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Autore: Melanto    05/02/2013    8 recensioni
[Love&Life series - Final episode] - Era cominciato tutto un 12 Marzo, con una dichiarazione sul molo di Shimizu-ku. Il 20 Dicembre successivo la loro storia aveva gettato le basi per divenire duratura.
Tra coming out, bunjee jumping, momenti di crisi e di pseudopaternità erano andati avanti, divenendo uomini.
Ora, dopo diciotto anni, saranno in grado di compiere l'ultimo passo?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love&Life'
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Forever mine, forever yours
(Love&Life series)

 

- Parte II -

- Settembre -

Non aveva avuto neppure il tempo di abituarsi alla nuova casa che subito si era dovuto spostare a Villa San Juan assieme a Yuzo.
Al matrimonio mancavano ormai tre giorni e i parenti e gli amici erano giunti dal Giappone.
Loro avevano ceduto il proprio appartamento alle rispettive famiglie e si erano trasferiti alla residenza dove si sarebbero occupati più agilmente delle ultime cose.
Mamoru aveva conosciuto il signor Vasquez solo il giorno prima e gli aveva fatto davvero una buona impressione. La calma dei suoi modi e del tono di voce era servita a sedare anche le sue ansie che, a ogni ora che passava, divenivano più forti. C’erano momenti in cui riusciva a dimenticarsi di tutto, ma non erano abbastanza, duravano troppo poco e poi la consapevolezza del matrimonio praticamente alle porte lo risvegliava di colpo e tornava a incupirgli lo sguardo. Sguardo che non si rilassava mai del tutto, per altro.
Lui aveva cercato di non darlo a vedere, di apparire in qualche modo interessato a ciò che gli veniva mostrato o alle spiegazioni del signor Vasquez in merito all’organizzazione dei tavoli, ma c’erano occhi che avevano imparato a conoscerlo troppo bene per non notare la differenza.
A non accorgersi che la maggior parte delle volte Yuzo si fermava a osservare le sue reazioni in maniera più accorta era stato proprio lui.
«Quindi l’idea finale è rimasta la stessa?» stava chiedendo Jago Vasquez mentre indicava la distesa del cortile posteriore, al momento ancora sgombero di tavoli e sedie.
«Sì, mi piace come ha proposto la disposizione. In questo modo lo spiazzo per ballare non è troppo lontano dai tavoli, ma resta tutto piuttosto raccolto.»
Yuzo rispondeva indicando ogni angolo come se fosse davvero in grado di vederlo come avrebbe dovuto apparire.
Mamoru, invece, era rimasto più arretrato e sotto al portico. Guardava le posate e i bicchieri disposti su un tavolino allestito come esempio. Senza realmente ascoltare ciò che stavano dicendo, osservava il colore verde chiaro della tovaglia sotto la quale ne spuntava un’altra di colore bianco e le porcellane candide con un leggero bordino verde. Trovava che il tutto fosse molto piacevole e poi si era sempre fidato del gusto di Yuzo, sapeva che avrebbe scelto bene.
Con un gesto distratto spostò leggermente il bicchiere dell’acqua più verso il piatto e quello del vino più verso il centro del tavolo.
L’ansia era lì, che comprimeva lo stomaco con una stretta non troppo forte, ma fastidiosa. Una presenza continua che gli ricordava come stavano le cose e come non avrebbe voluto che fossero.
Preso com’era dai suoi pensieri nemmeno si accorse che Vasquez era rientrato nella Villa, richiamato da una delle assistenti. Ora nel cortile erano rimasti solo loro due e Yuzo lo stava fissando di nuovo, nel modo attento che aveva usato da che Mamoru era arrivato in Spagna e il suo disinteresse era divenuto troppo palese per fingere che fosse causato da qualcos’altro.
Con le braccia conserte, Yuzo guardava come spostava, di posizioni millimetriche, gli oggetti sulla tavola. Piccoli accorgimenti fatti in maniera involontaria. Non aveva battuto ciglio quando Vasquez si era scusato, congedandosi per qualche momento. Probabilmente neppure l’aveva sentito, così come non sentì il suo sospiro, ma Yuzo non era mai stato tipo da forzargli troppo la mano, perché sapeva che quando Mamoru si sentiva messo alle strette reagiva sempre male e allora si limitò, ancora, ad aspettare che fosse l’altro a decidere di sputare il rospo, prima di rimanerci strozzato.
«E allora? C’è qualcosa che cambieresti? La tavola non ti convince?»
Mamoru sussultò, girandosi di scatto nel sentirsi chiamato in causa. Solo allora, guardandosi attorno, vide che Vasquez non c’era più. «Ah. No. No, va bene. Il signor Jago?»
«Torna subito» spiegò Yuzo, facendosi più vicino e toccando la tovaglia verde dal filato elegante. «E i colori? Ti piacciono?»
«Sì, sì. Sono carini.»
«Sei proprio sicuro che non-»
«Ho detto che va bene!» Mamoru lo interruppe in maniera brusca e irritata. «Ne abbiamo già parlato decine di volte!»
Yuzo incassò quella risposta secca, senza replicare. Fissò il suo sguardo, in cui colse un leggero senso di colpa, ma si limitò a indietreggiare di un passo, annuendo adagio, e a spostare le iridi sulla tavola apparecchiata.
«Ok» disse solo.
Mamoru inspirò a fondo. Avrebbe voluto scusarsi, ma non ci riuscì, così rimase in silenzio anche lui, passandosi una mano tra i capelli sciolti sulle spalle.
C’era una frattura, fra loro. La si poteva vedere in maniera tanto chiara che avrebbero dovuto fare attenzione per non inciamparvi dentro, ma più arretravano per non cadere, più la frattura si allargava e li teneva bloccati sui margini opposti. Ancora un po’ e avrebbero finito inesorabilmente col caderci dentro, perché alle loro spalle le mura bloccavano le vie di fuga.
E quando sarebbero caduti nella voragine, cosa sarebbe accaduto?
Forse, più di restare separati su rive diverse, era questo che davvero spaventava Mamoru.
Quando Jago Vasquez tornò, si rese subito conto che il clima era cambiato e la tensione si era fatta così netta da poter essere tagliata con il coltello. Ovviamente, la persona che subito iniziò a parlargli, riprendendo il discorso da dove l’avevano interrotto, fu il signor Morisaki. Dissimulava il proprio disagio in maniera magistrale, ma lui aveva l’esperienza dalla sua. Con lo sguardo non riuscì a non cogliere quello sempre lontano del signor Izawa. A onor del vero, quest’ultimo non gli era mai sembrato molto partecipe e lui aveva una pessima sensazione che però si limitò a tenere per sé.
Il silenzio fu il compagno di tutta la giornata, fino alla cena. Il massimo della loro conversazione fu in domande brevi e risposte monosillabiche.
Nel ristorante della Villa c’era, oltre loro, solo una piccola comitiva di donne proprietarie di tenute agricole che stavano tenendo una sorta di meeting su come affrontare la concorrenza maschile.
Yuzo e Mamoru mangiarono in silenzio, lanciandosi, alternativamente, sguardi rapidi da sopra i bicchieri e tra le bottiglie di vino e acqua che restavano sulla tavola.
Per tutta la durata del pasto, Mamoru aveva pensato a cosa poter dire. Non era stato proprio gentile nei confronti di Yuzo, e in maniera gratuita per giunta, ma continuava a non trovare le parole giuste o forse non era proprio nell’atteggiamento adatto per poter fare ‘mea culpa’.
D’altra parte, Yuzo non disse nulla che potesse peggiorare o migliorare la situazione. Le poche cose che gli chiese vertevano su altre questioni, quali l’arrivo degli ultimi ospiti, l’organizzazione dei trasporti fino a Villa San Juan.
Non si dissero molto neppure nel tragitto per andare dalla sala da pranzo alla camera di Yuzo.
Anche se erano due uomini, la tradizione voleva che lo sposo e la sposa non si dovessero incontrare il giorno prima del matrimonio e quindi Jago Vasquez aveva dato loro due camere diverse e distanti.
Quando furono in stanza, Mamoru rimase, sulle prime, più vicino alla porta, poi avanzò con le mani nelle tasche, guardando l’anticamera. C’era un piccolo tavolino con dei divanetti. La stanza da letto era separata da una porta scorrevole ora chiusa.
L’ambiente era grazioso, raffinato ma molto accogliente, con colori caldi alle pareti e luci gialle, rilassanti.
«Quindi dobbiamo per forza star dietro a questa ridicola usanza del dormire separati?»
A Mamoru quella cosa non era andata molto giù, mentre Yuzo non se ne lamentava affatto, scherzandoci addirittura sopra.
L’ex-portiere prese quella frase come uno spunto per cercare di alleggerire un po’ la tensione, visto che il suo compagno non si decideva a fare il primo passo.
«Dai, si tratta solo di due notti. Dopodomani non sarà più necessario.» Sorrise.
Mamoru arricciò le labbra nel capire che il tempo stava scorrendo in maniera inesorabile e mancava sempre meno al momento in cui sarebbe stato in trappola. Ci stava addirittura entrando di sua spontanea volontà in quella maledetta gabbia. Un passo alla volta, recalcitrante, ma pur sempre di sua volontà.
«Oh, andiamo! Non ci vediamo da mesi e ora che siamo qui tutti e due, non possiamo neppure dormire nello stesso letto! Ma per favore.»
Yuzo eclissò il sorriso e assunse un piglio severo. Inarcò un sopracciglio capendo che, no, la tensione non era destinata a sciogliersi, quanto il contrario.
Si portò le mani ai fianchi.
«Se davvero ti sono mancato così tanto, avresti potuto prendere prima l’aereo per raggiungermi, invece di partire a quattro giorni dalla cerimonia.»
«Ti sei dimenticato che stavo organizzando la partenza di tutti gli altri?» Mamoru si rese conto di come il discorso stesse per virare in argomenti che non avrebbe voluto affrontare, quindi cercò subito di giustificarsi, ma Yuzo si era sempre rivelato molto più abile di lui con le parole.
«Sappiamo benissimo entrambi che hai risolto ogni cosa almeno due settimane fa. Come vedi il tempo di muoverti ce l’avevi eccome. Di’ piuttosto che non hai voluto farlo, anche se non capisco il perché.»
«Non mettermi in bocca parole che non ho detto!» Mamoru si irritò, alzò le spine come un riccio e assunse un’espressione aspra. «Non hai tenuto conto degli imprevisti? Quelli possono verificarsi anche all’ultimo momento!» Scosse il capo, massaggiandosi la fronte con due dita. «E poi non vedo per quale motivo stai facendo questa polemica, adesso. Sono qui, no? Non è questo che conta? Ti ho solo fatto notare che la cosa di dormire separati è una grande cazzata.»
