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Autore: Melanto    02/02/2013    3 recensioni
[Love&Life series - Final episode] - Era cominciato tutto un 12 Marzo, con una dichiarazione sul molo di Shimizu-ku. Il 20 Dicembre successivo la loro storia aveva gettato le basi per divenire duratura.
Tra coming out, bunjee jumping, momenti di crisi e di pseudopaternità erano andati avanti, divenendo uomini.
Ora, dopo diciotto anni, saranno in grado di compiere l'ultimo passo?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love&Life'
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PreNota: quella che state per leggere è l’ultima storia della serie “Love&Life” :3
Ho fatto passare fin troppo tempo e tutto perché sono rimasta bloccata su “Libertango” che, a fine 2012, ho deciso di eliminare dalla serie. Non sono ispirata a scriverla e piuttosto che lasciare “Love&Life” appesa, preferisco congelarla e magari aggiungerla in un secondo momento come ‘Extra’. :)
A ogni modo, questa è la conclusone che ho sempre pensato per questa serie. Ho cominciato a scrivere shonen-ai proprio con “12 Marzo” e da lì è nato il pairing di Yuzo&Mamoru, di cui ora non potrei mai fare a meno.
Questa storia è ambientata diciotto anni dopo “12 Marzo”. E’ il momento di dare a questi due la direzione finale. :333
“Love&Life” è una raccolta di fanfiction attraverso le quali si snodano le tappe fondamentali della storia d’ammmmmore di Yuzo&Mamoru. Di seguito, potrete trovare l’elenco delle storie in ordine di lettura (che non è affatto l’ordine in cui sono state scritte XD!):


- 12 Marzo
- 20 Dicembre
- Jump
- Family Affair
- Libertango (SE l’ispirazione mi coglierà, forse sarà aggiunta come Extra)
- Violator #6: Enjoy the silence
- Sarà per i capelli!
- Forever mine, forever yours (l'avete appena aperta!)

 

Forever mine, forever yours
(Love&Life series)

 

- Parte I -

- Marzo -

Villa Wakabayashi era sempre stata una zona neutrale; il luogo in cui ci si riuniva per qualsiasi occasione e motivo. Aveva ospitato rimpatriate, cene improvvisate, feste a sorpresa e cuori infranti che volevano isolarsi dal mondo pur senza abbandonare Nankatsu.
A Genzo piaceva tornare in Giappone e ritrovare gli amici alla villa, anche solo per scolarsi una birra in compagnia. Era il padrone di casa perfetto, per questo quando Yuzo, approfittando di un suo breve rientro, gli aveva detto di dovergli parlare assieme a Kishida aveva risposto: «Che problema c’è? Venite a casa!»
Si erano ritrovati tutti e tre in uno dei salottini più piccoli e accoglienti della villa, in un piacevole giorno di primavera.
Genzo era rientrato per far visita al suo secondo fratello maggiore che si era rotto una gamba cadendo da cavallo, mentre Takeshi Kishida si era ormai ritirato dall’attività agonistica da un paio d’anni dedicandosi al ruolo più pacato di padre di famiglia e talent scout per la Shimizu S-Pulse, dove per anni aveva giocato spalla a spalla con Yuzo.
Lo stesso Yuzo che aveva chiesto di vederli.
«Le elementari?» sbottò Genzo. «Tua figlia è già alle elementari?! E quando è successo?!»
Takeshi rise. «Non lo so. Pensa che il primo, l’anno prossimo, andrà alle medie. Gli Dei me ne scampino, crescono come fulmini.»
«Non sono loro a crescere, sei tu a far vecchio, paparino!» Genzo agitò la bottiglia di bionda piena a metà, mentre Yuzo lo prendeva in giro.
«Nemmeno tu fai giovane, campione. Vedo un po’ troppi capelli grigi in quella chioma.»
«Non capisci! Questa è affascinante brizzolatura!» con gesto vanesio, il SGGK si passò una mano tra i capelli. «Tu piuttosto, non nascondere i tuoi! Dove li hai messi? Bisogna fare la caccia al tesoro per trovarli.»
«Ci sono, ci sono. In famiglia imbianchiamo tardi, ma quando cominciamo è la fine. Tempo un paio d’anni e sarò più brizzolato di te.»
I due risero facendo cozzare il vetro delle bottiglie e buttando già un sorso di birra.
Genzo era seduto scompostamente sul divano, mentre Takeshi era accomodato nella poltroncina di fronte, con Yuzo seduto sul bracciolo.
«E allora.» Genzo rigirò la bottiglia tra le mani. «Di cosa volevi parlarci?»
«Io ce l’avrei una mezza idea.» Takeshi buttò giù l’ultimo sorso e poi posò il vetro vuoto sul tavolino.
Genzo inarcò un sopracciglio. «Tipo?»
L’ex-difensore guardò prima il portiere del Bayern e poi il suo ex-compagno e attuale portiere della Shimizu S-Pulse, squadra in cui militava dall’inizio della carriera e che non aveva mai lasciato perché la sentiva come una seconda casa, una famiglia. Scrutando il suo mezzo sorriso, per Takeshi fu quasi ovvio.
«Ti ritiri?»
A quella domanda, Genzo assunse subito una posizione più composta. Tolse la gamba dal bracciolo e poggiò la birra.
«Ma scherzi?» disse a Takeshi, poi guardò Yuzo. «Scherza, vero? Non puoi ancora ritirarti! Hai trentanove anni, potresti giocarne altri tre!»
Yuzo scosse il capo e si allontanò dalla poltrona. «No, basta così» disse, lasciando anch’egli la bottiglia assieme a quelle dei suoi amici e conquistando una posizione più centrale tra i due. «L’ho già comunicato sia al mister che al presidente. Era una decisione cui pensavo da un po’. Anzi, a dire il vero mi sarei voluto ritirare già un paio di anni fa.»
«Lo sapevo.» Takeshi sorrise. «Avevo capito che qualcosa bolliva in pentola.»
Chi invece non sembrava convinto era Genzo. «Non ci credo. Dopo Mamoru che ha annunciato il ritiro il mese scorso, adesso anche tu. C’è un’epidemia in giro o cosa? Tenetela lontana da me, per carità!»
Al nome del giocatore dei Marinos, Yuzo e Takeshi si scambiarono un’occhiata di intesa che Genzo non colse.
«Nessuna epidemia, tranquillo.» Yuzo ironizzò. «E’ solo che arriva un momento, nella vita di ogni uomo, in cui bisogna prendere delle decisioni e guardare al futuro.»
«Santoddio! Stai parlando come uno che deve sposarsi!»
Genzo l’aveva buttata lì a caso, anche perché non sapeva Yuzo fosse fidanzato, eppure la mancata smentita e il silenzio successivo, unito al sorriso del portiere che era a metà tra il felice e l’imbarazzato, furono illuminanti nella loro chiarezza.
«O. Mio. Dio.» Genzo si alzò adagio, le gambe mosse a rallentatore e l’espressione sconvolta.
L’interpellato allargò le braccia e fece spallucce. «Sorpresa.»
Takeshi, che era più felice che stupito, gli puntò contro l’indice. «Glielo hai chiesto tu, ci scommetto quello che vuoi!»
Yuzo gli puntò il proprio di rimando. «Tu mi conosci, sei avvantaggiato!»
«Ah, ah! Lo sapevo! E ti ha detto ‘sì’
«Ovvio che mi ha detto ‘sì’, altrimenti non sarei qui a dirlo a voi e a chiedervi… se volete essere i miei testimoni.»
Kishida balzò in piedi e andò ad abbracciarlo. «Ma certo che voglio farti da testimone, e chi se lo perde ‘sto momento? Congratulazioni!»
Genzo era rimasto frastornato e confuso, guardò l’uno e poi l’altro e infine sbottò. «Fermi, fermi! Qui si sanno cose che io ignoro! Yuzo, da quando sei fidanzato?! Non ti ho mai visto in compagnia né t’ho mai sentito parlare di graziose fanciulle nel mirino! E poi… ora che ci penso…» Il portiere si animò di più, ritrovandosi più confuso di prima. «Anche Mamoru mi ha detto che si sposa! Si può sapere cosa diavolo state architettando voi due?!»
Takeshi fece qualche strategico passo indietro. «A questo proposito io me ne andrei e vi lascerei parlare. Aspetto qui fuori, eh? Se sento volare cose, faccio finta di niente!» In pratica se la diede a gambe, abbandonando il salottino e lasciandoli soli.
«Ma… ma…» Genzo non ci stava capendo nulla e cercò lo sguardo di Yuzo, il quale prese un profondo respiro.
«C’è una cosa che dovresti sapere.»
«Solo una? Facciamo anche due o tre!»
Yuzo si grattò la nuca, abbassando lo sguardo con imbarazzo. «Mi spiace di non avertene mai parlato prima, ma non sapevo davvero come dirtelo.»
«Oddio, che hai combinato?! Lei è già incinta? Mi farai diventare zio?!»
«Macché! Anzi, questa eventualità puoi anche depennarla dalla lista.»
Genzo tirò un sospiro sollevato. Già era zio dei quattro figli dei suoi fratelli, non era pronto per sentirsi zio ancora una volta, perché sapeva che un eventuale figlio di Yuzo sarebbe stato come un figlioccio per lui, visto che considerava il portiere della S-Pulse alla stregua di un fratello minore.
«E allora, sentiamo: cosa c’è sotto?» domandò con un mezzo sorriso comprensivo.
Yuzo inspirò a fondo di nuovo e si portò le mani ai fianchi.
«Non è un caso se io e Mamoru ci siamo ritirati praticamente in contemporanea.»
«E questo l’avevo capito.»
«E il motivo… è che ci sposiamo.»
Genzo non batté ciglio. «E ho capito anche questo. Poi?»
«No, Genzo, non hai capito: io e Mamoru ci sposiamo. Insieme.»
«Ah! Fate una cerimonia comune? Meglio così. Chiedere due permessi sarebbe stato un casino. Ma vi siete fidanzati con una coppia di sorelle?» ridacchiò.
«No, Genzo! Non c’è nessuna coppia di sorelle! Saremo io e Mamoru a sposarci!»
«Yuzo, mi prendi per cretino? Ho capito!»
«No, invece! Non hai capito che sarò io a sposare Mamoru!»
Il silenzio cadde così di netto che per un attimo entrambi si aspettarono di sentirne il tonfo.
Il SGGK allargò i begli occhi scuri aprendo leggermente la bocca per buttare fuori quell’unica e sorpresa: «Oh.» Cambiò piede d’appoggio, mutò espressione almeno tre o quattro volte. «Tu sposerai… Mamoru sposerà…» Si passò una mano sulle labbra, pensieroso. «Doveva esserci un perché se due ragazzi come voi – soprattutto come voi – non si erano ancora accasati. Diavolo, s’è sposato Ishizaki!»
Yuzo tirò un lungo sospiro. «Genzo, mi spiace tanto non avertene mai parlato prima, devi credermi…»
L’altro non parve ascoltarlo ma assunse un’espressione improvvisamente preoccupata.
«Santo cielo, ma da quanto tempo andate avanti così?! E chi lo sapeva?!»
«Stiamo insieme da diciotto anni, mi sembra sia giunto il momento di mettere dei punti fermi. Lo sanno solo Takeshi, Hajime e Teppei con le rispettive famiglie, e ora anche Tsubasa, visto che abbiamo deciso di sposarci a Barcellona.»
Il SGGK si passò una mano sulla fronte. «Diciotto anni. Ci credo che vi siate stancati di restare nascosti. E ora capisco anche il perché dei ritiri… Non potevate venire allo scoperto prima. Gran casino.»
Il silenzio pensieroso aleggiò tra loro per alcuni momenti, durante i quali Yuzo studiava le espressioni dell’ex-compagno di scuola.
«Ti ho deluso?» domandò d’un tratto. «Se ti senti in difficoltà, sta’ tranquillo, non sei costretto a farmi da testimone.»
Il portiere del Bayern squadrò l’amico con espressione sospetta e il mento leggermente sollevato. Incrociò le braccia al petto.
«Avrei due domande.»
«Dimmi…»
«Sei felice?»
Il sorriso che Yuzo gli rivolse gli piacque già come risposta.
«Sì.»
«Ti tratta bene?»
«Mh… vediamo… a volte sarebbe da prendere a sberle, però, sì», rise l’uomo, «mi tratta bene.»
Solo allora anche le labbra di Genzo si sciolsero in un fraterno sorriso. «E allora chi sono io per non farti da testimone? È ovvio che puoi contare su di me! Fatti abbracciare!»
Il sospiro sollevato che sfuggì alle labbra di Yuzo, nel momento in cui si ritrovò circondato dalla sua stretta, fece ridacchiare Genzo.
«Siete ancora tutti interi?» La testa di Takeshi fece capolino in quel momento per valutare la situazione, ma visto che non rischiava la vita entrò con un sorriso.
«Ecco che ritorna Re Riccardo dalle Crociate» scherzò Genzo. «Sono seriamente sollevato. Per un attimo avevo davvero temuto di diventare zio per la quinta volta. Non avrei retto il colpo.»
Takeshi poggiò una mano sulla spalla di Yuzo. «Visto che l’ha presa bene? Te l’avevo detto di stare tranquillo. Piuttosto, avete deciso dove avverrà la cerimonia?»
«Abbiamo scelto Barcellona.»
«Ommioddio, l’hai detto a Tsubasa?!» domandò Kishida.
«Veramente l’ho detto a Sanae, che poi è uguale. Ha tirato un urlo che per poco non mi bucava un timpano.»
«Tipico di Anego» sghignazzò Genzo. «Ma il vecchio Tatsuo lo sa? Ti prego, lascia che ci parli io o gli prende un infarto.»
«Se è per quello, volevo mandargli la partecipazione. Anche a Gamo, a Kira e a Katagiri.»
«Sai le facce?! Rimarranno di sasso e vi odieranno a morte per il vespaio che solleverete.» Rise con una punta di perfidia: «Vi ammiro per questo.»
«E la data?»
Yuzo annuì. «Settembre.»
«Ehi! Allora avete un sacco di cose da preparare.»
«Sì, ma dov’è la tua sposina stronza?» Genzo assottigliò lo sguardo con finta minaccia. «Lascia che gli metta le mani addosso a quel disgraziato. Ora si spiega perché ha fatto tanto il vago quando gli ho chiesto del matrimonio.»
«Colpa mia.» Lo difese Yuzo. «Sono stato io a chiedergli di mantenere il segreto perché volevo parlartene di persona.»
L’altro arricciò le labbra. «Mh, per stavolta si salva. Tanto mi rifarò alla prima occasione. Ne avrò di motivi per sfotterlo. È ancora a Yokohama?»
Yuzo diede una rapida occhiata all’orologio e poi sorrise. «No, a quest’ora dovrebbe essere arrivato a casa dei suoi per annunciare la lieta novella.»

