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Autore: Nezu    04/02/2013    2 recensioni
[Gin/Shiho, Jigen/Fujiko] Gin e Vodka hanno una missione: eliminare il ricco signor Lenher e la sua figliola. Lupin ha puntato gli occhi sul tesoro di quella famiglia e non ha intenzione di farselo soffiare. Jigen è inevitabilmente tirato dentro allo scontro, mentre Shiho Miyano è inquieta per la presenza di Gin e Crazy Mash, dopo anni di silenzio, torna a tormentare il suo vecchio collega.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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5 – The wound keeps bleeding

Nonostante la situazione poco vantaggiosa, Fujiko sentiva di avere tutto sotto controllo, o quasi: certo, la benda sugli occhi era un grande ostacolo, ma nei momenti in cui era rimasta sola – e ne era certa, perché aveva sentito i passi dei suoi due rapitori allontanarsi e le loro voci affievolirsi – aveva analizzato tutto ciò che poteva analizzare dalla sua posizione.

Intanto sapeva di essere nei pressi di un qualche ristorante o simile, perché la quantità di odorini appetitosi che le giungevano alle narici non lasciavano dubbi a riguardo, e in effetti anche il suo stomaco reagiva brontolando. Molto probabilmente era anche in zona di mercato, era riuscita a distinguere senza tanti problemi le grida  dei venditori, i prezzi e quant’altro.

Si era anche fatta un’idea sui suoi rapitori e, a dirla tutta, non era stata una grande impresa. Si chiamavano con i nomi in codice, ma lei non era una sprovveduta: conosceva di fama l’Organizzazione e, un paio di volte, le era capitato di vendere informazioni su alcuni dei suoi membri.

Uno di questi, Vodka, era un perfetto idiota. Fosse stato per lui, Fujiko sarebbe riuscita a scappare almeno una ventina di volte. Lo sentiva andare e venire dalla stanza in cui la teneva e, un paio di volte, avevano scambiato qualche parola: la donna avrebbe volentieri cercato di avvicinarlo per prenderlo alla sprovvista, ma la presenza del secondo rapitore rendeva tutto più difficile.

Non sapeva nulla circa questa Vermouth, ma da quel che aveva potuto capire era uno dei pezzi grossi ed era molto, ma molto più astuta del suo collega; doveva sapere perfettamente che non era saggio lasciare Vodka da solo, doveva aver annusato il pericolo, perché lei era sempre, costantemente, lì a controllare, non si sapeva se Fujiko o Vodka stesso.

Era una situazione un po’ snervante: doveva essere passato circa un giorno da quando l’avevano rapita e ormai le braccia le facevano male e quel poco che le davano da mangiare non soddisfaceva certo il suo appetito.

Sbuffò scocciata: come al solito non poteva contare su quel fannullone di Lupin. Se la sarebbe cavata da sola, approfittando del momento giusto e liberandosi senza tanti problemi. Doveva solo aspettare ancora un po’ e mantenere la propria lucidità mentale.

*

Alla vista di quegli occhi così gelidi e così familiari Shiho restò di sasso: una parte di lei, quella che probabilmente aveva più voglia di continuare a vivere, le fece stringere con forza la pistola tra le dita, mentre l’altra non rispose a nessuno stimolo, lasciandola lì, paralizzata di fronte al nemico.

“Forse, se lo prendo alla sprovvista, riesco a sparargli” sussurrò una vocina nella sua testa, ma i suoi occhi tornarono a fissare la canna della pistola dell’uomo, troppo vicina al volto rugoso dell’anziana vicina. Shiho sapeva quanto rapido poteva essere Gin, aveva avuto la sfortuna di assistere ad un paio di esecuzioni: con tutta la sua buona volontà non sarebbe mai riuscita a batterlo sul tempo, senza contare che i suoi muscoli si rifiutavano esplicitamente di muoversi.

< Metti via la pistola, Sherry. Non ti servirà a niente.>

Quasi ci fosse una forza invisibile che la comandava, la ragazza lasciò scivolare lentamente l’arma sul tavolino e arretrò, lasciando che l’uomo e il povero ostaggio entrassero in casa. Gin diede un colpo secco alla porta e il botto improvviso fece sobbalzare le due donne. Il cervello di Shiho stava cominciando a mettersi in moto e già malediceva il momento in cui aveva abbandonato la pistola.

< Ne è passato di tempo dall’ultima volta, vero? Sherry…>

Prima che lei potesse reagire, prima che potesse cercare di fermarlo, Gin scaraventò la vecchia per terra e con due falcate le fu addosso, una mano d’acciaio che le teneva il polso e quella terribile sensazione d’impotenza che aveva provato così tante volte in passato.

Provò a ribellarsi cercando di assestargli una ginocchiata dove faceva più male, ma nelle sue mani era come una bambola di pezza; il suo attacco fu fermato con una facilità estrema, mentre la canna fredda della pistola le pungolò il fianco.

