I Tokio Hotel non mi appartengono, e nonostante la cosa sia ancora momentanea (ci sto lavorando eh ù_ù), qualcuno morirà per questa sfiga orribile...
(...) *Cof cof*
Dunque...questa fiction è scritta da me, Arashi Hime Alias Federica (reperibile a: arashihime@hotmail.it), pertanto una copiatura anche parziale del testo verrà punita con la rottura di tutte le dita del plagiatore, che verranno successivamente usate da ME per giocarci a shangai...
Questa Fiction è stata ispirata da uno dei miei soliti sogni trip...perciò non stupitevi delle cavolate, volgarità etc. Quella che parla sono io, non ci si può aspettare di meglio, no? X°°DDDD
Grazie del
pensiero.
Lo sussurrai a bassa voce, a fior di labbra, prima di consegnare quel foglio al
grande uomo vestito di nero...
Mpf.
Guarda e impara Tom.
Hai appena adocchiato l’unica donna che ti renderà l’esistenza impossibile...
Capitolo 1
Ero ferma davanti all’Alkatraz di Milano, avvolta nella mia mantellina nera a
doppio strato di pizzo rosso: una di quelle che preferivo nel mio guardaroba
invernale Gothic Lolita.
Ero lì ferma da più di venti minuti, e continuavo a domandarmi, irrequieta, il
motivo che mi avesse spinto a svegliarmi alle quattro e mezza del mattino per
trovarmi alle cinque davanti al grande palasport milanese. Mi ero rovinata due
giorni di sonno, avevo speso una folle somma di denaro tra parrucchiere,
manicure e ovviamente un’indecente quantità di vestiti nuovi, e come se non
bastasse stavo congelando, ferma come un fuso davanti ai cancelli dell’immenso
edificio che tra esattamente diciassette ore –pensarlo mi procurò un orribile
mal di testa- avrebbe accolto milioni di ragazzine urlanti e sclerate all’unico
nome di quella band di cui attendevo un live serio da anni: “TOKIO HOTEL”.
Sbiancai, allibita.
La cosa sconvolgente non era la venuta di un’orribile numero di fangirl alla
loro prima cotta adolescenziale per quei due gemelli affascinanti…la cosa
realmente inquietante è che, tra le fan che si erano fatte ore di treno
dormendo su uno scomodo sedile accanto ad una corpulenta signora dal trucco
vistoso e retrò, consumandosi i timpani per la musica ininterrotta e sparata al
massimo volume, c’ero anch’io.
Soffocai un rantolo.
Non era da me.
Da Firenze a Milano solo per loro.
Da Firenze a Milano, meno ventidue ore di sonno, meno cinquecento euro in
banca, meno una buona dose di serenità: solo per loro.
Mi misi le mani ai capelli flashati di rosso (l’avevo spuntata io, con mia
madre, per quel taglio che mi lasciava passare inosservata ancora meno del
solito) e sul mio volto si dipinse un’espressione di panico: Ero pazza.
Oh cielo. Ero davvero pazza.
« Amò! Eccomi! » Avrei riconosciuto quella voce tra mille, e molto lentamente
mi voltai alla mia sinistra, da dove mi stava correndo incontro Caroline –la
mia ancora di salvataggio per pernottare a Milano senza spendere un soldo- con
due caffè bollenti in mano e un sacchetto colmo di brioches stretto tra i
denti.
Nonostante avessi automaticamente arricciato il naso all’idea di quante calorie
avessi preso con quei dolci (dannata dieta, avrei mai vinto contro di lei?),
non potei fare a meno di sorridere: Caroline l’amavo, a dir poco.
Ci eravamo conosciute tramite internet due anni prima. Ricordo di come avevo
commentato un post del suo blog che riguardava, appunto, i gemelli kaulitz.
La mia foga era incontenibile. “Ho trovato una persona a cui piacciono i Tokio
Hotel!” avevo subito pensato, emozionata. Non perché fosse raro trovare una
“fan” …quanto più per le parole che aveva digitato in quel blog virtuale. Era
chiaro che per lei la musica, la LORO musica, non era una moda, un passatempo,
un gioco divertente o altro…era una sensazione bollente che le scorreva nelle
vene e che la istigava a parlarne al mondo, proprio perché accecata da un amore
incontenibile: lo stesso che mi aveva indotto a commentarla, e successivamente
a conoscerla.
« Guarda che ti ho portato! Brioches! » Le brillavano gli occhi, dicendomelo.
