forze, usciremo a cercarla anche noi. »
Lui lo afferrò senza aggiungere niente e si diresse all’altro divano, lanciando solo uno sguardo che sperò essere sufficientemente di scuse a Ichigo, notando solo in quel momento i suoi occhi gonfi di pianto che lo guardarono con stizza residua mentre anche lei ritornava al suo posto.
Shirogane non gli risparmiò un’occhiataccia cauta, ma si risedette alla scrivania senza una parola, le spalle che si incurvarono più del solito. Kisshu lo ignorò, come ignorò la vocina che gli suggerì che a un certo punto forse avrebbe dovuto scusarsi per averlo appeso al muro, ma non era decisamente dell’umore per essere educato.
Si sfregò i capelli sovrappensiero, trovando odioso, in quel momento, pure quanto fosse soffice e profumato l’asciugamano. Una parte di lui – seppur piccola – gli sottolineava come non fosse razionale, ma il suo essere gli stava ricordando crudele come non si meritasse niente di tutto ciò; non si sarebbe dovuto fermare, non avrebbe dovuto crogiolarsi al calduccio né riscaldarsi con una morbida salvietta.
Perché a Minto non stava venendo concesso lo stesso trattamento, ne era certo.
E lui, per la seconda volta, non era riuscito a salvare in tempo la persona che amava.
Registrò appena Retasu che gli comparve davanti con una tazza di caffè fumante e un involucro unto e ancora tiepido, quasi mettendoglieli in mano con l’abbozzo di uno dei suoi sorrisi dolci. Kisshu mangiò più per automazione che per vera fame, il cibo come cenere sul palato, ma il calore del caffè servì almeno a non farlo precipitare nel baratro più buio.
Dove sei?
 
 
 
 
« Ragazze, mi sentite? C’è nessuno? Shirogane? Kisshu? Pronto? »
Con un sospiro stanco, Minto ripose il suo pendaglio, niente più che un inutile fermaglio ora, e rabbrividì di nuovo, accovacciandosi un po’ di più su sé stessa. Era ancora nella sua forma Mew, e nonostante la facesse sentire più in controllo di sé, le sue ali erano ancora umide e il suo costume pareva non avere intenzione di asciugarsi; per non parlare dei suoi capelli, una massa gelida e tesa che le pesava sul capo insieme alla stanchezza e all’angoscia.
Aveva continuato a cercare di mettersi in contatto con gli altri a intervalli regolari, parlando sottovoce e al tempo stesso il più vicino possibile al microfono, utilizzando sia il suo ciondolo Mew che il connettore degli Ikisatashi, ma ogni suo tentativo era stato vano e ormai ne aveva perso il conto. L’oscurità nella stanza si era fatta più intensa, interrotta soltanto dagli occasionali lampi del temporale che ancora rombava e che spingeva un fastidioso rivolo di aria fredda attraverso chissà quale fessura. Eppure, lei non percepiva nessun altro rumore, nemmeno il minimo accenno di uno scricchiolio, il rimbombo di un passo, il soffio di un passaggio. Era praticamente certa che fosse colpa di quella strana nebbia che aleggiava fuori dalla finestra e che assorbiva i suoni, oltre che a renderle impossibile capire dove fosse, quanto tempo fosse passato, cosa stesse succedendo.
Solo i tuoni, e niente altro, in un silenzio ovattato e opprimente.
Neanche quando una coperta e una ciotola di un qualcosa che non sapeva definire erano apparse come per magia nella stanza si era levato un cigolio.
Alla coperta aveva ceduto, la pelle troppo increspata dalla pelle d’oca e dai brividi per pensare lucidamente. Stava invece continuando a fissare la scodella con sdegno, nonostante vi si levasse un profumino delizioso che però non riusciva a riconoscere. Non poteva assolutamente fidarsi: chissà quale intruglio vi era stato mischiato, non poteva rischiare di essere avvelenata, o stordita, o peggio ancora…
Scosse la testa e ignorò puntualmente il crampo del suo stomaco, che reagiva involontario all’odore invitante di strane spezie e alla promessa di un po’ di calore in più. Si strinse solo la coperta addosso e poggiò di nuovo la testa sulle ginocchia, ricominciando a contare i propri respiri.
 
 
 
