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Autore: Scarlet Jaeger    01/02/2013    3 recensioni
Lost Canvas. I Gold Saint sono tutti morti (tranne Shion e Dohko) in seguito all'ultima Guerra Sacra contro Hades. Ma se invece della morte, per loro fosse stato pensato un qualcosa di diverso? Se la morte fosse solo l'inizio di qualcosa? Se la loro vita, fosse stata spostata in un universo alternativo? Sapranno riconoscerlo, oppure andrà bene così per loro?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Cancer Manigoldo, Cancer Sage, Gemini Aspros, Gemini Deuteros
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Universi paralleli 2 Universi Paralleli-Una nuova vita (Parte 2)



XXI secolo. Grecia.
Nell'università di Lingue di Atene, le lezioni erano cominciate da poco. Quella mattina erano tutti presi dalla spiegazione di Francese dell'attuale  professore.
L'unico che non stava seguendo, particolarmente annoiato da quell'incomprensibile lingua, era un ragazzo seduto in seconda fila.
Aveva un gomito poggiato sul bancone e si reggeva il capo con la mano. La frangia di capelli blu scuro gli ricadevano sugli occhi, nascondendogli lo sguardo perso nel vuoto.
Più la spiegazione andava avanti, più il ragazzo sentiva le palpebre sempre più pesanti. Stava quasi per addormentarsi ma ciò non accadde grazie al bussare alla porta da parte di qualcuno, che lo distolse dai suoi pensieri.
Alzò di colpo il capo, voltandolo insieme agli altri verso la porta.
Entrò la segretaria: una volgare donna sempre vestita con abiti succinti e sempre truccata impeccabilmente. Era seguita da un ragazzo dell'età dei presenti. Aveva dei lunghi capelli verdi che gli ricadevano lungo la schiena; gli occhi color smeraldo, nascosti dietro un paio di piccoli occhiali, erano curiosi di fronte all'affollamento dell'aula.
Guardava incuriosito i visi di ogni presente, soffermandosi poi su di uno.
Quando il professore parlò alla classe del nuovo arrivato, Kardia si fece più interessato alla spiegazione ascoltando ogni parola.
-Ragazzi, da oggi avremo un nuovo studente. Viene dalla Francia, si è trasferito da poco nella nostra città. Ancora non parla benissimo la nostra lingua, spero possiate farlo sentire a suo agio.-Disse il professore, ma gli occhi di Kardia continuavano a scrutare il Francese, cercando di capire dove poteva averlo visto. Anche per lui, il suo viso, non era del tutto sconosciuto. O forse c'era solo qualcuno che gli somigliava? Non ne era del tutto sicuro.
Non credeva alle cose lasciate al caso, cercava sempre una spiegazione in tutto ciò che avveniva; come in quel caso.
-Vuoi presentarti?-L'insegnante si rivolse a lui con un sorriso, per farlo sentire il benvenuto, e lui annuì un po' imbarazzato.
Voltò di nuovo lo sguardo sui ragazzi, in particolare sulla persona che aveva notato appena entrato. Anche lui provò la strana sensazione di conoscerlo. Un misto di ricordi che non li appartenevano, si disse. Si, perchè era sicuro di non averlo mai visto, eppure il suo cuore ed il suo cervello erano sicuri di quella sensazione provata all'incrocio del proprio sguardo con il suo. Quegli occhi, blu come il mare, gli avevano provocato un turbine di emozioni.
-Mi chiamo Degel.-Iniziò, arrossendo lievemente, distogliendo lo sguardo da Kardia che invece continuava a guardarlo con occhi inquisitori.-Come ha detto il vostro professore, sono Francese. Non conosco ancora bene la vostra lingua, però sono sicuro che ci verremo incontro. Magari, insegnandovi la mia lingua, voi potreste insegnarmi la vostra.-Sorrise, masticando un Greco non del tutto perfetto.
