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Autore: AlexaHumanoide    10/02/2013    4 recensioni
Quando Bill, dall'altra parte alzò lo sguardo verso di lei, si immobilizzarono tutti e due a guardarsi negli occhi.
Forse saranno stati colpiti dal famoso "colpo di fulmine", pensai, ma cambiai subito idea quando vidi il vestito della mia migliore amica sporco di sangue.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XII: Codice rosso.


Ormai erano passati molti minuti da quando i miei occhi si erano immobilizzati sulla schiena di Tom, coperta da una maglia verde smeraldo, ovviamente più grande di molte taglie. Contavo quante volte stava tremando, facendo alzare le spalle a causa dei singhiozzi dovuti al pianto. La sua testa era appoggiata alla spalla destra della madre, che lo stava abbracciando forte a sé.

Credo che quel momento non me lo scorderò mai. Dalla prima volta che l’avevo visto, Tom mi era sembrato una delle persone più forti e apatiche di questo mondo, soprattutto dal punto di vista della tristezza. Quando eravamo insieme sull’ambulanza, appena dopo l’omicidio, io piangevo come una disperata e lui no. Quando i medici ci hanno informato che Bill e Viola erano in coma, io sono scoppiata a piangere come una scema, lui invece era rimasto impassibile. Ma, quando ha visto sua madre Simone vicino al capezzale del suo gemello, che gli teneva la fragile mano con gli occhi lucidi, è corso immediatamente da lei buttandosi letteralmente tra le sue braccia e sfogandosi del tutto, lasciando libere quelle lacrime che erano rimaste dentro di lui per tutto quel tempo. Il silenzio tombale della stanza era rotto dai singhiozzi di Tom e dalla madre che lo tranquillizzava,accarezzandogli la schiena dolcemente. Simone era più bassa di suo figlio di qualche centimetro, aveva lunghi capelli neri lisci e i tratti del viso molto decisi, ma sempre di una bellezza straordinaria: si vedeva proprio da chi avevano preso i gemelli Kaulitz.

“Tesoro, calmati ora.”, la sua voce era sottile ma decisa. “E’ tutto a posto, ci sono io con te.”

Quelle parole mi fecero venire la pelle d’oca e le lacrime agli occhi. Mia madre non era affatto così, era esattamente il contarlo. Non mi aveva mai consolato in quella maniera, non mi aveva mai detto parole così profonde. Mia madre non mi capiva mai. Le uniche persone che lo facevano erano due: uno è morto e l’altra era su un letto d’ospedale, in coma.

Abbassai immediatamente lo sguardo, fissandolo sulle mattonelle consumate color avorio, che ormai mi davano il voltastomaco. Non volevo che mi vedessero di nuovo piangere. Sentii il tocco caldo di una mano sulla mia schiena che andava su e giù come quella di Simone sulla schiena del rasta. Alzai subito la testa e scoprii che era Daisy, la madre di Viola. Non mi disse niente, mi sorrise solo e, dai suoi occhi rossi capii che anche lei aveva pianto. Dovevo scusarmi con lei, alla fine era anche un po’ a causa mia se sua figlia non era a casa sana e salva.

“Mi…”, cercai di dirlo, ma in quel momento di era difficile dire qualsiasi cosa. “Mi dispiace.”

“Non dire così.”, mi rispose, scuotendo la testa. “Non è affatto colpa tua se Viola è in…”

Non riuscì a finire la frase, a dire quella parola. Io annuii, per farle intendere che avevo capito. Daisy mi guardò, cercò di sorridermi e si asciugò una lacrima ribelle che stava scendendo sulla sua guancia. Osservai il suo volto e mi venne il groppo in gola: ogni volta che la guardavo mi veniva in mente Viola, poiché erano come due gocce d’acqua. Avevano gli stessi capelli dorati, gli stessi occhi verde e perfino lo stesso neo sulla guancia sinistra. Era come se davanti a me ci fosse la mia migliore amica invecchiata di vent’anni. E questo mi rattristò ancora di più: ora come ora non sapevo se avrei mai visto Viola invecchiare, sposarsi o avere figli. Poteva anche non risvegliarsi mai più.

Lentamente camminai vicino al suo letto, mi avvicinai al cuscino, scavalcando la sedia dove era seduto David al centro dei due letti e scostai un ciuffo di capelli che non mi permetteva di vederla bene. Il suo volto era così pacifico, come se stesse sognando qualcosa di meraviglioso. Il suo mezzo sorriso era così contagioso che mi ritrovai a sorriderle a mia volta.

“Vedrai che si riprenderà.”, Daisy si era seduta dall’altra parte. “E’ una ragazza in gamba. E’ sempre stata forte.”

“Lo so…”, sospirai. “Lo so.”

“Mamma, come fai a non piangere?”

Mi girai a guardare Tom ancora di spalle, che questa volta non erano piegate verso Simone, ma si era staccato dall’abbraccio materno per guardarla negli occhi neri come la pece.

“Figlio mio, ho già pianto abbastanza.”, disse, regalandogli un sorriso rassicurante.

Quella donna mi stava già simpatica e mi sembrava a prima vista un modello da seguire: era così sicura di sé e piena d’affetto per le persone che amava. In quel momento capii che da grande volevo essere come lei.

“Mi manca, mamma. Mi sento così solo.”

A quelle parole annullai quasi tutta la distanza che ci separava e inchiodai il miei occhi nei suoi, incrociando le braccia al petto.

