Fanfic su artisti musicali > Muse
Segui la storia  |       
Autore: mairileni    09/02/2013    11 recensioni
«Io odio arrabbiarmi con te, lo sai questo?»
«Sì.»
«E... ti sarai accorto che non è un grande periodo per me e la mamma, sì?»
Faccio sì con la testa.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Buonasera! *v*
 
Come state? 
Dunque, per farmi perdonare per lo scorso capitolo, ecco qualcosa di più lungo :3
Scusate il ritardo, mi sono presa un breve periodo di riflessione – comunque eccomi  di nuovo qui, yeah! *oh, no*
 
Grazie ad E. (che è speciale da morire) e ad Alessia, che segue in silenzio.
 
Ma soprattutto grazie a tutte voi che recensite! :3
 
Enjoy,
 
pwo_
 
 
*** *** ***
 
Matthew, accettazione passiva
 
 
 
Venerdì, 12 giugno 1992
 
 
«Matt-- Matt, cazzo, togliti, mi stai sbavando addosso!»
Risucchio la saliva con un rumore liquido - faccio davvero schifo, già - e mi sollevo un po' sui gomiti per guardare mio fratello - che sto usando come materasso - con un'aria interrogativa e di rimprovero insieme, gli occhi semichiusi.
«Ngh.» mugolo, prima di ributtarmi sul suo corpo a peso morto.
«Matthew James. alzati. Adesso.»
Questo vibrare nel petto di Paul, su cui sto premendo l'orecchio, quando parla, mi rilassa se possibile ancora di più, ma rotolo di lato per evitare di essere bastonato malamente.
«Dobbiamo andare a scuola, Matt.»
«No.»
«Sì, invece. Alza il culo, forza, muoviti!»
 
Eseguo gli ordini svogliatamente, mantenendo le palpebre ben serrate e cercando a tastoni qualcosa da mettermi addosso, con il risultato di sbattere un piede contro la cassettiera e di soffocare un urlo di dolore insopportabile - cosa che, a quanto pare, deve essere molto divertente, perché mio fratello sta ridendo come un idiota.
 
Quando scendiamo in cucina mio padre e mia madre stanno già facendo colazione, lui con la testa immersa nel giornale di oggi, lei con i gomiti appoggiati al tavolo e una tazza di caffè in mano.
 
«Buongiorno, ragazzi.» saluta.
«Buongiorno.» fa eco mio padre.
«'Giorno.» fa Paul.
Non dico nulla, per vedere se--
«Matthew, tua madre e io ti abbiamo salutato, mi sembra.»
Ecco, appunto.
«Buongiorno.» dico svogliato.
Ovviamente nessuno proferisce parola per il resto della colazione, se non Paul, che ad un certo punto se ne esce con un inaspettato: «Hey, Matt, vuoi un passaggio per scuola?»
Se rispecchia quello che provo ora, la mia espressione deve essere sbalordita: «Sì, voglio dire-- sei impazzito?»
«Assolutamente no. Sali in macchina - e non vomitare, piuttosto dormi -, non sporchi, non parli, non rompi e infine scendi, ricordandoti di questo grandissimo favore che tuo fratello ti ha concesso.»
«Ok. Grazie, allora.»
 
Vorrei riflettere un po' su quale sia l'inghippo in questo improvviso slancio di generosità estrema da parte di mio fratello, ma accantono l'idea, perché sono pur sempre le otto del mattino. 
 
 
*
 
 
«Come sarebbe a dire “non me ne frega un cazzo”?»
«Matt, se passo anche da casa di Dominic arriverò tardi a scuola!»
«Ma scusa, era scontato che passassimo a prenderlo, faccio la strada con lui ogni giorno!»
«E io che cazzo ne so, Matt, se non me lo dici? E comunque ormai siamo quasi arrivati.»
Sbuffo contrariato e scendo dall'auto, salutando mio fratello con un mugugnato “grazie” e un cenno della testa.
 
In piedi nello spazio del cortile esterno, muovo il peso dai talloni alle punte, dalle punte ai talloni, aspettando che Dom arrivi a scuola per percorrere almeno un corridoio con lui e scusarmi di avergli dato buca.
 
Quando penso che ormai non arriverà più - o che probabilmente è arrivato qui molto prima di me -, giro i tacchi per dirigermi verso l'entrata, con una calma che, con dieci minuti di ritardo, non dovrei avere.
Vengo superato da qualche studente di corsa, ma non c'è più praticamente nessuno, fuori - cosa che dovrebbe allarmarmi, ma non ho proprio nessuna voglia di scapicollarmi fino alla classe.
 