-Ne sono più che sicuro.-Continuava a sorridergli cordialmente il professore.-Vai pure a sederti dove vuoi.-Indicò la prima fila con la mano.
Degel ringraziò, avanzando verso il posto vuoto di fronte a Kardia. Sentiva il suo sguardo ancora addosso mentre raggiungeva la sua postazione e per quello si sentì un po' imbarazzato ed impacciato. Prima di sedersi, gli lanciò un'occhiata curiosa ed un piccolo e cordiale sorriso di scuse per dovergli dare le spalle. Era un ragazzo gentile e cortese, molto ossequioso per le regole a differenza di Kardia che: prendeva tutto sul gioco e sullo scherzo; era molto impulsivo, non aveva paura di nulla e si buttava nelle cose a capofitto e senza pensarci sopra.
-Benvenuto, Degel.-La voce del ragazzo dietro di lui lo meravigliò. Era gioviale e sincera e per qualche motivo, neanche quella gli risultò del tutto sconosciuta, come se si fosse beato di quel suono per molto tempo in passato o in un qualche momento della sua vita che però, in quel momento, non riusciva proprio a ricordare quale fosse.
-Benvenuto..-Si bloccò, rendendosi conto che non conosceva ancora il suo nome.
-Kardia, piacere.-Gli sorrise, allungando una mano verso di lui.
-Piacere.-Sorrise anche lui, un po' confuso da quel gesto. Mai nessuno, prima d'ora, si era mostrato così amichevole nei suoi confronti. Lui era un ragazzo solitario, che amava isolarsi leggendo libri e studiando per gli esami. Non aveva avuto spazio, per sentimentalismi di ogni genere. Eppure tutto quello in cui aveva sempre creduto, in quel momento, stava cedendo sotto lo sguardo di quello sconosciuto che, con quel sorriso, stava riscaldando in un baleno il suo freddo cuore.
Si voltò di scatto, non sapendo rispondere a quello strano interesse. Aprì sul banco i suoi libri, nonostante il Francese per lui non avesse segreti, e cercò di seguire la lezione per distrarre la mente dai pensieri e per non avere l'impulso di girarsi. Sentiva che gli occhi di Kardia stavano ancora fissando le sue spalle.
Al termine delle lezioni, quando la campanella riportò alla realtà tutti gli studenti, Degel si alzò di scatto riponendo tutto il materiale nella sua cartella. Scese di fretta i pochi gradini che lo dividevano dal piano della classe, cercando di uscire il prima possibile, passando di fronte al professore che però lo bloccò poco prima che uscisse.
-Degel. Kardia. Vorrei che rimaneste un attimo.-Disse, rivolto ai due ragazzi.
Si lanciarono un'occhiata interrogativa, chiedendosi mentalmente cosa poteva volere da loro. Il viso dell'insegnante però, era aperto in un sincero sorriso che preoccupò non poco i due.
-Ho notato, da un po' di tempo a questa parte, che nelle mie lezioni sei sempre distratto. Tra poco avrete l'esame e se non sei preparato in Francese...-Si rivolse a Kardia, bloccando la frase per lasciargli intendere la conclusione.
-Questa lingua non mi entra proprio in testa.-Si lamentò, abbastanza falsamente visto che non era mai attento.
-Me ne sono accorto, per questo motivo volevo interpellare te Degel.-Si rivolse poi all'altro che lo guardò un po' disorientato.-Vorrei che lo aiutassi con la lingua. Lui, potrà aiutarti con il Greco. Che ne dici?-
Il Francese continuava a guardarlo, non sapendo cosa dire. Rivolse anche un'occhiata al compagno di corso, che lo fissava sperando che dicesse di si.
Non per la lingua, ovviamente, ma voleva sapere qualcosa in più su di lui. Voleva capire il perchè di quella strana sensazione che lo aveva accompagnato per tutta la durata della lezione.
