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– The wound keeps bleeding
Nonostante
la situazione poco vantaggiosa, Fujiko
sentiva di avere tutto sotto controllo, o quasi: certo, la benda sugli
occhi
era un grande ostacolo, ma nei momenti in cui era rimasta sola
– e ne era
certa, perché aveva sentito i passi dei suoi due rapitori
allontanarsi e le
loro voci affievolirsi – aveva analizzato tutto
ciò che poteva analizzare dalla
sua posizione.
Intanto
sapeva di essere nei pressi di un qualche
ristorante o simile, perché la quantità di
odorini appetitosi che le giungevano
alle narici non lasciavano dubbi a riguardo, e in effetti anche il suo
stomaco
reagiva brontolando. Molto probabilmente era anche in zona di mercato,
era
riuscita a distinguere senza tanti problemi le grida
dei venditori, i prezzi e quant’altro.
Si
era anche fatta un’idea sui suoi rapitori e, a
dirla tutta, non era stata una grande impresa. Si chiamavano con i nomi
in
codice, ma lei non era una sprovveduta: conosceva di fama
l’Organizzazione e,
un paio di volte, le era capitato di vendere informazioni su alcuni dei
suoi
membri.
Uno
di questi, Vodka, era un perfetto idiota. Fosse
stato per lui, Fujiko sarebbe riuscita a scappare almeno una ventina di
volte.
Lo sentiva andare e venire dalla stanza in cui la teneva e, un paio di
volte,
avevano scambiato qualche parola: la donna avrebbe volentieri cercato
di
avvicinarlo per prenderlo alla sprovvista, ma la presenza del secondo
rapitore
rendeva tutto più difficile.
Non
sapeva nulla circa questa Vermouth, ma da quel
che aveva potuto capire era uno dei pezzi grossi ed era molto, ma molto
più
astuta del suo collega; doveva sapere perfettamente che non era saggio
lasciare
Vodka da solo, doveva aver annusato il pericolo, perché lei
era sempre,
costantemente, lì a controllare, non si sapeva se Fujiko o
Vodka stesso.
Era
una situazione un po’ snervante: doveva essere
passato circa un giorno da quando l’avevano rapita e ormai le
braccia le
facevano male e quel poco che le davano da mangiare non soddisfaceva
certo il
suo appetito.
Sbuffò
scocciata: come al solito non poteva contare
su quel fannullone di Lupin. Se la sarebbe cavata da sola,
approfittando del
momento giusto e liberandosi senza tanti problemi. Doveva solo
aspettare ancora
un po’ e mantenere la propria lucidità mentale.
*
Alla
vista di quegli occhi
così gelidi e così familiari Shiho
restò di sasso: una parte di lei, quella che
probabilmente aveva più voglia di continuare a vivere, le
fece stringere con
forza la pistola tra le dita, mentre l’altra non rispose a
nessuno stimolo,
lasciandola lì, paralizzata di fronte al nemico.
“Forse,
se lo prendo
alla sprovvista, riesco a sparargli” sussurrò una
vocina nella sua testa, ma i
suoi occhi tornarono a fissare la canna della pistola
dell’uomo, troppo vicina
al volto rugoso dell’anziana vicina. Shiho sapeva quanto
rapido poteva essere
Gin, aveva avuto la sfortuna di assistere ad un paio di esecuzioni: con
tutta
la sua buona volontà non sarebbe mai riuscita a batterlo sul
tempo, senza
contare che i suoi muscoli si rifiutavano esplicitamente di muoversi.
<
Metti via la
pistola, Sherry. Non ti servirà a niente.>
Quasi
ci fosse una
forza invisibile che la comandava, la ragazza lasciò
scivolare lentamente
l’arma sul tavolino e arretrò, lasciando che
l’uomo e il povero ostaggio
entrassero in casa. Gin diede un colpo secco alla porta e il botto
improvviso
fece sobbalzare le due donne. Il cervello di Shiho stava cominciando a
mettersi
in moto e già malediceva il momento in cui aveva abbandonato
la pistola.
<
Ne è passato di
tempo dall’ultima volta, vero? Sherry…>
Prima
che lei potesse
reagire, prima che potesse cercare di fermarlo, Gin
scaraventò la vecchia per
terra e con due falcate le fu addosso, una mano d’acciaio che
le teneva il
polso e quella terribile sensazione d’impotenza che aveva
provato così tante volte
in passato.
Provò
a ribellarsi
cercando di assestargli una ginocchiata dove faceva più
male, ma nelle sue mani
era come una bambola di pezza; il suo attacco fu fermato con una
facilità
estrema, mentre la canna fredda della pistola le pungolò il
fianco.
Si
fissarono. Il biondo
stava per aprire la bocca quando un rumore improvviso li fece trasalire
entrambi: proveniva dalla tasca del suo cappotto. Imprecando a bassa
voce, Gin
fece un passo indietro e, sempre tenendo sotto tiro Shiho,
recuperò il
telefono.
Gli
occhi della ragazza
sfrecciarono sulla povera donna riversa sul pavimento: pareva che fosse
svenuta
per l’impatto o forse per l’emozione.