È solo quando scorgo per caso alle mie spalle la testa rossiccia di John Martin che mi allarmo.
Prego di aver visto male l'espressione del suo viso e la direzione in cui guardavano i suoi occhi, perché mi è sembrato che fosse la mia.
 
Improvvisamente mi pento della calma con cui ho camminato finora, e cazzo, se non fossi stato qui fuori ad aspettare Dom adesso sarei già in classe, mi sento sudare freddo e cammino veloce verso l'entrata, a separarmi da essa meno di trenta metri - perché ho aspettato così lontano? - ora saranno anche venti, ma i passi di Martin e degli altri sono sempre più rumorosi e vicini.
 
È un attimo, interminabile.
Una mano sulla spalla mi fa voltare, un unico fotogramma del suo pugno, poi l'esplosione di dolore sul naso.
Poi l'asfalto, con il suo odore che sa di polvere e pioggia.
Mi sento risollevare da terra come un grissino, altro flash, altra immagine di un pugno, e un secondo è abbastanza per vedere che questo ha un anello e farà male, altra esplosione di dolore, stavolta dalla bocca.
Ricado al suolo, un calcio fortissimo allo stomaco, un grido spezzato da parte mia.
 
«Ba-basta, vi prego.» riesco a esalare, stendendomi sulla pancia per coprire le parti doloranti.
«Ragazzi, basta.» ripete Martin.
Mi arriva un altro calcio, ma molto più leggero, sulle gambe, seguito dal tono rabbioso di John.
«Che cazzo fai, Charlie? Ho detto basta!» grida, voltandomi supino per guardarmi in faccia, facendomi andare di traverso il sangue che mi esce dal naso.
Mi prende la mandibola con la mano aperta e mi avvicina al suo viso, finché i suoi occhi non si trovano a neanche cinque centimetri di distanza dai miei.
«Ciao, Bellamy.» sussurra.
I punti in cui le sue dita incontrano la mia pelle mi fanno già male, e mi aspetto di trovarvi presto dei lividi.
«Ho detto: ciao. Bellamy.»
«Ciao.» mormoro.
 
Martin mi molla all'improvviso, lasciandomi ricadere all'indietro.
Mi alzo, mi tolgo la polvere di dosso, e sono subito circondato da lui e gli altri.
 
«Sai, Bellamy» comincia John «penso che tuo padre si stia allargando un po' troppo, non credi anche tu?»
Mio padre?
«Co-cosa?»
John sgrana gli occhi e mi dà uno spintone, dal quale mi salvano solo i corpi solidi gli altri suoi amici, dietro di me.
«Mi stai prendendo per il culo, vero? Vero, Bellamy? Mi stai proprio prendendo per il culo!»
«I-io-- no!» balbetto pateticamente.
«Ah, no?» chiede lui, sarcastico «Non sapevi che tuo padre si sbatte mia madre?»
 
Resto immobile. 
Sta scherzando. 
È solo un pretesto per picchiarmi, sta scherzando.
 
E improvvisamente nella mia testa si mischiano la voce di John, la voce di Paul, la voce di mia madre che mi dice papà è uscito, stasera non c'è, la voce di mio padre che mi dice esco, torno presto, ci sarò sempre, solo una pausa, sei migliorato, Matthew.
 
«Oh, che carino...non lo sapevi?»
«Non-- no-non-- io--»
 
 
Smettila di balbettare, Matt. 
 
 
«Non-- non è v-ve--»
 
 
Respira, piuttosto.
 
 
Sì, papà, respiro, cazzo, sto respirando.
 
«Non è vero.» dico in un soffio, i risolini degli altri attorno a me.
«Non è vero.» ripete John «Ah, avete sentito ragazzi, non è vero. E allora dimmi...»
Mi prende di nuovo per il mento, costringendomi a guardarlo negli occhi, che evito comunque con i miei.
«...Secondo te, Bellamy. Secondo te tuo padre ieri, e l'altro ieri, e due giorni fa, e il giorno prima ancora, cosa faceva a casa mia fino all'alba? Con mia madre. Parlava - chessò - di affari? O magari, fammi pensare-- oh, sì: del tempo! Magari parlava del tempo. Vero, Bellamy?»
Lo fisso, senza sapere come rispondere.
 
Poi un altro pugno. 
Il terzo.
Il più forte.
 