« Sono a dieta, Carrie. » Ringhiai io prendendo un caffè e gettando alle mie
spalle la bustina dello zucchero soffocando un sospiro.
Perché dovevo essere nata sovrappeso?
« Finiscila cretina » Mi rimbeccò lei, sfilando dalla bustina di carta bianca
una brioches e infilandomela in bocca. « Te e la tua dieta. Hai rotto. Mangia.
»
Rimasi paralizzata mentre lo zucchero mi si scioglieva in bocca e furono solo
una manciata di secondi quelli durante i quali decisi che, infondo, uno strappo
alla regola si poteva anche fare. Dopotutto ero esausta, addormentata, e tra
diciassette ore (scossi la testa, esasperata) avrei visto i Tokio Hotel con
tutto ciò che esso poteva comportare: strilli, urli, e cali di pressione dai
conseguenti e disastrosi svenimenti.
« Senti Carrie » Mormorai io mangiucchiando la mia pastina e alternandola ad un
sorso di buon caffè. « Ma cosa facciamo durante queste…diciassette ore? » Dirlo
mi costò uno sforzo notevole.
Caroline sembrò soprappensiero per un attimo, gli occhi che giravano attorno a
sé soffermandosi di tanto in tanto sull’Alkatraz così vicina e,
contemporaneamente, ancora così irraggiungibile…
« Bhe non so. » Rispose a bassa voce. « …Facciamo casino? » Chiese.
Non potevamo muoverci.
Forse eravamo le fan più idiote e folli. Le uniche due in tutta Italia ad
essersi svegliate alle quattro e mezza ed essersi appostate al freddo polare di
ottobre solo per vedere una band tedesca che sarebbe arrivata lì solo tra ore e
ore, e ore di attesa.
« Ripassiamoci le canzoni. » Proposi io, e sorrisi.
Cantare era la mia passione.
« Ok » Ridacchiò Caroline, socchiudendo gli occhi. « Facciamo un po’ sentire a
quelle fangirls di merda come si cantano le canzoni dei Tokio…! »
Venni scaraventata a terra con una forza tale che, cadendo, sbattei
violentemente la fronte sul cemento.
Dio voleva che fossi nata con una struttura cranica a prova di rottura o
frattura (la prima botta seria l’avevo avuta a un anno di vita, e le
conseguenze erano ancora evidenti diciotto anni dopo), pertanto, oltre che ad
un urlo agghiacciante e un’imprecazione quale: “stramaledetto bambi” (Nel mio
ateismo, dovevo pur trovare qualcosa da offendere, no?) non incorsi in nessuna conseguenza
grave.
« Di buon’ora » Mi sentii ringhiare nelle orecchie.
Assonnata e sconvolta, aprii gli occhi lentamente e venni ferita da accecanti
luci bianche che roteavano impazzite su una folla di ragazzine urlanti alle mie
spalle.
Una grande…grossa, orribile calca immane, che continuava a comprimermi e
spingermi verso un’inferriata strillando il nome di “Bill Kaulitz” …
« …Bill che? » Sibilai io, sbattendo le palpebre e delineando la sagoma di
Caroline, Roberta, e altre ragazze di cui non mi sovveniva il nome (nonostante
fossi schifosamente sicura di conoscerle) poste davanti a me per proteggermi
dalle mocciose assatanate che probabilmente mi avrebbero squarciato viva pur di
arrivare un metro più avanti, al mio posto.
« Bill Kaulitz » Ripeté Roberta, offesa. « Sono le 20 e stanno per aprire i
cancelli. Ti sei addormentata alle 9 e hai tirato avanti fino ad ora… »
« …E per inciso, hai dormito sopra la mia valigia » Ringhiò un’altra ragazza
dai capelli ricci e meshati.
Rimasi un attimo ad osservarla, alzandomi in piedi e ingoiando un rantolo di
terrore quando un peluche volò sopra la mia testa sotto l’urlo maniacale di una
fangirl (sin troppo) emozionata.
Era Natalia, la mia migliore amica.
« …Nat? » Borbottai assonnata e sconvolta. « …E te che ci fai qui? » Domandai
perplessa.
Ora cominciavo a ricordare: Milano, primo live italiano dei Tokio Hotel.
Natalia mi osservò per qualche istante, perplessa, e aggrottando le
sopracciglia lanciò uno sguardo eloquente a Caroline e Giulia, che non poterono
fare a meno di ricambiare.