«Zio Mamoru!»
Chizu squittì felicissima appena aprì la porta e se lo ritrovò davanti: bottiglia di vino in una mano, occhiali da sole abbassati sul naso, capelli legati in un codino da samurai e sorriso guascone sulle labbra.
Non importava lo scorrere del tempo, Mamoru Izawa sembrava esserne immune nonostante la vita da calciatore facesse invecchiare prima. Si era fermato a trent’anni scarsi e non era più andato avanti anche se quell’anno ne avrebbe compiuti trentanove.
La maturità gli aveva conferito un fascino che era in grado di far arrossire anche le signore di una certa età che ormai non si sorprendevano più di nulla.
I capelli neri avevano eleganti fili d’argento disseminati qua e là e le rughe di espressione avevano reso il suo sorriso ancora più accattivante.
Il problema di Mamoru era che la vecchiaia non faceva il suo dovere nemmeno con il suo senso di responsabilità, che ogni tanto tendeva a latitare. Come in tutta quella faccenda del matrimonio.
Per lui, il termine ‘sposarsi’ era ancora sinonimo di ‘venire incastrato’ e quando Yuzo aveva introdotto l’argomento, era così che si era sentito e continuava a sentirsi: incastrato, in trappola. Braccato, cappio al collo, guinzaglio e collare, catene e lucchetti e tutte le similitudini affini immaginabili.
Sulle prime c’era stato un momento di panico perché sapeva che Yuzo era serio, maledettamente serio, e glielo aveva detto con quello sguardo che lo rendeva così… uomo.
Lui, invece, si sentiva ragazzino dentro, poco incline a quel genere di cose tanto definitive. Ma proprio perché sapeva quanto Yuzo fosse convinto e sincero, non era riuscito a dire ‘no’. Gli era passata tutta la vita davanti nei pochi istanti in cui era rimasto in silenzio, poi Yuzo aveva appoggiato il viso in una mano sporgendosi sul tavolo di quel ristorante e gli aveva sorriso.
«Confidavo nell’effetto sorpresa», gli aveva detto, «perché non mi sarei mai voluto perdere l’espressione che hai adesso.»
Mamoru non aveva la minima idea della faccia che aveva fatto, ma il ‘sì’ era venuto fuori in un attimo, forse perché era stata l’espressione di Yuzo a non aver avuto prezzo per lui.
Fatto stava che aveva accettato e adesso gli toccava la parte peggiore – anche se per lui non c’erano parti migliori – : metterne al corrente la famiglia. Non era tanto preoccupato per suo padre e Nori, quanto per sua madre e quella iena di Yuri.
Per tale motivo ora era lì.
«Chizu! La mia nipote femmina preferita!» esclamò l’uomo abbracciando la quindicenne figlia di Yuriko che, nemmeno a dirlo, stravedeva per lui ma soprattutto per Yuzo.
«Ma se sono l’unica!» borbottò la ragazzina con una smorfia divertita.
«Suvvia, non stare a sottilizzare come tua madre!»
«E lo zio Yuzo?» domandò subito l’altra, separandosi dall’abbraccio e sbirciando alle spalle dell’uomo.
Mamoru entrò in casa, richiudendo l’uscio. «Non è potuto venire, aveva un impegno.»
«Oh…» Chizu non si premurò di nascondere il disappunto. «Peccato…»
Mamoru sorrise provando sempre un sottile piacere nel vedere come il suo compagno fosse considerato a tutti gli effetti uno di famiglia, ma la piacevolezza venne offuscata da quella parola che gli pizzicava la pelle peggio dell’orticaria: ‘matrimonio’.
Nella sua famiglia, tralasciando i suoi genitori, lui sarebbe stato il primo a sposarsi. Yuri e Nori erano entrambe madri single – la prima per scelta, la seconda per sfiga – e sua madre era sempre stata sensibile su quell’argomento, lamentandosi più e più volte di non aver mai potuto piagnucolare a nessuna cerimonia. Era anche per questo che l’idea di fare l’annuncio gli metteva una certa agitazione: la pressione dei suoi, le loro aspettative, l’idea di rimanere bloccato in qualcosa che andava a braccetto con il concetto di ‘per sempre’.
Perché era vero, i matrimoni finivano, ma non per lui. Non aveva senso sposarsi con il palliativo: ‘tanto possiamo sempre divorziare’. Su certe cose aveva sempre avuto un’etica personale molto forte.
Se era matrimonio, era matrimonio, e se era per sempre, beh, sarebbe stato per sempre. Eppure quella parola sapeva togliergli l’aria dai polmoni nemmeno gli avessero messo un collare.
Tossicchiando per scacciare la sensazione spiacevole d’apnea involontaria, Mamoru raggiunse la sala da pranzo dove la tavola era già apparecchiata.
«Ehilà» salutò.
Suo padre leggeva il giornale in poltrona. Tra lui e Cleo alla fine l’aveva spuntata la donna e già da un paio d’anni il signor Fujitaka aveva detto addio al codino.
«Ah, Mamoru! Benarrivato, tua madre stava già per chiamare e chiedere dove fossi.» L’uomo posò il quotidiano sul tavolo e tolse gli occhiali che portava sul naso. Abbracciò il figlio, dandogli una leggera pacca sulla spalla, mentre Yuri restava ancora accomodata elegantemente nel divano.
«Ecco la terza sorella» ridacchiò.
«Ciao, primo fratello, la puzza del tuo cigarillo si sente fin dalla porta.»
Yuri ciccò con noncuranza nel posacenere. Se lei lo chiamava sorellina, Mamoru aveva preso a sfotterla di rimando perché, seppure all’apparenza si vestiva e atteggiava da donna di mondo, aveva l’animo del più rozzo degli uomini.
«Devo pur far intuire la mia presenza fin da subito, no?»
«Così da far scappare la gente a gambe levate? Ottima tattica. Ciao, nipote.» Mamoru poggiò una mano sulla testa di Hideo, figlio di Nori e coetaneo di Chizu, ma espansivo come una mattonella e fissato di informatica. Aveva la faccia piantata nello smartphone e programmava da lì. Non alzò lo sguardo ma aggiustò solo gli occhiali.
«Ciao, zio.»
Yuri incalzò. «Ma Ciop, sei venuto senza Cip
«Perché tra i due devo essere io quello tonto?»
«E lo domandi?»
Mamoru assottigliò lo sguardo. «Molto divertente.»
«Tesoro!» Cleo cinguettò, arrivando dalla cucina con una zuppiera fumante e seguita da Nori armata di mestolo. «Giusto in tempo! Prendi posto, il pranzo è servito.»