Sperò con tutto il cuore che a quella
cara vecchietta non fosse venuto un infarto.
Riportando
lo sguardo
sul suo aggressore, notò quello che avrebbe dovuto vedere
sin dal primo
momento: una macchia scura all’altezza del fianco destro. Il
cervello della
giovane si sintonizzò su quanto l’uomo stava
dicendo nel frattempo.
<
… ho altro da fare
in questo momento, Vodka… questi sono problemi suoi. Dille
che la chiamerò
quando avrò finito.>
Quelle
parole
cominciavano ad avere un senso nella sua testa: non era lì
per conto
dell’Organizzazione? Non era venuto per ucciderla? Stava
agendo da solo,
all’insaputa di Vodka e degli altri?
Gin
fece scivolare
nuovamente il cellulare nella tasca del cappotto con
un’espressione di stizza,
ma Shiho non era più intimorita come prima quando
tornò a fissarla con quegli
occhi freddi.
<
Cosa vuoi da me,
Gin?>
L’ultima
cosa che si
aspettava, in quel momento, era che il biondo abbassasse la pistola e
si
sbottonasse il cappotto; come aveva supposto, una macchia rosso vivo si
era
allargata sulla camicia bianca. Visto come l’uomo si muoveva
non doveva essere
una cosa così grave, ma Shiho aveva scoperto anni prima che
quel che poteva
uccidere un uomo qualunque non intaccava più di tanto il
corpo di Gin. Era
abituato a tenere il dolore sotto controllo e a mascherarlo
perfettamente.
<
Spero che tu abbia
delle garze in casa, non vorrei dover uscire a comprarle in questo
stato.>
Se
c’era una cosa più
insopportabile delle occhiate che Gin le lanciava, ebbene, era il suo
silenzio;
non un fruscio, non uno scricchiolio involontario: il biondo stava
fermo
immobile, la pistola sempre in mano, il volto una maschera di gesso,
mentre la
ragazza sopportava a stento quell’atmosfera così
opprimente e cercava di
mantenere la calma per disinfettare la ferita.
Quel
bastardo aveva
avuto fortuna – quel bastardo aveva sempre fortuna; era stato
colpito solamente
di striscio, e, anche se la zona era molto delicata, se l’era
cavata con poco.
L’idea di lasciare che la ferita s’infettasse le
passò per la mente, ma si
trattenne: Gin controllava tutte le sue mosse, non sarebbe mai riuscita
ad
ingannarlo.
<
I tuoi colleghi
non sanno che sei qui, vero?>
L’aveva
chiesto solo
per spezzare la tensione, ma sapeva già la risposta.
Gliel’aveva letta in
faccia.
<
No.>
<
Mi ucciderai?>
<
Ho altre priorità
al momento.>
Shiho
non sapeva se
esserne onorata o meno; le tornò in mente
l’esplosione di cui aveva letto sul
giornale. Non aveva sbagliato allora, c’era davvero
l’Organizzazione dietro
quella faccenda. Si chiese se Jigen avesse letto il suo
messaggio… il
cellulare! Non ricordava neanche dove l’aveva messo.
Una
mano sulla spalla
la distolse dai suoi pensieri; Gin aveva uno sguardo strano, che la
mise a
disagio più del solito. Si affrettò a concludere
l’operazione e si alzò in
fretta.
<
Fatto.>
Il
biondo si alzò con
lei, agile e scattante nonostante la ferita appena medicata. La sua
mano si
strinse al suo polso, ma questa volta non le fece male; si guardarono
per
qualche secondo e più il tempo passava più Shiho
sentiva il disagio crescere in
lei.
<
Vieni con me,
Sherry. Abbiamo ancora bisogno di te, sei una pedina troppo importante
per
noi.>
La
ragazza provò ad
arretrare, ma la presa dell’uomo si fece più salda.
<
Lasciami, Gin.>
<
L’ho già fatto una
volta, non ripeterò lo stesso errore.>
Era
una lotta a chi
cedeva per primo, ma Shiho non aveva alcuna intenzione di perdere; non
sarebbe
mai riuscita a dimenticare ciò che era stata costretta a
vedere quando lavorava
per l’Organizzazione, non si sarebbe mai dimenticata del
dolore sordo che
sentiva costantemente in petto. Non avrebbe lasciato che Gin la
riportasse da
loro.
Il
cellulare dell’uomo
tornò a squillare improvvisamente e, prima che lui potesse
rendersi conto di
cosa stava accadendo, prima che la giovane capisse quel che stava
facendo, gli
assestò una ginocchiata al fianco, appena sotto la ferita
che aveva appena
finito di medicare. Si liberò con uno strattone dalla sua
presa e, mentre il
biondo lottava per rimettersi in piedi e afferrarla, corse come una
furia verso
la porta e uscì.
Solo
diversi minuti
dopo, quando si arrestò dentro un bar stracolmo di gente, si
rese conto di aver
lasciato il cellulare e la pistola in casa.