Si fissarono. Il biondo stava per aprire la bocca quando un rumore improvviso li fece trasalire entrambi: proveniva dalla tasca del suo cappotto. Imprecando a bassa voce, Gin fece un passo indietro e, sempre tenendo sotto tiro Shiho, recuperò il telefono.

Gli occhi della ragazza sfrecciarono sulla povera donna riversa sul pavimento: pareva che fosse svenuta per l’impatto o forse per l’emozione. Sperò con tutto il cuore che a quella cara vecchietta non fosse venuto un infarto.

Riportando lo sguardo sul suo aggressore, notò quello che avrebbe dovuto vedere sin dal primo momento: una macchia scura all’altezza del fianco destro. Il cervello della giovane si sintonizzò su quanto l’uomo stava dicendo nel frattempo.

< … ho altro da fare in questo momento, Vodka… questi sono problemi suoi. Dille che la chiamerò quando avrò finito.>

Quelle parole cominciavano ad avere un senso nella sua testa: non era lì per conto dell’Organizzazione? Non era venuto per ucciderla? Stava agendo da solo, all’insaputa di Vodka e degli altri?

Gin fece scivolare nuovamente il cellulare nella tasca del cappotto con un’espressione di stizza, ma Shiho non era più intimorita come prima quando tornò a fissarla con quegli occhi freddi.

< Cosa vuoi da me, Gin?>

L’ultima cosa che si aspettava, in quel momento, era che il biondo abbassasse la pistola e si sbottonasse il cappotto; come aveva supposto, una macchia rosso vivo si era allargata sulla camicia bianca. Visto come l’uomo si muoveva non doveva essere una cosa così grave, ma Shiho aveva scoperto anni prima che quel che poteva uccidere un uomo qualunque non intaccava più di tanto il corpo di Gin. Era abituato a tenere il dolore sotto controllo e a mascherarlo perfettamente.

< Spero che tu abbia delle garze in casa, non vorrei dover uscire a comprarle in questo stato.>

Se c’era una cosa più insopportabile delle occhiate che Gin le lanciava, ebbene, era il suo silenzio; non un fruscio, non uno scricchiolio involontario: il biondo stava fermo immobile, la pistola sempre in mano, il volto una maschera di gesso, mentre la ragazza sopportava a stento quell’atmosfera così opprimente e cercava di mantenere la calma per disinfettare la ferita.

Quel bastardo aveva avuto fortuna – quel bastardo aveva sempre fortuna; era stato colpito solamente di striscio, e, anche se la zona era molto delicata, se l’era cavata con poco. L’idea di lasciare che la ferita s’infettasse le passò per la mente, ma si trattenne: Gin controllava tutte le sue mosse, non sarebbe mai riuscita ad ingannarlo.

< I tuoi colleghi non sanno che sei qui, vero?>

L’aveva chiesto solo per spezzare la tensione, ma sapeva già la risposta. Gliel’aveva letta in faccia.

< No.>

< Mi ucciderai?>

< Ho altre priorità al momento.>

Shiho non sapeva se esserne onorata o meno; le tornò in mente l’esplosione di cui aveva letto sul giornale. Non aveva sbagliato allora, c’era davvero l’Organizzazione dietro quella faccenda. Si chiese se Jigen avesse letto il suo messaggio… il cellulare! Non ricordava neanche dove l’aveva messo.

Una mano sulla spalla la distolse dai suoi pensieri; Gin aveva uno sguardo strano, che la mise a disagio più del solito. Si affrettò a concludere l’operazione e si alzò in fretta.

< Fatto.>

Il biondo si alzò con lei, agile e scattante nonostante la ferita appena medicata. La sua mano si strinse al suo polso, ma questa volta non le fece male; si guardarono per qualche secondo e più il tempo passava più Shiho sentiva il disagio crescere in lei.

< Vieni con me, Sherry. Abbiamo ancora bisogno di te, sei una pedina troppo importante per noi.>

La ragazza provò ad arretrare, ma la presa dell’uomo si fece più salda.

< Lasciami, Gin.>

< L’ho già fatto una volta, non ripeterò lo stesso errore.>

Era una lotta a chi cedeva per primo, ma Shiho non aveva alcuna intenzione di perdere; non sarebbe mai riuscita a dimenticare ciò che era stata costretta a vedere quando lavorava per l’Organizzazione, non si sarebbe mai dimenticata del dolore sordo che sentiva costantemente in petto. Non avrebbe lasciato che Gin la riportasse da loro.

Il cellulare dell’uomo tornò a squillare improvvisamente e, prima che lui potesse rendersi conto di cosa stava accadendo, prima che la giovane capisse quel che stava facendo, gli assestò una ginocchiata al fianco, appena sotto la ferita che aveva appena finito di medicare. Si liberò con uno strattone dalla sua presa e, mentre il biondo lottava per rimettersi in piedi e afferrarla, corse come una furia verso la porta e uscì.

Solo diversi minuti dopo, quando si arrestò dentro un bar stracolmo di gente, si rese conto di aver lasciato il cellulare e la pistola in casa.