-Se per lui va bene.-Dichiarò infine, rivolgendosi a Kardia.
-A me va benissimo!-Rispose il ragazzo prima di venire interpellato dal professore.
Incrociarono di nuovo lo sguardo, questa volta consapevoli. Sentirono però che tutto quello che era successo per caso. Come se il destino li avesse fatti incontrare per qualche ragione, anche se entrambi erano sempre stati all'oscuro della vita dell'altro. Ma allora, perchè i loro volti risultavano così familiari?



Spagna. Madrid.
Nel palasport della città, si svolgevano gli allenamenti di Fioretto da parte degli altleti che avrebbero preso parte alle seguenti Olimpiadi.
C'erano molte persone che svolgevano vari sport, per allenarsi in fronte delle prossime sfide. In particolare, quel giorno, si allenavano gli altleti di Fioretto.
Un ragazzo, seduto su una delle panche, fissava la sua "arma" in modo confuso. Non era certo la prima volta che la usava, ci aveva vinto molte medaglie, però quel giorno c'era qualcosa che non gli tornava. Come se quel corpo estraneo, fosse per lui cosa nuova.
Era pronto per scendere in campo in allenamento, rivestito con tutte le protezioni che richiedeva quello sport, aspettando che il round dei suoi compagni finisse. Spostò l'oggetto da una mano all'altra, incerto di quel poco peso che aveva, provando a lanciare qualche fendente verso un campo vuoto nell'angolo della palestra.
-Ti stai mettendo proprio in gioco, eh El Cid?-
Un suo compagno si tolse l'elmo, scoprendosi il volto divertito. Il ragazzo neanchè si girò a guardarlo, riconoscendo la sua voce.
-Già. Le olimpiadi saranno prossime, voglio essere in forma!-Gli rispose leggermente scocciato per quell'intrusione, poco gradita, da parte dell'"amico".
-Già. Peccato però, che non hai accettato di prendere parte nella gara a squadre.-Continuò, non accorgendosi che non lo stava per niente prendendo in considerazione.
-E allora? Non mi piacciono i giochi di squadra, non avrei scelto il Fioretto altrimenti..-Sbuffò, chiaramente annoiato dal discorso e gli riservò un'occhiataccia, che però non ebbe l'effetto sperato. Il ragazzo continuava a guardarlo con la sua solita aria da presuntuoso.
-Bè certo. O forse perchè non vai d'accordo con nessuno.-Ridacchiò, appoggiandosi comodamente al muro di fronte a lui, che continuava ad ignorarlo.
Rispondeva solamente alle sue domande perchè l'ultima parola, doveva essere sua. Aveva un carattere scontroso, doveva riconoscerlo. Il più delle volte voleva prevalere sugli altri e non accettava le sconfitte. Proprio per quel motivo continuava a dedicare il suo tempo all'allenamento.
Con il fioretto in mano, era una vera scheggia. Giocava d'astuzia, muovendo i 90 centimetri di spada come un vero campione, riuscendo sempre a prevalere sugli altri. La sua mente era vuota e devota a quello sport quando scendeva in campo. C'era solo lui e la sua arma, come se fosse una parte integrante del suo braccio.
-Non mi interessa la comprensione della gente. Mi basta andare d'accordo con l'allenatore.-Cercò di rispondere, sperando di metterlo a tacere. Ma ciò non accadde.
-Ohh, no certo!-Ridacchiò ancora l'altro, più per provocazione che per altro.
-Mi stai dando sui nervi.-Lo ammonì, lanciando un fendente poco distante da lui, per fargli capire che doveva andarsene. Il ragazzò non si impietosì, rimase con le braccia conserte attaccato al muro; sul viso l'espressione maliziosa, che mandò il povero El Cid su tutte le furie, non era per niente cambiata.
-E' la stessa risposta che dai anche alle tue fan?-Rise, mettendosi una mano di fronte alla bocca per non essere sguaiato.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. El Cid lasciò cadere il Fioretto a terra e, voltandosi di scatto, alzò il braccio destro sopra la testa.