Yuzo assottigliò lo sguardo in maniera pericolosa. Le braccia tornarono a incrociarsi, mentre cambiava piede d’appoggio. «Lascia perdere la scusa degli imprevisti, ci sarebbero stati comunque sia i miei che i tuoi che avrebbero potuto aiutarci. Quindi com’è che di dormire insieme non ti è importato finora, ma è divenuto indispensabile adesso?» Inclinò leggermente il capo dando il suo affondo, quello che Mamoru non avrebbe voluto sentire e che forse non era riuscito a evitare con abbastanza abilità. «Sai che cosa penso, invece? Penso che a te di questo matrimonio non è mai fregato un accidente, mentre l’unico stronzo che si è dato pena per tutto e che vuole che ogni cosa fili tranquilla sia solo io.»
«Non so di cosa stai parlando.»
«Invece lo sai benissimo, quindi se devi dire qualcosa è questo il momento per farlo. Credi non mi sia accorto di niente? Credi fossi così cieco da non vedere come storcevi la bocca ogni volta che dicevo la parola ‘matrimonio’
Le labbra di Mamoru si piegarono in una smorfia involontaria. «Ma che dici?»
«Ecco! Lo hai fatto di nuovo!»
«Senti, stai esagerando, va bene?»
«No, non c’è nulla che vada bene, Mamoru! Io pensavo che fosse solo dovuto alla pressione cui siamo stati sottoposti a causa dei media per tutta la faccenda della nostra relazione e invece è questo il problema: è il matrimonio. Maledizione, ma se c’è qualcosa che ti preoccupa perché non me ne parli? Vedrai che risolviamo-»
Mamoru lo interruppe nella stessa maniera brusca di quando si erano trovati in cortile, solo che questa volta fece anche un minaccioso passo in avanti, allargando il braccio, mentre l’altra mano restava puntellata su un fianco. «Non c’è niente di cui dobbiamo parlare, Yuzo, piantala! Sei tu, invece, che mi sembri ossessionato da questa cosa del matrimonio! Non fai che chiedermi ogni volta se mi va bene questo o quello!»
«E’ ovvio che chieda anche il tuo parere, dannazione! Siamo in due a sposarci e in due si prendono le scelte! Praticamente ho dovuto fare tutto da solo e per fortuna che c’era Sanae!»
«Ah! Non è mica colpa mia se hai avuto la brillante idea di scegliere la Spagna!» Mamoru iniziò a camminare nervosamente per la stanza, mentre Yuzo restava stoicamente fermo sul posto, senza farsi intimorire.
«Beh, scusami tanto se le Nazioni che riconoscono i matrimoni omosessuali sono così poche! Avremmo dovuto scegliere il Canada?! Guarda, avrei anche io di gran lunga preferito fare tutto in Giappone, che credi?»
«E allora spiegami per quale cazzo di motivo hai voluto perdere tutto questo tempo dietro un qualcosa che al di fuori dei confini spagnoli non sarà comunque valido?!»
Yuzo incassò quella frase buttata fuori quasi gridando. Si zittì e Mamoru si rese conto, invece, d’aver parlato troppo. Nervosamente si passò una mano tra i capelli, masticando a vuoto l’aria che aveva nella bocca. Il tono più calmo.
«Senti, sono piuttosto stanco, vado in camera a farmi una doccia.» Cercò di liquidare la faccenda prima che degenerasse e superò Yuzo dirigendosi alla porta. Ebbe solo il tempo di aprire la soglia di uno spiraglio che subito la mano dell’ex-portiere la richiuse con uno schianto. Il palmo con le dita aperte era appoggiato sul legno e gli occhi lo guardavano con freddezza.
«Tu non vai da nessuna parte» disse, frapponendo tutto il corpo tra Mamoru e l’unica via di fuga. «Non prima di aver parlato chiaro.»
Mamoru indietreggiò, guardandosi intorno. Yuzo parlava adagio, avanzando nello stesso modo.
«Quindi è così che stanno le cose, avevo visto giusto.»
«Ma cosa credi di aver visto? Piantala.»
«Perché mi hai detto ‘sì’? Perché hai accettato quando è evidente che tu…»
Quando si trovava alle strette, Mamoru aveva sempre reazioni sbagliate. Ne era consapevole, eppure non riusciva a non aggredire per primo appena aveva il sentore che gli altri avrebbero potuto aggredire lui. In quel momento si vide all’angolo e anticipò Yuzo riversando tutta la frustrazione accumulata.
«E che diavolo avrei dovuto fare, allora?! Ferirti?! Dirti che non avevo la minima intenzione di sposarmi?! Che non ci credo neanche un po’ a questa cazzata del ‘finché morte non ci separi’?! Il matrimonio non è altro che un modo subdolo per incastrare chi ti sta accanto e costringerlo a rimanere al tuo fianco, costi quello che costi! Non abbiamo bisogno di questi cazzo di mezzucci fatti di carta straccia e inchiostro, merda!»
Yuzo sgranò gli occhi, guardandolo con sconcerto. «Ma… le stai sentendo le stronzate che ti escono dalla bocca o hai spento le orecchie?! Incastrare?! Costringere?! Mamoru! Ti sposo perché voglio farlo! Perché voglio dare un valore in più al desiderio di voler restare con te per sempre!»
«E’ proprio questo il problema! E’ quel fottuto ‘per sempre’ il problema!»
«Mi stai dicendo… che non è la stessa cosa, per te? Che non credi alla nostra storia e a quanto possa durare?»
«Oh, andiamo! Guarda in faccia la realtà! Niente è per sempre, Yuzo! Che puoi sapere cosa può succedere domani? Magari ci svegliamo e scopriamo che le cose sono cambiate, chi può dirlo? ‘Per sempre’ è… è troppo impegnativo e noi non abbiamo tutte queste certezze! Diventa… soffocante!»
«Soffocante…» Yuzo lo fissava come se lo vedesse per la prima volta. Aveva l’espressione di chi stava scoprendo di aver avuto accanto una persona diversa da quella che aveva sempre creduto. E la consapevolezza faceva male, un male cane. «Quindi adesso il mio amore per te è soffocante, la mia voglia di restare al tuo fianco è soffocante. Bene. Benissimo.»
«Non ho detto questo, vedi di non fare la vittima!»
«Non sto facendo la vittima, cazzo! Sei tu quello che mi sta dicendo che non è più sicuro di niente! Che magari oggi mi puoi amare, ma domani… domani, chissà! Lo scoprirai al mattino quando ti sveglierai, no?»
Mamoru si girò male, guardandolo con astio. Avanzò di un paio di passi e si portò l’indice al petto. Yuzo non arretrò, non ci pensava neppure, e negli occhi aveva lo stesso astio del compagno. Forse addirittura peggiore.
«Ehi! Evita di farmi passare per uno stronzo, chiaro? Io ho lasciato Yokohama City per venire ad abitare con te a metà strada tra le nostre cazzo di squadre! Io ho dovuto inventare fottute scuse con chiunque mi chiedesse perché e percome non fossi fidanzato o perché non accettassi mai un invito per andare a bere qualcosa con l’amica dell’amico di turno!»
«Credi forse d’esser stato l’unico ad aver fatto dei sacrifici per stare assieme?! Eh?! E’ questo che pensi?! Sei così egoista da non ricordarti che anche io ho mollato Shimizu-ku per starti più vicino?! Che anche io ho dovuto penare per non farmi scoprire dentro e fuori dal campo?! Che anche io ho dovuto rinunciare a un sacco di altre cose solo per te, ma sai qual è la differenza tra noi?! La differenza è che io ero felice di farlo perché pensavo al futuro! Guardavo a quello che avremmo avuto dopo! Mentre tu… tu che guardavi?! Non di certo al futuro, viste le tue parole, e allora cosa?! Cosa cazzo guardavi, Mamoru?!»
Il tono in cui Yuzo aveva ringhiato gli fece incassare il mento e arretrare di un passo. Adesso vedeva bene quanto fosse arrabbiato e si sorprese nel comprendere che non l’aveva mai visto così. Le labbra tese, che minacciavano di arricciarsi in un ringhio, gli occhi spalancati sembrava avessero voluto carbonizzarlo sul posto. Capì d’aver parlato a vanvera, ma era troppo tardi per tornare indietro, quindi cercò di affrontarlo in qualche modo. Anche se non sarebbe stato sufficiente.
«C-certo che guardavo al futuro, che credi?!»
«Ah, sì?! E da uno che mi dice che niente è per sempre, che noi non siamo per sempre, che futuro dovrei aspettarmi? Quello delle prossime ventiquattro ore? Della prossima settimana o del prossimo mese? Un futuro a tempo determinato, è questo che mi stai offrendo? Perché sappi che il mio non ha mai avuto un fottuto limite! E nonostante avessi avuto un sacco di tempo per parlarmi di tutto questo, quando decidi di fartelo uscire? All’ultimo momento? Già che c’eri perché non dirmelo domani, davanti al funzionario civile, magari mentre sto firmando le carte di questo fottutissimo matrimonio?!»
Il modo in cui gli urlò le ultime parole gli fece comprendere quanto maledettamente avesse sbagliato. Sbagliato in tutto: nella scelta dei tempi, delle parole. Yuzo restava in piedi, davanti a lui, le labbra piegate in una smorfia e il respiro pesante. Era la mina su cui lui aveva messo il piede e tentare di toglierlo non l’avrebbe salvato.
«Senti, adesso… adesso calmat-»
«No! Sai cosa facciamo, invece? Facciamo che finalmente impari ad affrontare le conseguenze di quello che dici e di quello che fai!» Con un gesto irato, Yuzo si tolse la collana cui era appesa la piastrina che, per diciotto anni, era stata come un anello di fidanzamento tra loro due. La appallottolò nella mano e gliela lanciò contro, in un’immagine che Mamoru non avrebbe mai voluto vedere. «Eccole! Queste sono le conseguenze! E adesso scompari dalla mia vista prima che ti prenda a pugni per la prima volta in tutta la mia vita!»
«Yuzo… ma che stai-»
«Vattene! Sparisci! Eclissati! E già che ci sei, annulla tutto! A te l’onore visto che non aspettavi altro! Parla con i nostri genitori, parla con gli amici, col signor Vasquez e col funzionario del Registro Civil! Di’ loro che il matrimonio è saltato, anzi, di’ loro che è proprio finita!»
‘Finita’.
Quella parola echeggiò alle sue orecchie con un suono cupo, doloroso, e un sapore amaro gli invase il palato. Non era quello ciò che aveva voluto, non era a quel punto che sarebbero dovuti arrivare, non era così che doveva finire.
«Yu-…Yuzo, asp-» Mamoru cercò invano di avvicinarsi, ma l’ex-portiere lo prese per un braccio, strattonandolo senza troppi complimenti per accompagnarlo all’uscita.  Aprì la porta, lo spinse via, e gli sbatté l’uscio alle spalle.
«Fuori!» tuonò un’ultima volta, poi il violento pugno sul legno e il grido pieno di rabbia furono tutto ciò che Mamoru udì.
Infine, il silenzio.
L’uomo rimase a guardare la porta chiusa senza riuscire a dire una parola, senza avere neppure il coraggio di provare a rientrare. Abbassò gli occhi sul ciondolo che stringeva nella mano e si passò le dita tra i capelli, tirandoli indietro.
Si allontanò di un passo e il suo unico commento fu quello smarrito: «…cazzo.»