«…e quindi Hideo presenterà il suo progetto alla mostra di scienze della Prefettura.»
Tra un cucchiaio e l’altro di ramen, Nori stava spiegando come suo figlio avesse passato le selezioni scolastiche per partecipare a un’importante mostra scientifica.
Nonno Fujitaka arruffò affettuosamente i capelli al ragazzino, seduto subito alla sua sinistra, congratulandosi con lui, e anche nonna Cleo esibì un sorriso ampio e orgoglioso.
«E bravo il mio nipote secchione» scherzò Mamoru al capo opposto del tavolo. «Almeno elevi un po’ il livello culturale di questa famiglia.»
«Parla per te, sorellina!» borbottò Yuri, inarcando un sopracciglio. «Non siamo certo noi quelli che hanno preferito correre dietro a una palla, piuttosto che studiare. Avresti dovuto prendere esempio da Yuzo, che ha fatto entrambe le cose!»
Fujitaka ne approfittò per introdursi nel discorso. «A proposito. Yuzo non è rientrato a Nankatsu con te?»
Lui poggiò il cucchiaio nel piatto, passandosi il tovagliolo sulle labbra. «Sì, ma doveva occuparsi di alcune cose. Anche lui ha deciso di ritirarsi e a breve farà l’annuncio ufficiale.» E non sarebbe stato l’unico annuncio che avrebbe fatto. Quello si presentava come forse lo scoglio maggiore di tutta la faccenda ed erano mesi che si stavano preparando: avrebbero reso pubblica la loro relazione, con tutte le conseguenze che avrebbe comportato nell’ambiente calcistico.
Si versò del vino, bevendone un lungo sorso perché sentiva improvvisamente la gola secca per tanti motivi diversi che avevano deciso di far visita ai suoi pensieri tutti insieme.
«Oh, davvero? Che carini, ritirarvi insieme» squittì Cleo, seriamente interessata. «E comunque mi sembra anche ora che iniziate a dedicarvi ad altro.»
Mamoru inarcò un sopracciglio, con ironia. «Per esempio?»
«Non saprei, non avete altri interessi? Che so, il giardinaggio?»
«Mamma!» Mamoru agitò una mano, scuotendo il capo, mentre Chizu, di fronte a lui, ridacchiava. «Ma ci hai preso già per due vecchi decrepiti?!»
«Beh, dovrete pur fare qualcosa, trovarvi un lavoro.»
«E credi che il giardinaggio sia la via?» rise ancora, sottilmente.
«E allora che avete intenzione di fare una volta appesi definitivamente gli scarpini al chiodo?» Fujitaka mandò giù un bel boccone di spaghetti. «Avete ricevuto delle proposte dai vostri Club per divenire collaboratori?»
Lui cincischiò con il cucchiaio nella ciotola. «Sì, ci sono delle cose in ballo, ma non abbiamo ancora accettato.»
«Come mai? Avete altre idee?»
Mamoru annuì, ma si manteneva molto vago. «In verità ce ne sarebbe una…»
A Fujitaka non sfuggì quel comportamento un po’ esitante. Posò le bacchette e prese il cucchiaio. «Va tutto bene?» chiese infine.
Mamoru raddrizzò la schiena e tirò fuori un mezzo sorriso.
«Sì, certo. Va bene. Va così bene…»
Tutti si portarono alle labbra un cucchiaio di zuppa.
«…che abbiamo deciso di sposarci.»
E tutti lo sputarono contemporaneamente.
L’ex-terzino dei Marinos alzò le braccia e si dipinse un’espressione disgustata sul volto. «Ehi! Ma che diavolo! Non si sa più mangiare del ramen qui?!»
Fujitaka aveva quasi gli occhi fuori dalle orbite per tossire. «Voi… voi cosa?!»
«Ci sposiamo. Convoliamo a giuste nozze» ripeté Mamoru ironicamente, mentre sua madre guardava il lato pratico della faccenda.
«Sposarsi? Ma in Giappone non si celebrano i matrimoni gay!»
«Infatti lo faremo in Spagna.»
Ci fu un attimo di silenzio generale, poi la signora Cleo sollevò i pugni al cielo, esultando.
«Sì! Finalmente un dannato matrimonio in questa casa! Gli Dei mi hanno ascoltato!»
«Mamma!» sbottarono in coro tutti e tre i suoi figli.
«Cosa? Sapete da quanto tempo aspetto di piangere un po’, dannazione? È il sogno di ogni madre!»
Mamoru appoggiò rassegnato il viso in una mano, Yuriko sbuffò, incrociando le braccia al petto, mentre Noriko sospirò affranta.
Chizu, invece, sembrava euforicissima all’idea. «Ma davvero, zio?! Vi sposate sul serio?!»
«Sì, nipote.»
«Questo significa che lo zio Yuzo diventerà a tutti gli effetti mio zio?!»
Mamoru accennò un sorriso divertito. «Sì.»
«Evvai! Che felicità!»
«E a quando il lieto evento? Qui occorre iniziare a vedere per il vestito, vero mamma?» Yuri aveva già cominciato a prendere in mano la situazione; proprio quello che Mamoru aveva temuto.
«Vedi di rallentare tu, il matrimonio sarà a Settembre, quindi c’è tempo e non ho bisogno della tua supervisione per la scelta dell’abito.»
«Vorrai scherzare, Mamoru?» sua madre era a dir poco inorridita e già con le lacrime agli occhi. «Vuoi tenermi fuori da una cosa così importante?! Non potrò mai aiutare le tue sorelle a scegliere il loro, almeno per il tuo voglio esserci!»
«Ma no, mamma, non parlavo di te-»
«Senza contare che io e Nori saremo, ovviamente, le damigelle!» decise Yuri.
«Le damicosa?! Ho già i miei testimoni e sono Hajime e Teppei!»
«Ma quali Hajime e Teppei! Vuoi vestirli color pastello, forse?! Una sposa che si rispetti ha le damigelle d’onore!»
«Ma… per caso vi è sfuggito che sposerò un altro maschio?!»
Ma ormai erano tutti talmente presi che nemmeno lo stavano più a sentire.
Mamoru li vide parlare tra loro, a raffica e contemporaneamente, sovrastandosi con le voci. Qualcuno gli chiese qualcosa, ma lui non riuscì neppure a capire quale fosse la domanda in quella cacofonia stonata, tanto che alla fine ci rinunciò, tornando a finire quel poco che restava del suo ramen, ormai gelido.
Era in momenti come quello che si pentiva d’aver smesso di fumare.

 

- Giugno -

L’aereo atterrò all’aeroporto El Prat dopo sedici ore di volo e nonostante fosse stata una traversata comoda e tranquilla, la stanchezza non lo stava risparmiando.
Era partito da Narita alle 11:20 e ora erano le 19:30. Del giorno dopo. O del giorno prima? Lui con i fusi orari ci aveva sempre litigato, fin da ragazzino, quando aveva iniziato a viaggiare assieme alla Nazionale per disputare i vari mondiali, coppe e tornei.
Ma scendere dall’aereo e trovare quel calore piacevole seppe fargli mettere da parte un po’ della stanchezza che aveva addosso.
Yuzo si mosse piuttosto velocemente e con una certa praticità nella zona del ritiro bagagli, individuando la propria valigia senza alcuna difficoltà. Imparare la lingua non era stato troppo difficile per lui, perché era sempre stato portato, mentre Mamoru aveva avuto qualche difficoltà. Adesso le scritte sui tabelloni gli apparivano molto meno straniere di quanto erano state alcuni mesi addietro, quando era andato in Spagna la prima volta in vista del famoso ‘grande passo’.
Sanae era stata un aiuto impareggiabile. Grazie a lei aveva trovato casa, aveva preso la residenza e si era iscritto all’università. Di nuovo.
Sposarsi in Spagna comportava alcune necessità e quella che uno dei due partner fosse residente nello stato celebrante era una di queste. Diversamente da quanto ipotizzato, Mamoru si era gasato all’idea, esultando al dolce pensiero di: «Yuri fuori dalle palle!». Molto poco fraterno, ma tant’era.
Yuzo diede un’occhiata all’ora, che aveva lasciato col fuso orario di Tokyo per mantenere un piccolo contatto con casa, e si disse che era decisamente tardi per provare a chiamare Mamoru; magari avrebbe potuto fargli uno squillo dopo cena o mandargli un messaggio, almeno per dirgli che era tutto a posto.
Mancavano poco più di due mesi al matrimonio e c’erano ancora un sacco di cose da preparare, lì a Barcellona. Documenti, abito, luogo per il ricevimento e ambientarsi il più possibile per rendere semplice il trasferimento all’ex-terzino dei Marinos. Per questo era partito con così largo anticipo: per potersene occupare direttamente sul campo. Mamoru, invece, era rimasto in Giappone per coordinare la partenza di parenti e amici.
Yuzo trascinò il trolley avviandosi all’uscita del gate dove scorse subito la signora Ozora con un sorriso a trentadue denti e le mani giunte.
Appena lo vide, Sanae iniziò a sbracciarsi incurante del fatto che stesse attirando l’attenzione, mentre Tsubasa stava tentando anche l’impossibile per non farsi vedere, nascondendosi sotto un assurdo cappello con parrucca bionda e dietro enormi occhiali da sole.
«¡Yuzito!» trillò, saltellandogli incontro e spalancando le braccia. «Eccolo il mio sposo!»
«¡Hola, manager!» Yuzo fu costretto a mollare il borsone al suolo per poter stringere affettuosamente la donna. «Non c’era bisogno che mi veniste a prendere, avrei trovato un taxi; ormai lo spagnolo lo mastico bene.»
«Oh, ma dai! Morivo dalla voglia di sapere subito tutte le novità!» Lei si portò una mano alla bocca, ridacchiando perfida. «Come se la sta cavando la sposina? Scommetto che è già in fase isterica!»
Tsubasa sospirò. «Sanae, vuoi dargli tempo di respirare? È appena atterrato!» Poi si avvicinò per abbracciare il vecchio compagno di scuola. «Benarrivato, Yuzo, e abbi pazienza.»
«Complimenti per il travestimento!» rise l’interpellato e Tsubasa si guardò attorno con sospetto.
«Parla piano! Ho rischiato grosso un paio di volte! Domani di sicuro parleranno del fatto che la signora Ozora è stata vista con un ‘losco individuo dalla fluente chioma bionda’
«Mi dispiace molto, davvero. Non c’era affatto bisogno che veniste fin qui. Non voglio coinvolgervi in inutili pettegolezzi…»
Sanae continuò a ridacchiare. «Figurati! Tsubasa fa tutto il tipo, ma sotto sotto si diverte a mascherarsi nelle maniere più insolite.»
La stella del calcio mondiale sospirò, incrociando le braccia. «Ok, lo ammetto. Sono un fan del cosplay.»
«Ma ora, andiamo a casa! Così confabuleremo con calma!»
Quando prendeva una decisione, Sanae era irremovibile e a Yuzo non restò che farsi trascinare fuori dall’aeroporto.