-Excalibur!-Gridò, abbassandolo di colpo come se volesse tagliare l'aria di fronte a sè.
Seguirono alcuni istanti di imbarazzante silenzio fra i due. Il primo, che inconsciamente aveva eseguito quello strano gesto, rimase basito da ciò che aveva appena fatto. L'altro lo guardò sgranando gli occhi; era confuso ed impressionato da tutto ciò. Stava per colpirlo con un braccio invece che con la spada. Perchè?
-Tu sei pazzo!-Sospirò, con ancora gli occhi sbarrati dalla sorpresa.
-Io, non so cosa mi sia preso!-
El Cid osservò attentamente la sua mano come se ci fosse scritto sopra il perchè di quello strano comportamento. Non riusciva a capacitarsene nonostante le tante domande che in pochi secondi si era mentalmente posto.
Excalibur, pensò, era una spada vera, ben lontana dal somigliare ad un Fioretto. Perchè allora quel gesto? Perchè liberarsi dell'"arma", per colpire con il braccio?
Senza dare altre spiegazione,raccolse l'oggetto da terra e corse in bagno. Con un getto di acqua gelata cercò di riprendere un contegno, ma la sua immagine riflessa nello specchio lo inquietò, come se fosse solamente un fantasma rinchiuso in quel corpo.



Amsterdam, Paesi Bassi.
Il figlio di un ricco imprenditore, Albafica, stava passeggiando nel giardino della sua villa. Era abbastanza vasto e ben coltivato con rose rosse, bianche e nere che sfoggiavano i loro petali in mezzo al verde. Era lui che le coltivava, portandosi dietro quella passione da quando era nato, tramandata dalla madre. Purtroppo i genitori erano troppo impegnati per farlo quindi, lasciarono che fosse lui a mantere perfetto quel luogo.
Ovviamente c'erano anche i servitori ad occuparsi della casa ma lui fu abbastanza perentorio su ciò.
Passava pomeriggi interi nel suo giardino, sistemando i petali rovinati ed accarezzando quelli sani, come quel giorno.
Si inginocchiò di fronte alle rose rosse, posandoci i polpastrelli come se con quel tocco potesse conversare con loro. Era un bel ragazzo, purtroppo molto solitario. Preferiva condurre il suo percorso scolastico insieme ad un insegnante privato, nonostante i suoi genitori gli permettessero di svolgere delle normali attività in scuole pubbliche.
Erano due persone fantastiche, non lo privavano di nulla e non gli facevano mai mancare niente; era sempre circondato di attenzioni, nonostante non fosse figlio unico. Non si dimenticavano mai di lui e di chiedergli come fosse andata la giornata, nonostante tutti i giorni gli dava sempre la solita risposta.
Lui non era però scorbutico e scontroso, come tutti a palazza pensavano; era solo una persona che stava sulle sue ed i genitori cercavano di non stargli troppo addosso.
Nonostante fosse voluto, amato e considerato da loro, c'era qualcosa che lo inquietava all'interno della villa. La relazione che aveva con loro ed il sentirsi pieno di attenzioni, era qualcosa che non riusciva a spiegare. Era lusingato da tutto ciò, quello si, ma gli sembrava fuori luogo. Aveva l'impressione di avere a che fare con un grosso inganno. Come se quelle persone si stessero sforzando di volergli bene e qualche volta non riteneva neanche possibile il fatto di essere figlio loro. Come se fosse imprigionato in una vita non sua. Per questo cercava di stare meno a contatto con le persone. L'unica con cui andava d'accordo, era la sorellina.
Lei lo faceva sentire sempre amato ed a casa, più degli altri. Forse, era per il suo sorriso benevolo e quelle fossette che gli si creavano sempre sulle guance paffute ogni volta che rideva.
.