Mamoru si fermò solo quando uscì fuori, nel cortile che dava sul retro.
Sotto al porticato, la brezza di Settembre era calda e piacevole eppure gli fece venire dei brividi lungo le braccia scoperte, mentre le maniche del maglione di filo leggero erano arrotolate fino ai gomiti.
I suoi stessi piedi l’avevano portato lì senza neppure chiedergli il permesso. L’avevano fermato a un passo dal giardino, costretto ad appoggiarsi alla colonna più vicina per guardare l’enorme distesa, ora vuota, che avrebbe dovuto ospitare i tavoli per il ricevimento.
Improvvisamente li vide materializzarsi davanti ai suoi occhi nella disposizione che aveva solo distrattamente adocchiato sul planning che Yuzo gli aveva mostrato il giorno prima. Non pensava di ricordarlo così bene, non pensava di essere stato più attento di quanto aveva mostrato. Eppure adesso li vedeva eccome. Tovaglie bianche e verdi, tovaglioli ripiegati, porcellane, bicchieri. Poi la brezza spirò appena più forte, facendogli andare i capelli davanti al viso e l’immagine scomparve.
Il prato era buio, non si vedeva neppure il verde naturale dell’erba. Solo le candele alla citronella illuminavano il colonnato, disposte ai piedi delle colonne, in piatti di terracotta.
Mamoru si sedette sul cotto, si guardò le mani e poi le affondò nei capelli, realizzando che aveva rovinato tutto.
Il matrimonio, il legame che avevano, tutto quello che avevano affrontato insieme.
Le parole di alcuni degli articoli che bollavano come ‘moda del momento’, ‘ricerca di notorietà’, ‘trovata pubblicitaria’ la loro storia gli tornarono alla mente e alla bocca, sottoforma di bile. Aveva la nausea e si sentiva una merda.
«Insonnia da ultimi giorni?»
Mamoru si volse per incrociare il viso sorridente del signor Vasquez, il quale gli si era fatto vicino senza che lui se ne accorgesse o sentisse il picchiettare al suolo del bastone da passeggio.
Sospirò, scosse il capo. «No, rimorso da idiota.»
«E’ successo qualcosa, signor Mamoru?»
«E’ successo tutto. Tutto quello che non doveva.» Inspirò a fondo, si portò le mani alle labbra e guardò la distesa buia frusciare al vento. «Vuole sapere la verità? Io non voglio sposarmi. Non lo volevo fin dall’inizio però sono stato così imbecille da dire ‘sì’, da ascoltare le proposte che Yuzo faceva in merito all’organizzazione, al luogo, alla data. Sono stato così imbecille da mettermi a studiare spagnolo, mentre dentro di me pensavo che non volevo affatto. Non lo volevo. Non volevo che i miei parenti mi stessero addosso, non volevo che mia madre e mia sorella si mettessero a decidere al posto mio, non volevo mettermi un anello al dito. E questo io non sono mai riuscito a dirglielo prima di adesso. Adesso che è… troppo tardi, adesso che è pieno di aspettative, adesso che i nostri amici e i nostri familiari sono tutti qui, e… e l’ho ferito come non ero mai riuscito a fare in tutta la mia vita.» Sbuffò e spostò lo sguardo alle scarpe in vernice di Vasquez perché non aveva il coraggio di guardarlo in faccia e sentirsi ancora più spregevole.
Jago si appoggiò lentamente alla colonna. Sul suo viso trapelava un’espressione calma, ma dispiaciuta. Aveva vissuto a lungo e niente sembrava più riuscire ad agitarlo come quando era stato giovane. «Di cosa ha paura, signor Mamoru? Cosa la spaventa del matrimonio?»
«Paura? Perché deve essere la paura il motivo?»
«Perché se non lo avesse temuto, non avrebbe temuto neppure di rifiutare fin dall’inizio la richiesta del signor Yuzo.»
Questa volta, Mamoru levò il volto verso Jago, il quale gli stava rivolgendo un quieto sorriso. Deglutì, ci pensò, ma non distolse lo sguardo.
«Non voglio sentirmi intrappolato, con un cappio alla gola da promesse di eternità. Io non so nemmeno dove sarò domani…»
«Teme che possa essere una gabbia, che possa perdere la propria libertà?»
«Il matrimonio è la tomba dell’amore, dopotutto.»
Vasquez sbuffò un accenno di risata. Scese lo scalino e si sedette sul piccolo muricciolo che affiancava ogni colonna. «Quella frase l’ha inventata chi doveva giustificare il proprio fallimento. Il matrimonio non è una tomba e non è neppure una trappola né un collare. Il matrimonio è solo un simbolo. Non stia a sentire chi dice che è l’impegno della vita, perché quello lo ha già preso nel momento in cui ha deciso, seriamente, di stare con qualcuno, di fare progetti con lui. Se è convinto di volersi svegliare al mattino e avere il signor Yuzo accanto, allora si è già impegnato. Il matrimonio è niente più che una dimostrazione d’amore, un modo per gridare ai quattro venti il legame che si ha con una determinata persona; un legame che non si vorrebbe mai vedere spezzato. Nessuno potrà dire con certezza quanto durerà, perché il corso della vita è imprevedibile, ma avere quel desiderio di crederci, sentire che anche l’altra persona è disposta a battersi fino in fondo, allora può renderlo immortale. Se poi crede di perdere la propria libertà, allora è un po’ in ritardo, perché avrebbe dovuto perderla nel momento stesso in cui ha deciso di stare col signor Yuzo.»
Mamoru ci pensò, tornò a guardarsi le mani e cercò di ragionare con lucidità. «No, io… Lui non ha mai limitato i miei spazi, il mio modo di vivere… o qualsiasi altra cosa…»
«E allora perché pensa che dopo sposati sarà diverso?»
Scosse il capo. «Non lo so…»
«Crede di dover compiere un grande passo, ma non si rende conto che quel passo lo ha già compiuto. Il matrimonio è tante cose e nessuna in particolare, ma tra queste è anche una presa di coscienza. Teme di ammettere di non esserne all’altezza, teme di ammettere di poter deludere il suo compagno in futuro, teme di non essere pronto. Deve solo capire, signor Mamoru, di essere già andato oltre tutto questo.»
Mamoru si passò ancora le mani tra i capelli, tirandoli indietro e fissando l’erba sotto le proprie scarpe. Il verde si distingueva appena e solo perché arrivava il bagliore delle candele a illuminarne un pezzetto.
Lui aveva già fatto tutto, si era già legato in quella maniera forte che secondo lui era richiesta dal matrimonio, si era legato e non si era sentito in trappola. Dovevano solo ufficializzare la cosa, mostrarla al mondo, tutto qua. E allora perché temeva qualcosa che aveva già compiuto?
«Signor Mamoru mi ascolti bene.» Jago parlò di nuovo e, questa volta, gli parve più accorato, più… vicino, come se stesse spostando il tutto su un piano profondamente personale più che astratto. «La persona della propria vita si incontra una sola volta e non importa quante altre ne saranno passate prima o potranno passare dopo di lei, se se la lascia scappare per il timore di non essere abbastanza, lo rimpiangerà per sempre. Non faccia questo errore, signor Mamoru, non lo faccia. Perché dai ricordi e dai rimorsi non c’è via di fuga. Non si esce più.»
E Mamoru riuscì a leggere tra le righe, riuscì a leggere in quella calma d’altri tempi la verità di chi quell’errore l’aveva compiuto e continuava a pagarne le conseguenze.
Jago Vasquez si alzò, avanzando piano. Gli passò accanto, stringendogli affettuosamente la spalla e poi rientrò nella villa, lasciandolo solo.
Mamoru rimase a guardare l’oscurità della sera e il tremare della fiammella della candela alla citronella. Ogni rumore ridotto al frusciare delle fronde.
Perdere l’uomo della propria vita, perché era questo che stava accadendo. Perderlo per una paura che non aveva neppure ragione d’esistere, per altro. Perderlo perché era un idiota.
Come anni prima e allo stesso modo, un pensiero tornò alla sua mente: nessuno avrebbe mai potuto amare Yuzo quanto lui. Nessuno. Perché non era un amore divenuto routine o sola certezza della compagnia reciproca; era un amore che avrebbe potuto evolversi verso l’infinito, che aveva affrontato l’idiozia della società moderna ed era sopravvissuto. Non avrebbe permesso che crollasse proprio sulla linea del traguardo, quando non bisognava far altro che ribadire quel concetto che era sempre stato legato al pensiero che aveva di Yuzo, della sua presenza nella propria vita.
Solo in quel momento Mamoru si rese conto che ciò che lo aveva spaventato fin dall’inizio era sempre esistito, da quando si era dichiarato, solo che allora era stato tutto quello che aveva sempre desiderato.
Ancora e più forte di prima si sentì stupido fino all’inverosimile.
Perché a lui l’età non portava anche un po’ di intelligenza, già che c’era?!
Nervosamente si passò una mano sul viso.
«Imbecille colossale» borbottò. Ma era un imbecille che non era disposto ad arrendersi e che sapeva che se voleva sistemare le cose, allora non sarebbe bastato un banale ‘scusami’. Non questa volta.
Svelto afferrò il cellulare dalla tasca del jeans, trovò il numero in rubrica e inoltrò la chiamata.
All’altro capo, una voce di uomo rispose sghignazzando in maniera subdola. «Scommetto che mi hai telefonato per essere rassicurato sulla vita coniugale e sentirti dire che è tutta rose e fiori. Beh, sappi che hai sbagliato numero!»
«Genzo, ascoltami, ho fatto un casino e ho bisogno del tuo aiuto.»

***

“Non dimenticare che son poche quelle cose vere
che rimangono a brillare mentre corri in strade buie
quando tutto sembra sbriciolarsi addosso e tu vai a fondo,
basterà il pensiero per farti volare...”

Aveva passato a letto l’intero giorno poiché era riuscito ad addormentarsi solo alle prime luci dell’alba.
Nel momento in cui aveva di nuovo aperto gli occhi, Yuzo si era chiesto se non se lo fosse solo sognato, se l’ansia da matrimonio non avesse fregato anche lui e avergli fatto fare il peggiore incubo della sua vita. Ma quando si era portato la mano al collo e non aveva più trovato la piastrina aveva realizzato che no, nessuna ansia, nessuna fregatura, nessun sogno.
Soprattutto, nessun matrimonio.
In quel momento, tutte le parole che erano volate la sera prima erano tornate indietro, nella sua testa, come un boomerang. Si erano ripetute, scena dopo scena, e lui era rimasto a fissare il soffitto e a sentirsi… tradito.
Come ogni coppia, lui e Mamoru avevano attraversato periodi di difficoltà, in passato, accentuati anche dalla questione della loro clandestinità. E avevano potuto far male, d’accordo, avevano potuto portare quasi sull’orlo della rottura, una volta, ma mai, neppure quando Mamoru era stato disposto a lasciarlo partire per andare all’Olympiakos, si era sentito così. Tradito. Ferito a morte.
Forse era sempre stato troppo utopista, ma c’erano delle certezze nella sua vita che non dovevano essere toccate, fossero anche state illusorie. Il suo concetto di ‘per sempre’, ad esempio, era una di queste. La convinzione che davvero lui e Mamoru avrebbero trascorso insieme il resto della vita o che almeno ci avrebbero provato con ogni mezzo.
Ed era stato convinto che Mamoru la pensasse allo stesso modo, ma…

«Oh, andiamo! Guarda in faccia la realtà! Niente è per sempre, Yuzo! Che puoi saperne cosa può succedere domani? Magari ci svegliamo e scopriamo che le cose sono cambiate, chi può dirlo? ‘Per sempre’ è… è troppo impegnativo e noi non abbiamo tutte queste certezze! Diventa… soffocante!»