Quando la famiglia Ozora si era allargata con l’arrivo del secondogenito, Roberto(1), Sanae era stata chiara: voleva trasferirsi in un posto più tranquillo e meno frenetico del centro di Barcellona. Per non parlare della notorietà eccessiva di Tsubasa che portava la loro vecchia abitazione a essere assediata di continuo da paparazzi e giornalisti. Così, avevano preso casa sulla collina di Montjuïc, in una villetta immersa nel verde dalla quale, seppur non fossero perfettamente in grado di liberarsi dei paparazzi, almeno riuscivano a tenerli a una distanza quanto meno accettabile.
La vista era incantevole e alla sera, cenando sulla terrazza come stavano facendo in quel momento, era addirittura da mozzare il fiato.
Barcellona era un mare di luci in movimento attorno ad altre luci. Un mare di colori diversi, di vita perennemente in viaggio tra le calli, La Rambla e i vicoli stretti. Un mare di suoni, rumori e musica. Un mare di terra che incontrava il mare vero, fatto di acqua, e non aveva nulla da invidiargli.
«E allora? Come procedono i preparativi?» Tsubasa lo domandò mentre riempiva per l’ennesima volta il bicchiere di Yuzo con del vino bianco. La paella di Sanae aveva fatto furore ed era sparita nell’attimo stesso in cui era stata messa in tavola.
«Diciamo che il più è fatto, ormai non restano che i dettagli come il luogo del ricevimento e il vestito», che dettagli proprio non erano, ma lui rise, rigirando il bicchiere prima di portarlo alla bocca.
«Domani andiamo a fare shopping!» esclamò la signora Ozora battendo le mani con entusiasmo.
«Sanae, ma non sarebbe il caso che fossi io ad accompagnare Yuzo, dopotutto chi meglio di un uomo può consigliare un altro uomo sul proprio abito da sposo?»
«Tsk! Vorrai scherzare?!» La donna lo additò con sguardo sottile. «Appunto perché sei un uomo è meglio se ti tieni alla larga! Ti ricordo che non è stato il Capitano Ozora ad accompagnarti quando toccò a te, ma tua madre!» Si girò poi verso Yuzo. «E per fortuna, dico io, altrimenti sarebbe stato capace di presentarsi in chiesa con la divisa della Nazionale o, peggio, con una da marinaio!»
Tsubasa ci pensò un po’ e poi si grattò il mento, vedendosi costretto a capitolare. «Uhm, detta così… mi sa che hai ragione.»
«Visto?»
Yuzo rise di gusto pensando che fossero la coppia più ben’assortita che conosceva.
«Per quanto riguarda la location», continuò Sanae, «ho parlato con quell’amica di cui ti avevo accennato: domani abbiamo appuntamento con il proprietario di Villa San Juan, il signor Vasquez. Sono sicura che ti piacerà da morire! E’ situata sulla Collina Tibidabo, non hai idea di che vista si goda da lassù!»
Yuzo parve sorpreso. «Addirittura migliore di questa?»
«Ci puoi giurare!»
L’ex-portiere guardò l’ora allenatore della prima squadra del Barça, scrollando le spalle. «Ecco, tutto risolto.» Risero, ma Yuzo sapeva di essere profondamente in debito con Sanae: era stata la wedding planner migliore che avesse mai potuto avere, gli aveva dato una mano con tutto. Tra i visti, la scelta dell’appartamento in cui avrebbero vissuto, i documenti per la residenza e per il matrimonio e l’iscrizione all’università, se non avesse avuto lei ci avrebbe messo di sicuro il triplo del tempo per riuscire a fare tutto.
L’entusiasmo con cui la signora Ozora aveva accolto la notizia del suo matrimonio con Mamoru l’aveva lasciato davvero colpito. Lui e Sanae erano sempre andati molto d’accordo, fin dai tempi delle scuole medie(2), e anche quando la giovane si era sposata e trasferita in Spagna per stare accanto a Tsubasa avevano mantenuto vivi i contatti.
Quando intorno Febbraio le aveva telefonato per dirle la grande novità, la giovane aveva prima urlato di gioia e poi gli aveva confessato che un po’ l’aveva sempre sospettato, dimostrando ancora una volta la forte affinità che c’era tra loro.
«E in Giappone come vanno le cose?» Tsubasa lo chiese appoggiando i gomiti sul tavolo, ai lati del piatto, e incrociando le mani davanti al mento. L’espressione era più seriosa, anche perché le notizie erano arrivate fino a lui, ovviamente; si poteva dire che avevano fatto un po’ il giro del mondo.
Yuzo inspirò, rilassandosi contro lo schienale. «Adesso meglio. All’inizio ci sono stati dei problemi, ma eravamo preparati.»
«I giornalisti vi perseguitano ancora?»
«Meno di prima.»
Sanae sbuffò sonoramente mentre toglieva i piatti vuoti. «Che vadano al diavolo! Questo non è giornalismo, è sciacallaggio! Ti giuro, non li sopporto quando fanno così. E non credere che in Spagna siano migliori, guarda.» Sospirò. «Io e Tsubasa ne abbiamo passate di ogni a causa loro. Sono peggio delle zecche.»
Yuzo sorrise. «Sì, lo so. Per noi i primi tempi sono stati un incubo. Eravamo praticamente braccati in casa e con il telefono staccato.»
Tsubasa scosse il capo, l’espressione severa gli mise in evidenza le rughe sulla fronte. «Me lo immagino.»
«Però vi ammiro, Morisaki-san.» Hayate aveva ormai diciassette anni ed era già la stella del Barça B; si vociferava di un’eventuale promozione in prima squadra con il nuovo anno. Diversamente da Roberto, che era molto più europeo nei modi di fare, Hayate aveva conservato il lato giapponese della famiglia. «Alla conferenza stampa siete stati davvero impeccabili. Complimenti per l’aplomb e per il sangue freddo.»
«No, quello era l’effetto del Valium, Hayate-kun; credo di averne buttato giù quasi mezzo flacone prima di presentarmi davanti a quegli squali.» Yuzo sorrise rassegnato, appoggiando il viso in una mano. «Ricordo di aver dormito fino al pomeriggio del giorno dopo. Dei due, Mamoru era di sicuro il più lucido.»
«Mamoru è stato davvero un gran signore. Io non penso avrei resistito così a lungo, soprattutto quando hanno insinuato che avevate ottenuto le convocazioni in Nazionale solo dietro chissà che scambio di favoritismi e accordi sottobanco. Là, credo si sia proprio toccato il fondo.» Tsubasa alzò le mani, dipingendosi un’espressione disgustata.
«Guarda, sono rimasto sorpreso anche io, devo essere sincero. A un certo punto ho pensato che stesse per lanciare il microfono che aveva davanti.» Morisaki scosse il capo, con un sospiro. Quella era stata la prima volta che aveva profondamente odiato l’ambiente calcistico e il sapore della bile che tornava alla bocca non era mai davvero dimenticato, compariva ogni volta che ci ripensava. «Tajima e Nozaki hanno cercato di difenderci come potevano, in fondo loro hanno seguito i membri della Generazione d’Oro fin da quando eravamo bambini, ma si sono visti in netta minoranza.»
«Avrebbe dovuto lanciarglielo davvero il microfono, Izawa!» sbottò Roberto che aveva due anni in meno di Hayate. Con pugni stretti e piglio battagliero, identico a quello di sua madre, iniziò ad agitarsi. «Io l’avrei fatto! Una bella microfonata nelle gengive a quei malditos bastard
A esser lanciato, però, fu un tovagliolo appallottolato, che prese il ragazzino in pieno viso. Tsubasa non era bravo solo con i piedi.
«Abbiamo capito, Bebé, anche senza troppi folklorismi!»
Yuzo rise, alzando una mano in direzione di Roberto, che gli diede il cinque. «Grazie per il sostegno, Bebito
«E per quanto riguarda i vostri Club?» Sanae era tornata per prendere i bicchieri e portarli in cucina. Si fermò, appoggiando il ginocchio sulla sedia.
«Se devo essere sincero è andata meglio del previsto. Almeno per me. C’è un motivo se sono rimasto per tutti questi anni alla Shimizu S-Pulse e quando dicono di considerarsi come una famiglia, beh, è la verità. L’ho capito con tutto quello che è successo. Mi hanno sempre sostenuto, mi hanno dato il loro appoggio. E non parlo solo dei compagni di squadra, ma anche del presidente, del mister e di tutto lo staff. Quando dissi che mi sarei ritirato, avevano già in mente di propormi di allenare le giovanili e quando poi è venuto fuori tutto il resto, non si sono affatto tirati indietro. Volevano comunque che allenassi le promesse della S-Pulse
Tsubasa aggrottò le sopracciglia, sostenendo il mento con una mano. «Mamoru, invece?»
Yuzo sospirò pesantemente. Scosse il capo. «La dirigenza dei Marinos è stata un’ingrata. Dopo tutto quello che Mamoru ha fatto per la squadra, poi. È stato addirittura Capitano negli ultimi sei anni e invece di prendere le sue difese, gli hanno molto gentilmente fatto capire che non volevano più avere nulla a che fare con lui. Tante grazie e arrivederci.» Rigirò i pollici, abbassando lo sguardo. «Credo che più che dalla conferenza stampa, Mamoru sia rimasto ferito da questo atteggiamento. Ha avuto l’appoggio di alcuni dei suoi compagni, ma la dirigenza è stata chiara anche su quello vietando a tutti di prendere pubblicamente le sue parti. Non hanno mai rilasciato un’intervista in sua difesa. Mai. Nemmeno una volta. Hanno parlato solo per dire: ‘Noi siamo estranei ai fatti. Non ne sapevamo niente’, chiuso il discorso.»
Anche Tsubasa abbassò lo sguardo, arricciando le labbra e guardandosi le mani. «Viviamo in un mondo in cui i tempi cambiano più velocemente di quanto noi siamo in grado di star loro dietro. Siamo piuttosto lenti. Mamoru non deve prenderla troppo a male» sorrise infine e Yuzo fece altrettanto.
Con un gesto lento l’ex-portiere incrociò le braccia al petto e allungò le gambe sotto al tavolo in legno.
«Ci prova. Anche per questo abbiamo deciso di venire a stare qui per un po’.»
«Quindi hai rifiutato la proposta della S-Pulse
«Sì. E’ stata una necessità, per entrambi. La parola d’ordine quando il vespaio che si era sollevato è cominciato a scemare è stata: ‘staccare’. Staccare dal Giappone, staccare dal calcio, staccare da tutto. Vivere per un po’ in un paese in cui puoi uscire di casa senza essere braccato come nemmeno un serial killer, recuperare i nostri spazi, una routine pacifica. E magari godere un po’ della vita matrimoniale, visto che una volta tornati in Giappone tutto questo non verrà riconosciuto.»
Sanae gli strizzò l’occhio, ridacchiando. «E chi dice che ci dovete tornare!»
«Giusta osservazione!» Yuzo fece schioccare le dita, ridendo. Poi si volse a guardare le luci di Barcellona illuminare La Rambla che tagliava di netto la città. Sorrise ancora, pensando che avrebbero davvero potuto non fare più ritorno a casa, se avessero deciso di trovarne un’altra altrove. «Vedremo.»