 
« Quasi encomiabile, la sua testardaggine, non trovi? »
Sunao gli comparve a fianco senza il minimo preavviso, e Kert fece schioccare la lingua, irritato: « Pensavo fossi troppo lontana. »
« Non ho bisogno dei miei poteri per capire cosa ti passa per la testa. »
Kert le rivolse un’occhiata scocciata: « Ficcanaso. »
Lei rise cristallina, poi si controllò un’unghia: « Cinque umani e tre Duuariani, che immagino avranno moltissime storie da raccontare. Eppure, è quella con il vestito più corto. »
« Per favore, » sbottò lui, quasi con disgusto, « Non mi abbasso a certe cose. »
« Mmmh, » replicò lei, lanciando di nuovo uno sguardo al monitor dal quale l’alieno stava controllando la loro ospite, « Sempre così sicuro di sé. »
Lui sbuffò e si voltò finalmente a guardarla: « Cosa vuoi, Sunamora? »
Gli occhi violetti della ragazza lo fissarono con una punta di autorità: « Capisco il tuo bisogno di rivalsa e – »
« Io non ho bisogno di un bel niente. »
« - e la tua dedizione a questa missione, » lo guardò con gelido fastidio all’interruzione, « E per quanto possa apprezzare, nonostante i metodi bruschi, le tue soluzioni alternative per portare a termine il lavoro, non si può compromettere la solidità della squadra. Non se vuoi che la missione riesca. Non quando già l’armonia vacilla. »
Fu lui stavolta a guardarla storto: « Solo perché sei amica di Seles… »
« Io sono anche amica di Espera, ma sai meglio di me che sto parlando in tutt’altre veci. »
« Quindi non posso pensare che sia stata un’idea del cazzo farla venire qui? E che a parte qualche trucchetto speciale, sia tutto molto più difficile? »
Sunao alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia al petto: « Puoi pensarlo quanto vuoi, basta che tieni quella tua boccaccia chiusa e rispetti gli ordini. Le tue opinioni personali non hanno tanta importanza quanto l’incarico che ti è stato dato. »
Kert digrignò appena i denti: « È mio fratello. »
Lei alzò solo un sopracciglio: « Motivo in più per tacere e obbedire. »
« Sei la prima che non ascolta i propri consigli. »
« Io so scegliermi le battaglie, Tha. »
« Ne sei certa? »
Sunao lo guardò di nuovo con impazienza, poi sembrò distrarsi per un secondo prima che una piccola piega le si disegnasse tra le sopracciglia: « Non posso entrare in quella stanza. »
« Certo che no, » rispose lui con malcelata soddisfazione, « Dispositivi di isolamento, ricordi? »
Riconobbe il moto di stizza sul bel viso dell’aliena solo perché la conosceva bene: « A che gioco stai giocando? »
Kert si strinse solo nelle spalle e le rivolse un sorrisetto: « Io? Nessuno. »
Gli occhi violetti gli si rivolsero con stizza, poi Sunao scosse la testa e svanì di scatto.
 
 
 