-Ciao fratellone!-Gli disse, dopo averlo seguito senza farsi scoprire.
Lui si girò non troppo sorpreso, perchè sapeva che lo stava seguendo.
-Ciao Tanya!-Le riservò un tenero sorriso.-Come mai qua?-Le chiese, ma sapeva già la risposta. Lo fece solamente per renderla partecipe di quel momento. Ci teneva al rapporto con lei, nonostante non fosse poi granchè come compagnia.
-Volevo stare un po' con te, mi piace guardarti in mezzo alle rose!-Gli sorrise apertamente.
-Sono belle, non è vero?-Disse, abbassandosi per inalarne l'odore.
-Si! Sia quelle rosse, sia quelle nere, sia quelle bianche!-Saltellò eccitata la bambina.
-La bellezza ha molti significati e uno di questi, sono sicuro, è proprio la rosa. Non trovi?-Le disse, distogliendo lo sguardo dai petali rossi.
Lei lo guardò con un sopracciglio alzato, non capendo il significato della frase appena detta. Annuì solo per non contraddirlo. Ovviamente lui se ne accorse ma non disse nulla; abbassò lo sguardo di nuovo, divertito.
Lei si inginocchiò accanto a lui per prenderne una ma, non facendo caso alle spine che fioriuscivano dallo stelo, si punse un dito.
-Ahia!-Si lasciò scappare, ritraendo la mano.
Un rivolo di sangue aveva già preso a calarle dalla ferita.
Allarmato, Albafica, si voltò subito verso di lei.
-Oh no! Non dovevi avvicinarti, quelle rose sono velenose! Una sola puntura ed il veleno ti entrerà in circolo nel corpo. Dobbiamo fare presto, svelta, chiamiamo un medico!-
Si alzò di scatto, cercado di trascinarla, ma lei fece peso sulle gambe sottraendosi dalla sretta. Lo osservò basita e scioccata dalla reazione esagerata, tanto che scoppiò a ridere poco dopo per l'espressione allarmata che lui aveva ancora sul volto.
-Ma cosa dici!-Rise.-Le rose non sono velenose! Queste rose, così belle, potrebbero mai fare del male alle persone?-Continuava a ridere e fece rendere conto al ragazzo della reazione esagerata avuta poco prima.
-Bè, non è tutto innocuo ciò che è bello.-Pronunciò.-Ovviamente, le rose di questo giardino lo sono ma..-Bloccò la frase, cercando la motivazione che lo spinse a dire ciò.-Magari, da qualche parte... In un passato...-Disse, alzando gli occhi al cielo.
-Ma cosa dici, le rose hanno solo le spine! E' per quello, che fanno male alle persone! Ma cosa vuoi che sia una puntura?-Sorrise.-Guarda, non sanguina più!-Gli mostrò il dito, che prese fra le sue schioccandoci un lieve bacio.
-Adesso non farà più male!-Le sorrise anche lui.-Vieni, torniamo dentro.-La prese per mano, conducendola insieme a lui verso la villa.
Prima di varcare l'imponente portone d'entrata, Albafica lanciò un ultimo sguardo verso il suo giardino perfetto. Osservò tutti i colori delle sue piante, pensieroso.
"Dolce ma letale, il tocco della rosa di sublime bellezza."
Fine capitolo 2

......

Eccomi qua alla conclusione anche di questo secondo capitolo^^ Abbiamo visto il resto dei Gold *-* Spero di essere stata abbastanza coerente e di aver pensato per loro qualcosa di unico e non banale!
Per quanto riguarda l'ultima frase, ho voluto metterla come omaggio ad Aphrodite (anche se non c'incastra nulla U,U). Mi piace troppo quella frase *-* Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo!
Che dire, ringrazio i recensori! Chi ha messo la storia fra le seguite/preferite ed un bacione alla mia Sagitter No Tania!
Al prossimo capitolo!!





 


  
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