Mamoru era indeciso se buttarsi sotto un’auto in corsa, da un ponte/balcone/altezzarandom o comprarsi una corda e impiccarsi con calma a casa. Certo, anche l’idea di scolarsi un flacone di pillole varie non era proprio da scartare. Lui se le stava appuntando tutte perché, decisamente, stava arrivando alla frutta.
Non ce la faceva più.
O si ammazzava lui o avrebbe finito con l’ammazzare sua madre e sua sorella Yuri; la scelta era tra una di queste due.
Quella mattina l’avevano buttato giù dal letto – dopo averlo costretto a dormire nella sua casa natale – per andare a cercare il vestito. Ancora. Era da ormai una settimana che girava gli atelier di tutta Nankatsu e dintorni e quel giorno erano andati addirittura a Fuji.
Fino all’ultimo, Mamoru aveva confidato almeno nel sostegno di Nori, ma la sorella non aveva potuto prendersi un giorno di ferie dal lavoro e quindi gli era toccato essere da solo contro le belve.
Cleo e Yuriko sembravano due cani sciolti. Madre e figlia in tutto e per tutto; anche se Yuriko aveva il gene della Stronzaggine potenziato oltre limiti accettabili.
Adesso stavano camminando a passo spedito e avanti a lui, continuando a confabulare, mentre Mamoru si teneva leggermente dietro, con l’espressione più scazzata del mondo e la voglia di buttare tutto all’aria, annullare ogni cosa, scappare a gambe levate.
«Il vestito perfetto era quello bianco. Non riesco ancora a capire perché tu l’abbia scartato.» Cleo stava rivangando lo stesso discorso ripetuto tal quale da ormai tre giorni.
Lui sospirò, pentendosi di non aver preso un valium prima di uscire di casa.
«Per lo stesso motivo che continuo a ripetere come un disco rotto: bianco non mi sembra l’ideale.»
«Non ti sembra l’ideale?» fece eco Yuriko. «Il bianco è per eccellenza il colore del matrimonio! E’ perfetto per una sposa!»
«E la sposa sarei io?! Ti ricordo che sono un uomo!» Alzò le mani, virgolettando di proposito l’ultima parola, giusto per sottolineare quel dato di fatto.
Yuri ridacchiò, sollevando il mento con la sua solita supponenza. «E quindi? Non vorrai certo dire che è Yuzo la sposa tra i due. Non mi pare sia lui quello che porta i capelli lunghi!»
Mamoru grugnì una serie di versi sentendo montare l’istinto omicida. «Ma che diavolo c’entra questo?! Dei, non sopravviverò…»
In quel momento, il cellulare vibrò leggermente nella tasca del jeans e lui lo estrasse con rapidità. Qualsiasi distrazione era benedetta se poteva distoglierlo dai suoi neri desideri. Quando vide che era addirittura un messaggio di Yuzo che gli comunicava di essere arrivato e di stare bene, si aggrappò a quell’ancora di salvezza telefonandogli addirittura.
«Ehi! Sei già in piedi?» La voce di Yuzo gli arrivò leggermente bassa a causa della distanza.
Lui sospirò disperato e frustrato. «Non so quanto resisterò prima di ucciderle.»
All’altro capo la risata del compagno gli parve il suono più bello che avesse mai udito.
«Che succede, Raperonzolo
«E’ una settimana che mi trascinano in giro per il mondo per cercare l’abito; penso che dopo non vorrò vedere un negozio d’alta moda per almeno un anno.»
Sotto il cielo spagnolo, Yuzo era disteso sul letto, anche se lui non poteva vederlo. La cena si era conclusa da poco e l’ex-portiere si era congedato dal gruppo perché era effettivamente stanco. Una volta in camera, aveva deciso di stendersi, ancora vestito, e di mandargli un messaggio.
«Non arrabbiarti. A tua madre non sembra vero di potersi occupare finalmente di un matrimonio, cerca di capirla.»
«Ma io lei la capisco pure. E’ Yuri che vorrei sopprimere con tutte le mie forze!»
«Chi è che vorresti sopprimere, tu?» chiese proprio la donna, sghignazzando, e lui agitò minacciosamente una mano. Poi si allontanò di qualche passo, tanto le ‘sue signore’ si erano messe a guardare l’ennesima vetrina.
Mamoru sentì Yuzo ridere ancora. Sospirò. «Si sono messe in testa che debba vestirmi di bianco perché è nella tradizione della sposa!»
«Beh, il bianco ti è sempre stato bene, dopotutto.»
«Ti ci metti anche tu, adesso?!» tuonò e Yuzo si affrettò a calmarlo.
«Scusa, scusa, hai ragione!»
Lui grugnì, poi si passò una mano tra i capelli, guardandosi nel riflesso di una vetrina. Si sentì improvvisamente stanco e pensò che quella fosse l’occasione giusta… l’occasione per dire che non…
«Avrei dovuto lasciare a te le fedi, ne hai più bisogno.» Il tono di Yuzo si era fatto morbido.
Lui inarcò un sopracciglio. «Perché? Che c’entra?»
«Beh, ogni volta che la frenesia e il peso di questi preparativi mi irritano, prendo l’astuccio e le guardo.» Yuzo si stiracchiò anche se Mamoru non poteva vederlo. «Mi rilassa e mi ricorda che qualsiasi problema stia affrontando adesso, dopo non avrà più alcun senso e magari ci riderò anche su. Avrebbero potuto sortire lo stesso effetto con te.»
Mamoru non rispose, sul momento; lo sguardo ancora fisso nel proprio riflesso ma con un’espressione d’improvviso colpevole. Quella che credeva essere l’occasione giusta sfumò di colpo, con la fuggevolezza dei miraggi. La mano tornò a tuffarsi tra i capelli, li tirò indietro e lui riprese a tacere la sua verità.
«Non preoccuparti, me la caverò alla grande.» Sospirò. «Tu, piuttosto, come è andato il viaggio?»
«Stancante. Non vedo l’ora di dormire, qui è mezzanotte passata.»
«Sei da Tsubasa? Come stanno?»
«Benissimo. Sanae è elettrica e sappi che domani il giro di shopping toccherà anche a me» rise Yuzo, lui accennò una smorfia divertita. «Hayate è identico a suo padre e Bebé fa morire dal ridere.»
«Gioca ancora a rugby? Ormai è deciso?»
«Decisissimo.»
Mamoru guardò in direzione delle due iene e le vide fargli cenno di sbrigarsi perché dovevano entrare nel primo atelier della giornata. Il primo di otto. Sospirò pesantemente. «Ti lascio riposare, ok? Le mie signore mi hanno richiamato all’ordine.»
«D’accordo e non arrabbiarti troppo, va bene? Chiamami se hai bisogno di sfogarti un po’.»
«Tranquillo, tranquillo, me la caverò alla grande. Non ho bisogno che tu mi faccia da mamma, mi basta la mia!»
Risero entrambi, poi la chiamata venne chiusa su un ‘buonanotte’ e un ‘ti amo’.
L’ennesimo sospiro gli sfuggì nel guardare il display ancora illuminato.
Dall’altra parte del mondo la giornata finiva, mentre per Mamoru era appena cominciata.

