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Autore: Ireth_Mezzelfa    06/02/2013    4 recensioni
La tranquilla vita universitaria di Lucy Callaway entra letteralmente in collisione con quella del fastidioso ed insistente Daniel Baker, ragazzo bello, popolare e, a parere della nostra povera studentessa di arte, insopportabile quanto un parassita. Tra occhi neri, feste di Halloween e cotte per i professori, riusciranno Lucy e i suoi amici di sempre, Noa e Andrew, a vivere in santa pace?
Inoltre chi è che infila nel sacchetto del pranzo della nostra Lucy strani messaggi commestibili?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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The Bakery






Capitolo VIII

E..miracolo, ho pubblicato! Scusate l'attesa, ma sono particolarmente incasinata in questo periodo!
Ma bando alle (mie) ciance! Ecco il capitolo numero otto che è qui solo grazie a tutti coloro che leggono, recensiscono, mi inseriscono nelle storie seguite o preferite...Vi ringrazio moltissimo!
Buona lettura!



La prima cosa che vedo non appena sollevo le palpebre -non senza una certa difficoltà- sono i tanti piccoli occhietti luminosi proiettati sul muro dal sole che filtra attraverso la tapparella.
Resto ferma tra le coperte in una sorta di dormiveglia, respirando piano e radiografandomi con la mente da capo a piedi: la testa sembra più pesante del solito, i piedi sono un po’ ammaccati e sbucano infreddoliti dal piumone che mi si è attorcigliato in modo strano attorno al corpo, ma per il resto è tutto a posto.
Dalla mia postazione riesco a intravedere nella penombra le uniche prove tangibili della festa di ieri sera: il vestito stropicciato gettato malamente sulla sedia e le scarpe abbandonate sul pavimento.
Sembra assurdo che solo qualche ora fa fossi in quella villa assurda.
Mi stiracchio pigramente alzandomi a sedere per guardare la radiosveglia sul comodino e, con un certo senso di colpa, mi rendo conto che è quasi mezzogiorno: non sono abituata a svegliarmi così tardi! Mi sento rintronata e ho la mente un tantino ovattata.
E poi c’è anche un’altra cosa: una strana sensazione che, come una nebbiolina fredda, si infiltra e comincia a invadere i miei pensieri fino a farmi entrare in un lieve stato d’ansia e preoccupazione.
Chissà come sta Daniel.
Insomma l’ho lasciato tornare a casa in auto da solo -e non era proprio in forma smagliante, diciamolo!- è del tutto normale che io sia in pensiero per lui! Sì, del tutto normale, dopotutto sono una persona gentile, mi preoccuperei per chiunque.
Mi guardo intorno istintivamente in cerca del cellulare ma, proprio mentre sto per allungare la mano e afferrarlo, mi rendo conto di non avere nemmeno il suo numero o un qualsiasi altro contatto a cui agganciarmi per comunicare con lui e assicurarmi che non sia precipitato in un fiume o...o…ma poi ci sono fiumi nel tragitto da qui a casa sua?
All’improvviso mi rendo conto di non avere la minima idea di dove abiti –e nemmeno la minima idea della geografia locale, ma questo già lo so, sono un disastro in queste cose- e quasi scoppio a ridere per l’assurdità della situazione: pare che i ruoli si siano capovolti e che sia io la stalker tra noi due ora!
Dai, tranquilla Lucy! Daniel Baker starà benone, non è il caso di angosciarsi troppo.