« Lasciatela qui » Ordinò Natalia, decisa, e afferrando la valigia su cui mi
ero appoggiata nell’alzarmi, si voltò il tanto che bastava perché una mocciosa
(di dodici anni, c’avrei giurato) mi piombasse addosso con tanto di
padre-armadio a seguito, schiacciandomi alle inferriate dell’alkatraz alle mie
spalle.
Fu una lotta per la sopravvivenza.
La mocciosa cercò di arrampicarsi su di me per usarmi come una sorta di
trampolino di lancio per gettarsi dall’altra parte del cancello…e fin qui, magari,
potevo anche starci. Ma quando mi resi conto che anche il padre aveva
intenzione di imitare la figlia, dovetti fare a pugni per uscire indenne da
quel macello e avvinghiarmi addosso a Caroline come una cozza allo scoglio.
« Salvami! » Gridai terrorizzata, sicura che quell’esperienza sarebbe rimasta
impressa nella mia mente per l’eternità.
« Aprono i cancelli! » Mi strillò di rimando Caroline non curandosi del panico
dipinto sul mio volto, e scrollandosi di dosso la mia presa ferrea, mi afferrò
per il colletto della mantellina gothic lolita ormai sgualcita, cominciando ad
avanzare con passo sicuro e cadenzato ringhiando a destra e a manca insulti
perché nessuno mi uccidesse nel vano tentativo di scavalcarmi.
Probabilmente, se arrivai viva dentro quel maledetto palasport, fu solo grazie
a lei.
« Ma perché… » Gemetti io, sicura che nessuno sentisse le mie parole in quella
confusione assordante. « …potevo vedermi il concerto su MTV… » E così dicendo
sbattei la fronte contro lo stipite della porta a vetri che dava sull’entrata
dell’alkatraz, imprecando ancora una volta.
Ma che idiozia…era tutta una grande, GRANDISSIMA, idiozia!
Prima che il concerto desse i primi cenni d’inizio ci volle un’altra ora. Ebbi
così tutto il tempo di schiarirmi le idee e di ritornare in me stessa…proprio
ciò che, forse, avrei dovuto evitare.
Ci misi esattamente due battiti di ciglia per terrorizzare un gruppetto di
bambine del 93 alle mie spalle, con uno sguardo e un sorriso gelido. Non che mi
dessero noia, poverine…oltre a togliermi venticinque decibel per orecchio a
forza di strillare, e cercare di incendiarmi i pantaloni con un accendino così
da subentrare al mio posto (la tanto agognata prima fila!) non facevano nulla
di male. Preferii comunque mettere le cose in chiaro.
Quella che uccideva, lì, ero solo e solamente io.
Dopo essermi accertata che il panico dipinto sul loro volto non era pura
finzione, tornai a contemplare il grande palco davanti a me, incantata all’idea
che di lì a pochi minuti, su quella piattaforma, sarebbero saliti i miei idoli…
Sorrisi, e pur rendendomi conto che dovevo proprio sembrare una cretina, non
smisi nemmeno un attimo di gongolare, tanto che Roberta –la quale mi affiancava
alla sinistra- non poté che farmelo presente, forse spaventata da quella mia sorta
di preoccupante paresi facciale.
« …Tutto ok? » Domandò, impaurita.
« Aah…ti immagini se mi saluta? » Mormorai io, in risposta; e l’aria sognante
non era un caso.
Avevo fatto la pazzia di alzarmi presto. Di spendere troppo. E di rischiare la
vita…non solo per vedere i Tokio Hotel dal vivo…ma anche per permettermi il
lusso di sperare in un miracolo. Una di quelle cose impossibili che ti
succedono una sola volta nella vita e che ricorderai per sempre…
Si. Quelle che scrivi sui tuoi blog, siti e forum. Nel diario segreto. Nel
diario di scuola e sul muro di camera –per la gioia di tua madre. Una di quelle
cose che ti tatueresti volentieri anche sulla fronte (ma a causa di una
minaccia da parte di papino, ti vedi costretta a scriverlo con la penna biro
sul braccio) …insomma, uno di quegli eventi memorabili che si raccontano ai
nipoti, davanti ad un camino scoppiettante e una buona tazza di cioccolato
caldo:
Il saluto riservato solo e solamente a te, da parte dell’idolo per cui
stravedi.