***

«Oh! Finalmente possiamo fare un po’ di sano pettegolezzo come piace a me, senza Tsubasa tra i piedi» rise Sanae, mentre camminavano per La Rambla brulicante di negozi e persone.
Non si erano alzati presto, ma avevano preferito muoversi in tutta calma che tanto non c’era fretta. Sanae aveva preso appuntamento con un solo atelier, per quel giorno, ma già aveva altri sei o sette numeri da poter chiamare, mentre a Villa San Juan sarebbero andati sul pomeriggio molto tardi, quindi avevano tutto il tempo per passeggiare e chiacchierare. Tanto più che Tsubasa, Hayate e Bebé erano agli allenamenti: calcio, per i primi due, e rugby per il terzo al quale, sì, piaceva correre dietro una palla, ma preferiva di gran lunga correre con la palla tra le mani e fare zuffa.
Tsubasa si era rassegnato, fin da subito, con una semplice scrollata di spalle.
«Non essere cattiva con tuo marito.»
«No, ma non sono cattiva. È solo che io voglio sapere cose che a lui non interessano!» Sanae sbatté le ciglia, ridendo poi come una ragazzina. Lo teneva tranquillamente sottobraccio incurante del fatto che avrebbero potuto riconoscerla e magari cianciare a sproposito alle sue spalle.
Essere sposata con una persona in vista come Tsubasa l’aveva costretta, all’inizio, in una condizione in cui bisognava sempre fare il passo giusto, onde evitare di finire in prima pagina. Ed era stato stressante, addirittura snervante, tanto che alla fine si era stancata e aveva mandato tutti al diavolo. Se volevano parlare, che parlassero pure, lei e Tsubasa si conoscevano meglio di quanto degli stupidi paparazzi da quattro soldi volevano far intendere.
Yuzo invidiava un po’ la sua forza d’animo e il suo prendere sempre le cose così, di petto. Forse era stata l’aria che si respirava lì, che era diversa da quella giapponese, più rigorosa, dove le occhiate delle persone che fino al giorno prima ti sorridevano con cortesia adesso ti squadravano con sospetto e fastidio.
Avevano sollevato un putiferio non indifferente.
I nuovi dirigenti della Federazione Calcio avevano desiderato di ucciderli nelle maniere più atroci, mentre la vecchia guardia li aveva ammoniti come fossero stati due ragazzini; un paio di scappellotti dietro la nuca e poi gli avevano anche fatto gli auguri. Yuzo aveva sempre pensato che a Mikami non era venuto un colpo solo perché ci aveva parlato Genzo, prima. Gamo li aveva accolti con l’espressione scurissima e poi era sbottato a ridere assieme a mister Kira. Loro li conoscevano da che erano dei poppanti, e anche se un po’ la faccenda li aveva lasciati perplessi, non ne avevano fatto un problema insormontabile. Solo Katagiri li aveva bacchettati per non averne parlato almeno con uno di loro, prima di scatenare la Terza Guerra Mondiale.
Yuzo sospirò e questo non passò inosservato alla sua accompagnatrice.
«Vedi? È proprio di questo che volevo parlare un po’ a quattrocchi con te» disse Sanae attirandosi il suo sguardo. «Sicuro che vada tutto bene?»
Yuzo ci pensò, guardandosi attorno. La gente gli camminava accanto senza minimamente curarsi di lui, poi scorse un’altra coppia omosessuale. Guardavano una vetrina, ridevano, passavano oltre. Nella più classica normalità.
Sorrise con una certa soddisfazione.
«Sì. Sì, è tutto a posto, per adesso.»
«Mmmmh, cos’è questo ‘per adesso’? Sentiamo.»
«No, davvero. Al momento sta andando tutto tranquillo, tutto liscio. Sembra che dopo la burrasca le cose stiano prendendo la giusta piega.»
Sanae lo guardò da sotto in su. «E Mamoru? Come sta vivendo i preparativi?»
«Ah! Malissimo!» sbottò a ridere. «Sua madre e le sue sorelle non gli danno tregua, perché vogliono decidere tutto, e lui non le sopporta più.»
«Ahi, ahi! Povero Raperonzolo!» Sanae si piegò sul suo braccio, ridendo di cuore. «Ma a parte questo, è felice?»
«Io… io credo di sì. Non ne parla molto spesso, del matrimonio dico, e quando lo fa di solito è perché deve borbottare. Però mi sembrava contento all’idea di trasferirsi in Spagna per un po’, solo che poi… a volte ho come l’impressione che la faccenda lo infastidisca, che non gli importi più di tanto.»
«Beh, ma ti ha detto di ‘sì’, pensa a questo.»
«Pensa che io ero convinto mi dicesse di ‘no’.» Sorrise. «Le cose troppo impegnative tendono a spaventarlo e io ero preparatissimo a sentirmi rispondere picche.» Yuzo scosse il capo. «Alla fine credo sia solo stressato da tutta la situazione, da quello che abbiamo passato…»
«Di sicuro. Vedrai che appena verrà qui, si sentirà subito meglio e questa brutta storia ve la lascerete alle spalle una volta per tutte. In Giappone si stancheranno presto di parlare di voi, del presunto marcio che c’è nel calcio giapponese e di tante altre idiozie.»
«Speriamo il prima possibile.»
«E inoltre credo che abbia un po’ di fifa!» Sanae nascose un sorriso perfido dietro la punta delle dita. «Ah! A proposito! Ho fatto prendere un po’ d’aria al vostro nuovo appartamento e ho mandato alcune ragazze di fiducia a pulire. Ora la casa è perfettamente accogliente! Possiamo andarci quando vuoi.»
«Sanae, accidenti, non so proprio come ringraziarti. Non so che avrei fatto senza il tuo aiuto, sul serio. Dovresti davvero prendere in considerazione l’idea di fare la wedding planner, e non sto scherzando.»
«Ma smettila! Lo sai che per me è stato un piacere poterti essere utile. Sei il mio ragazzo d’oro, diavolo!» Con passo svelto lo trascinò davanti alla boutique. «E adesso è il momento di trovarti l’abito, sposino, andiamo!»
L’interno del negozio si presentò ultra moderno con la tendenza al pacchiano o, come si sforzavano di definirlo i modaioli, ‘chic’.
Linee squadrate per tavolini, poltrone e divanetti che erano incassati in strutture nere e lucide. Cristalli per ogni superficie e una cascata di swarovski dietro la parete dove c’era la cassa.
Una graziosa signorina in tailleur scuro e crocchia li accolse, parlando dapprima in inglese e poi in spagnolo, non appena Sanae spiegò che avevano un appuntamento.
Posticino d’alta classe, pensò Yuzo, che conosceva il buon gusto di Sanae, per questo si era affidato al suo consiglio nella scelta dell’abito. Lui non ci badava molto a queste cose, senza contare che il suo guardaroba era decisamente casual a parte un paio di completi giacca e cravatta per le occasioni un po’ più ufficiali. Per il resto, era il Re del Cardigan, ne aveva di tutti i tipi e colori, con o senza alamari: quello, una t-shirt o una camicia e un jeans e si sentiva in pace con l’universo.
La signorina li indirizzò nella zona di prova isolata dal resto dell’atelier da un separé bianco con rifiniture nere.
Ah, e lo zebrato.
Lo zebrato era ovunque.
Tappeti, cuscini.
«E’ tornato di moda?» mormorò Yuzo in giapponese, indicando con espressione schifata la fantasia a strisce che spuntava un po’ per ogni dove. Sanae gli mollò una leggera gomitata, ridacchiando.
«Shhhh! Non farti sentire da Eduardo o si incazza!»
«¡Sanita!»
Un urletto euforico li raggiunse in quel momento e a Yuzo non ci volle molto per capire che l’uomo dal capello impomatato, il completo di Gucci e l’ascot alla gola con fantasia zebrata, per non parlare dell’occhiale fumé, fosse il fantomatico Eduardo.
«¡Edu!»
«¡Oh, querida! ¿Como estas? ¡Ha pasado mucho tiempo desde la última vez que tu y Tsubasa habéis venido aquì!»
«Yo lo sé.»
Eduardo si girò verso Yuzo, abbassando le lenti sul naso e squadrandolo con vivo interesse.
«E questo è lo sposo?! Perché i ragazzi carini che mi porti sono sempre tutti già occupati?! Non ne conosci qualcuno single?!» Gli prese una mano stringendola con entrambe le sue. «Congratulazioni!»
«Grazie.» Yuzo sorrise, un po’ in imbarazzo, mentre Sanae si difendeva.
«Hai ragione! La prossima volta, promesso!»
«Bugiarda! Ma veniamo a noi.» Edu si volse nuovamente verso di lui. «Yuzo, right
«Sì, esatto. Piacere di conoscerla.»
«Oh! E parla spagnolo così bene!» squittì teatralmente il commerciante, portentosi una mano al petto. «Ricordo quando sentii parlare Tsubasa per la prima volta… Dios. Mio. Dunque fammi dare un’occhiata… oh! E’ sempre un piacere dover vestire dei calciatori – perché è un calciatore, vero? – con il fisico che hanno possono indossare di tutto. Eccetto Gonzales(3), forse.»
Sanae gli mollò un sonoro buffetto sul braccio.
«Edu! Che cattivo!»
«Non è colpa mia, è lui che non si sa dare una regolata col cibo!» Infine prese entrambi sottobraccio, conducendoli verso un espositore pieno di grucce. «Ora venite con me, andiamo a dare un’occhiatina. Vediamo… che colore preferisci? No! Aspetta non dirmelo, lo indovino, dunque… il bianco no, il nero è per un funerale, il grigio forse… anche se fa un po’ topo.» Infine si illuminò, senza lasciare il tempo a Yuzo di provare a dire alcunché. «Blu! Anche marrone; quest’anno è tornato di moda. Oppure qualche fantasia! Vado a vedere!»
L’ex-portiere attese che Eduardo si fosse allontanato abbastanza per sussurrare, in giapponese: «Un abito fantasia?! Sanae, non è che mi ritrovo a sposarmi con una tovaglia a quadretti, vero?»
«Può sembrare un tipo stravagante, ma ha un gusto fenomenale!»
La voce del commerciante li interruppe.
«A proposito, in che colore è la sposa?»
«Lo sposo.» Lo corresse Yuzo ed Eduardo interruppe la propria ricerca. Si volse, guardandolo con la bocca teatralmente troppo aperta, prima di squittire sonoramente, battendo le mani. «Oh, squeeeeeeeeeee! Tutto questo è meraviglioso!»
«Aspetta, te lo faccio vedere!» Giusto per fomentare il suo entusiasmo, Sanae mise mano al cellulare, smanettando con le fotografie, prima di piazzargliene una davanti. «Ta-daaaan! Edu, lui è Mamoru! Non è un gran bel pezzo di-»
«Sanae!»
La signora Ozora guardò uno Yuzo sconcertato, stringendosi nelle spalle.
«Eh, oh, è vero, che vuoi?»
«¡Madre de Dios!» Eduardo si fece vento con la mano. «Ci credo che te lo vuoi sposare! Ragazzi siete una coppia bellissima! E lui… lui in bianco. Assolutamente! Ha già comprato il vestito?»
Yuzo si grattò il sopracciglio. «A dire il vero è piuttosto indeciso.»
«Digli di prenderlo bianco senza nemmeno stare a pensarci.» L’uomo girò su sé stesso come una trottola, giungendo le mani davanti al viso. «Oh, come sono emozionato! Yuzito, ai camerini! Sanita, ai divanetti! Rebekah, portaci dei martini!»
«Ma non è un po’ presto per l’aperitivo?» tentennò Sanae, ma lui era irremovibile e la guardò con serietà da sopra le lenti.
«E’ sempre l’ora per un martini!»