Anche lui era conscio di quanto fosse impegnativa quella promessa e anche che magari non aveva tutte le certezze del mondo, ma di una cosa era sempre stato sicuro: avrebbe fatto anche l’impossibile per farlo durare questo ‘per sempre’, ci avrebbe creduto perché voleva.
Perché farlo per Mamoru ne valeva la pena.
A quanto pareva, per Mamoru non era lo stesso; credere nel ‘per sempre’ era da illusi e quindi non ne valeva la pena. Neppure provarci per lui.
Questi pensieri si erano rincorsi di continuo, anche quando si era trascinato nel bagno, si era fatto una doccia – o, meglio, era rimasto fermo sotto il getto dell’acqua per venti minuti senza muoversi –, si era rivestito.
Non aveva messo il naso fuori dalla camera né si era fatto vedere per pranzo. Non aveva voglia di incontrare o sentire nessuno anche perché non avrebbe saputo come affrontarli, cosa avrebbe dovuto dire. Per ribadire il concetto aveva spento il cellulare poco dopo il litigio nonostante fosse consapevole di dover avvisare i suoi, dire che non se ne sarebbe fatto nulla.
Mentre restava a fissare come un idiota il vestito appeso all’esterno dell’armadio, avvolto nel copriabito bianco, si domandò se Mamoru fosse andato al Registro Civil, ma in fondo non gliene importava un fottuto cazzo.
Doveva preparare il bagaglio che aveva con sé e lasciare la tenuta, per tornare nell’appartamento che aveva fittato. Era inutile continuare a restare, anche se era tutto pagato per i prossimi due giorni.
Mentre si alzava e convinceva sé stesso a prendere il borsone dall’armadio si ricordò che l’appartamento era occupato dalla sua famiglia e da quella di Mamoru. Un delirio. Non sarebbe potuto andare a nascondersi neppure lì.
Avrebbe dovuto chiedere una breve ospitalità a Sanae e Tsubasa e poi-…
La bocca assunse una smorfia infastidita quando sentì un incalzante rumore di chitarre provenire dall’esterno. Guardò il balcone, dove la sera era ormai prossima e il cielo era più indaco che arancione, e pensò che qualcuno stesse festeggiando: la tenuta aveva molte cerimonie in calendario in quel periodo. Sentì di invidiare terribilmente la loro felicità, la loro voglia di far baldoria. Li invidiò con tutto il cuore.
Scosse il capo, prese un respiro profondo e tentò di concentrarsi solo su quello che doveva fare.
Almeno fino a che qualcosa non colpì il vetro.
Yuzo si volse. Non vide niente.
Pensò di esserselo immaginato, ma il rumore si ripeté e a lui sembrò che qualcuno stesse… sì, stesse lanciando delle pietre contro il balcone!
«Ma che diavolo!» Yuzo arricciò le labbra, raggiungendo la terrazza, ne aprì le ante, scorgendo dei sassolini a terra, e uscì fuori.
Ciò che si presentò ai suoi occhi non seppe come catalogarlo, fatto stava che tutta la vecchia Generazione D’Oro, i membri della Shimizu S-Pulse che erano riusciti a venire e qualche nuovo volto della Nazionale Maggiore erano sotto al suo balcone, assieme a mogli, fidanzate, varie ed eventuali, fogli alla mano, a cantare a squarciagola ‘Don’t dream it’s over’ di Paul Young(1).
In un angolo, appoggiato sul bastone da passeggio, Yuzo scorse anche il signor Vasquez con alcune delle cameriere della villa accorse per sbirciare, che se la rideva di gusto.
«Santo… Dio…» fu tutto quello che gli uscì, sul momento, poi si accorse di chi ci fosse in prima fila a guidare quella masnada di coro stonato e fuori tempo. Spalancò gli occhi e cominciò a sbracciarsi come un disperato.
«Mamoru! Che diavolo stai facendo?!»
Lo avrebbe ucciso, fatto secco, strappato lo scalpo. Lo avrebbe ridotto in cenere così sottile che non avrebbero neppure avuto bisogno di disperderlo!
L’ex-giocatore dei Marinos allargò le braccia. «La serenata alla sposa!»
«La cosa?!»
«E’ nella tradizione!»
«Ma che cazz-!» si spiaccicò una mano in faccia. «Dio, uccidimi! Adesso
«¿Que pasa aquí?»
«¿Hay una fiesta?»
Alcuni ospiti iniziarono ad affacciarsi dai balconi vicini, ridendo e indicando il folto gruppo che continuava a sciorinare canzoni su canzoni.
Una signora gli si rivolse, sorridendo. «¿Es tu hombre? ¡Que lindo!»
Yuzo divenne di un colore prossimo al porpora. Indicò la donna, poi il gruppo, poi sé stesso. «¡No, no es lo que parece! No… es… ommioddio, voglio morire!» piagnucolò scomparendo dietro alla balaustra e quando riapparve aveva due occhi pronti a lanciare raggi gamma. «Mamoru Izawa! Ti rendi conto della epocale figura di merda che stiamo facendo?!»
«Sì e non me ne frega niente!»
«Lo vedo! Ti sei portato anche i tre amigos!» Yuzo indicò Hajime, Teppei e Takeshi armati di chitarre che facevano da accompagnamento, prima di additare tutto il resto della banda. «E voi siete dei Giuda!»
Mamoru si portò avanti di un altro passo. «Ti prego, ascoltami!»
«Ma se dovevi parlarmi non potevi farlo come tutte le persone normali ovvero bussando alla porta?!»
«No! Perché tutti devono sentire!»
«Occazzo…» Yuzo nascose il viso in un mano. Non aveva la minima idea di quello che Mamoru aveva in mente e forse era per questo che ne era terrorizzato a morte. Senza contare la vergogna, ovviamente. Eppure non lo interruppe, non gli chiuse il balcone in faccia, ma rimase affacciato, nemmeno lui seppe perché. Guardò l’uomo, sostenendosi il viso e con espressione rassegnata.
«Io sono un coglione!» esordì Mamoru, forte e chiaro, e lui ironizzò.
«Uh, la novità dell’anno.»
«Sono il peggiore idiota di questo mondo! Ho fatto un sacco di errori e tu… tu sei la persona più paziente che io abbia mai conosciuto!»
Yuzo perse il piglio ironico in favore di uno più attento e serio.
«Ieri ho detto delle cose terribili e hai fatto benissimo a sbattermi fuori a calci! Mi sarei meritato davvero di essere preso a pugni! Però non posso negare di aver avuto paura!» Mamoru abbassò il viso, passandosi una mano tra i capelli e poi tornò a guardarlo, mani ai fianchi. «E’ vero, il ‘per sempre’ mi terrorizza perché mi fa sentire in trappola, perché… perché ho il timore di non esserne all’altezza! Ma poi ho capito, che più del ‘per sempre’, avevo paura del ‘mai più’. Mai più la nostra vita insieme, mai più la puzza del tuo schifoso tè, mai più i progetti che avevamo fatto, mai più tutto! Tutto quello che avevamo vissuto e avremmo potuto vivere! Certo, avrei potuto dire di essere libero, ma mi sono reso conto che non la voglio la mia libertà se non posso condividerla con te!»
A Yuzo venne da sorridere, ma nascose quella smorfia tra le dita per non dargliela vinta così facilmente, per non fargli capire che, come al solito, gli credeva. Mamoru aveva il pessimo vizio di non condividere mai subito le sue perplessità. Le teneva per sé, ci rimuginava fino a che non esplodevano come bombe. Però, quando poi si metteva a nudo e parlava chiaro, lo faceva con una sincerità disarmante. Questo era il motivo per cui aveva sempre finito col perdonare ogni suo errore, sempre.
E adesso? Avrebbe dovuto perdonare anche quello?
Mamoru allargò le braccia. «Perché in questi diciotto anni sono cambiate un sacco di cose ma se c’è una cosa che non è mai cambiata è che sono terribilmente pazzo di te. E se… e se le cose si devono fare, allora facciamole per bene, quindi…»
Yuzo lo vide frugarsi nelle tasche del jeans; sollevò il volto dalla mano e assunse una postura più dritta. Spalancò gli occhi quando gli vide tirare fuori una scatola.
«Ommioddio… non ci credo… » borbottò a mezza bocca, ma nel momento in cui Mamoru si inginocchiò, aprì l’astuccio e gli mostrò la piastrina che la sera prima gli aveva lanciato addosso, gli venne da ridere e stavolta non fece niente per nasconderlo.
«Yuzo Morisaki, vuoi sposarmi?»
Mamoru si sentiva più emozionato di un bambino alla prima cotta. Aveva le mani gelate, anche se faceva caldo, e quella orrida sensazione delle famose ‘farfalle nello stomaco’ che volava felice e libera. Non si era sentito così neppure quando Yuzo aveva introdotto il discorso mentre si trovavano nel famoso ristorante, ma quando gli aveva detto ‘sì’ aveva provato qualcosa di molto, moltissimo simile. Aveva pensato fosse paura di legarsi, invece era stata la paura di non essere abbastanza. Ci aveva messo un po’ per capirlo, ma alla fine ci era arrivato. Anche adesso temeva di non essere all’altezza di Yuzo e delle sue aspettative, ma aveva deciso di provarci lo stesso. Di riuscirci, a ogni costo.
E poi… e poi Yuzo stava ridendo… forse aveva ancora l’ennesima, l’ultima possibilità. Non avrebbe compiuto lo stesso errore del signor Vasquez. Non avrebbe perduto l’uomo della sua vita.
Trattenne il fiato quando lo vide poggiarsi con entrambe le braccia alla ringhiera e sporgersi in avanti, osservare la folla e domandare: «Allora? Che dovrei rispondere? Si accettano suggerimenti.»
«Lascialo tribolare un po’, Yuzo! Se lo merita!»
«Parole sante!»
«Genzo! Sanae! Siete qui per aiutarmi o cosa?!» sbottò Mamoru, gettando un’occhiataccia alle proprie spalle dove i due – ovvero le sue ancore di salvataggio, che l’avevano aiutato a organizzare quella serenata – sghignazzavano perfidamente. Però era consapevole di meritarselo sul serio. Meritava d’esser lasciato sulla graticola, di soffrire ancora un po’, anche se l’ansia era snervante.
Yuzo lo guardava con una certa ironia e un sopracciglio inarcato; il mento era leggermente sollevato, ma poi l’espressione si sciolse nel sorriso che conosceva fin troppo bene e che gli diceva che era stato perdonato. Ancora.
«Certo che lo voglio.»
Il coro esultante si levò alle spalle di Mamoru, poi il gruppo prese a cantare l’ennesima canzone, sotto gli applausi degli altri avventori della tenuta.
«¡Felicitaciones!» urlò la donna del balcone accanto, che non aveva capito nulla del discorso, ma aveva intuito che il tutto si fosse risolto in un ‘sì’.
Yuzo ricambiò con una certa rassegnazione. Tanto ormai la figuraccia l’avevano fatta. «¡Gracias!»
Scosse il capo, tornò a guardare quell’idiota del suo fidanzato e lo vide alzarsi in piedi.
«Scala!» Lo sentì chiamare e lui si allarmò.
«Scala?! Ma non vuoi proprio passare dalla porta?! Siamo al secondo piano!»
Jito, Takasugi e un altro paio di braccia si avvicinarono reggendo una scala che arrivò ad agganciarsi con i fermi alla sua ringhiera.
«Meglio di Pretty Woman!» esclamò Mamoru, salendo velocemente e premurandosi di non guardare mai in basso.
«E io chi sarei? Julia Roberts?!» sbottò Yuzo appena lo vide giungere in cima.
«Di sicuro, io sono più figo di Richard Gere!»
L’uomo scosse il capo, per l’ennesima volta, dandogli una mano a scavalcare la ringhiera. «Fila dentro, Richardcoso. Potrei cambiare idea all’improvviso e darti una spintarella!» Solo quando furono rientrati in stanza si portò le mani ai fianchi e lo ammonì, pur senza essere ormai davvero arrabbiato. «Ma che diavolo ti è saltato in mente? Dobbiamo farci riconoscere anche in Spagna a quanto vedo!»
«Se davvero mi fossi presentato davanti alla tua porta, mi avresti aperto?»
Mamoru non aveva tutti i torti e Yuzo fu costretto a pensarci. A dire la verità non lo sapeva, non con sicurezza. Si era sentito ferito, forse troppo, più di quanto fosse stato disposto a sopportare. Abbassò lo sguardo senza rispondere, ma tirando un lungo sospiro. Mamoru continuò.
«Bussare e sperare che tu volessi parlarmi, ritornare zittozitto e con la coda tra le gambe… non era quello che meritavi. Ogni volta è sempre stato così: facevo i danni e poi tornavo come un cane bastonato e tu sempre pronto ad accogliermi. Come se nulla fosse successo. Dovevo… dovevo dimostrarti cosa fossi disposto a fare per te. Non hai idea delle maledizioni che mi sono piovute da parte di tutti, Sanae e Genzo in testa. Però avevi ragione: dovevo cominciare ad assumermi maggiori responsabilità per le mie azioni, dovevo affrontare le conseguenze. Ed erano orribili.»
Yuzo si concesse un mezzo sorriso, guardando il compagno da sotto in su con ironia. «Sulla soglia dei quaranta, però, la serenata…»
Anche Mamoru sorrise, avvicinandosi di un passo. «Sarei stato disposto a qualsiasi cosa pur di riaverti con me. Qualsiasi.»
«Anche a sposarti?»
«Sì.»
Anche se lo disse con ferma convinzione, Yuzo un po’ temeva quella risposta. Temeva la sua veridicità. Più di tutto, temeva che Mamoru potesse nuovamente fare marcia indietro. Scosse il capo e abbassò lo sguardo.
«Senti, Mamoru, se non sei sicuro di questo passo allora-»
«Io ho sbagliato a non mettere le cose in chiaro con te fin da quando hai introdotto il discorso del matrimonio e, sì, fino a ieri avevo mille dubbi. Ma adesso non più. Perché in fondo… è quello che ho sempre voluto da quel 12 Marzo di diciotto anni fa.»
Yuzo lo guardò farsi avanti ancora, mettere mano alla scatola ed estrarne la collana.
Non si oppose né si ritrasse quando Mamoru gliela mise nuovamente al collo, né fu l’altro ad allontanarsi una volta che l’ebbe legata, ma rimase lì, all’interno del suo spazio vitale.
Mamoru camuffò la voglia matta di riempirsi i polmoni del suo profumo con un pesante sospiro.
«Allora tutto quello che desideravo era restare con te. Per sempre. Prima non ne avevo paura, ora sì perché davvero temo di non esserne all’altezza, ma sono disposto a battermi per questo. Sono disposto a battermi per te.» L’ex-terzino cercò la sua fronte, vi poggiò contro la propria. Parlò più piano. «Perché ti amo, anche se forse non sono molto bravo a dimostrartelo.»
Yuzo sorrise. Non era una questione di bravura, era solo che Mamoru aveva un modo tutto suo di dimostrare i sentimenti. Non sempre ci coglieva, aveva bisogno di fare diversi tentativi, ma quando ci riusciva… quando ci riusciva era sempre stato in grado di farlo sentire l’uomo più fortunato del mondo.
Gli carezzò la guancia dove la barba non era perfettamente rasata e cercò le sue labbra per baciarle a lungo, sentire il contatto con la sua pelle che sapeva ancora dargli la stessa sicurezza di quando erano ragazzini, nonostante tutto. Con l’altra mano cercò la sua; Mamoru ne strinse subito le dita come non avesse aspettato altro che poterlo toccare ancora. Era la concretezza d’esser stato perdonato sul serio, d’essere ancora insieme e provare a farlo divenire davvero ‘per sempre’.
Yuzo tornò a unire le loro fronti e a sorridere.
«Raggiungiamo gli altri o finisce che canteranno per tutta la notte.» 