*

Se prima aveva fatto di tutto per ignorarlo, ora un minimo di senso di colpa Jigen ce l’aveva; senso di colpa misto ad ansia, perché dopo aver setacciato l’intera città palmo per palmo di Fujiko neanche l’ombra e nemmeno un cenno di vita da parte di Sherry.

Lui e Goemon si erano divisi dopo qualche ora, sperando di risolvere in fretta la faccenda, ma non era servito poi a molto. Controllò ancora una volta il cellulare, sempre terribilmente silenzioso, e svoltò l’angolo: la strada era ampia e immersa nella più totale confusione. Bancarelle da mercato ovunque, venditori che urlavano, un odorino da leccarsi i baffi che si spargeva nell’aria. Osservò quella che doveva essere l’insegna di un ottimo ristorante e il suo stomaco brontolò.

Non era certo il caso di fermarsi a mangiare, data la situazione, ma proprio mentre Jigen stava lì, immobile, a decidere se cedere alla tentazione o continuare la ricerca, un ragazzotto dall’aria poco sobria gli si avvicinò barcollando vistosamente.

< Vieni anche tu per la bella signora?>

Se il cappello non gli avesse coperto buona parte del volto, il ragazzo avrebbe visto le sopracciglia dell’uomo inarcarsi ai limiti dell’immaginabile.

< Bella signora?>

< Oh, sì! – ridacchiò quello e Jigen si chiese come si facesse a ridursi in quello stato per l’ora di pranzo – E’ arrivata due notti fa… una gran bella donna, davvero. Anche se non sembrava molto contenta di esser portata qui… anzi, non era molto cosciente, in verità…>

Un dubbio attraversò la sua mente e si fece più concreto man mano che il giovane continuava a parlare. Che fosse..? Poggiò una mano sulla spalla del ragazzo, che aveva preso a dondolare sul posto e rischiava di cadere da un momento all’altro.

< E dove hanno portato questa bella signora?>

*

Era da un paio d’ore che non sentiva più le voci dei suoi rapitori, ma questo non le era sufficiente per tranquillizzarsi. Non riusciva ancora a capire quale fosse il loro obiettivo: se avessero voluto un riscatto, avrebbero già contattato Lupin e lui si sarebbe fiondato subito a pagarlo, Fujiko non ne dubitava. Eppure erano passati già due giorni secondo i suoi calcoli e del ladro gentiluomo neanche l’ombra.

Era stanca di aspettare, ma quella donna, quella Vermouth, sapeva il fatto suo: non le aveva lasciato il minimo spiraglio che le avrebbe permesso di fuggire. Era qualcosa di terribilmente estenuante.

Un rumore improvviso la mise in guardia. Erano dei passi felpati, che si distinguevano appena, ma la cosa che non le piaceva era che non erano né pesanti come quelli di Vodka né rapidi come quelli di Vermouth. Più si avvicinavano e più Fujiko si preparava a reagire in qualunque modo.

Attese fingendosi addormentata. Sentì quella figura su di sé, mentre armeggiava per liberarle i polsi e le caviglie: volevano spostarla in un luogo più sicuro mentre era incosciente? Non appena fu libera di muoversi non aspettò oltre e colpì con forza la persona di fronte a sé, scattando in avanti.

Peccato che il suo attacco venne bloccato senza tante cerimonie.

< Umpf, gran bel ringraziamento per averti salvata…>

Fu la voce da fumatore incallito che le fece accendere una lampadina; si sfilò in tutta fretta la benda dagli occhi e si trovò faccia a faccia con un Jigen leggermente contrariato. Prima che potesse reagire in qualsiasi maniera lo abbracciò.

< Oh, Jigen! Sapevo che saresti venuto a salvarmi!>

L’uomo ne dubitava fortemente, ma sorvolò sulla questione: ora che era riuscito a trovarla si sentiva come se si fosse tolto un peso dal cuore, anche se avrebbe preferito di gran lunga che quella piccola serpe si staccasse da lui. Quel contatto così ravvicinato lo infastidiva.

< Meglio andarsene da qui.> borbottò mentre armeggiava col cellulare: doveva avvisare subito Lupin. Fu un sollievo sentire la voce allegra del ladro, specie quando gli comunicò un’altra ottima notizia.

< Abbiamo trovato il posto.>

*

< Era ora che ti facessi vivo.>

Gin ignorò il commento della donna mentre si accendeva l’ennesima sigaretta della giornata; Vermouth era voltata verso lo specchio e si stava togliendo gli ultimi resti di quello che sembrava un travestimento da ragazzino. Un ragazzino molto ubriaco, a giudicare dal tanfo di alcol che emanava.

< Dunque?>

La donna sorrise trionfante.

< I vecchi trucchi funzionano sempre e il tuo caro amichetto Jigen non è così sveglio come sembra… Sappiamo dove sono. C’è anche la nostra Erika con loro.>

   
 
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