Sbuffo cercando di scrollarmi di dosso i miei istinti materni di protezione verso quello screanzato e decido di ciabattare verso la cucina per affogare in un bel caffè e organizzare la mia giornata in un modo sensato.
Sbirciando dalla porta socchiusa della camera di Noa, che si affaccia sulla cucina proprio come la mia, noto che la mia coinquilina non è ancora tornata, ma non me ne stupisco: probabilmente si sarà fermata fuori a dormire piuttosto che rischiare di incrociarmi.
Devo assolutamente rimettere a posto le cose con lei al più presto, ho bisogno della mia amica e soprattutto di qualcuno con cui parlare.
Mentre aspetto che il caffè sia pronto, un piccolo magone di malinconia mi assale: sono sola, fuori c’è un’orribile nebbiolina grigia, la mia migliore amica mi odia, ho una piega del lenzuolo tatuata sulla mia faccia sveglia più che mai e non posso nemmeno chiamare Andrew che starà dormendo come un facocero in tutta beatitudine…insomma, buongiorno mondo!
Decido di distrarmi un po’ allungando pigramente il braccio verso il mio portatile per controllare le mail e leggere un qualche giornale online, tanto per scollegare il cervello dalle mie misere condizioni attuali, ma mi accorgo subito che non è stata una fantastica idea.
Una gentilissima mail dell’Università mi avvisa che sta per scadere il termine per pagare la retta mensile. Grazie, è sempre una gioia telefonare a casa per chiedere soldi ai miei.
Questa giornata è sempre peggio.
Le altre mail sono di pubblicità inutili, tranne una, che finalmente riesce a strapparmi il primo sorriso di oggi ancora prima di aprirla: è del professor Fielding! Cosa mai vorrà il mio adorabile professore?
Clicco sul messaggio e comincio a leggere:


Cara signorina Callaway,
Innanzi tutto, spero che Lei stia passando lietamente le festività di Ognissanti.
Le scrivo per chiedere a Lei e al Sig. Kite Jones un colloquio nel mio ufficio al fine di verificare e tenermi aggiornato sul vostro progetto. Dovrete semplicemente esporre la vostra idea e mostrarmi a che punto siete, e magari potrei darvi qualche dritta.
Poiché sono molto impegnato, spero non sia un problema per Lei, avere appuntamento questo Martedì nel mio ufficio alle ore 18.
Il signor Jones è già stato avvisato e ha dato conferma, attendo speranzoso la Sua risposta.

Affettuosi saluti,

prof. Robert Fielding



Ok, bene, il mio primo sorriso della giornata non è durato più di trenta secondi, sostituito da una smorfia di sofferenza.
Perché oggi il mondo ce l’ha con me? Questa proprio non ci voleva!
Non ho nessuna voglia di trovarmi tra due giorni in una stanza da sola con Kite dopo quello che è successo.
Sono molto tentata di rimandare, di dire a Fielding che non posso, che sono malata, impossibilitata, bloccata nella neve, nel traffico, nelle sabbie mobili o che so io, ma come faccio a dire di no a quel “affettuosi saluti” del mio adorato mentore e beniamino? Non posso deludere anche lui.
Sospiro alzandomi per versare almeno un litro di caffè nella tazza e, dato che nemmeno l’aroma della mia bevanda preferita riesce a tirarmi su di morale, decido che è il momento di svegliare l’orso dal suo letargo, o almeno provarci.
Chiaramente sono costretta a lasciargli un messaggio in segreteria:
“Ciao Andrew, sono io. Immagino che sia pieno inverno là nella tua caverna, ma se non mi richiami quando senti questo messaggio, dichiaro aperta la stagione della caccia in anticipo. Svegliati ciccione, a dopo.”

Non faccio in tempo a riattaccare e allungare la mano verso la mia tazza fumante, che sento la chiave girare nella toppa e la porta aprirsi di colpo.
Mi volto di scatto appena in tempo per vedere Noa entrare decisa nella stanza senza degnarmi di uno sguardo: ha l’aria un po’ stanca, i capelli corvini raccolti in una coda di cavallo e l’aria impettita di chi è deciso a ignorare qualcuno…me.
“Hey, ciao! La notte è andata bene? C’è del caffè caldo se vuoi…”
La seguo con lo sguardo continuando a blaterare, ma lei, proseguendo in linea retta, quasi roboticamente, si infila in camera sua senza aprir bocca e chiudendosi la porta alle spalle.
“Oh sì, ok, fantastico! Anch’io sto bene, è bello chiacchierare con te!” borbotto appoggiando il mento sulle mani e accasciandomi sul tavolo e parlando da sola.
Grandioso.
Torno al computer mentre tendo le orecchie per accertarmi che Noa non mi colpisca alle spalle per farmi fuori definitivamente, e rispondo a malincuore a Fielding dicendo che sì, non c’è nessunissimo problema per martedì!Yuppi du! Si figuri professore, sto emettendo gioia da tutti i pori!
Torno al mio caffè spiando l’orologio appeso accanto al frigorifero: sono le una meno un quarto e non so proprio come qualcosa potrebbe dare una svolta a questa triste mattinata, ci vorrebbe una bella focaccia da Jones, ma il panificio è chiuso e comunque rischierei di incontrare Kite, l’innocente ammiratore segreto maltrattato senza pietà da una Lucy impazzita. Yay.