 
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Il telefono le vibrò così vicino al naso che Ichigo si svegliò di scatto con il cuore precipitato nello stomaco che le batteva freneticamente, mozzandole il respiro. Le ci vollero dieci secondi buoni per capire che effettivamente il ronzio proveniva dal suo cellulare, e altrettanti per schiarirsi abbastanza la gola da essere in grado di rispondere.
« Pronto? »
« Ciao, tesoro! Ho chiamato a casa ma non c’era nessuno, dove siete così presto? »
« Mamma… » la rossa concentrò tutte le sue forze per non far trasparire la minima emozione mentre si tirava in piedi a fatica e sgattaiolava fuori dalla stanza dove le altre ancora dormivano, « Ma che ore sono? »
« Quasi le otto, cara! Ma va tutto bene? »
« Sì, sì… Ryou aveva un impegno presto e… ci siamo unite. »
« Con questo tempaccio, tesoro? Mi raccomando, state attenti! Volevo sapere se avessi bisogno di qualcosa oggi. »
« No, no, va tutto bene, grazie. Magari ci sentiamo stasera. »
Per un altro paio di minuti, Sakura la riempì di parole che Ichigo non ascoltò del tutto, gli occhi chiusi e la nuca poggiata al muro, rispondendo a monosillabi il più allegri possibili.
Dover mentire a sua madre non le era decisamente mancato.
Quando finalmente riguadagnò il silenzio, non si spostò per il tempo di qualche respiro profondo, cercando di placare di nuovo quell’insormontabile angoscia che le aveva riacciuffato il petto non appena aveva aperto gli occhi e che l’aveva tormentata con orribili incubi per quelle poche ore di sonno che era riuscita a concedersi.
Il temporale aveva imperversato per tutta la notte, scuotendo con bassi rombi le mura del Caffè e illuminando quasi a giorno il salone. Pur con il senso di colpa che le aveva lacerate, le Mew Mew e i tre Ikisatashi avevano concordato che fosse più saggio continuare a setacciare la città attraverso i computer e aspettare che il maltempo si placasse quanto bastava perché fosse possibile e non deleterio uscire. Kisshu aveva smesso di proferire parola oltre a un cupo ringhio, ma era sembrato sinceramente sollevato e stupito quando le ragazze si erano rifiutate di essere accompagnate a casa con il teletrasporto, dichiarando quasi in coro che avrebbero bivaccato al locale per tutto il tempo necessario. Forse era un tentativo di non sentirsi come se stessero abbandonando del tutto la loro amica, o più necessità che mai di rimanere unite in quel momento, ma nessuno aveva provato a insistere oltre, e la sala principale era stata trasformata in uno spartano giaciglio di sottili futon d’emergenza e sacchi a pelo. Ichigo non sapeva nemmeno come o da quanto Keiichiro tenesse pronto tutto quell’equipaggiamento, ma immaginava che, con gli anni, l’ingegnoso scienziato si fosse preparato a mille e più evenienze.
Bramando un litro di caffè per svegliarsi – insieme alle abitudini buone, vivere con Shirogane la stava contagiando pur di quelle più brutte – ritornò con passo felpato in sala, zampettando tra i corpi ancora addormentati delle amiche fino al passeggino di Kimberly. La bimba era già sveglia, ma complice anche il biberon di qualche ora prima, si stava intrattenendo da sola, giocherellando estasiata con uno dei pupazzetti agganciati alla copertura.
Ichigo le sorrise e la prese in braccio, mormorandole piano parole di conforto mentre faceva una pausa tattica in cucina e poi scendeva in laboratorio.
Ryou era l’unico presente e praticamente ancora dove l’aveva lasciato, in piedi davanti alla scrivania, la schiena curva sulla tastiera e la e la faccia più scura che gli avesse mai visto. Notò chiaramente come si tese quando percepì la sua presenza, probabilmente aspettandosi l’ennesima domanda o l’ennesimo sbotto di preoccupazione, scoccandole solo un’occhiata che – nonostante il chiarissimo senso di colpa che gli offuscava lo sguardo azzurro – le fece capire che non era assolutamente dell’umore adatto per nessuna delle opzioni. Ichigo esalò piano e gli si avvicinò, passandogli la tazza colma e bollente: « Hai dormito un po’? »
« Not really, » rispose lui, quasi aggrappandosi al caffè e soffiandoci sopra un paio di volte prima di divorarne metà tazza in due sorsi, « But it’s fine. How are you? »
Lo conosceva abbastanza a fondo per sapere che il suo rivolgersi a lei in inglese era sintomo di quanto in realtà fosse stanco e provato, la lingua materna che gli veniva più semplice in certi frangenti. Ichigo si strinse nelle spalle, rubandogli la tazza per un secondo e riaggiustandosi Kimberly sul fianco: « Ancora niente? »