Non dimenticare che chi vuole tutto troppo spesso
è finito solo nel contare le sue briciole,
chi ha rincorso il sogno di diventare uomo
senza mai legarsi per paura di sbagliare ma…
per questo domani ti sposo, per questo domani ti sposo.

 
E vinceremo le vigliaccherie,
di un mondo che ci vuole sempre uguali,
vedrai sarà più facile dividere per due,
saremo forse gli unici domani.
Ed entrerà la luce in questa casa,
ci sembrerà più magico il destino
anche se non c'è niente da scoprire troverai
un motivo in più per esserci… domani”


Otto Ohm - Domani

***

Bussarono alla porta mentre stava finendo di legare la cravatta. Nonostante sua madre e le sue sorelle si fossero impuntate, penalamorte, su quello era riuscito ad averla lui l’ultima parola: cravatta semplice con nodo winsdor al posto del pastron.
Già l’idea di essere così elegante gli faceva strano, figurarsi con un pastron al collo! Yuzo si sarebbe ammazzato di risate nel momento in cui l’avesse visto confezionato come un damerino.
«Avanti» invitò, stringendo leggermente il nodo. «Ma solo se non sei una delle femmine della famiglia Izawa!»
Una voce femminile rise facendosi avanti e chiudendo la porta alle proprie spalle. «Allora mi va di lusso, visto che sono ‘il primo fratello’
«Guarda, guarda chi arriva. Sei venuta a rompere le scatole prima del momento magico, Yuri?» Mamoru si volse, stringendo la mezza coda che gli teneva fermi i capelli, e si avvicinò alla gruccia, dove erano appesi la giacca e il gilet. Prese il secondo e tornò presso lo specchio.
Yuriko avanzò di qualche passo e si appoggiò al bordo di una delle poltroncine ferme attorno al tavolino. La stanza era ampia, luminosa, in tutto simile a quella di Yuzo come organizzazione e divisione degli spazi. Il signor Vasquez aveva fatto portare nelle stanze degli sposi due specchi che riflettevano le loro figure per intero, in modo che potessero prepararsi in maniera impeccabile.
«Il resto delle signore Izawa sono tutte impegnate a intrattenere gli ospiti, assieme a Junko, quindi non verranno a pungolarti oltre. Non posso prometterti nulla per il dopo cerimonia, però.»
Mamoru rise, sistemando le gambe della cravatta e chiudendo i bottoni. Con la coda dell’occhio scorse la giovane che restava appoggiata alla spalliera e lo fissava con un mezzo sorriso.
«Non mi piace come mi stai fissando, sento odor di ‘discorso serio’. Devo preoccuparmi?»
Yuriko agitò la mano, schernendosi. «Nah, non rovinare sempre tutto con quella tua lingua lunga, per una volta che vengo in pace  a fare la mia parte di sorella maggiore. Almeno una filippica mi spetta di diritto.» «Eccola! Lo sapevo!»
«Ah! Sta’ zitto.»
Risero, quasi fossero tornati entrambi ragazzini. Nonostante trovassero sempre una buona ragione per pungolarsi e sfottersi, Mamoru era comunque legato a Yuriko. Probabilmente erano molto più simili di quanto ambedue volessero ammettere.
Yuriko era molto elegante e femminile nel tubino rosso scuro che arrivava un po’ sopra al ginocchio. Sulle spalle indossava una cappa plissé trasparente dello stesso colore, con chiusura-gioiello alla base della gola. Tirò dietro l’orecchio una ciocca corvina; neppure con l’età aveva mai rinunciato al suo taglio di capelli mascolino.
«Se devo essere sincera, pensavo saresti stato l’ultimo a sposarti. E invece non solo sarai il primo, ma anche l’unico, visto l’andazzo.» Si concesse un sorriso meno ironico e più sincero. «Penso di invidiarti un po’.»
«Non sono parole degne della tosta Yuriko Izawa» scherzò Mamoru, non senza provare una punta di sorpresa.
L’altra si strinse nelle spalle, per poi guardarlo dritto negli occhi. Erano neri entrambi e altrettanto decisi, simili.
«Che vuoi farci? Ho anche io le mie debolezze. Però sono felice per te. Stai facendo la cosa giusta, se ami davvero Yuzo, e non lo metto in dubbio dopo quasi vent’anni di fidanzamento.»
Mamoru si portò le mani ai fianchi e abbassò lo sguardo, fissando la punta delle proprie scarpe in vernice, bianche anch’esse.
«Sei pentita di non aver fatto anche tu questa scelta?»
Yuriko si avvicinò di qualche passo, sistemandogli un po’ i capelli e il colletto della camicia.
«Più che altro, sono pentita di non aver mai trovato la persona giusta con cui compierla.» Raddrizzò leggermente il nodo e diede un ultimo ritocco al gilet. «Non credo di essere una persona che mette gli uomini a suo agio: temono la competizione.»
Mamoru le rivolse un’occhiata divertita. «Non è che sotto sotto sei lesbica, Yuri?»
«Perdona la franchezza, fratellino, ma mi piace il cazzo.»
L’uomo sbottò a ridere di gusto. «Sei proprio un fottutissimo uomo! Ti voglio bene per questo.»
«Ti voglio bene anch’io, ma non andare a dirlo in giro, che figura ci farei?» Anche Yuriko stava ridendo divertita, mentre Mamoru andava a recuperare la giacca.
«E comunque, non doveva essere papà a farmi il discorso serio?»
«Se ci fosse stato lui ti avrebbe detto che tutti hanno paura di crescere, e non devi credere che solo perché hai smesso di cagarti addosso e sai allacciarti le scarpe allora tu sia già diventato un uomo. Per essere uomo devi fare molte scelte. Sono quelle che ti fanno maturare e visto che sei ancora qui, significa che hai preso la tua.»
«Vuol dire che sono finalmente diventato un uomo?»
Yuri gli puntò l’indice contro, tendendo il labbro con la sua solita, pungente ironia. «Tsk, scordatelo! Ne hai ancora di strada da fare!»
Rimasero in silenzio per qualche istante, in cui Mamoru sorrise con affetto.
«Grazie, Yuriko.»
La donna gli si avvicinò, dandogli un bacio sulla guancia e togliendo poi il segno che il rossetto aveva lasciato.
«Ti aspettiamo in sala» disse e se ne andò, lasciandolo solo.
Mamoru finì di chiudere anche l’ultimo bottone e poi si guardò nella sua interezza.
Si stava proprio per sposare, diavolo. Sul serio, per davvero. E, incredibilmente, non ne aveva più paura.
Inspirò a fondo, sorrise e guardò l’orologio. Aveva ancora del tempo prima che la cerimonia avesse inizio e così si concesse di prendersi una breve boccata d’aria.
Sgattaiolò velocemente fuori dalla stanza, scegliendo con cura il luogo meno frequentato dagli altri ospiti. Aveva voglia di starsene un po’ da solo, di fare due passi, raccogliere bene le idee e sentirsi pronto. Non temere più di sposarsi non voleva dire di essere perfettamente concentrato su quello che sarebbe avvenuto in quella giornata, e quindi voleva trovare una sorta di personale pace interiore.
La cerimonia si sarebbe tenuta in una delle sale della villa, mentre il ricevimento era stato allestito nel grandissimo giardino sul retro. La giornata era ottima e avevano potuto organizzare tutto affinché si potesse festeggiare all’aperto.
Sapeva dove si sarebbero trovati gli ospiti, così riuscì a sgattaiolare da una delle uscite laterali, dove non avrebbe incontrato nessuno, a parte gli addetti di Villa San Juan.
Fece per girare l’angolo quando per poco non andò a sbattere addosso a qualcuno che veniva dalla parte opposta.
Stava per scusarsi, poi incrociò lo sguardo sorpreso dell’interlocutore e rimase in silenzio, come un fesso, per i momenti successivi.
Yuzo indossava un abito blu, semplice ed elegante al contempo. Camicia bianca, cravatta a righe. All’occhiello la calla era piccola e delicata.
L’ex-portiere aveva sempre avuto un’eleganza tutta sua di portare i completi come quello, che a lui piaceva da impazzire. In quella particolare occasione, poi, l’effetto era raddoppiato.
Gli uscì un basso fischio di approvazione.
«Accidenti. Che schianto.»
Yuzo scosse il capo e sorrise. «Che ci fai in giro?»
«Potrei farti la stessa domanda. Non ti hanno rinchiuso in stanza a mo’ di principessa nella torre come hanno fatto con me? Avevo bisogno di prendere un po’ d’aria.»