Ora John lo posso vedere solo da terra. 
Come vorrei essere in classe.
«Prendilo come un avvertimento, Bellamy. Voglio il culo di tuo padre fuori da casa mia, non me ne frega un cazzo che abbiate problemi o cazzate, hai capito?»
Annuisco, piano.
 
E quando si sono allontanati, lasciandomi solo con la loro scia di “sfigato” e “caga sotto”, mi rialzo, sollevo il cappuccio della felpa, calcandomelo sulla testa, estraggo il fazzoletto di stoffa dalla mia tasca e mi pulisco la faccia dal sangue. 
 
E cerco il primo bar squallido qui vicino, sforzandomi di non scoppiare in lacrime prima di trovarlo.
 
 
***
 
 
Oggi io e Matt non avremmo avuto la prima lezione insieme, ma non ho fatto la strada con lui, stamattina, né mi è venuto a prendere, quindi immagino che sia uno di quei giorni in cui è di malumore e non vuole vedere nessuno - tantomeno la scuola.
 
Sono qui a sorbirmi il noioso professore di letteratura che ripete come un mantra che le caselle del compito vanno annerite, non cerchiate. Che palle.
 
Nel far rimbalzare i miei occhi dal legno del banco, alla lavagna, alla finestra, noto che oggi sono assenti John Martin, Charlie Smith e tutti i loro amici.
 
Per un attimo associo l'assenza di Matt alla loro e mi sento rabbrividire.
 
 
***
 
 
«Posso avere un caffè, per favore?»
La signora dall'altra parte del bancone mi fissa con aria schifata e si rivolge verso la macchina alle sue spalle per esaudire la mia richiesta.
«Normale, lungo, corto, mac--?»
«Normale, grazie.»
 
Barcollo fino a raggiungere un tavolino nell'angolo più nascosto del bar, sedendomi lentamente per non farmi troppo male.
La mia ordinazione arriva accompagnata da un'occhiata diffidente; probabilmente questa mi ha visto barcollare e ora pensa che io sia uno di quei ragazzini che saltano la scuola per bucarsi.
Tanto meglio.
Non ho nessuna intenzione di bere questo caffè, ma almeno ora posso darmi una sistemata.
Il piccolo bagno del bar, stranamente pulito, non ha finestre,  ma uno specchio rettangolare attaccato al muro, un lavandino di modeste dimensioni, un gabinetto separato dal resto da una porticina.
La luce è bassa e traballante, ma preferisco che sia così, non mi va di dovermi sorbire integralmente l'immagine cruenta del mio riflesso nello specchio.
Appena mi scaravento dentro la piccola stanza sputo nel lavandino tutto il sangue che avevo tenuto in bocca.
Bagno il fazzoletto già sporco e me lo passo sulla faccia nei punti che avevo pulito male.
 
Non mi hanno rotto il naso, non ce l'hanno fatta neanche questa volta. Sulla linea della mandibola posso contare quattro lividi, due meno evidenti degli altri, mentre i denti ci sono tutti e il labbro è rotto solo nella parte interna alla bocca.
Sollevo la maglietta.
La riabbasso.
 
E penso a mio padre, che mi dà svogliatamente la buonanotte e poi va da un'altra donna.
E a mia madre, che con ogni probabilità - no, cazzo, sicuramente - lo sapeva. 
Mia madre che la sera fa da mangiare anche per lui, che gli lava i vestiti, che gli para il culo quando non c'è, perché lei può sopportare, ma noi no.
 
 
Si è offerto di fare la spesa al mio posto.
 
 
Non sei peggio di lui, mamma, ma non sei neanche meglio.
 
In questo momento venderei l'anima al diavolo per essere un'altra persona, qualsiasi altra persona.
 
Con questo fazzoletto, insieme al sangue, mi lavo via anche le lacrime.
 
 
***
 
 
All'uscita da scuola Matt non c'è, ancora. Forse dovrei preoccuparmi, ma non sono mica la sua ragazza, quindi mi incammino verso casa convinto che ormai per oggi non lo vedrò.
Strano.
Soprappensiero, sono quasi arrivato a casa mia che mi sento improvvisamente tirare per la felpa, perdo l'equilibrio e vengo catapultato in un vicoletto ombroso a lato della strada, per terra.
 