« Nope. »
Decise di non insistere e annuì piano, nonostante il triplo battito angustiato che le fece marcire in gola il retrogusto del caffè. Ryou le prese la bimba dalle braccia senza aggiungere altro e se la coccolò contro al petto, sussurrando cose che la rossa non capì ma che le fecero comunque stringere il cuore. Anche forte del fatto che erano da soli, compì l’ultimo passo che la separava da lui e lo abbracciò stretto, poggiando la guancia contro il suo fianco:
« Ti amo, » gli sussurrò, « Non so cosa farei se ti succedesse qualcosa. »
Avvertì il corpo di lui rilassarsi quasi all’improvviso, mentre sospirava e l’avvolgeva con un braccio: « Non dirlo neanche per scherzo, per favore. »
« Tu sarai perennemente relegato dietro la barriera del Caffè. »
Ryou sbuffò, le labbra perse tra i suoi capelli, intanto che l’abbracciava più stretta; si scostò poi di quanto bastava per sollevarle il viso e accarezzarle una guancia:
« Quando ho visto solo quattro segnali dei pendagli… » deglutì e scosse la testa, le iridi azzurre che furono attraversate da un fremito, ma non riuscì ad aggiungere altro e Ichigo nascose di nuovo la faccia contro il suo petto, riprendendo a stritolarlo:
« Andrà tutto bene. Minto-chan è forte e… e andrà tutto bene. »
Se lo sarebbe ripetuta fino alla nausea, pur di convincersi.
Si staccarono solo quando Kimberly mandò un versetto più deciso a determinare che fosse ora di colazione, in contemporanea ai vaghi rumori del piano di sopra che si stava svegliando. Dopo pochi istanti perfino Taruto, i capelli completamente sparati in dieci diversioni diverse, fece sbucare la testa dallo spiraglio della porta con un sorriso mesto: « Akasaka-san ha preparato cibo per tutti. »
« You go ahead, » Shirogane rivolse alla moglie un sorriso che tentò di essere convincente, « A lei ci penso io. »
« Ryou, devi –  »
« Davvero. Quando ha finito vi raggiungo. »
Lei non apparve molto sicura, ma seguì lo stesso il giovane alieno su per le scale.
Keiichiro si era prodigato anche a ventilare il locale, e nonostante il temporale avesse infino ceduto alle prime luci dell’alba l’aria era ancora satura di pioggia e del suo odore, fredda, umida e mesta come l’attitudine generale. Il cielo persisteva a essere di un tetro e plumbeo grigio tale da attenuare quasi i colori sgargianti del Caffè, e solo il sottile profumo di zucchero e caffè portava con sé una punta di speranza.
Il pasticcere le sorrise mentre distribuiva piatti e posate alle ragazze assonnate attorno a un tavolo, ciascuna con l’espressione più mogia dell’altra. Purin continuava a sfregarsi gli occhi arrossati, come se non riuscisse a stare sveglia, e praticamente non disse una parola neanche quando Ichigo le diede il buongiorno sottovoce o quando Taruto le si avvicinò con cura porgendole del succo di frutta.
Notando, tra l’altro, chi fosse ancora presente al tavolo, la rossa puntò dritto verso Zakuro, in piedi davanti al carrello su cui svettavano le propose di Keiichiro, sicuramente in cerca di qualcosa che non compromettesse troppo la sua figura perfetta.
« Buongiorno, nee-san, » Ichigo scrutò i vari dolcetti, fingendo noncuranza, « Come stai? »
« A posto, Ichigo, grazie. Tu? »
« Un po’ rintontita. E non ho molta fame, ma… abbiamo novità? »
La mora scosse la testa: « Non se Ryou ti ha detto qualcosa in più. »
Ichigo sospirò mentre sceglieva una crostatina alla frutta: « Speriamo che succeda qualcosa, mi sento come se non riuscissi a respirare. »
Zakuro le accarezzò con fare premuroso una spalla: « Non perdiamo la testa anche noi. »
Mosse appena il capo in direzione di Kisshu, niente più che un’ombra scura all’esatto angolo opposto rispetto a loro, e Ichigo concordò prima di scegliere un altro paio di pasticcini.
« Ma quindi, » aggiunse poi poco dopo, senza guardare l’amica, « Sarebbe lui il famoso Joel che ha controllato il DNA di mia figlia? »
Zakuro incolpò i nervi a fior di pelle per il sorrisetto che le scappò: « C’era anche al tuo matrimonio. »
« Mmh, non pensavo di doverci fare caso. »
« Un medico fidato tra i ranghi fa sempre bene, non credi? »
La rossa le rivolse un’occhiata divertita e furba: « Sono curiosa di chiedere l’opinione di Minto-chan. »
La modella annuì e impiegò qualche secondo di troppo a rispondere, prima di prenderle la mano e stringergliela: « Ovviamente. »
Ichigo ricambiò il sorriso, fece un respiro profondo e s’azzardò ad avvicinarsi a Kisshu. L’alieno teneva il capo abbassato, i capelli verdi una massa quasi informe davanti al viso, e lo sguardo fisso sulla tazza ormai tiepida davanti a sé. Non si mosse né diede segno di aver notato la mewgatto quando lo raggiunse o quando gli si sedette accanto, ma lei decise di non scomporsi più di tanto.