Nel bel mezzo della mia autocommiserazione, Noa esce dalla camera e faccio appena in tempo a notare che si è cambiata e imbraccia la sua solita borsa piena di libri, che è già sparita a passo di marcia, lasciandomi nuovamente sola.
“Sì, a dopo Noa! Buona giornata anche a te.” Dico senza nemmeno voltarmi e agitando inutilmente una mano verso la porta già chiusa.
Fortunatamente lo squillo del cellulare mi salva dai miei monologhi.
“Non scatenare i cani e posa il fucile, sono sveglio.”
“Buongiorno grizzly lardoso!”
“Sappi che è stato molto, molto difficile svegliarmi e costringere il mio cervello di essere abbastanza vigile per comporre il tuo numero, quindi sarà meglio che tu sia gentile.” Mugola Andrew con voce palesemente assonnata, mentre io sorrido, contenta di sentire finalmente un amico.
“Va bene, chiedo perdono. Come è andato il resto della nottata?” domando io giocherellando con il cucchiaino del caffè.
“Oh bè, direi che è andata bene, se non ci fossero due tizi che non ho mai visto che girano in mutande per l’appartamento e mi lanciano occhiatine ammiccanti mentre mangio i cereali.” Bisbiglia lui con una certa inquietudine.
“Cavoli, ti sei dato da fare!”
“E’ Steve quello che si da da fare! Ma lasciamo stare le avventure della nostra prima donna, tu devi darmi qualche spiegazione! Cos’è successo ieri con Baker?”
“Beh…” sospiro ritornando con la mente a ieri, a villa Van Cortlandt, alla sala da ballo e al balcone, pensando che, non so per quale motivo, non sarei in grado di spiegare proprio tutto a Andrew.
“…il posto era stupendo, ma un po’ troppo affollato da snob, così ho deciso di trascinare Baker in un ambiente più salutare. In più lui non si sentiva tanto bene, quindi era meglio un posto più tranquillo.” Concludo io sentendo tornare un po’ la preoccupazione per il mio stalker.
“Ah, capisco, non regge l’alcool il damerino!” sghignazza il mio amico dall’altra parte della cornetta.
“Più o meno…”
“Deboluccio l’amico. Però sembrava stesse bene quando siete andati via quindi avanti, racconta. Voglio sapere del dopo serata, non provare a divagare!”
Il tono di Andrew è più scherzoso che curioso, ma io non posso fare a meno che emettere una specie di suono scandalizzato.
“Andrew! Idiota, non è successo nulla, mi ha portata a casa e poi è andato via!” esclamo semi offesa.
“Stai tralasciando la parte in cui è salito in camera tua e ti ha fatto dimenticare Bob Fielding o…”
“Andrew!” strillo nuovamente interrompendolo e sentendolo ridere forte della mia indignazione.
“Quanto mi piace prenderti in giro!”
Sbuffo senza riuscire a tenere il broncio, ed Andrew lo sa benissimo, anche senza vedermi.
“No, sul serio” riprende dopo un po’ “va tutto bene?”
“Sì, tranquillo. E’ che Noa è ancora furiosa e io non so proprio che fare, per questo ti ho chiamato.” Spiego io con un tono decisamente meno allegro di qualche minuto fa.
“Sì, lo so. Ho provato a parlarle anch’io alla festa, ma ho temuto per la mia giovane vita dall’occhiata che mi ha lanciato e ho lasciato cadere l’argomento. Ma vedrai che le passerà, ne sono certo.”
“Speriamo bene!” borbotto io, senza troppa convinzione: sono sempre più sicura che sarà un’impresa difficile farmi perdonare, è già dura riuscire a parlarle, figuriamoci scusarsi per un errore che si è capito di aver commesso.
Resto al telefono ancora qualche minuto a parlare delle mie sfortune del giorno e dell’incontro di martedì con Kite e Fielding, poi Andrew mi saluta per andare a sistemare il ‘disastro che ha lasciato in cucina quella checca di Steve con i suoi amichetti’ e io torno a finire il mio caffè ormai freddo.
Sono solo le una e non ho fame, in più è troppo tardi per uscire a correre e comunque non mi sento per niente in forma per farlo, così decido senza troppo entusiasmo di dedicarmi allo studio e di rivedere un po’ il progetto…tanto vale far contento almeno Fielding.