Ipotizzai che fosse Bill a salutarmi, regalandomi un sorriso raggiante e
riservato solo a me, oppure Gustav, uno dei batteristi che più
adoravo…chiaramente, l’idea che quegli altri due avanzi di galera si degnassero
di regalarmi un sogno, era pura follia, così mi sforzai di non fantasticarci
nemmeno per un istante, nonostante le difficoltà.
Mi resi conto che tutto sarebbe stato molto più difficile nel momento in cui le
luci si spensero e un accordo di chitarra irruppe violento in tutto il
palasport, facendomi trasalire.
Gli urli si levarono automatici, e in modo tanto assordante che in pochi
istanti sentii i timpani estraniarsi dalla realtà, e i suoni arrivare al mio
udito da una certa distanza e in modo particolarmente ovattato…
…E io rimasi immobile.
Immobile persino quando i riflettori puntarono sul palco, andando ad illuminare
Tom, George e Gustav già posizionati e in trepida attesa del loro frontman…Bill
Kaulitz. Solo quando arrivò lui, correndo e salutando in un pessimo italiano
tutte le fan che erano accorse solo per sentire la sua voce, l’alkatraz rischiò
di crollare sotto gli strilli emozionati di milioni di ragazze…ma tra quelle,
non c’ero io.
Il silenzio in cui calai, aveva forse dell’impossibile.
Non ero certo arrivata fin lì per rimanere ferma e silenziosa sotto al palco…avevo
programmato di urlare –proprio come Roberta- o di piangere disperata come
Caroline, che mi aveva afferrato una mano stringendola con tanta violenza da
bloccarmi l’afflusso di sangue alla punta delle dita.
Io…avevo programmato davvero tante cose.
Eppure, quando quella chitarra laccata di nero aveva vibrato la prima nota, io
non avevo potuto fare a meno di rinchiudermi in me stessa, in silenzio, forse
timorosa di perdere una sola parola di Bill o un solo accordo di Tom e George…
Sorrisi, e lì, ferma sotto il palco, lasciai che il ritmo della batteria di
Gustav mi entrasse nelle vene, facendole tremare d’emozione…
Non feci altro. Forse, tutto quello, era persino inevitabile.
Il concerto durò quasi un’ora, e in tutto quel lasso di tempo io rimasi ferma e
in silenzio ad assaporare il purpurì di emozioni che continuava ad investirmi
senza ritegno. L’unica cosa che cambiò, dall’inizio del live, fu la posizione
del mio sguardo; poiché se inizialmente i miei occhi erano solamente per Bill,
poco ci volle perché la mia attenzione ripiegasse su Tom, fermo nell’estrema
sinistra del palco, felice di poter arpeggiare la sua Gibson con espressione
che avrei definito compiaciuta solamente per non cadere nel volgare.
Per lui, non sprecai nemmeno un sorriso.
Rimasi seria nel guardarlo, quasi severa avrei detto. Ferma al mio posto, con
le spalle nude calde delle manate delle altre fan, e il bustino rosso
appiccicato al corpo più dei pantaloni di pizzo o degli anfibi borchiati in
ferro.
Rimasi ferma. Seria. Silenziosa.
Semplicemente troppo estasiata persino per parlare…
Tuttavia, mi resi presto conto che tutto il mio impegno per non fantasticare su
quel chitarrista geniale, era solo un desiderio che non avrebbe trovato
fondamento in un mio reale atteggiamento...
Nonostante mi fossi riuscita ad evitare un sorriso ebete stampato sul viso
dall’inizio alla fine del concerto, e fossi stranamente scampata alla rituale
perdita di voce post-live, nel momento stesso in cui Tom si voltò nella mia
direzione, e i suoi occhi color nocciola si fissarono nei miei, le più degne
intenzioni di lasciare la sua figura solo un sogno troppo alto per una del mio
livello, crollarono.
Ero sicura che guardasse me. Per quel minuto. Per quel lungo minuto in cui non
smise di arpeggiare la sua chitarra, lui guardava me. Me tra milioni di ragazze
più belle, sensuali, e certamente più disponibili...La sua attenzione era mia.
Mia e solamente mia…almeno fino a quando le luci non si spensero, in attesa
dell’ultima canzone che avrebbe poi decretato la fine del concerto.
« OMMIODIO! MA GUARDAVA DA QUESTA PARTE?! » Mi strillò Roberta nell’orecchio,
sconvolta. E io avrei voluto annuire, sorridere e dirle: “si, guardava me” …ma
le luci color del fuoco che si erano spente dopo l’ultimo accordo, avevano
smesso di illuminare la mia immaginazione, e avevano portato via con sé anche
la speranza infantile che continuavo a nutrire dentro di me.