«Non possono rinchiudermi come una principessa, perché quella sei solo tu, Raperonzolo» scherzò l’ex-portiere e Mamoru assottigliò minacciosamente lo sguardo, ma non lo interruppe. «Ero andato a cercare tua madre perché mi ero dimenticato di darle la boutonnaire per te.» Yuzo gli mostrò la piccola calla, uguale a quella che stava indossando lui. «Vorrà dire che te la metterò di persona.»
A Mamoru quell’idea piacque molto di più e lasciò che Yuzo gli appuntasse il fiore. Con la coda dell’occhio studiava il suo sguardo attento e il leggero sorriso che gli metteva in risalto la sua ruga preferita. Gli si formava al lato della bocca ed era sexy da morire. Poi c’era il suo profumo, familiare e piacevole, che sapeva di muschio, giacinto, sandalo. Un profumo che ogni volta che ne avvertiva l’essenza per strada, quando camminava da solo, finiva per girarsi d’istinto, aspettandosi di scorgere anche il compagno.
«Devi ammettere che le tue sorelle avevano ragione.»
Yuzo lo distrasse dai suoi pensieri, mentre finiva di appuntare il fiore. Gli diede una lisciata alla giacca e poi lo guardò.
«Il bianco ti sta davvero bene.»
Mamoru si passò una mano dietro la nuca, spostando lo sguardo per camuffare l’imbarazzo.
«Sì, sì. Lo so. E’ solo che non volevo dargliela vinta con la storia che ‘la sposa si deve vestire di bianco!’» Eppure l’aveva capito subito che quell’abito era stato perfetto per lui, fin dalla prima volta che l’aveva indossato. Yuzo glielo aveva sempre detto che i colori chiari gli donavano, il bianco in particolare, perché facevano contrasto con i capelli neri. E quel completo era completamente candido, ad eccezione della camicia di un bel color bronzo scuro.
In quel momento, Chizu comparve dal nulla, li fissò con espressione atterrita e puntò gli incidi verso di loro. «Zio Yuzo! Zio Mamoru! Che state facendo?! Lo sposo non deve vedere la sposa! Porta male!»
«E allora? Che problema c’è?! Siamo due maschi!» sbottò Mamoru. «Con noi non funziona!»
«Oh! Non fare storie! Se ti dovesse beccare la mamma, sarebbe la tua fine, lo sai!» Chizu prese entrambi per un braccio, spingendoli verso l’ingresso secondario. «Forza! Forza! Filate dentro che ormai manca pochissimo! Gli invitati stanno già cominciando a entrare nella saletta. Voi tornate nelle vostre stanze e aspettate che dalla hall vi diano il via libera per scendere! Suuuu!»
Mamoru le picchiettò la fronte con l’indice.
«Rilassati, nipote, rilassati!» poi sospirò disperato, guardando Yuzo. «Sposiamoci, maledizione! Non ne posso più di tutta ‘sta storia delle tradizioni del matrimonio! E lo sposo non può! E la sposa non può! Ma andassero un po’ tutti a-»
«Zio Mamoru!»
Yuzo non rispose, ma si limitò a ridere, mentre veniva trascinato dentro.

“Tonight I wanna give it all to you /
Stanotte voglio darti tutto.
In the darkness /
Nell’oscurità
there's so much I wanna do /
c’è così tanto che voglio fare
and tonight I wanna lay it at your feet /
e stanotte voglio metterlo ai tuoi piedi.

La telefonata gli era arrivata dopo cinque minuti che era rientrato in stanza.
Con uno sbuffo, aveva aspettato qualche altro momento e poi aveva percorso il giro più lungo per arrivare davanti alla sala. Però aveva camminato a passo spedito. Anche troppo, secondo il suo modo di fare, ma non si era spiegato per quale motivo avesse tutta questa fretta di arrivare.
Aveva davvero così tanta voglia di sposarsi quando fino al giorno prima avrebbe voluto fuggire il più lontano possibile da tutto quello?
L’essere umano era una figura veramente strana che non riusciva a star dietro al proprio oscillare, mutare, evolversi. Crescere. Sembrava avesse le gambe troppo corte o che non fosse veloce abbastanza.
Nel frattempo, intorno non c’era più nessuno. Il brulicare frenetico di persone era cessato d’improvviso e la cosa fece ridere Mamoru. Ormai mancavano solo loro.
Il signor Vasquez aveva posto le due camere su piani differenti, affinché nei giorni che li separavano dal matrimonio avessero tutto lo spazio necessario per essere pronti e la sala era raggiungibile da entrambe con strade diverse. Si trovava al piano terra, al centro di un lungo corridoio.
Mentre arrivava, Mamoru scorse la figura di Yuzo giungere dalla parte opposta.
Il sorriso gli si disegnò sulle labbra, adagio, passo dopo passo, e lo stesso fu per il suo compagno.
Davanti ai battenti chiusi si fermarono.
«Eccoci di nuovo» sorrise l’ex-terzino dei Marinos, mentre Yuzo si sfregava le mani e sorrideva.
«Già.»
Lui assottigliò lo sguardo. Il modo in cui Yuzo si guardava attorno non gli era sfuggito. «Aspetta un po’. Non sarai mica nervoso?»
L’altro strinse i denti in un sorriso forzato e infine esplose, gesticolando animatamente e parlando a raffica. «Sì, lo so che sembra un paradosso visto che sono stato io a volere tutto questo, ma… sono nervoso da morire, accidenti! Tu fai finta di niente!»
«A-ah! Lo sapevo! Il calmo e impassibile Yuzo Morisaki si fa prendere dalla strizza!»
«E’ assurdo, me ne rendo conto…»
Solo in quel momento, mentre osservava il modo in cui l’uomo si guardava intorno e tamburellava il piede al suolo, si grattava la nuca, metteva e toglieva le mani dalle tasche, Mamoru si rese conto di essere pronto sul serio.
Il gran passo non era poi così grande come sembrava o si diceva. Era un passo come un altro, a renderlo grande erano solo loro, quindi ogni loro passo era grande. Ogni passo compiuto, ogni passo che avrebbero dovuto compiere.
Con semplicità gli prese una mano, intrecciando le dita con le proprie. A quel gesto, Yuzo parve calmarsi come per magia. Gli vide prendere un respiro più profondo e poi espirare, adagio.
«Non pensavo…», gli sentì dire, «che mi sarei emozionato così. Sul serio. Sono troppo vecchio per queste cose.»
«Cretinate.» Mamoru scosse il capo. «Non si è mai vecchi abbastanza.»
Yuzo sospirò ancora. Lo guardò negli occhi, poi gli sistemò la calla in un gesto meccanico. «Tu… non hai cambiato idea all’ultimo momento, vero?»
Mamoru scosse il capo. «In verità stavo già pensando a domani. Pensavo che ci sveglieremo nello stesso letto, faremo colazione allo stesso tavolo, vivremo sotto lo stesso tetto. Ed è vero, erano tutte cose che facevano anche prima, ma… adesso non devo più giustificarle con nessuno. Non devo più stare attento a non tenerti per mano come sto facendo ora o ad avvicinarmi troppo.» C’era una strana serietà mista a euforia nei suoi occhi, come se stesse realizzando, nella maniera più semplice possibile, quel concetto cui non era mai riuscito ad arrivare prima di allora. «Da domani e per tutto il resto della mia vita potrò stare con te senza curarmi di cosa penserà o dirà la gente. Potremo finalmente cercare di recuperare il tempo perso dietro la facciata dei calciatori professionisti che dovevamo preservare, che gli altri si aspettavano da noi e che silenziosamente ci imponevano. Da domani sarà di nuovo la quotidianità, ma sarà la nostra
Yuzo sorrise e sul suo volto la tensione di poco prima si era ormai sciolta del tutto. Strinse un po’ di più le sue dita.
«E allora cosa stiamo aspettando?»
Si volsero entrambi e insieme si mossero. La porta chiusa era lì, a un passo, e non c’era davvero più nulla su cui riflettere. Per anni avevano vissuto adattandosi affinché la forma che il calcio gli aveva dato non risultasse troppo scomoda o stretta, ma adesso la forma l’avrebbero decisa loro e sarebbe stato il mondo a doversi adeguare.
Ognuno di loro afferrò una delle maniglie.
Mamoru sghignazzò.
«A che stai pensando?» borbottò Yuzo.
«Spero che a Mikami non prenda un colpo.»
«Che stronzo.»
Le maniglie vennero abbassate, la porta aperta e poi partirono le note rockeggianti di ‘I was made for lovin’ you’ dei KISS che avevano scelto come marcia nuziale.

“I was made for lovin' you baby /
Sono nato per amarti, baby;
you were made for lovin' me /
tu sei nata per amare me.
And I can't get enough of you baby /
E non posso averne mai abbastanza di te, baby;
can you get enough of me? /
puoi averne tu abbastanza, di me?