« Ehi, » lo salutò piano e fece scivolare il piattino accanto alla sua mano, « Dovresti mangiare qualcosa. »
Kisshu esalò forse la prima parola in dodici ore, la voce roca e sdegnosa: « Non è alto nella mia lista di priorità. »
« Invece dovrebbe, » sbottò la rossa, spingendogli il piatto ancora più vicino, « Non costringermi a imboccarti, sai?! Pensi che se fosse qua, Minto non ti starebbe dicendo che sei un cretino e che flagellarti è inutile? Dobbiamo rimetterci in sesto e andare a cercarla, quindi mangia. »
L’alieno la osservò per un paio di secondi da sotto la frangia scura, poi sbuffò sarcastico e ingollò un solo biscotto: « Energie durature non vengono certo dai dolci. »
« Meglio di niente, » incrociò le braccia al petto e lo scrutò un altro paio di secondi, mordendosi piano il labbro, « Non è stata col- »
« La prima cosa che ha fatto dopo essermi sfuggito, dopo aver combattuto solo contro di me, è stata andare a prendere lei. Vuoi ripensarci? »
Il tono gelido le fece venire la pelle d’oca, ma deglutì e insistette: « Non è… ci hanno preso alla sprovvista, e… non sei stato tu. D’accordo? »
« Gattina, forse dovresti cercare di essere un pelo più convincente con te stessa prima. »
« E forse tu dovresti essere un po’ meno egocentrico e non pensare che la responsabilità sia tutta tua! » ribatté lei, abbassando la voce per continuare quando notò le occhiate stranite degli altri, « Come quando tu… »
Gli occhi di Kisshu erano spalancati dallo stupore: « Mi prendi in giro? » sibilò con astio, un tremolio che gli attraversò entrambe le braccia.
Ichigo scosse la testa e poi gli afferrò d’istinto le mani: « Non è mai stata colpa tua, capito? Neanche l’ultima volta, quando io… neanche lì. Ieri men che meno. Smettila di pensarlo, smettila di torturarti. Dobbiamo concentrarci a lavorare insieme, a trovarla, ma per farlo dobbiamo essere ottimisti e - »
Non terminò la frase, perché dal piano di sotto risuonò fioco l’eco dei sistemi di allarme e Kisshu scattò in piedi, raggiungendo il laboratorio prima ancora che gli altri potessero registrare la cosa e seguirlo.
Pai era già lì, in piedi accanto a Shirogane, le dita che correvano veloci sulla tastiera e una profonda ruga tra le sopracciglia.
« Quindi!? » sberciò il fratello minore, senza fiato, « L’hai… ? »
« No, » perfino l’americano sussultò al gelo con cui aveva risposta, « No, questo è solo… sono i sistemi per il monitoraggio della Mew Aqua. È come se… ne fosse appena svanita una quantità maggiore del solito. »
Kisshu sputò una sequela di imprecazioni di cui nessuno volle sapere il significato: « Cosa cazzo vuoi che me ne freghi della Mew Aqua, perché state sprecando quei rilevatori in questo momento!? »
« Non hanno la stessa funzione, non sarebbero utili, » replicò stoico Pai, « Datti una calmata. »
Un altro paio di insulti, il verde che compì qualche passo nella stanza passandosi una mano tra i capelli: « E se la barriera di Taruto interferisse con le ricerche? »
« Aizawa ha con sé il nostro connettore, la sua tecnologia è logicamente compatibile. »
« Idem il suo pendaglio, li abbiamo modificati apposta, così come Masha non vi avverte più come pericoli, » aggiunse Ryou, il cui tono di voce almeno traspariva dispiacere.
« Allora usciamo, » Purin s’intrufolò tra Retasu e Zakuro sulla soglia, stringendo i pugni lungo i fianchi, « È già abbastanza tardi e il temporale è finito, dividiamoci e cerchiamo Minto nee-san di persona. A costo di andare a prendere il suo cane e fargli annusare tutta Tokyo. »
Né Pai né Shirogane apparvero entusiasti all’idea di allontanarsi dalle loro compagne, ma ebbero il buonsenso di non dar voce ai loro pensieri.
« Contatto radio ogni quindici minuti. Venti massimo. »
Ichigo alzò gli occhi al cielo all’ordine del maggiore dei tre fratelli: « Vale la stessa cosa per voi. Appena si accende una lucina, fatecelo sapere. »
« Kisshu nii-san, io vengo con te. »
« Faccio prima a volare, scimmietta. »
« Niente storie, in caso mi porti in spalla, andiamo. Tutti fuori tra un quarto d’ora. »
 Ryou lanciò uno sguardo a Ichigo, divertito dall’improvvisa presa di comando di Purin, e la rossa ricambiò piegando un angolo della bocca.
« Be careful, ginger. »
Lei lasciò un bacetto sulla sommità della testa di Kimberly e annuì, intimandogli lo stesso con gli occhioni color cioccolato prima di correre indietro.
 