Una speranza che, chiaramente, mi aveva portato alla follia vera.
« Non saprei » Risposi io, accennando ad un sorriso. « …davvero? »
« Ah fè, e va bene impazzire, ma ora stai dando i numeri!! Certo che guardava
da questa parte! » Ribatté Roberta, stranita dalla mia pacatezza.
Socchiusi gli occhi, offesa da quella sua affermazione, ed ero già pronta a
risponderle per le rime che un’ombra nera mi oscurò la visuale, costringendomi
a voltarmi. Inutile dire che quando mi trovai a fronteggiare un imponente
uomo-armadio vestito di nero davanti a me, ammutolii più di prima, aprendo la
bocca.
« Ok. Calma. » Esordii immediatamente, pensando che forse avrei potuto
rimediare a qualsiasi problema avessi mai combinato.
Forse guardare Tom per troppo tempo implicava una tortura fisica e mentale? …Oh
cielo, non è che aveva il cophyright, vero?!
« Discutiamone » Proposi democraticamente, imprecando tra me e me di non poter
fare nemmeno un passo senza pestare nessuno. « …la prego » Aggiunsi poi,
supplicando l’omaccione che non poté fare a meno di ridacchiare, divertito.
« No no, non ti preoccupare » Mi urlò addosso, probabilmente pensando che
avessi perso l’udito (e sicuramente in buona parte aveva ragione).
Come faccio a non preoccuparmi –pensai io guardando intimorita il mio
improbabile interlocutore- ?
Deglutii, sicura che il mio colorito roseo di sempre andava cedendo il posto ad
un pallore quasi sconcertante, e cercai di accennare un sorriso nonostante il
ritmo incalzante dell’ultima canzone dei miei amati Tokio Hotel che cominciava
a farsi sentire di sottofondo.
Ok. Avrei affrontato la tortura…ma dopo l’ultima canzone del loro primo live,
va bene?
« Ascoltami bene » Mi urlò l’omaccione, afferrandomi per le braccia e
sollevandomi da terra di una spanna « Devi venire nei backstage. Il signor Tom
Kaulitz ti vuole conoscere. »
(…) Silenzio.
Per un attimo temetti di aver capito male. Pensai che probabilmente mi dovevo
essere addormentata di nuovo (o che forse non mi ero proprio mai svegliata) o
che, se al massimo quel che avevo sentito corrispondeva alla verità, dietro di
me c’erano già le telecamere di “Candid Camera” pronte ad immortalare il mio
sguardo smarrito.
« …Prego? » Esclamai io, alla fine, aggrappandomi automaticamente alle
inferriate che bloccavano l’incedere della folla verso il palco.
Sentii Caroline urlare e afferrarmi le gambe, piangendo e urlando cose come:
“Occazzo, è fantastico!” …felicemente accompagnata da Roberta e Natalia, e
dagli urli o le imprecazioni di tutti quelli che ci circondavano, che chissà
che avevano capito stesse succedendo.
« Ti vuole conoscere » Ripeté l’omaccione, tentando di tirarmi via, ma io mi
aggrappai con più decisione al mio appiglio in ferro, decisa a non lasciare il
mio posto.
« E chissenefrega, scusa?! » Ringhiai, arrabbiata…ma nel momento stesso in cui
finii di dire quella frase mi maledissi.
Che cazzo significava “chissenefrega” ?
Forse tutto quel palasport milanese se ne stava fregando!
L’omaccione mi guardò un po’ disorientato, chiaramente non aspettandosi una
risposta del genere, e prima che me ne rendessi conto mi lasciò andare, quasi
facendomi cadere a terra.
Dio voleva che in tutto quel casino, anche volendo, si cadeva sempre in piedi.
« …E quindi? » Mi urlò in domanda, sconvolto.
L’ultima canzone era ormai iniziata.
« Quindi che!? » Ribattei io, più shockata di lui. E cercai vivamente di
ignorare gli sguardi sconvolti delle mie tre amiche e del gruppetto del 93 che
mi avrebbe più tardi scuoiato viva, ne ero sicura.
« Non vieni? » Mi sentii chiedere.
Ok, un attimo –pensai tra me e me, e se avessi potuto fermare il tempo come si
faceva in quei cartoni animati sciocchi della loony toons, sarei stata
veramente felice.