Da che mondo era mondo, Yuzo e lo shopping erano sempre stati come due animali che si guardano con sospetto e a distanza. Di solito era Mamoru a trascinarlo in giro o, tutt’al più, si concedeva quel giretto, una volta a settimana, di un paio d’ore scarse, per dare un’occhiata ai negozi che più gli piacevano. Nient’altro. Preferiva continuare quella pacifica convivenza non morbosa. Nell’atelier di Eduardo, invece, te lo potevi anche scordare.
Per le successive due ore e mezza – tempo che di solito lui impiegava in totale e non in un solo negozio –, Yuzo si sentì come una mannequin a una sfilata di moda. Entrò e uscì non seppe neppure lui quante volte, con Sanae che valutava, chiacchierava con Eduardo, alzava o abbassava il pollice, ma non rimaneva convinta di nessun abito in particolare e neppure lui.
Quando comparve con quel ridicolo completo a quadretti i cui pantaloni gli arrivavano alle caviglie e la cravatta sembrava essere fatta a maglia, Sanae per poco non si strozzò con l’ultimo sorso di martini che aveva nel bicchiere, rischiando di sputacchiarlo qua e là.
«Edu! Ma che roba è?!»
«¿Porque? E’ così moderno.»
«Se ci andasse a fare un picnic lo scambierebbero per la tovaglia!»
«E’ colpa vostra che siete incontentabili! E la fantasia no, e il pastron no, e niente panciotto e niente tessuti lucidi per carità, e niente gessato! Tra un po’ avete provato tutto il negozio e-… un momento! Un momento! Ce l’ho! Dios mio, ce l’ho, ce l’ho! Arrivo subito!» Eduardo scomparve all’improvviso, correndo per tutto il negozio, mentre loro rimanevano a scambiarsi occhiate perplesse. Tornò dopo qualche momento con l’ennesima gruccia. Gliela mise tra le mani senza troppi complimenti, guardandolo con due occhi spiritati che riuscirono un po’ a spaventarlo. «Questo! Provalo! È lui!»
«Ok…» Yuzo non era così sicuro, visto che lo aveva detto anche per altri sei o sette abiti precedenti, eppure si decise di provarlo, tanto non aveva nulla da perdere.
Cambiò idea nel momento esatto in cui si guardò allo specchio, prima di lasciare il camerino. Il colore era di un blu non troppo scuro, ma neppure troppo chiaro. Giacca a due bottoni, gilet e il tessuto del pantalone gli scivolava perfetto attorno alle gambe.
Si osservò con attenzione, sistemando le maniche della camicia bianca che spuntavano da sotto la giacca e realizzò… che stava per sposarsi.
Strano a dirsi, dato che il discorso era partito proprio da lui, eppure quella era la prima volta che se ne rendeva davvero conto. Pensava fosse una prerogativa tutta femminile quella di indossare l’abito e avere l’illuminazione divina, invece si sbagliava.
Pochi mesi e si sarebbe sposato e il suo primo pensiero fu di sorridere all’immagine riflessa nello specchio.
«Ehi, allora? Non dirmi che ti sta così male che hai il terrore di mostrarmelo, vero?» chiamò Sanae da fuori i camerini, mentre Edu protestava animatamente che era impossibile potesse stargli male.
«Arrivo, arrivo» rise lui, mettendo le scarpe e uscendo fuori. Si fermò davanti al divanetto, infilando le mani nelle tasche del pantalone. «Allora? Che ne pensi?»
Sanae, che aveva avuto la battutina pronta a ogni cambio d’abito, rimase in silenzio squadrandolo con attenzione dall’alto in basso e viceversa. Al suo fianco, Eduardo aveva il sorriso della soddisfazione stampato sulle labbra. Con non chalance afferrò la scatola di kleenex abbandonata sul tavolino e la porse a Sanae.
La signora Ozora pescò svelta un paio di fazzolettini.
«Iiiiiiiiih! E’ lui!» piagnucolò, asciugandosi gli occhi dove erano spuntate le lacrime.
Yuzo gesticolò animatamente. «Sanae! Ma che fai?! Ti metti a piangere?!»
«Eccerto!»
«Ma è per la sposa che ci si commuove!»
«Sta’ zitto, tu!» e pescò altri due fazzoletti, mentre Edu agitava sapientemente la mano.
«E’ perfetto, lo sapevo. Sono sempre il migliore.»

Jago Vasquez, proprietario di Villa San Juan, si presentò a loro come un uomo di altri tempi.
Il mocassino ai piedi, i pantaloni leggeri e il gilet con lo scollo a ‘V’, per non parlare della coppola e i guanti da golf che stringevano la testa d’argento del bastone, gli conferivano un’aura antica, calma e rassicurante.
Lo erano anche i passi sul pietrisco che riempiva il parcheggio antistante l’ingresso della villa: lenti, cadenzati in maniera rilassata.
«La signora Ozora, immagino» disse, sfilando uno dei guanti e tendendo la mano. Il sorriso si affacciò con calmo entusiasmo da sotto la barba curatissima che gli copriva il mento e le guance. «E’ un piacere incontrarla di persona. Marilena mi ha parlato molto di lei.»
«Il piacere è mio, signor Vasquez.»
«Solo Jago. E deduco che il signore sia lo sposo.»
«Yuzo Morisaki.» La presa dell’uomo era salda, ma non troppo forte. Doveva avere meno di settant’anni, portati benissimo. «Il paesaggio che si vede da qui è magnifico, davvero. Un luogo incantevole.»
«La ringrazio. Ma venite, diamo un’occhiata all’interno e niente formalismi, vi prego. Da questa parte.»
La villa comprendeva una proprietà davvero ampia ma che restava protetta e coperta dagli schiamazzi del parco giochi che sorgeva sulla sommità della collina di Tibidabo. La vista non ne risentiva minimamente e ne guadagnava in tranquillità.
La struttura era composta da un corpo principale a un piano, che comprendeva la facciata di ingresso, la reception e le varie sale interne, e da un corpo secondario a tre piani dove vi erano le camere. Villa San Juan ospitava molto spesso anche dei meeting, incontri d’affari e di categorie importanti ed era quindi utile avere, nello stesso luogo, un punto d’appoggio dove poter pernottare.
Sul retro, vi era l’enorme giardino con porticati, adattissimo per ospitare dei ricevimenti anche all’aperto, qualora il tempo lo avesse permesso.
Yuzo un po’ ci sperava, perché l’idea di restare al chiuso non lo aveva mai allettato. Abituato com’era stato fino a quel momento a vivere su un campo da calcio, con l’erba perennemente sotto i piedi, una sala coperta lo faceva sentire a disagio. Diversamente, l’idea di accogliere fuori amici e parenti era in perfetta sintonia con lo stile di vita suo e di Mamoru.
«E la futura ‘dolce metà’?» chiese Jago, con una mano dietro la schiena e rivolgendo a Yuzo un sorriso cordiale.
«Lui è ancora in Giappone, al momento.»
«Immagino che sia piuttosto complicato dover organizzare un matrimonio con spostamenti intercontinentali.»
Yuzo rise, grattandosi distrattamente il collo. «Abbastanza, sì. Abbiamo cercato di dividerci i compiti.»
Il signor Vasquez aprì la porta di una sala interna, invitandoli a precederlo.
«E mi dica, qual è la vostra idea per questo matrimonio? Avete già pensato a come vi piacerebbe che sia allestito?»
Yuzo si guardò attorno. La sala era davvero grande e luminosa. Le pareti erano dipinte con una calda tonalità aranciata, mentre il soffitto era in pietra viva. Tavoli in legno, di foggia rotonda, erano disseminati pur coprendo, in maniera non troppo eccessiva, lo spazio a disposizione. Erano posizionati in modo da permettere a chiunque di muoversi agilmente. Le tovaglie erano di una tonalità più scura di quella che decorava le pareti, e le porcellane avevano sottopiatti in tinta e tutto il resto candido. Giusto alcuni decori dei bicchieri richiamavano quelli dei sottopiatti.
L’arredamento gli sembrò quello ‘usuale’ con cui allestivano tale sala, mentre su un lungo tavolo, messo contro una delle pareti, vi erano esempi di altri tessuti e diverse porcellane, calici, in modo da permettere ai clienti di poter scegliere cosa modificare.
La luce proveniva dalle portefinestre che davano sul cortile posteriore.
Yuzo si avvicinò a una di esse, trovando maggior interesse in quello che si poteva ammirare fuori, che dentro.
«A dire il vero, preferiremmo un ricevimento all’aperto, se fosse possibile» chiese, voltandosi poi a osservare il signor Vasquez. Sanae, nel frattempo, curiosava in giro con interesse.
«Ma certo.» Jago gli si fece vicino con tutta calma. «Ricordatemi solo la data.»
«Il 9 Settembre.»
L’uomo annuì con decisione. «Posso confermarvi che non si sono problemi. Settembre è un buon periodo: fa caldo, ma senza essere troppo soffocante. Ovviamente, qualora il tempo dovesse essere inclemente, potremo sempre allestire tutto all’interno.»
L’espressione di Yuzo non nascose la felicità per quella risposta, poi, alla domanda successiva, si trovò in leggera difficoltà.
«E per quanto riguarda il colore dominante della biancheria e delle porcellane?»
Lui e Mamoru non ci avevano mai pensato, a dire il vero, così si passò una mano sulla fronte, pensieroso. «Non saprei… Sanae, hai qualche consiglio?»
«Che colore ti piace, Yuzito
«Beh…» L’uomo ci pensò un po’, cercando ispirazione anche nel panorama esterno. «Visto che siamo all’aperto… verde ci starebbe bene.»
Jago annuì. «Mi sembra un’ottima scelta, abbiamo delle belle tonalità. Posso suggerirle delle combinazioni così potrà parlarne con il suo fidanzato, con più calma. Venga, le mostrerò anche il menù.»
Vasquez si allontanò, dirigendosi al tavolo lungo mentre lui rimaneva per qualche attimo ancora presso la portafinestra.
In quel momento avrebbe davvero voluto che ci fosse anche Mamoru, più che altro perché era sempre stato dell’idea che la bellezza dei preparativi di un matrimonio fosse nel farli in due, insieme. A lui, invece, sembrava quasi di starsi sposando da solo.
Con un sospiro più profondo scosse il capo, scacciando quel pensiero un po’ stupido. Anche Mamoru si stava dando sicuramente da fare, dall’altra parte del mondo, e magari, chissà, anche lui stava pensando la stessa cosa. Così, alla fine, Yuzo sorrise e si mosse per raggiungere il tavolo. Non vedeva l’ora di dare un’occhiata al menù.

 