 
 
 
 
Possibile che fosse ancora notte? Quanto tempo era passato? O era anche quello tutto un trucco?
Minto stirò piano le gambe ed esalò sofferente: aveva ceduto a un sonno tormentato per qualche ora, rimanendo seduta con la nuca poggiata al muro e condannando così le sue membra a una dolorosa scomodità che le aveva irrigidite moltissimo.
Continuava a sentirsi l’umidità fin nelle ossa, nonostante la coperta che le aveva concesso un po’ di tregua durante la notte; almeno la ciotola di cibo aveva smesso di tentarla con il suo profumino e ora giaceva intoccata e triste lì dov’era comparsa.
Solo quello e la consapevolezza di essersi addormentata le davano certezza che il tempo era passato, ma non sapere quanto le provocava ancora più angoscia di quanto già non provasse. Dietro le tende, aldilà degli spessi vetri, continuava a vedere solo quella maledetta nebbia di origine indefinita, e la stanza sembrava aver perso poche tonalità di buio.
Non può essere ancora notte, non può durare così a lungo.
Anche il rombo del suo stomaco le dava sicurezza che fossero trascorse ore, ma una parte di sé si chiedeva davvero se volesse esserne felice. Per quanto avrebbe resistito? Senza mangiare, senza bere, senza cedere fisicamente e psicologicamente. E inoltre… se i suoi amici non l’avevano trovata subito, quanta speranza c’era che con il trascorrere dei secondi, dei minuti, potessero compiere passi avanti?
E se fossero passati giorni? Se ne sarebbero forse accorti, a casa? Se per caso Seiji fosse tornato di sorpresa prima del previsto, avrebbe trovato strana la cosa? A qualche domestico sarebbe venuto un dubbio non vedendola tornare, non avendo lei dato indicazioni?
E se le sue amiche avessero coperto la sua scomparsa così bene?
Un singhiozzo le risalì lungo la gola e strinse le dita guantate tra loro, un po’ per darsi coraggio un po’ per riscaldarle: proprio per questa incertezza doveva almeno cercare di mantenere i nervi saldi, far durate la sua psiche il più possibile.
Non l’avrebbero mai abbandonata, di questo era più che sicura. Non doveva pensare ad altro. Non doveva neanche far entrare il pensiero che se non avessero fatto in tempo…
« Non te l’ha mai detto nessuno che immolarsi per la causa è una scelta futile? »
Solo il terrore che le stringeva la gola le impedì di strillare a pieni polmoni.
Sobbalzò visibilmente e si rannicchiò ancora di più contro il suo angolo quando gli occhi blu misero finalmente a fuoco la figura che era comparsa senza un suono sull’uscio della porta.
« E non te l’ha mai detto nessuno che non si spreca il cibo? »
Kert le si stagliava in fronte e aveva appena accennato con divertito fastidio alla ciotola ancora piena ai suoi piedi. La stava scrutando con curiosità quasi clinica, con un paio di occhi dalle iridi dorate che parevano catturare la poca luce presente nella stanza.
L’alieno sospirò e scosse la testa, facendo qualche passo avanti: « Non è da tutti gli ostaggi ricevere un trattamento simile, sai? Vitto, riparo, addirittura un letto e una coperta. Non che sia stata tutta una mia idea, ovviamente, ma è frustrante vederli ignorati. E, appunto, scegliere di non mangiare per dimostrare qualcosa di solito si dimostra controproducente. »
« Cosa vuoi? » la voce le uscì flebile e roca, e molto più tremante di quanto avrebbe voluto, « Cosa vuoi da me? Perché sono qui? Perché darmi questo se poi… »
Le parole le morirono in gola mentre un altro singhiozzo faceva capolino e lacrime traditrici le bagnavano le guance.
« Piangere non farà altro che disidratarti di più. Il che non ti conviene, se hai intenzione di continuare. »
Minto digrignò i denti e lo guardò con odio: « Cosa vuoi da me?! » ripeté stridula. 
Kert le si avvicinò ancora, e lei si ritrasse d’istinto il più possibile contro al muro, all’improvviso conscia di quanta pelle il suo costume le lasciasse scoperta. Si fermò poi a pochi passi da lei e le si accucciò davanti, continuando a scrutarla con vivo interesse:
« Intanto partirei con il tuo nome, uccellino. Poi gradirei che, da brava ospite, tu faccia ciò che ti dico. »
« Crepa. »
Lui rise a bassa voce, un rombo profondo nel petto: « Dubito che quello sia il tuo nome, con quel faccino carino. »
La mora si premette ancora di più contro la parete, ma lui rimase fermo. Era così imponente anche praticamente al suo livello, ma c’era qualcosa nel suo aspetto che le sembrava stridere con la sua attitudine generale. Portava lunghi i capelli color ghiaccio, con un solo lato rasato, e se in battaglia l’aveva visto coperto da parabraccia e gambali di metallo e guanti chiodati, ora indossava una morbida maglia a maniche lunghe dal cui scollo poteva scorgere con facilità dei complessi tatuaggi che gli decoravano dalla spalla sinistra in giù.
« Allora, uccellino? Puoi dirmi chi siete tu e le tue amiche? »
« Scordatelo, » sibilò Minto con livore, « Puoi riprenderti il tuo cibo, puoi anche riprenderti questa, ma io non ti dirò assolutamente nulla, lurido codardo! »
Kert gettò la testa all’indietro e rise di gusto mentre la coperta atterrava ai suoi piedi: « D’accordo, uccellino. Vuoi dimostrare di avere fegato, è molto nobile da parte tua. »
Afferrò il panno e si alzò con estrema lentezza, continuando a scrutarla proprio come fa un gatto con la preda anche mentre si avviava verso la porta: « Vediamo se sarai dello stesso avviso anche tra un paio d’ore. »
Chiuse la porta dietro di sé, e dopo tre secondi udì con estrema chiarezza il fracasso della ciotola che vi si spiattellava contro.
Queste umane sono più complesse di quanto avrei pensato, ponderò tra sé e sé, tirandosi la coperta sopra una spalla; era incuriosito dalla caparbietà di quella che non gli pareva più che una ragazzina, e una parte di sé provava fastidio per la questione. Avrebbe preferito poter toglierle tutte di mezzo senza stare a chiedersi quale fosse la storia dietro.
« Nessun risultato? »
Zaur lo accolse nel salone con la solita mancanza di emozioni, la domanda sincera pur avendo osservato tutto dal monitor.
« Sembra più convinta di quanto pensassi. »
L’alieno dai capelli neri sollevò solo un sopracciglio nel vedere il sorrisetto dell’amico: « Hai qualcosa in mente? »
Kert continuò a ghignare: « Hai voglia di giocare un po’? »
 