«Ma che cazz-- Bells!»
«Sssh, vuoi un megafono, così puoi gridarlo a tutto il mondo?»
«Ma dov'eri, io stamattina t-- oh, cazzo, ma...che hai fatto?»
Matt si allontana immediatamente dal mio viso, sollevandosi in tutta la sua - scarsa - altezza e aiutandomi ad alzarmi.
«Nulla -- ascolta, ti prego, puoi chiamare i miei e dire che sono da te? Mi sdebiterò, te lo giuro, ma ho bisogno che tu mi faccia questo favore.»
«Ma che--? No, Matt, prima mi dici chi è stato!»
«Cristo, Dom, ti prego, ti prego, fallo per me!»
Matt ha qualche minuscola gocciolina di sangue sulla felpa e diversi lividi in faccia.
«Ti prego.» recita, le mani congiunte in segno di preghiera davanti alla bocca «Ti prego, Dom, coprimi.»
«Certo, che ti copro, Matt, ma--»
«--Oh, grazie!» sussurra lui, sollevato.
«--Ma tu mi dici in che guaio ti sei cacciato.»
Sembra rifletterci un attimo su e poi annuisce velocemente, come per ufficializzare il patto prima che cambi idea, mentre io sospiro raccogliendo tutta la pazienza che ho per trarne una sottospecie di piano.
«Dai, mi racconti dopo, ora vieni a casa. Mia madre è al lavoro, e mia sorella è da un'amica. Ah, mia mamma la mattina si mette una specie di crema colorata in faccia, credo che sia coprente, useremo quella, per ora. Poi vediamo come organizzarci, d'accordo?»
«Sì. Oddio, grazie, Dom, non so come ringraziarti.»
«È a posto.» sussurro «Sei un coglione.»
«Lo so.»
 
 
*
 
 
«S-sì, signora, se vuole glielo passo-- ok, d'accordo. Scusi, se non l'abbiamo avvisata prima, è stata una cosa dell'ultimo minuto-- perfetto, allora-- sì, Matt ha uno spazzolino già qui, sa che è come a casa. Grazie mille, arrivederci, buona giornata.»
Attacco la cornetta del telefono sotto gli occhi attenti e sgranati di Matt, che ha seguito l'intera conversazione dal divano.
«Ha detto che stanotte puoi dormire da me - tanto hai il tuo spazzolino, qui - e che però la prossima volta devi avvisare prima.»
«Mh. Come ti sembrava?»
«Come?»
«Ti sembrava arrabbiata?»
«No.»
«Triste?»
«No, Matt. Stava bene.» lo rassicuro.
«Mh. Ok.»
 
Dopo aver costretto Matt a mangiare - quasi con l'imbuto - siamo partiti all'esplorazione del bagno alla ricerca di qualcosa per coprire i lividi -, esplorazione che si divide tra la goffaggine di due maschi immersi in decine di irriconoscibili prodotti femminili e l'angoscia di Matt di starsi facendo troppo gli affari nostri, così, a frugare nel nostro bagno.
 
Oh, ma mi dirai tutto, Bells, che ti piaccia o no.
 
«Dom, Dom, Dom!» grida Matt.
«Che c'è?»
«L'ho trovata! È questa, no?»
Prendo la bottiglietta che tiene tra le mani, svito il tappo e la capovolgo, facendone fuoriuscire una specie di crema color pelle.
«Sì, mi sa che è questa; andiamo in camera, che te la metto.»
«Di già?»
«Mia madre tornerà tra poco.»
 
Matt si siede sul letto, io gli lancio una felpa da cambiare con quella sporca - nonostante io porti trenta taglie più di lui - e lui la indossa borbottando una specie di ringraziamento.
 
«Ora stai fermo.» dico, versandomi un po' di quel liquido su due dita e avvicinandomi con esse alla sua pelle.
«Aaah-- ahia, ahia, ahia!» 
«Ma-- non ti ho neanche toccato!»
«Fai piano.»
«Sì, faccio piano. Ora stai fermo.»
Quando le mie dita toccano la prima ecchimosi stringe i denti e chiude gli occhi, e mi ritrovo a trattenere il fiato anch'io.
È serio, Matt, la faccia contrita.
«Matt.»
«Mh?» chiede, sforzandosi di non mugolare di dolore.
«Parliamo?»
«...Sì.» capitola, dopo un po', con un'espressione vuota.
Non lo guardo negli occhi per non farlo innervosire, ma continuo il mio lavoro delicato, cercando di rendere il risultato almeno un po' credibile.
«Mh. Allora, intanto perché oggi non eri a scuola?»
«Mi ha accompagnato Paul, ma non pensava di doverti venire a prendere-- a proposito, scusa.»
«Ma allora c'eri!»
«No, io-- ti ho aspettato un po' fuori da scuola, credendo che magari non eri ancora arrivato e ci saremmo incontrati.»
Annuisco, ancora senza guardarlo, per incoraggiarlo a proseguire.
«C'erano John Martin e gli altri.»
 