- Settembre -

Ormai doveva essere abituato a dormire in aereo, a fare scali di ore, a saltare da un fuso all’altro eppure, quando arrivò a El Prat, la prima cosa che fece fu di nascondere lo sguardo dietro un bel paio di occhiali da sole perché doveva avere due occhiaie mostruose e la forte luce del pomeriggio gli dava un fastidio atroce.
Il vero problema, forse, era che non aveva avuto un sonno tranquillo quando era riuscito a sopirsi. A dirla tutta, erano giorni che dormiva male. Più la data del fatidico matrimonio si avvicinava, più lui faticava a prendere sonno. Si svegliava nel cuore della notte e rimaneva per ore a fissare la metà vuota del suo letto. Gli era la mancata la presenza di Yuzo, l’istinto di cercare il suo corpo per abbracciarlo.
Quella presenza aveva sempre avuto un effetto rassicurante, ma solo con quella distanza forzata si era reso conto quanto fosse divenuta importante per lui. E si era odiato per quello, per il suo essere così dipendente da qualcuno quando si era sempre sentito forte della propria autosufficienza.
La libertà che temeva di perdere col matrimonio era già stata minata senza che se ne rendesse conto?
Le perplessità, i dubbi non l’avevano abbandonato in quei mesi, accrescendo i suoi malumori. Per non parlare della presenza invadente della sua famiglia, di sua madre e di Yuri. Tutti che volevano sapere come procedevano i preparativi, cui erano seguiti gli inviti al parentado. Buona parte di loro – per sua somma gioia, ma rammarico dei genitori – aveva declinato nella maniera più garbata possibile e sapeva che anche nella famiglia di Yuzo c’era stata la stessa moria di adesioni. A lui l’idea di che ci fossero più amici che parenti non aveva fatto né caldo né freddo, e poi, figurarsi, erano tutti vecchi giapponesi. Gente che poteva riuscire a ignorare che uno faceva sesso con un maschio, ma guai a toccare la concezione rispettabile di ‘famiglia’. Non erano una grande perdita, dopotutto.
Ad ogni modo, tutto quello e il continuo rimuginare non l’avevano fatto arrivare a Barcellona col migliore degli umori. Infatti mentre camminava per raggiungere l’uscita del gate, dove sapeva esserci già Yuzo ad aspettarlo, aveva un’espressione tesa e scura che neppure gli occhiali da sole riuscivano a celare del tutto.
Poi vide Yuzo.
Il sorriso sulle labbra, le lenti da sole appese ai primi bottoni spuntati della camicia, dalle maniche arrotolate fino ai gomiti, jeans casual.
Tutte ma proprio tutte le frustrazioni, i malumori, la stanchezza abbandonarono le sue spalle, quasi non fossero mai esistite.
Non si accorse di camminare più in fretta e, quando lo raggiunse, lo abbracciò con trasporto, lasciandosi abbracciare allo stesso modo.
Inspirò a fondo il suo odore, scoprendo come anch’esso gli fosse mancato.
«Finalmente. Quando inventeranno il teletrasporto non sarà mai troppo tardi.»
Mamoru rise alla battuta e sciolse la stretta per guardarlo in viso. Gli occhi di Yuzo gli sembravano più luminosi di quanto ricordasse e in un modo che il suo sguardo non avrebbe mai saputo eguagliare.
Yuzo era felice e non solo di vederlo. La propria felicità invece era soffocata da qualcosa che le impediva di essere completamente viva.
Nel momento in cui il compagno fece per baciarlo, però, si ritrasse allarmato.
«Sei matto? Siamo in aeroporto! In pubblico!»
Yuzo rise sottilmente. «Mamoru, ti sei dimenticato di essere in Spagna? Qui i gay si sposano!»
Gli venne fatto notare e lui sospirò, sentendosi un po’ stupido.
«Scusa, hai ragione. Sono ancora nell’ottica giapponese…» disse, massaggiandosi una tempia e sollevando le lenti.
Yuzo si accigliò nello scorgere la sua espressione stanca. «Devi essere a pezzi. Vieni, andiamo a casa, così potrai riposarti un po’.»
Questa volta, Mamoru non si sottrasse al suo bacio, ma lo ricambiò, accennando una smorfia divertita e un po’ irriverente. Quando si avviarono per lasciare l’aeroporto e si guardò attorno, si accorse che nessuno aveva fatto caso a loro. L’indifferenza fu un toccasana per il suo umore.

La casa che avevano preso in affitto grazie all’aiuto di Sanae era un ampio appartamento situato al sesto piano di un edificio posto nella parte sinistra del Barrio Eixample.
C’era voluto un po’ arrivarci dall’aeroporto, e il traffico non aveva aiutato, ma il viaggio in auto non era stato spiacevole.
Mamoru aveva ammirato il panorama da fuori al finestrino e il suo cervello aveva automaticamente trovato tutte le grandi quanto le piccole differenze che c’erano tra Barcellona e le città giapponesi.
Yuzo gli aveva detto di aver comprato l’auto su cui viaggiavano dopo un paio di settimane dal suo arrivo in Spagna e ci aveva messo altrettanto tempo per abituarsi alla guida dal ‘lato sbagliato’.
Anche Mamoru si era detto che avrebbe dovuto fare pratica, ma nel frattempo la sua testa era stata incentrata su altri pensieri e non aveva sostenuto una conversazione molto presente. In parte si era giustificato adducendo ogni colpa alla stanchezza del viaggio; per il resto, era rimasto a fissare lo scorrere di auto straniere, architettura straniera, paesaggi stranieri. Anche l’autoradio aveva continuato a passare musica straniera.
Lui con lo spagnolo faceva ancora un po’ fatica, mentre Yuzo lo masticava senza alcuna difficoltà, ormai. L’aveva sentito parlare fluidamente quando si erano fermati a una stazione di servizio.
Poi erano arrivati a casa e la zona non gli era dispiaciuta affatto. Aveva adocchiato dei caffè davvero graziosi e aveva notato un intenso via vai di gente, anche molto giovane.
«La sera qui c’è un’attività davvero piacevole» aveva detto Yuzo. «Ho scoperto dei localini dove voglio assolutamente portarti, e poi hai visto che architettura affascinante?»
L’ex-portiere era ormai rapito dal posto, lui invece continuava a sentirsi un pesce fuor d’acqua e si era più volte detto: ‘che diamine ci faccio qui?’.
L’idea di spostarsi in Spagna, aveva dovuto ammetterlo, era stata la più bella di tutta la faccenda del matrimonio, se fosse rimasta nell’ottica della vacanza lunga. Ora invece avevano una casa, avevano una macchina, Yuzo, per diletto, si era iscritto di nuovo all’università e, mentre guidava, gli aveva anche detto di stare cercando un lavoro.
C’era proprio tutta l’intenzione di stabilirsi per un periodo ancora indeterminato e la cosa lo aveva irrigidito un po’.
E cos’era che non lo irrigidiva, in quel periodo?
Mamoru aveva sbuffato e aveva seguito il compagno all’interno del palazzo signorile e con portiere.
Yuzo gli aveva fatto strada e aveva aperto la porta della loro nuova casa, facendosi da parte per farlo entrare.
L’impatto con l’ambiente era stato strano.
Mamoru aveva sentito ancora, e con maggiore forza, il senso di estraneità.
Non era la casa che era stato abituato a vedere per giorni, mesi, anni; non c’erano i mobili che ormai erano entrati nel suo quotidiano. L’appartamento era già arredato quando avevano firmato il contratto e a loro era convenuto così, perché di certo non avrebbero potuto trasportare il loro vecchio mobilio fin dal Giappone né avrebbero avuto il tempo di andarlo a comprare. Ma era tutto nuovissimo e l’appartamento era luminoso, con stanze ampie ma dal soffitto non troppo alto. Era un attico, con terrazza ampia che affacciava sul Barrio e la sua vita.
Mamoru era avanzato, guardandosi intorno con circospezione e difficoltà, poi piccoli segni noti erano cominciati a spuntare davanti ai suoi occhi che si erano fatti a poco a poco più attenti e avevano superato la prima occhiata superficiale per passare a una più profonda.
Foto in cornice sparse sulle mensole, i libri di Yuzo nella scaffalatura che prendeva un’intera parete del salotto mentre la sua collezione di film era disposta in maniera ordinata nello studio. Medaglie, coppe e ricordi della loro vita calcistica in bella mostra. Yuzo si era fatto inviare determinati scatoloni apposta per quello, per creare degli input che avrebbero reso quella casa meno estranea e più vicina. Avevano sortito l’effetto sperato e, in definitiva, lì c’erano gli effetti cui erano più legati.
Bastava quello, no?
Sarebbe bastato a darle una connotazione di ‘casa’?
Infine l’odore.
Mamoru aveva avvertito il profumo di Yuzo in ogni stanza e il distacco si era ridotto ancora un po’ di più.
«La nostra camera da letto è proprio bella!» stava dicendo l’ex-portiere della S-Pulse proprio in quel momento, distogliendolo dai suoi pensieri.
Da quell’altezza, i rumori del mondo esterno erano un mormorio piacevole.
«Mi piace il colore delle pareti!» Yuzo ridacchiò indicando le mura arancioni. Arancio e rosso erano un po’ i temi ricorrenti di tutta la stanza.
Anche lui abbozzò un sorriso nel ricordare come l’arancione fosse il colore dominante della S-Pulse.
Si guardò intorno per l’ennesima volta, ammettendo che la stanza non era affatto male. Si portò le mani ai fianchi. «Non la ricordavo proprio più questa casa.»
«E’ normale, l’hai vista una sola volta e mesi fa.»
«Già.»
Yuzo notò le sue perplessità e gli si avvicinò fino a toccargli il braccio. «Ti sembra tutto strano, lo so. E’ successo anche a me quando sono arrivato qui. E pensa che vi ho dovuto fare fronte da solo.»
Mamoru si volse a guardare il suo sorriso fiducioso.
«Sta’ tranquillo, il senso di spaesamento passerà, ti aiuterò io. Adesso cambiati, rilassati, fatti una doccia, quello che preferisci. Vado a prenderti gli asciugamani.»
Mamoru rimase a osservarlo mentre gli voltava le spalle e si allontanava, ma poi un sorriso sornione gli arricciò le labbra. Con uno scatto lo afferrò per i fianchi e lo trascinò sul letto tra le proteste e le risate di Yuzo.
«Mamoru! Ma non eri-» Gli rubò le parole con un bacio lungo e appassionato. «…stanco?!»
Lui si strinse nelle spalle, restandogli sopra. «Deve essermi magicamente passato tutto. Abracadabra
Yuzo rise. «Piantala e riposa un po’, invece. Non dimenticare che stasera siamo a cena da Sanae e Tsubasa.»
Mamoru gli carezzò il collo con la punta del naso, lasciando poi un bacio nell’incavo, verso la spalla.
«Sto riposando, infatti. Chi dice ch’io debba farlo da solo?»
La scia di baci salì di nuovo verso le labbra dove sostò per un attimo. Poté finalmente guardare gli occhi nocciola del compagno e averli vicini, dopo tanto tempo. Si odiò ancora per il bisogno che aveva di lui, ma, allo stesso modo, si ignorò, sorridendo con dolcezza.
«Mi sei mancato. Resta con me.»

 

 


[1]: Nel manga, la linea temporale ufficiale si interrompe con Sanae che è incinta, ma non si sa se di un maschio, una femmina o qualsiasi altra combinazione. In uno degli speciali, appaiono invece i gemelli Hayate e Daibu (che, a ben guardare, non vengono mai chiamati per nome. Devo quindi iniziare a dedurre che siano due nomi FANON), ma tale speciale non è legato alla linea ufficiale, quanto più a una linea alternativa (sì, sapete, gli speciali per le ricorrenze e quant’altro. Questo, in particolare, è dedicato alle olimpiadi 2000 e al videogame di CT). Per questo ho preferito fare un po’ a piacere mio! X3

[2]: perché Sanae è divenuta manager della Nankatsu dalle medie e perché Yuzo le elementari le ha fatte alla Mizukoshi e solo dopo è passato alla Nankatsu. :3

[3]: non ricordo di preciso se compare già nel Road o a partire dal Golden23. Comunque era un compagno di squadra di Tsubaldo e NON è una silfide XD


 

Ciarle randomiche:
X3 questa non ve l’aspettavate, vero?
Beh, nel fandom ci sono matrimoni quasi a ogni storia, mi sembrava giusto arrivasse anche il primo matrimonio GAY! *ride*

Per le chiacchiere più profonde vi rimando alla seconda e ultima parte della storia :3
Nel frattempo, ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno seguito questa serie e si sono appassionati, grazie ad essa, a questi due personaggi decisamente bistrattati, ma che meritano tutto l’amore del mondo! :3

   
 
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