KISSI was made for lovin’ you

 

«E allora, Tatsuo, tu che ne pensi?»
«Perché ogni volta dovete venirlo a chiedere a me?»
«Beh, perché sei il più anziano e maturo» pungolò Minato, portandosi il bicchiere di vino alle labbra.
«Io so solo che se non sono morto questa volta, allora sono un highlander.» Mikami sospirò, rilassandosi contro lo schienale della sedia. Il suo sguardo si fermò sulla coppia di sposi che conosceva da che erano bambini delle elementari. Li aveva visti crescere, maturare e diventare due preziosi membri della inimitabile Generazione D’Oro del calcio nipponico.
Incrociò le braccia e alla fine sorrise. «Certo che è stato proprio un bel tiro mancino, eh?»
«Oh, per carità. Se penso ai membri della Federazione e alle telefonate che ho ricevuto.» Katagiri si portò una mano alla fronte, scuotendo il capo con rassegnazione.
Gamo agitò il bicchiere animatamente. «Lascia perdere quel branco di babbei pieni di soldi! Non capiscono niente che non abbia sei zeri!»
«Suvvia signori, siamo a una festa, mettiamo da parte la Federazione e i suoi lamenti e beviamoci su!» Kira afferrò la bottiglia di vino e rifornì ogni bicchiere almeno per metà.
Mikami lo guardò da sopra le lenti fumé. «Ma non eri in astinenza?»
«Lo ero quindici anni fa, ormai ho smesso di allenare. E poi dobbiamo brindare agli sposi!» ridacchiò, afferrando il proprio calice. Anche Tatsuo rise, scuotendo il capo.
«Sapete cosa?» Minato Gamo si rilassò contro la sedia, appoggiò il gomito sulla spalliera di quella di Munemasa, accanto a lui, e oscillò lievemente il bicchiere, senza però prestare attenzione al vino che dondolava piano all’interno. I suoi occhi erano su Yuzo e Mamoru che, più distanti, stavano ridendo assieme agli altri compagni di scuola, di squadra, di Nazionale. Anche loro avevano i bicchieri in mano, pronti per farli cozzare all’ennesimo brindisi della giornata. Tese un sorriso soddisfatto. «Alla fine non me ne frega niente con chi si sposano, l’importante è che i nostri ragazzi siano felici. Non siete d’accordo?»
I quattro si scambiarono una rapida occhiata, prima di ridere sommessamente e comprendere che Minato aveva ragione.
Quei ragazzi loro li avevano visti diventare uomini, erano anche un po’ figli loro, e nell’ottica paterna, no, non importava davvero ‘chi’ sarebbe stato al loro fianco. Ciò che più contava era saperli soddisfatti della vita e senza alcun rimpianto.
Librarono i calici e li fecero tintinnare, mentre altrove arrivò fino a loro quel sonoro: «Alla salute!»

Hajime buttò giù l’ennesimo bicchiere di vino, frutto dell’ennesimo brindisi, e riprese a raccontare, tra le risate generali.
«Lo dovevate vedere! C’era Mamoru che era rimasto incastrato nel finestrino, non sapeva più da dove uscire e la portiera andava avanti e indietro! Poi è arrivato sotto al ponte, iniziando a urlargliene di peste e di corna, mentre la gente attorno ci guardava e rideva, e io e Takeshi volevamo andare a nasconderci! A un tratto Yuzo s’è lanciato e Mamoru è rimasto paralizzato come una statua all’idea che si potesse sfracellare fino a che, a un tratto, è svenuto!»
Il coro di risate si levò più fragoroso di prima, mentre Genzo puntualizzava, battendosi le dita sul palmo della mano. «Il filmato, signori! Il filmato! Qui ci vogliono le prove, le dobbiamo visionare!»
«Non preoccuparti, Genzo, a quello penso io!» sghignazzò la metà ricciuta della Coppia d’Argento, sfregandosi le mani. «Conservo l’originale come un cimelio di famiglia!»
«Piantatela di sfottere!» Mamoru tentò di difendersi, ma con scarsi risultati, mentre Yuzo gli cingeva il collo con un braccio. Ormai avevano entrambi abbandonato le giacche chissà dove e lui si era anche liberato della cravatta, mentre suo marito continuava stoicamente a indossarla, anche se un po’ allentata. D’intorno la gente rideva, ballava e beveva ancora qualcosa nonostante avessero già passato il dolce e avessero stappato lo champagne, mentre la musica, che un complessino stava suonando dal vivo, faceva da piacevole sfondo musicale a quella giornata perfetta. Manco a dirlo, loro due non si erano fermati un attimo, girando tra i tavoli, tra parenti e amici. Non si erano neppure accorti che il tramonto ardeva con piacere nel cielo e sul mare. «Avrei voluto vedere voi al mio posto, con le vostre mogli che si mettono a fare bunjee jumping! Scommetto che avreste reagito uguale!»
Yuzo rise, stringendo la presa e parlando ai ragazzi. «Non contento, me lo sono portato al rafting il giorno dopo!»
«Fanculo! Ho vomitato anche l’anima!» ricordò Mamoru con un sorriso rassegnato. Ma anche quella, dopotutto, era stata un’esperienza memorabile. Tutto quello che avevano fatto insieme, pensandoci meglio, lo era stato.
Mamoru guardò l’uomo al suo fianco, mentre tutti ridevano, e lo vide leggermente alticcio, in disordine ma ugualmente fantastico.
Poi, una figura minuta con capelli scuri si fece spazio in quella cortina quasi tutta al maschile. «Signori! Signori! Perdonate l’intrusione, ma vengo per rubarmi lo zio Yuzo che mi aveva promesso un ballo!»
Takasugi rise. «Attento, Yuzo! Qua il padrone di casa ti farà sistemare il prato, glielo stai consumando a furia di ballare!»
Chizu prese l’ex-portiere sottobraccio, sottraendolo alla stretta di Mamoru, che non si oppose, ma ci tenne a puntualizzare: «Vacci piano, nipote, non stancare troppo mio marito: mi serve in forze, stasera!»
Il coro malizioso si levò assieme a uno scroscio di applausi e risate.
Chizu agitò una mano verso di lui. «Zio Mamoru, sei vergognoso!» rise, poi Yuzo la fece piroettare al centro della pista improvvisata e si misero a ballare.
«Scusa se ti ho strappato ai vostri amici» disse la ragazzina.
L’ex-portiere le sorrise. «Scherzi? Hai appena salvato tuo zio Mamoru: se avessi suggerito un altro paio di aneddoti ad Hajime, credo che sarebbe stata la sua fine.» I due ridacchiarono con complicità, muovendosi adagio tra le altre persone. «Allora, ti stai divertendo?»
Chizu si illuminò. «Un sacchissimo, zio! I vostri amici sono così simpatici! Mamma si è messa a fare una gara di bevute con il signor Soda!»
«Oddio! Devo andare a dire a Mamoru di fermarla prima che sia troppo tardi!» Anche se sospettava che ormai lo fosse già.
Mentre la chitarra suonava e l’odore dell’aria aveva ancora quell’inconfondibile aroma estivo, la figlia di Yuri levò lo sguardo su di lui, che era molto più alto.
«Sai una cosa, zio Yuzo? Sono davvero felicissima che tu sia diventato ufficialmente mio zio. Adesso posso andare a scuola e dire che ho gli zietti più fantastici del mondo!»
«Addirittura?» Yuzo rise, ma lei era più seria di quanto sembrasse.
«Zio Mamoru è stato davvero fortunato a incontrarti. Mi chiedo se questa fortuna sia ereditaria…» Chizu sospirò, un po’ rassegnata.
«Tesoro, ma sei ancora così giovane. Non devi pensare queste cose, hai tutta la vita davanti.»
«Sì, lo so, ma con una mamma come la mia, diciamo che la mia vita sentimentale non è proprio semplice.»
Yuzo pensò che, sotto sotto, Chizu non avesse tutti i torti. Nonostante la gioventù molto turbolenta che aveva vissuto – o forse proprio in virtù di questa –, Yuriko era molto severa in merito alla questione ‘ragazzi’, però non è che facesse oggettivamente alcunché: le bastava lo sguardo. Si poteva dire che tutti gli eventuali corteggiatori di Chizu si erano dileguati ancor prima di divenire tali.
«Non è che conosci qualcuno paziente come te da presentarmi, ma che, possibilmente, non sia gay?» scherzò la ragazza con un mezzo sorriso, però Yuzo parve prenderla in parola quando il suo sguardo finì per caso su un giovane che, se non ricordava male, doveva avere circa un anno o due in più di sua nipote.
«Mh… forse sì.»
«Eh?!» Chizu strabuzzò gli occhi, mentre veniva trascinata, ballando ballando, da un lato della pista. «Zio! Zio che fai?»
«Ti presento qualcuno!» sorrise Yuzo, strizzandole l’occhio, e a lei venne quasi un colpo quando si accorse che si stavano dirigendo proprio verso il ragazzo carinissimo che era arrivato con i parenti del suo neo-zietto.
«Ehi, Toya! Perché non mi sostituisci in questo ballo?»
L’interpellato arrossì nel ritrovarsi praticamente una ragazza tra le braccia.
«Mi raccomando, tratta bene mia nipote Chizu, ok?»
«C-certo, zio Yuzo.» Fu tutto quello che riuscì a dire, mentre vedeva l’uomo allontanarsi con un sorriso divertito.
Chizu avrebbe voluto sprofondare per la vergogna, ma tentò comunque di scherzare, nonostante il viso fosse di un vivace porpora. «Perdonami, sei stato incastrato.»
Con sua sorpresa, Toya sorrise, seppur apparisse un po’ in imbarazzo, e non sembrava infastidito. Accennando un leggero inchino, le porse cavallerescamente la mano. «Però devo confessarti di non essere un gran ballerino.»