E’ passata solo un’ora e sono già stufa.
Mi sento distratta da ogni cosa-mi sono ipnotizzata per almeno cinque minuti su una briciola di pane rimasta sulla tovaglia…affascinante-, non riesco proprio a concentrarmi.
Mi alzo stiracchiandomi e mi sbuccio un’arancia passeggiando senza meta in salotto e appoggiandomi alla parete accanto alla finestra con lo sguardo fisso nel vuoto.
Potrei guardare un po’ di tivù, oppure mettere su un po’ di musica, magari musica tranquilla, non come quella da discoteca di ieri sera…
Il pensiero di Daniel placcato da quella tizia dai capelli scuri ieri sera mi balena infido nella mente rendendomi improvvisamente nervosa senza motivo.
No, non sono gelosa! Esclamo mentalmente rivolgendomi a un Andrew immaginario nella mia testa.
E’ solo che mi è tornato addosso il fastidio di ieri sera quando quel tonto mi ha abbandonata e lasciata al mio destino, certo, poi si è scusato e sembrava sincero...in fondo,molto in fondo, è stato gentile.
Mi volto verso la finestra e non posso evitare di lanciare uno sguardo per strada, come se dovessi aspettarmi di trovare Daniel Baker lì a sbeffeggiarmi con il suo sorrisino soddisfatto, ma poi mi rendo improvvisamente conto che non avrebbe più alcun motivo di farlo: il suo appuntamento con me l’ha avuto, l’occhio nero è stato ripagato e perdonato definitivamente.
Cavoli, sarà strano non averlo più tra i piedi. 
Cioè dovrebbe essere una vera liberazione- e lo è!- ,ma allora perché non mi sento per niente più leggera, ma anzi quasi un po’ triste?
Forse mi sono abituata troppo alla sua presenza, oppure non so, ho carenze d’affetto da parte di Noa e mi sono ammattita finendo per affezionarmi-affezionarmi! Santo cielo!- al mio stalker.
Gesù, ho bisogno di un altro caffè.


Il pomeriggio passa lentissimo tra un tentativo di studio fallito e l’altro, e la sera, dato che non ho la minima idea di dove sia Noa, sono quasi costretta ad elemosinare la compagnia di Andrew che arriva prontamente da me con due pizze e due birre che ci facciamo fuori davanti alla tivù facendo zapping tra un programma spazzatura e l’altro. Nemmeno la tv mi da la soddisfazione di un qualche film decente oggi.