*
Se
prima aveva fatto di tutto per ignorarlo, ora un
minimo di senso di colpa Jigen ce l’aveva; senso di colpa
misto ad ansia,
perché dopo aver setacciato l’intera
città palmo per palmo di Fujiko neanche
l’ombra e nemmeno un cenno di vita da parte di Sherry.
Lui
e Goemon si erano divisi dopo qualche ora,
sperando di risolvere in fretta la faccenda, ma non era servito poi a
molto.
Controllò ancora una volta il cellulare, sempre
terribilmente silenzioso, e
svoltò l’angolo: la strada era ampia e immersa
nella più totale confusione.
Bancarelle da mercato ovunque, venditori che urlavano, un odorino da
leccarsi i
baffi che si spargeva nell’aria. Osservò quella
che doveva essere l’insegna di
un ottimo ristorante e il suo stomaco brontolò.
Non
era certo il caso di fermarsi a mangiare, data
la situazione, ma proprio mentre Jigen stava lì, immobile, a
decidere se cedere
alla tentazione o continuare la ricerca, un ragazzotto
dall’aria poco sobria
gli si avvicinò barcollando vistosamente.
<
Vieni anche tu per la bella signora?>
Se
il cappello non gli avesse coperto buona parte
del volto, il ragazzo avrebbe visto le sopracciglia dell’uomo
inarcarsi ai
limiti dell’immaginabile.
<
Bella signora?>
<
Oh, sì! – ridacchiò quello e Jigen si
chiese come
si facesse a ridursi in quello stato per l’ora di pranzo
– E’ arrivata due
notti fa… una gran bella donna, davvero. Anche se non
sembrava molto contenta
di esser portata qui… anzi, non era molto cosciente, in
verità…>
Un
dubbio attraversò la sua mente e si fece più
concreto man mano che il giovane continuava a parlare. Che fosse..?
Poggiò una
mano sulla spalla del ragazzo, che aveva preso a dondolare sul posto e
rischiava di cadere da un momento all’altro.
<
E dove hanno portato questa bella signora?>
*
Era
da un paio d’ore che non sentiva più le voci dei
suoi rapitori, ma questo non le era sufficiente per tranquillizzarsi.
Non
riusciva ancora a capire quale fosse il loro obiettivo: se avessero
voluto un
riscatto, avrebbero già contattato Lupin e lui si sarebbe
fiondato subito a
pagarlo, Fujiko non ne dubitava. Eppure erano passati già
due giorni secondo i
suoi calcoli e del ladro gentiluomo neanche l’ombra.
Era
stanca di aspettare, ma quella donna, quella
Vermouth, sapeva il fatto suo: non le aveva lasciato il minimo
spiraglio che le
avrebbe permesso di fuggire. Era qualcosa di terribilmente estenuante.
Un
rumore improvviso la mise in guardia. Erano dei
passi felpati, che si distinguevano appena, ma la cosa che non le
piaceva era
che non erano né pesanti come quelli di Vodka né
rapidi come quelli di
Vermouth. Più si avvicinavano e più Fujiko si
preparava a reagire in qualunque
modo.
Attese
fingendosi addormentata. Sentì quella figura
su di sé, mentre armeggiava per liberarle i polsi e le
caviglie: volevano
spostarla in un luogo più sicuro mentre era incosciente? Non
appena fu libera
di muoversi non aspettò oltre e colpì con forza
la persona di fronte a sé,
scattando in avanti.
Peccato
che il suo attacco venne bloccato senza
tante cerimonie.
<
Umpf, gran bel ringraziamento per averti
salvata…>
Fu
la voce da fumatore incallito che le fece
accendere una lampadina; si sfilò in tutta fretta la benda
dagli occhi e si
trovò faccia a faccia con un Jigen leggermente contrariato.
Prima che potesse
reagire in qualsiasi maniera lo abbracciò.
<
Oh, Jigen! Sapevo
che saresti venuto a salvarmi!>
L’uomo
ne dubitava fortemente, ma sorvolò sulla
questione: ora che era riuscito a trovarla si sentiva come se si fosse
tolto un
peso dal cuore, anche se avrebbe preferito di gran lunga che quella
piccola
serpe si staccasse da lui. Quel contatto così ravvicinato lo
infastidiva.
<
Meglio andarsene da qui.> borbottò mentre
armeggiava col cellulare: doveva avvisare subito Lupin. Fu un sollievo
sentire
la voce allegra del ladro, specie quando gli comunicò
un’altra ottima notizia.
<
Abbiamo trovato il posto.>
*
<
Era ora che ti facessi vivo.>
Gin
ignorò il commento della donna mentre si
accendeva l’ennesima sigaretta della giornata; Vermouth era
voltata verso lo
specchio e si stava togliendo gli ultimi resti di quello che sembrava
un
travestimento da ragazzino. Un ragazzino molto ubriaco, a giudicare dal
tanfo
di alcol che emanava.
<
Dunque?>
La
donna sorrise trionfante.
<
I vecchi trucchi funzionano sempre e il tuo
caro amichetto Jigen non è così sveglio come
sembra… Sappiamo dove sono. C’è
anche la nostra Erika con loro.>