 
 
 
L’aveva sentita perché si era messa ad aprire i cassetti della cucina e a frugare tra le posate con una foga che non si addiceva per niente allo stato di donna dell’alta società che tanto sventagliava ai quattro venti. Lui aveva sfogato la risata prima di scendere di sotto: sapeva benissimo che il suo orgoglio le impediva di dirlo chiaramente, ma tutti quei rumori non erano certo casuali ed erano funzionali soprattutto ad attirare l’attenzione.
Lui aveva fatto tutto apposta, dopotutto.
« Hai già deciso di far cambiare a Shirogane l’arredamento della cucina, visto quanto lo stai distruggendo? »
Minto non si era neanche girata quando lui l’aveva schernita dall’uscio della porta, una spalla poggiata con nonchalance al muro e le mani in tasca.
« Ikisatashi. »
« Oh, addirittura, » Kisshu sogghignò e azzardò un paio di passi avanti, « Pensavo avessimo superato la fase del cognome. »
« Pensavi male, » la mora chiuse il cassetto con un movimento di bacino – che non passò inosservato – e si spostò dall’altra parte della cucina per avvicinarsi al bollitore, già borbottante e pronto a riempire la teiera.
Lui osservò la rigidità della sua schiena con un sorriso soddisfatto e proseguì a tallonarla a passi lenti: « È andato bene il proseguimento della festa? »
Percepì con chiarezza il moto di stizza che attraversò la ragazza mentre trasferiva una dose abbondante di tè nell’infusore, il sopracciglio destro che s’inarcò di getto: « Non vedo come possa interessarti. »
« Hai ragione. Dopotutto credo di aver partecipato al momento più… eccitante di tutti. »
Il cucchiaino che Minto aveva stretto tra le dita fino a quel momento divenne un proiettile letale che lui riuscì a schivare solo grazie alle capacità extraterrestri, ridendo con fin troppo gusto all’espressione sconvolta e irata di lei.
« Non so come funzioni il tuo cervello o quali siano i costumi della tua gente, ma io non mi faccio certo abbindolare da uno che mi bacia dal nulla e poi sparisce per i due giorni successivi! »
Kisshu mise da parte l’offesa per quella sottolineatura della sua gente e rise a bassa voce: « Abbindolare? »
« E che per di più trova piacere in certe… bassezze degne del più volgare cafone! »
« Perché non ti è piaciuto essere baciata, » lui raccolse la posata da terra e gliela porse, avvicinandosi di nuovo, « Non mi è sembrato di divertirmi solo io. »
Fu con estrema soddisfazione che vide il suo nasino adorabile tingersi di rosso mentre lei riportava l’attenzione sulla propria bevanda: « Bene, spero che ti sia divertito abbastanza perché sicuramente non ricapiterà. »
« Mmmhm, » Kisshu le si accostò abbastanza da sfiorarle la spalla con il petto, « In effetti neanche tu mi hai cercato per ben due giorni. Forse sono oltremodo offeso di essere stato usato come svago durante la tua prima ubriacatura ufficiale. »
Minto quasi si strozzò con il sorso che aveva preso e tossicchiò un paio di secondi prima di guardarlo con sconvolto sdegno: « Che… che cosa stai… tu vaneggi! »
« Tra i costumi della mia gente, come dici tu, » proseguì, attorcigliandosi un boccolo nero attorno al dito, « C’è anche l’usanza, tra le ragazze, di… esprimere quello che vogliono. Non aspettare sempre che sia lui a fare il primo passo. O il secondo. »
La mora sbuffò e storse il naso: « Buon per loro, perché non vai – »
Kisshu le sfiorò di nuovo il labbro con il pollice e lei si zittì, assecondando il movimento di lui che le fece inclinare la testa.
« Io cerco te, tu cerchi me, tortorella. È così che dovrebbe funzionare. »
« Tu sei… assolutamente insopportabile. »
« Idem. »
Le sorrise un’ultima volta e poi ghermì le sue labbra prima che potesse replicare, beandosi di poter avvertirla schiuderle subito e riuscire a gustarla meglio, con più calma. Erano settimane che gli frullava quell’idea in testa, quella voglia di scoprire di più cosa ci fosse sotto tutti quegli strati protettivi da algida principessina che si era costruita attorno.
Quella voglia semplicemente di sentirla.
Io cerco te, tu cerchi me.
È così che dovrebbe funzionare.
« Nii-san, non è che potresti rallentare? Mi stai facendo venire il mal di mare. »
Kisshu batté le palpebre un paio di volte; il peso di MewPurin sulla schiena lo riportò alla realtà, mentre continuava a volare nel cielo di Tokyo alla ricerca di un qualsiasi segnale che non sapeva più cosa fosse.
La mewscimmia aveva cercato di tenere il suo passo per il primo paio d’ore, correndo poco sotto di lui e saltando di palazzo in palazzo con l’agilità e l’energia che la contraddistinguevano, ma tra gli eventi della sera precedente e la nottataccia, la stanchezza l’aveva assalita più in fretta del solito.
Non sapeva nemmeno lui come aveva fatto a farsi convincere a prenderla a cavalluccio e già poteva immaginarsi la bizza di Taruto, spedito a dar manforte alle altre, ma la biondina non ne aveva voluto sapere né di abbandonarlo per tornare al Caffè né di fare una pausa abbastanza lunga per recuperare.
Non che la loro ricerca fosse così fruttuosa: avevano ormai battuto quasi l’intera zona del porto e non avevano trovato assolutamente nulla. Pure il congegno che in teoria avrebbe dovuto identificare una barriera protettiva o una dimensione parallela era rimasto sempre muto, così come il pendaglio di Purin o quel “sesto senso animale” che lei millantava si sarebbe attivato per l’amica in pericolo.
Anche solo credere che Minto non fosse in pericolo gli sembrava un’idiozia grande quanto un palazzo.
« Tra un po’ dovremmo tornare alla base, » esclamò ancora MewPurin, guardando il misero sole dietro le nuvole grigie, « È passata l’ora di pranzo da un pezzo, dobbiamo rifocillarci o non avremo la forza di continuare. »
Possibile che persistessero a parlargli di cibo?
« Se vuoi ti riporto indietro, ma io non mi fermo. »
Le braccia sottili della ragazza si strinsero attorno al suo collo: « Nii-san… guarda che Ichigo nee-san aveva ragione, stamattina. »
« Felice che la gattina abbia il vostro supporto. »
« Non fare l’antipatico, siamo tutti preoccupati per Minto nee-san. Questi nuovi nemici sono… nemici. »
« Non eri tu quella che diceva che bastava rimettersi in forma? »
« E continuo a sostenerlo, però forse un po’ più in forma di quanto immaginassi. »
Gli scappò uno sbuffo divertito e rallentò ancora un po’: « Avverti qualcosa? »
« No, » MewPurin scosse la testa e continuò a guardarsi intorno, « Sarebbe carino brillare come con la Mew Aqua. Secondo te quel segnale di oggi ha qualcosa a che fare con questo? »
« Non lo so, ma non credo. Quando li abbiamo incontrati la prima volta sembravano non saperne niente. A meno che non abbiano trovato qualche maniera per studiarla, ma senza averla mai incontrata prima… »
MewPurin sospirò così forte che gli si mossero i capelli della nuca, e poi gli si accoccolò più contro, un po’ per cercare un po’ per dare conforto: « Che casino allucinante, nii-san. »
Lui avrebbe usato parole decisamente meno eleganti.
 
 
 