Mi accorgo di essermi addormentata sulla spalla di Andrew solo dopo qualche ora, quando apro gli occhi rintontita e accartocciata a causa della posizione scomodissima in cui mi sono ridotta durante il sonno per colpa del mio gigante biondo che si è praticamente preso tutto lo spazio ronfando pacificamente con la testa all’indietro.
Manca solo la bava che cola e siamo a posto.
E’ ancora buio e non ho idea di che ore siano, quello che so è che ho davvero molto sonno e non mi sento più il braccio destro, schiacciato amabilmente da un fianco del mio amico dormiente.
Mugolo infastidita spingendo Andrew per guadagnarmi un po’ di spazio, e lui bofonchia qualcosa grugnendo e cominciandosi finalmente a svegliare.
“Ahio, la mia schiena!” si lamenta alzandosi a sedere e guardandomi male con gli occhi cisposi dal sonno e i capelli arruffati più che mai.
“Non lamentarti tu, mi hai segregata in un angolino con i tuoi piedoni!” rispondo io massaggiandomi il braccio insensibile e cercando di scoprire che ore siano sbirciando l’orologio in cucina che però è immersa nel buio.
“Che ore sono?”
“Cos’è, devi andare a farti la tua corsetta all’alba?” ridacchia lui stiracchiandosi sonnacchioso e invadendo di nuovo il mio spazio senza curarsi della mia occhiataccia.
“Comunque sono le sei e mezza! Notte fonda, Lucy! Fammi dormire ancora un po’!” Piagnucola poi controllando l’orologio che tiene al polso e rituffando la testa nel cuscino sul quale aveva passato la notte.
Resto qualche secondo a fissare il vuoto intontita, poi decido di sdraiarmi accanto ad Andrew che si sposta di qualche centimetro per farmi spazio e mi avvolge distrattamente con una delle sue braccia possenti.
Guardo per un po’ il soffitto bianco ascoltando il respiro profondo e regolare di Andrew senza ben capire se voglio tornare a dormire o se svegliarmi del tutto e affrontare la nuova giornata e tutti i pensieri che potrebbero tornarmi in mente.
“Andrew, Noa è tornata?” domando senza neanche accorgermene dopo qualche secondo.
“Mh? Sì, l’ho sentita tornare in un momento indefinito tra il mio quinto e il sesto sogno…”
“Oh, ok.”
Restiamo in silenzio di nuovo per parecchio tempo, tanto che finisco per pensare che Andrew si sia nuovamente addormentato, ma all’improvviso è lui a parlare.
“Quando ti rivedi con quel Baker?”
All’improvviso mi sento sveglia come un grillo: Baker continua a saltare fuori da ogni angolo quando meno me l’aspetto, persino di notte e persino quando non c’è.
“Cosa? No no, io non penso che lo rivedrò. Era solo per farsi perdonare l’occhio nero, l’appuntamento l’ha avuto, quindi…”
“Ah, piantala!” mi interrompe subito il mio interlocutore dandomi uno schiaffetto sulla spalla “Non ti ha certo perseguitato tutto il tempo per una festicciola di Halloween, andiamo! E’ evidente che gli piaci, o che comunque nutre un certo interesse nei tuoi confronti.”
Per un secondo la mente mi vola al ricordo di quella sera stellata in biblioteca e alla voce di Daniel che, decisamente troppo vicina, sussurrava:“…mi piaci, Lucy Callaway, non lo avevi ancora capito?”
Da quella sera ho cercato di non ripensare più a quella specie di confessione e al successivo quasi bacio, liquidando l’accaduto come un momento chiuso in sé stesso, da accantonare nella mente e a cui non badare troppo; dopotutto neanche Daniel ne ha più parlato e quindi ho sempre dato per scontato che le sue parole fossero solo uno dei suoi piani per costringermi ad uscire.
Ma se fosse davvero così semplice? Se piacessi a Daniel in modo sincero, io cosa dovrei fare?
“Bah, è solo un ruffiano e poi non mi interessa!” esclamo dopo qualche secondo di riflessione mentre Andrew sogghigna per niente convinto.
“Sicura?”
“Certo, che domande!Non è proprio il mio tipo!”
Proprio così, Daniel non è esattamente il mio ragazzo ideale, così egocentrico e sfacciato, sempre attento ad uscire con la gente giusta e ad avere i vestiti più alla moda.
Ripensando al mio ex, Tony, me ne convinco ancora di più: era così creativo, dolce e sensibile, era un anima libera, dipingeva e mi chiamava addirittura la ‘sua musa’ quando mi usava da modella per le sue tele… insomma tutt’altro genere rispetto a Daniel.
E’ un microscopico dettaglio il fatto che mi abbia allegramente tradita più volte in tutto l’anno in cui siamo stati assieme e che l’avrebbe continuato a fare se non l’avessi scoperto a donarmi l’ennesimo paio di corna da daino con una sua compagna della Scuola d’Arte.
In ogni caso era l’opposto di Daniel e questo significa che Daniel non può piacermi.
 Insomma, dovrei aver cambiato personalità e gusti improvvisamente!
“Giusto, perchè a te piacciono i tipi intelligenti, maturi, pelati e padri di famiglia…”
Mi volto di scatto verso il mio interlocutore e lo pizzico forte sul petto provocandogli una risata mista alla supplica di mollarlo.
“Ti strappo via un capezzolo se continui con la storia di Fielding!” borbotto lasciandolo andare e tornando a rintanarmi nel mio angolino.
“Roar!” mi fa il verso Andrew divertito interrompendo le sue risate a causa di un sonoro sbadiglio che lo zittisce per un po’, finché non mi accorgo che si è definitivamente riaddormentato.
Lo imito, accoccolandomi sulla sua spalla e sperando che il sonno riesca a deviare i miei pensieri da due occhi verdi dallo sguardo canzonatorio che continuano a intrufolarsi nella mia testa da tutto il giorno.

