Giorno 2.
Non ho ancora
parlato con nessuno.
Come biasimarli! Sanno chi sono e cosa ho fatto, è per
questo che sono qui.
Ogni notte sento
la puzza del sangue
e mi sveglio in preda agli incubi.
E’
spaventoso quello che ho fatto,
non l’ho scelto, non ho mai chiesto, ho solo eseguito.
Spengo la
sigaretta.
-Dovresti
tagliarti i capelli, ti
starebbero meglio.- mi fa notare un’assistente.
-No. Li ho
sempre portati lunghi e mi
piacciono.- mi alzo il cappuccio.
In tv mandano un
servizio su un
evento brasiliano.
-Sei mai stata
in Brasile?- continua
a voler conversare con me.
-No.- mentivo.
Brasile, 15
Maggio 2008.
Mi hanno mandata
qui con due
spiccioli, una foto e la morte certa.
Devo sterminare
un clan di
rivoluzionari.
La cosa
più semplice da fare è
piazzare una bomba alla sede principale ma a quanto pare il governo
degli Stati
Uniti non mette dell’esplosivo in mano ad una quindicenne.
Dovrò
far affidamento sul mio AK-47.
Buffo, gli USA mi danno un’arma Russa.
13 uomini ed una
quindicenne
addestrata per ucciderne 37 in meno 8 secondi.
Sono tanti i
numeri della mia vita.
Porto a termine
la missione senza un
graffio.
-Ma sei
americana? Non sembri affatto
americana.-
-Fai troppe
domande per essere
un’inserviente.-
-Sono
un’assistente a dire la verità
e mi piacciono le convinzioni sociali.- fredda.
-Sembra che non
abbiamo nulla in
comune. Vado alla riunione. Ci si vede in giro!- affretto il passo e mi
dirigo
nella sala grande.
-Oh eccola!
Signore e signori,
l’ultima arrivata. Rebecca…- prima che dica il
cognome.
-Stia zitto.-
-Ma…-
-Il grande capo
non vuole. Stia zitto
o lo sa…-
-Allora
Rebecca…- enfatizza il mio
nome.
-Posso sedermi?-
dico spostando la
sedia.
-Ma
sì, certo…-
-La vedo
spaesato, è a disagio per
caso?- mi siedo accanto a lui.-
-No, no
assolutamente!- Allontana la
sedia dalla mia. Lo avrei fatto anche io.
-Allora,
Rebecca. Io sono il dottor
Fitz e vi seguirò ad ogni incontro. Dovresti condividere con
noi la tua
storia..-
-Sa che non
posso farlo.-
-Tecnicamente
puoi.-
- E va
bene… Salve gente- metto la
sedia al contrario- Mi chiamo Rebecca, ho 20 anni e sono qui
perché sono molto
simile a voi.-
-Rebecca! Non
devi…-
-Senta, io non
so che diamine dire!
Mi avete rotto i coglioni!- Mi alzo infuriata. –Se non posso
parlare che cazzo
sto a fare qui!-
-Abbassa la
voce! Cristo, Rebecca!-
mi afferra per un braccio e mi trascina fino alla porta.
-Stiamo cercando
di proteggerti! Vuoi
farti ammazzare per caso? Ora vai a farti un giro e torna quando ti
sarai
calmata!- mi apre la porta ed esco mettendo in bocca una sigaretta.
-Fanculo!- dico
calciando una pietra
dal giardino dell’edificio.
Una voce dietro
di me mi fa
sussultare.
-Sei nuova,
eh?-mi volto.
Era bellissima.
Un incarnato perlaceo
quasi come di porcellana, i capelli rossi e ondulati lunghi fin sotto
il seno,
che, a prima vista mi fa accelerare il battito cardiaco.
-Sì.
Tu chi sei?- accendo la
sigaretta.
-Mi chiamo
Josephine. Tu?- viene
verso di me ed il cuore impazzisce.
-Rebecca. Hai un
bell’accento. Bella
Parigi, ci sono stata!- butto fuori il fumo.
-Ah
sì? In vacanza?-
-No, un viaggio
con la chiesa.-
-Per quanto io
ti creda, mi sembra
difficile che tu sia tipo da chiesa!- Sorride innocentemente.
-Sì,
be’ posso essere tanti tipi!-
-Mi piacciono le
persone come te.
Sembri una che ha tante storie da raccontare.- si siede sulla panchina
alla
nostra destra.
-Non mi conosci
ed è meglio così.-
-Io credo che tu
sia bellissima!-
Sorride ancora ma mi lascia senza parole.
Si alza.
– Vado dentro, ci vediamo a
cena se scendi. E’ stato un piacere conoscerti!- cammina
all’indietro
guardandomi e sorridendomi poi fa una piroetta ed entra dentro.
In quel momento
ho capito che mi era
entrata dentro il cuore e che il male che c’era in me, lei
non riusciva a
vederlo.