Tom Kaulitz mi voleva nei backstage. Se era o meno una cavolata non lo sapevo
(Con il carattere che mi ritrovavo ad avere, lo scherzo era stata la prima cosa
che avevo ipotizzato), ma quello era il miracolo.
IL MIRACOLO.
Anzi, quello era molto più del miracolo che avevo sperato di ricevere…ecco si,
quello era l’evento che esigeva il tatuaggio sulla fronte!
…E io lo stavo mandando a puttane.
Aggrottai la fronte, perplessa, e mi ricordai all’istante di quell’articolo
francese che avevo letto tempo a dietro su Dream’Up:
“Tom, il genio che corre dietro alle gonnelle, è solito far andare nei
backstage le ragazze tra le prime file dei loro concerti che gli interessano!
Si dice che, tra un interruzione di canzone e l’altra, faccia un cenno discreto
ad una delle sue body guard che, ormai abituate ai suoi vizi da dongiovanni, si
prendono la premura di prelevare dalla massa la fortunata prescelta!”
…Ricordai di quanto avevo riso nel leggere quelle righe.
“Cenno discreto?” Avevo urlato, ridendo come una stupida “Ah si, ce lo voglio
proprio vedere Tom a fare il discreto!” …E giù altre risate.
Mi morsi la lingua, pentendomi. Dannazione, era davvero discreto…
« VIENI O NO!? » Mi urlò quella che doveva essere la body guard (troppo simile
a man in black per i miei gusti, ma poco importava in quel momento) e io la
guardai in silenzio per un altro istante. Solo uno.
« No » Risposi infine, decisa, e l’urlo che Caroline mi fischiò nel timpano
sinistro mi stordì a tal punto da farmi girare la testa.
L’omaccione mi fissò un attimo, perplesso, ma alla fine sorrise e sembrava
davvero divertito. « …Penso che il signor Kaulitz non ne sarà felice. »
Ribatté, quasi soddisfatto.
Inarcai un sopracciglio, sbuffando a quell’affermazione. « Ah davvero? »
Ringhiai irritata.
Ma per chi mi aveva preso quel chitarrista –pensai, scoprendo di avere una
certa irritazione da riversare addosso a quel ragazzo che aveva più volte
popolato i miei sogni- ?
Una bambina? Una bambola?
…Una cretina?
Avvampai all’idea che qualcuno (a prescindere dal fatto che quel qualcuno fosse
Tom Kaulitz) mi avesse creduto una stupida mocciosa dalla facile apertura di
gambe, e furono pochi i secondi nei quali mi abbarbicai all’inferriata davanti
a me, slanciandomi in avanti il tanto che bastava per afferrare il pennarello dal
taschino della body guard di fronte a me.
Incurante della faccia stupita dell’uomo e di chi ci guardava, sfilai dalla
tasca dei miei pantaloni un vecchio biglietto da visita che non usavo da tempo,
ma che portavo sempre dietro per sicurezza, e su cui troneggiava –in bella
grafia- la mia presentazione abbozzata su due piedi in un momento di noia:
Arashi Hime ~
Scrittrice e modella.
Rikachan89@tiscali.it
Sorrisi divertita, e stappando il pennarello nero con la bocca mi appoggiai a
Roberta per scrivere, dietro il cartoncino bianco, un bel: “Non vengo. Grazie
del pensiero comunque” in un inglese perfetto di cui fui ben compiaciuta.
Lanciai un’occhiata divertita all’omaccione ancora fermo davanti a me, e
guardandolo solo per un istante, gli porsi il foglio con il pennarello nel
momento stesso in cui l’ultima canzone del concerto terminava sotto i
piagnistei collettivi.
« E’ tutto » Dissi, e abbassai leggermente la testa in segno di rispetto. «
Grazie! » Aggiunsi, e sorrisi con una dolce gentilezza quel tanto che bastava
per rendere ancora più allarmato il mio interlocutore, il quale impiegò un
certo lasso di tempo prima di voltarsi e dirigersi a grandi passi verso i
backstage.
Mpf.
Si, guarda e impara Tom…non tutte le ragazze sono delle coglione. Hai appena incontrato
quella che ti imbarazzerà.
Poco importa se ho mandato a puttane il sogno della mia vita…
Mi strinsi la testa tra le mani non appena la sagoma dell’uomo che avrebbe
potuto regalarmi il sogno che speravo, svaniva.
Ma vaffanculo! Dannato orgoglio!