Con una mano nella tasca dei pantaloni e l’altra sollevata, braccio teso e dita ben aperte, Mamoru guardava la propria fede che luccicava alla luce del tramonto.
Alle sue spalle, nello spiazzo del ricevimento, si continuava a cantare e ballare, festeggiare. Lui era riuscito a liberarsi da tutti e si era preso qualche momento di pausa, per godere dall’esterno di tutto quello che si stava consumando lì attorno.
Guardò l’anello, lo rigirò col pollice, tornò a fissarlo. Non pesava per niente.
«Ti stai già pentendo?»
La voce di Yuzo arrivò alle sue spalle, in tono morbido, mentre gli poggiava il mento tra la spalla e il collo.
Lui accennò un sorriso, guardando prima il suo profilo con la coda dell’occhio e poi tornando a fissare la fede. Il profumo di suo marito gli fu subito attorno.
«No, per niente. Piuttosto, trovo che mi doni più di quanto avessi pensato. Che ne dici?»
Yuzo affiancò anche la sua mano e viste così vicine, ai rispettivi anulari, le fedi facevano tutt’altro effetto; semplici strisce di oro bianco che brillavano al sole.
«Perfettamente d’accordo.»
Mamoru avvertì il suo sorriso contro la guancia e pensò a come Yuzo portasse quell’anello con una disinvoltura invidiabile. Sembrava che il suo anulare fosse fatto per indossarne uno.
«Ci facciamo un piccolo brindisi solo noi due?» gli domandò l’uomo, porgendo un flûte che lui afferrò.
«Perché no?» Mamoru buttò un’occhiata alle spalle del marito. «Come se la stanno cavando gli altri? E… ehi! Ma non è il figlio di tuo cugino quello che sta ballando con mia nipote?!»
Yuzo ridacchiò, guardando anche lui come Chizu e Toya stessero ancora danzando, e sembrava anche che si stessero divertendo. «Chizu aveva espresso il desiderio che le presentassi qualcuno come me, ma non gay.»
«Hai capito. Non male, però. Sono carini.»
«Vero. Tua sorella mi ucciderà.»
«Ah, lascia perdere Yuri, è il momento che Chizu impari a tenerle testa.»
Mamoru tornò a concentrarsi solo su Yuzo che aveva avvicinato il bicchiere al suo e sorrideva.
«Allora a cosa vuoi brindare?» Si sentì chiedere.
«Mh, avrei qualche idea.»
Yuzo cambiò piede d’appoggio. «Sentiamo.»
Mamoru levò un po’ di più il proprio flûte, guardando l’uomo dritto negli occhi. «Brindiamo alla paura, che ci ha fatto capire cosa non vorremmo mai perdere. Brindiamo a questo matrimonio, che ha elevato su un piano superiore tutto quello che abbiamo vissuto finora e tutto ciò che vivremo, da adesso in poi. Brindiamo all’amore, che se è vero non muore mai… e il nostro vivrà per sempre.»
Yuzo inarcò ironicamente un sopracciglio, divertito. «Non hai dormito stanotte per questa cosa, di’ la verità.»
«Ammetto che volevo stupirti con effetti speciali, ma mi hai scoperto» scherzò Mamoru. «E tu? A cosa vorresti brindare?»
L’ex-portiere guardò per un attimo le bollicine di champagne che salivano adagio in superficie, prima di cercare di nuovo le sue iridi. «Brindiamo a noi» propose, mentre il tramonto brillava un po’ anche nei suoi occhi. «Brindiamo ai ragazzini che siamo stati e agli uomini che siamo diventati, insieme.»
«E ai vecchietti che diventeremo?»
«Ah, ma noi non invecchieremo mica.»
Risero, facendo tintinnare il vetro dei flûte e sancendo il loro piccolo brindisi solitario.
Mamoru continuò a osservare il suo volto mentre buttava giù lo champagne. Fissò a lungo ogni movimento, ogni espressione, come gli occhi tornassero a guizzare di nuovo nei suoi, dopo aver bevuto, e le labbra si tendessero per sorridergli ancora. Osservò tutto questo e sentì dentro, proprio nel centro del petto, un calore così forte che gli serrò la gola e gli punse gli occhi. Di slancio gli passò la mano dietro la nuca e lo attirò a sé. Lo baciò e sentì nuovamente il sapore dello champagne tramite le sue labbra. Era come se non ci fosse più nessuno intorno, nessuna festa, nessuna musica, solo l’eco dello sciabordio delle acque contro il molo di Shimizu-ku e l’odore della primavera che si avvicinava con passo ballerino e leggero. Lo abbracciò stretto.
«A volte fatico a credere d’esser stato così fortunato ad aver incontrato proprio te. La mia vita non sarebbe stata la stessa e forse non sarei stato così felice. Non sarò mai grato abbastanza agli Dei o al destino per avermi dato la possibilità di vivere al tuo fianco. Ti amo, maledizione!»
Si sentì stringere la vita, il viso di Yuzo respirava l’odore dei suoi capelli.
«E tu non cambiare mai, perché quello che sei è ciò che ho sempre amato di te.»
La musica e la festa tornarono a invadere il loro spazio con un delicato suono di chitarre, che aveva assunto un ritmo diverso, e risa.
Mamoru tenne vivo il loro abbraccio per un altro momento e poi lo sciolse, per guardarlo negli occhi. Sorrise con insolenza. «Concedimi questo ballo! Hai danzato praticamente con tutte le signore presenti e non con tuo marito! Vergognati!»
«Ma sei sicuro? Non vorrei far venire un colpo a Mikami, se ci vedesse!»
«Oh, dai! Se non gli è venuto quando ci siamo baciati durante la cerimonia, credimi, non gli verrà più!» sghignazzò perfidamente.
Senza attendere risposta gli prese la mano libera facendogli fare una giravolta prima di attirarlo nuovamente a sé, per stringerlo e ballare.
Yuzo rise e alla fine si trovò a canticchiare con lui, mentre dabbasso le luci di Barcellona restavano ancora spente e il sole rifletteva nel mare il cuore rosso del suo oro.
«Ma non voglio più esitare, non più. Non posso aspettare, sono sicuro. Non c’è bisogno di complicare le cose, il nostro tempo è breve. Questo è il nostro destino. Sono tuo.»

“Well you done done me and you bet I felt it /
Bene, mi hai fregato e pensi che io l’abbia presa male.
I tried to be chill but you're so hot that I melted /
Ho provato a essere freddo, ma tu sei così caldo che mi sono sciolto.
I fell right through the cracks, now I'm trying to get back /
Sono caduto attraverso le crepe, ora sto cercando di tornare indietro.

Before the cool done run out I'll be giving it my best /
Prima che la recente fregatura esca fuori, darò la mia miglior prova
and nothing's gonna stop me but divine intervention /
e niente mi fermerà tranne l’intervento divino.
I reckon it's again my turn to win some or learn some
Suppongo sia ancora il mio turno per vincere o imparare qualcosa.

But I won't hesitate no more, no more /
Ma non voglio più esitare, non più.
It cannot wait, I'm yours /
Non posso aspettare, sono tuo.

Well open up your mind and see like me /
Bene, apri la tua mente e osserva come me.
Open up your plans and damn you're free /
Libera i tuoi programmi e, dannazione!, sarai libero.
Look into your heart and you will find love love love love /
Guarda nel tuo cuore e troverai amore, amore, amore, amore.

Listen to the music of the moment, people dance and sing /
Ascolta la musica del momento, la gente canta e balla.
We're just one big family /
Siamo una grande famiglia
and it's our God-forsaken right to be loved loved loved loved loved /
ed è il nostro diritto dimenticato da Dio essere amati, amati, amati, amati, amati.

So I won't hesitate no more, no more /
Quindi non voglio più esitare, non più
It cannot wait, I’sure /
Non posso aspettare, sono sicuro.
There's no need to complicate, our time is short /
Non c’è bisogno di complicare le cose, il nostro tempo è breve.
This is our fate, I'm yours /
Questo è il nostro destino, sono tuo.

I've been spending way too long checking my tongue in the mirror /
Ho passato molto tempo controllando la mia lingua allo specchio,
and bending over backwards just to try to see it clearer /
e andando su e giù per vedere più chiaramente,
but my breath fogged up the glass /
ma il mio respiro appannava il vetro
and so I drew a new face and laughed /
e così ho disegnato un nuovo volto e ho riso.

I guess what I be saying is there ain't no better reason /
Penso che per quello che sto dicendo non ci sia una ragione migliore
to rid yourself of vanities and just go with the seasons /
che sbarazzarsi della vanità e andare avanti con le stagioni.
It's what we aim to do, our name is our virtue /
E’ quello che cerchiamo di fare, il nostro nome è la nostra virtù.

But I won't hesitate no more, no more /
Ma non voglio più esitare, non più.
It cannot wait, I'm yours /
Non posso aspettare, sono tuo.
Open up your mind and see like me /
Apri la tua mente e osserva come me,
open up your plans and damn your free /
libera i tuoi programmi e, dannazione!, sarai libero.
Look into your heart and you'll find the sky is yours /
Guarda nel tuo cuore e troverai che il cielo è tuo,
so please don't, please don't, please don't /
quindi per favore non, per favore non, per favore non…
there's no need to complicate cause our time is short /
…non c’è bisogno di complicare le cose perché il nostro tempo è breve.
This o' this o' this is our faith /
Questo, questo, questo è il nostro destino.
I'm yours /
Sono tuo.”

Jason MrazI’m yours

 

 


[1]: XD perché la colonna sonora di “12 Marzo” fu “Alta Marea”, ma non avrebbe avuto senso se si fossero messi a cantare la canzone di Venditti e quindi hanno cantato la versione originale, cioè quella inglese, di Paul Young! ** (per sentire la canzone: *Don’t dream (it’s over)*)


Curiosità:

Sì, sposarsi all’estero non è proprio semplicissimo.
Io mi ero documentata per la Spagna e l’Olanda, che riconoscono le unioni omosessuali, e ho letto che per entrambe c’era bisogno che uno dei due fosse residente nel paese celebrante. Chi non richiede residenza è il Canada. Però il Canada mi ispirava pochissimo e poi in Spagna ci sono gli Ozora :3333
Ho piegato un po’ al mio volere che il funzionario del Registro Civil possa officiare in una sala diversa da quella del comune XD (non so se può farlo, ma chissene frega XD), idem per la questione testimoni; ne volevo due per ciascuno XD, punto.

Non potevo non mostrarvi gli abiti che, cercando su internet, ho usato come ispirazione per quelli di Yu e Mamo X3333. Ero sempre stata decisa fin dall’inizio che Yuzo doveva vestirsi di blu e Mamo di bianco e allora mi sono messa alla ricerca XD: *abito di Yuzo* - *abito di Mamoru* (il secondo, ovviamente, senza pastron!).
XD ah, per la cronaca, l’abito di Yuriko è il modello di Luisa Spagnoli che mia madre ha indossato per il matrimonio di mia sorella XD *realtà: grande fonte di ispirazione!*

A me il bassista dei KISS ha sempre fatto inquietudine (mentre ho sempre pensato che il cantante fosse gayssssssimo!!) XDDDD

La canzone di Jason Mraz era stata designata fin dall’inizio dei tempi come canzone di chiusura per questa serie. :3 A volte mi capita: sento determinate canzoni e so già per quale storia le userò, ancor prima di scrivere la storia stessa XD. *ride*


 

Fine
“Love&Life”

 

Nota Finale:
La serie “Love&Life” non avrebbe mai potuto concludersi in maniera diversa da questa.
E’ un po’ il ‘lunga vita e prosperità’ che auguro a questi due personaggi e il modo per dimostrare loro tutta la mia gratitudine. Mi hanno dato moltissimo e con loro ho iniziato la mia ‘avventura’ di slasher.
“12 Marzo” fu la mia prima shonen-ai e da allora non mi sono più fermata.
Yuzo e Mamoru saranno sempre i miei personaggi preferiti e anche se gliene farò passare di ogni nelle prossime storie che li vedranno coinvolti, a loro vorrò sempre un mondo immenso di bene. :3

Ringrazio tutti coloro che hanno letto le storie appartenenti a questa raccolta, coloro che le hanno recensite e messe nelle varie liste, coloro che magari hanno iniziato ad appassionarsi a questo pairing proprio grazie a tali storie.
Vi ringrazio infinitamente per tutto il tempo che avete dedicato loro. :3

E visto che un’altra serie è finalmente conclusa, festeggio nel mio solito modo:

Il Re è morto.
Viva il Re.

   
 
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