 
« Sai che non ci sono cani su Duuar? »
L’affermazione, così improvvisa e bizzarra, le fece sollevare di scatto gli occhi dalla pila di riviste che stava organizzando per gettarle via. Kisshu era spaparanzato sul divanetto della sua stanza e giocherellava con Mickey, un po’ troppo bruscamente per come lei preferiva, ma il cagnolino sembrava starsi divertendo un mondo.
« I cambiamenti climatici del nostro pianeta non sono stati molto clementi con gli animali, se non con quelli che riuscivano a vivere sottoterra come ha dovuto fare il nostro popolo o altri molto più resistenti. Quindi piccoli esserini abbastanza disgustosi, o bestie molto pelose con poca voglia di essere addomesticati. »
Minto fece una smorfia poco convinta e si avvicinò al divanetto, Mickey che le abbaiò felice un paio di volte scodinzolando con veemenza e pretendendo coccole anche da lei. Durante quel mese che avevano passato progressivamente sempre più insieme, Kisshu aveva iniziato a raccontarle del suo pianeta d’origine più spesso, e lei era affascinata da quelle storie, dalle differenze tra i loro popoli ma anche dalle più strambe similitudini.
« Uno dei riti di passaggio all’età adulta era – o meglio è, anche se tecnicamente sarebbe illegale adesso – riuscire a catturare un létide a mani nude. Una specie di lanosa lucertola con un enorme dentone davanti e acuminati artigli velenosi. La cicatrice sul polpaccio è un regalino di quello che ho preso io. »
Minto gli scoccò un’occhiataccia e poi gli scostò le gambe così che lei si potesse sedere: « Possibile che ogni cosa che mi racconti finisca con te che ti fai del male o con te tra le braccia di qualcuna? »
« Queste sono illazioni false e malefiche. »
« Ah, e qual era la storia del bernoccolo causa chetichella via da una finestra? »
« Ovviamente il bernoccolo mi ha fatto dimenticare tutto. »
Lei rise poco divertita mentre anche lui si metteva seduto e le rivolgeva un’espressione totalmente innocente prima di tirarla a sé per la nuca, affondando la mano nei suoi boccoli scuri; Minto lo assecondò, schiudendo le labbra per sospirare contro di lui. Fu quasi naturale far sgusciare la mano sotto la sua maglietta quando gli si portò più vicina, tracciando leggera i contorni dei suoi muscoli che aveva imparato a distinguere in quelle settimane.
Quando però avvertì la pelle più spessa sotto i polpastrelli, Minto s’irrigidì d’improvviso e si scostò lenta, quanto le permetteva il pugno di lui ancora tra i suoi capelli.
Kisshu cercò di incrociare il suo sguardo e le prese delicatamente il polso con la mano libera: « Che c’è? » le domandò sottovoce.
La mora continuò a fissare il profilo delle sue dita sotto la maglietta: « Di questa non ne abbiamo mai… parlato. »
Kisshu le sfiorò il dorso della mano con il pollice: « Di cosa? »
« Di… lei. »
« Vuoi dire la cotta per la tua amica che mi è passata ben prima che si innamorasse e si facesse mettere incinta da un altro? »
Minto gli scoccò un’occhiata feroce, poi sospirò: « Non la chiamerei proprio cotta. »
Lui le scostò tutti i capelli dalla spalla così che potesse avere totale libero accesso al suo collo: « Dettagli semantici, » mormorò appena sotto al suo orecchio, « E per me ne abbiamo anche parlato abbastanza. »
Lei alzò gli occhi al cielo, imponendosi di ignorare il piacevole brivido dato dalle labbra di lui contro la sua pelle; non riteneva certo quel paio di chiacchiere vaghe (due su tutte quella sera dell’agosto precedente al mare o appena dopo la notizia del pargolo in arrivo) come un aver affrontato l’argomento Ichigo.
« Kisshu, dai. »
« Non c’è nessun dai, tortorella, » insistette lui, scendendo deciso verso la sua clavicola, « Lo sai benissimo che non ci sarà mai nessun’altra che può competere con lei. »
Minto avvertì il proprio corpo raggelarsi subito mentre il cuore prendeva a battere come impazzito.
« Scu-scusami? »
« Ma ovvio, per lei sono morto. Non amerò mai nessuna donna come amo Ichigo, » la mano di Kisshu lasciò la sua per posarsi sulla sua coscia, « Ma visto che nel frattempo lei si è fatta una vita, devo trovarmi delle distrazioni appetibili. »
Lei tentò di scrollarselo di dosso, i polmoni che parevano non voler accogliere più aria: « Tu… tu… io non sono una… ! »
« Oh, andiamo, dici sul serio? Non puoi certo pensare che possa provare le stesse cose per te! Finché è divertente va bene, ma poi… »
Minto lo spinse di nuovo via, tentando invano di incanalare ossigeno. Le girava la testa, il suo intero corpo tremava.
Cosa?
Non respiro.
Non respiro.
Non…
Aprì gli occhi di scatto e si tirò a sedere, il cuore che galoppava contro la gola e le mozzava il fiato. Crollò sulle ginocchia l’istante successivo, i palmi delle mani che stridettero alla pressione con cui sbatterono sul pavimento, lo stomaco che si sforzò per rigettare assolutamente il vuoto.
No, non era così che andava quel ricordo. Non era stato un ricordo, era…
Tossì e boccheggiò di nuovo, grata che non avesse mangiato nulla ma al tempo stesso dilaniata da quel bruciore, da quelle schegge nel cuore, dai brividi che parevano non lasciarla andare.
Un incubo, si ripeté mille volte, era stato solo un incubo. Non era reale. Non era andata così.
Ma faceva male lo stesso.
Si raggomitolò sul pavimento gelido e prese di nuovo in mano il pendaglio, singhiozzandoci contro: « Kisshu? Ragazze? »
Non la raggiunse nemmeno la staticità.
 
 
 
 
« Ricordami di non farti mai incazzare troppo. »
Zaur rivolse uno sguardo indefinito a Kert, una scintilla di fierezza negli occhi neri come l’ebano. L’amico gli diede una pacca sulla spalla e si allontanò verso il divano.
Se l’uccellino aveva tutta quella voglia di sfidarlo, si sarebbe preso il suo tempo.

 

 

 

 

   
 
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