Oh, cazzo. Avevo ragione. 
 
«E...?»
«E mi hanno picchiato.»
«Perché?»
«Nessun motivo.»
Adesso lo guardo negli occhi, solo per un attimo, prima di riprendere ad armeggiare con la crema.
«Nessun motivo?»
«No. Del resto, ce n'è mai stato uno?»
 
Rimaniamo in silenzio per un po', un silenzio che viene solo interrotto, di tanto in tanto, dai pigolii soffocati di Matt.
 
«Ho finito.» dico, alzandomi e riavvitando il tappo della bottiglietta.
«Grazie al cielo-- non si vede nulla, guarda!»
«Lo so. Non toccarti la faccia, però.» 
 
 
***
 
 
«Sei ferito, sul corpo?»
«No.»
«Sicuro? Fammi controlla--»
«Non ho nulla, sul corpo, Dom!» quasi grido, sfuggendo alla sua presa.
«Matt. Alzati la maglietta.»
«Non c'è bisogno.»
«Matt, cazzo
«Sto bene, ti dico!»
Quanto odio quando fa così.
 
Prima che possa aggiungere altro mi ha già afferrato un lembo della felpa e dopo una ridicola lotta di neanche due secondi l'ha sollevato, lasciando scoperta la pancia.
«Porca tr--» 
La sua imprecazione rimane spezzata, nell'aria, le mie mani ancora sulle sue braccia, testimoni del mio tentativo di non lasciarlo guardare.
 
«Matt, ma tu devi chiamare la polizia! Sei fuori di testa? Hai un livido grande come la mia mano aperta!»
«Ecco, vedi?» grido «Ora tanto hai fatto che l'hai visto, ti avevo detto di non guardarlo!»
«Cazzo, Bells, quelli un giorno o l'altro ti ammazzano! Ma guarda cos'hai sulla pancia! Te lo vuoi ficcare in testa? Devi parlare con qualcuno!»
«E con chi, Dom? Fatti i cazzi tuoi, d'accordo?»
«Sì, certo! Se io mi faccio i cazzi miei tu con chi stai, eh? Coglione!» grida, dandomi una piccola spinta che mi fa cadere sul letto.
E scoppio a piangere, ancora, come un bambinetto dell'asilo, mentre la voce di Dom, nella mia testa, diventa quella di mia madre, quella di mio padre, la mia.
«Vaffanculo, Dom, quanto mi fai incazzare!» urlo, spingendolo via a mia volta, quando si avvicina.
«Non stai mandando a fare inculo me, Bells, ma te stesso! E lo sai! Sei tu che accetti ogni cosa passivamente, sei tu che devi svegliarti!--»
 
 
E allora qual è il problema? Che cosa ha fatto di male?
 
 
«--Permetti al mondo di cambiarti, di sconvolgerti, ma in questo cazzo di mondo ci sei anche tu, Matt, che agli altri piaccia o no! Devi smetterla di nasconderti dietro a un dito! Reagisci, Matt! Reagisci, cazzo!»
 
 
Nulla! È proprio questo il punto! Matthew non fa nulla!
 
 
«Vaffanculo!» grido, al limite dell'isteria, lanciandogli contro il flacone di crema.
 
Mi prendo la faccia tra le mani e piango, mi sfogo, e mi odio da solo, mentre lo faccio. 
Sto lì un minuto, o due, forse, senza che i singhiozzi diminuiscano, a imprecare a vuoto.
 
Tu ti siedi piano accanto a me, provi ad abbracciarmi, ti spingo via forte, ti avvicini di nuovo, ti spingo via ancora.
Ce la faccio da solo. 
Ce la faccio da solo.
Quando provi ad abbracciarmi per la terza volta mi arrendo, e abbandono la testa contro il tuo petto.
 
«N-non ce l'a-- non ce l'avevo con te.» balbetto, deglutendo nel bel mezzo della frase. 
«Lo so, Matt.»
 
E mentre mi abbracci sposti un po' il peso da destra a sinistra, da sinistra a destra, cullandomi con il tuo movimento gentile, senza lasciarmi mai.
 
 
 
*** *** ***
 
 
 
 
 
...Uff. Che angoscia. *_*
*ma pwo_, hai scritto tu questa roba*
 
Voglio tanto bene a questo capitolo, spero vi sia piaciuto ^^
 
Tanti baci, ci vediamo con l'8! *v*
 
pwo_
 
 
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Muse / Vai alla pagina dell'autore: mairileni