Alle nove Andrew se n’è già andato  per andare ad accogliere Phil o Neil, non ricordo, uno dei numerosi cugini che, essendo in viaggio dalle nostre parti, è passato a trovarlo.
Dato che Noa non accenna ad uscire dalla sua camera-bunker, mi rendo conto che se resto ancora cinque minuti in questa casa potrei impazzire e deprimermi regredendo in posizione fetale in un angolino della cucina, così decido di prendere armi e bagagli e trasferirmi in biblioteca per ultimare il progetto da consegnare a Fielding domani, anche se preferirei di gran lunga una bella corsa liberatoria intorno al campus, piuttosto che pensare a quanto sarà imbarazzante presentare il lavoro insieme al povero e umiliato Kite.
La giornata in biblioteca passa con una lentezza estenuante, non riesco a concentrarmi su nulla e continuo ad alzare lo sguardo non appena sento la porta della sala lettura aprirsi.
Non capisco come l’assenza di Daniel Baker possa essere addirittura più assillante della sua costante presenza, mi irrita non sapere dove sia finito e mi irrita ancor di più continuare a domandarmelo: forse è tutto un piano per farmi definitivamente impazzire.
Maledetto Baker!
Nel pomeriggio mi si accolla una mia compagna di corso, Emma, che manda all’aria ogni mio tentativo di proseguire nel progetto,sedendosi al mio tavolo e raccontandomi tutti i problemi esistenziali della sua vita universitaria, qualsiasi pettegolezzo le sia giunto su alunni e professori vari, cosa mangerà a pranzo e quanto odi i ragazzi con i baffi.
All’orario di chiusura della biblioteca ho la testa che mi rimbomba della voce della persona probabilmente più logorroica de pianeta, fuggo a casa pensando che, pur non avendo ultimato del tutto il progetto, per lo meno sono riuscita a non pensare a Daniel per tutto il pomeriggio-a dire il vero non sono riuscita a pensare assolutamente a nulla, con quella macchinetta di parole che macinava monologhi seduta al mio fianco-; ora non desidero altro che mangiare qualcosa e dormire.
Sospiro scrutando la porta chiusa della stanza di Noa, sentendone acutamente la nostalgia e sperando che prima o poi sarà disposta per lo meno ad ascoltare le mie scuse.
Sgranocchio un toast seduta da sola in cucina e finalmente mi rintano nel mio letto, cadendo subito in un sonno vuoto e profondo.

“Ciao Kite, sono Lucy.”
“Oh…sì, hem, ciao.”
Percepisco il rossore delle guance di Kite anche attraverso il telefono: poteva questa telefonata iniziare in modo peggiore?
“Ciao. Ti chiamo per il progetto di Fielding, io ho finito quasi tutta la prima parte e forse sarebbe il caso di trovarci magari dieci minuti prima del colloquio per sistemare le cose.”
Mi rendo conto di aver usato le parole sbagliate quando la voce strozzata del ragazzo mi giunge in un rantolio preoccupante.
“Sistemare le cose?”
“Sì, hem, ultimare il tutto, cioè unire il lavoro e decidere come presentarlo, ecco…Giusto?”
“Oh, sì! Ma certo, giusto. Facciamo il punto della situazione così…sì, ecco, va bene.”
“Allora ci vediamo alle sei meno un quarto davanti all’ufficio di Fielding?”
“Cero, va bene…hem, benissimo, sì.”
“Perfetto, a dopo Kite!”
Riattacco con un sospiro: per lo meno stasera gli chiederò scusa per il mio comportamento brutale e almeno un po’ d’imbarazzo sparirà, credo…spero!
Osservo l’orologio: sono le tre del pomeriggio e il silenzio in casa è sconfortante.
Noa è uscita dalla sua camera solo per pranzo e non sono ancora riuscita a fermarla e a parlarle con calma dato che dovevo finire questo stupido lavoro e il suo broncio costante mi ha del tutto scoraggiata dall’accennare a qualsiasi tentativo di scuse.
Ora se ne sta rinchiusa nella sua tana e non riesco a concentrami su nient’altro che sui rumori che arrivano da lì: sembra che sia sistemando la stanza, o qualcosa del genere, la sento rovistare in giro, sfogliare pagine e aprire cassetti, o almeno è questa la mia impressione.
Torno a digitare le ultime cose sul mio portatile e finalmente, dopo altri dieci minuti, mi stiracchio sulla sedia e salvo il documento: fine!
Ma non faccio in tempo a godermi la sensazione di soddisfazione che la porta della camera della mia coinquilina si apre bruscamente e, senza che io abbia il tempo di stupirmene, Noa mi si piazza davanti a braccia incrociate e fissandomi dritta in faccia.
Ommioddio, vuole parlarmi, abbracciarmi o uccidermi con quel foglietto che tiene in mano?
La sua espressione lascia aperta qualsiasi possibilità, così io accenno a una specie di sorrisetto stiracchiato e la scruto per qualche secondo per poi decidermi ad aprir bocca.
“Ascolta Noa, io volevo proprio scu…”
“No, per favore, non dire niente, non sono venuta qui per chiarire o cose del genere.” Mi interrompe lei bruscamente alzando meccanicamente una mano per farmi tacere e frenando tutto il mio entusiasmo.
Io mi zittisco a metà della mia frase, mentre lei si tormenta una ciocca di capelli scuri arrotolandosela su un dito.
“Allora, dato che mi hai costretta a ripensare a mia madre grazie alla tua mossa da idiota…”
Faccio per ribattere, ma lei mi incenerisce con uno sguardo perentorio che mi convince a restare muta ed ascoltare.
“…e che sono forzata a vederla tra pochi mesi, ho ripreso in mano tutte le cose che me la ricordano per…per cercare di entrare nell’ottica di doverla incontrare.”
Noa fa una piccola pausa in cui sembra lottare con sé stessa per proseguire con calma e io mi sento terribilmente in colpa per averla costretta a riaprire un brutto capitolo della sua vita: capisco sempre di più che sono stata un idiota impicciona, devo ammetterlo.
“Comunque, tra le cose che tenevo da parte ho trovato una cosa che bèh, credo ti possa interessare.”
La guardo incuriosita mentre appoggia sul tavolo di fronte a me il foglietto che si rivela essere una specie di depliant ripiegato su sé stesso: sul lato che mi si presenta agli occhi c’è quella che sembra una foto di gruppo di una trentina di ragazzini sistemati ordinatamente, come si fa a scuola per l’annuario.
In alto capeggia una scritta rossa a cui non faccio molto caso perchè, confusa, alzo subito lo guardo su Noa a e lei con aria seria, mi fa cenno di tornare a osservare la brochure.
“Guarda bene. L’avevo detto io di averlo già incontrato da qualche parte.”



Sì, so che non è un capitolo molto emozionante, ma serve anche lui poverino :)
Il prossimo sarà molto più interessante.
Cos'avrà scoperto Lucy? Dadadadan! Accetto scommesse su cosa troverà sul depliant!
E poi volevo fare un sondaggio per attirare l'attenzione su Daniel, il latitante di questo capitolo: come lo immaginate? Sono curiosa di sapere come ve lo siete figurato in testa, quindi se volete lasciate nella recensione una foto di qualche attore/cantante/modello che vedreste bene come prestavolto.
Bene, per oggi è tutto, gente!
Un bacio,

Ireth
  
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