“Tom, tu non sei affatto da solo.”, lui abbassò la testa, ma io gli sollevai subito il mento con la mano. “Tom, ti prego, guardami.”

Ora sentivo tutti gli occhi concentrati su di noi, ma io non mi lasciai prendere dall’imbarazzo e continuai per la mia strada.

“Ci sono io con te. Ci sono sempre stata dall’inizio di questa storia assurda!”, altre lacrime scesero pazze sul suo volto delicato. Non sopportavo più quelle dannate gocce; stonavano troppo con i suoi lineamenti quasi angelici. Allungai le mie mani tremanti verso di lui e le asciugai freneticamente. Pensavo mi fermasse, invece mi sbagliavo. Mi guardò sorpreso e notai nei suoi occhi nocciola una scintilla nuova. La sua pelle era liscia come porcellana e senza alcuna imperfezione.

“Ti prego, non dire mai più che ti senti solo, perché mi fai stare male.”, parlavo velocemente a causa del nervosismo. “Sai che usciremo da questa situazione insieme. Ce la faremo, vedrai.”

Non so perché lo feci, ma automaticamente lo strinsi a me con tutta la forza che avevo in corpo. Appoggiai la testa sul suo petto e chiusi gli occhi. Sentivo il calore emanato dal suo corpo e i battiti accelerati del cuore che rimbombavano nella cassa toracica. Per alcuni secondi lo sentii irrigidirsi per lo stupore, ma poi si rilassò e percepii le sue braccia lunghe e muscolose abbracciarmi la vita e appoggiare il suo capo sulla mia spalla. Dentro di me nacque un sentimento completamente nuovo per me: era come se il mio cuore avesse ceduto e si fosse aperto a lui. Sentivo i brividi sulle braccia e le farfalle nello stomaco.

Non volevo crederci, non potevo innamorarmi di lui!

“Grazie, Ashley.”, quando sentii la sua voce calda sussurrare nel mio orecchio, aprii gli occhi e mi allontanai da lui.

“Non c’è di che.”, risposi, facendo una mezza smorfia.

Ora regnava il silenzio. Tom si stava grattando i cornrows sotto la bandana nera con delle decorazioni bianche che gli copriva la fronte; Simone mi stava fissando con un sorriso accecante stampato in faccia; Daisy era ancora seduta vicino a sua figlia e David si stava strofinando le mani non sapendo cosa fare. Fu Tom, davanti a me, a romperlo.

“Come hai fatto a scoprirlo, mamma?”, chiese, guardando suo fratello respirare piano e vidi i suoi occhi spegnersi di tutta la luce che avevano.

“Mi ha chiamato David.”, disse indicandolo. “Ma anche se non l’avesse fatto, è scritto su tutti i giornali.”

“A proposito di giornali…”, saltò su il manager, appoggiandosi sullo schienale della sedia verde e sgranchendosi le gambe non molto lunghe. “Ti avevo detto di non dire molti dettagli ai paparazzi. Ora mi puoi spiegare cosa ti è passato per la mente.”

Guardai Tom, che lentamente deglutì e mi ricambiò lo guardo con molta intensità. Io andai a sedermi vicino al letto di Bill, poiché l’unica sedia libera era lì e non mi andava di spostarla. Da quella posizione riuscivo sentire il rumore della macchina che monitorava il battito regolare del cuore del cantante. Sospirai, pensando che quegli apparecchi li avevo sempre visti solo nei film. Mi accomodai meglio sul quel pezzo di legno vecchio, cercando di trovare una posizione comoda e iniziai ad ascoltare la conversazione.

“Lo so David, mi dispiace, ma era l’unico modo per far tacere quella mandria di bufali.”, affermò Tom con voce decisa.

“Farli tacere?! Ma sei impazzito o cosa? Così è come se avessi buttato un fiammifero sulla benzina!”, il suo tono di voce aumentò.

“Okay, okay, ho capito…”, disse, alzando entrambi le mani al cielo con i palmi rivolti all’esterno. “Mi dispiace, non avrei dovuto farlo. Contento?”

“No.”, rispose David duro. “Non ti devi scusare solo perché non vuoi litigare.”

“Sai com’è, David, ho solo un fratello gemello in coma!”, gridò arrabbiato. “Non voglio passare i miei giorni a litigare per delle cazzate, mentre Bill è in coma e c’è un assassino che gira per Amburgo!”

Anche dall’altra parte della stanza si riusciva a vedere la vena del collo ingrossata dallo sforzo che stava facendo Tom per gridare. Simone ed io sospirammo insieme.

“Ti prego David, non farlo arrabbiare. Non vedi che è stanco?”, sussurrò quest’ultima.

“Va bene, va bene!”, rispose lui guardandola ma senza smettere di gridare. “Però quando ti do delle regole le devi rispettare, okay?”

Questa volta guardò il ragazzo, che come risposta annuì.

“Ora, cosa facciamo con l’assassino?”, chiese Daisy con voce bassa, come se avesse paura di essere anche lei aggredita verbalmente dall’uomo.

“Facile, lasciamo che la polizia faccia il suo lavoro.”, disse David, alzando le spalle.

“Oh, certo! Come se la polizia facesse qualcosa!”, esclamò Simone sventolando la mano in aria.

Il modo in cui lo disse  mi fece scoppiare a ridere. Adoravo quella donna ancora di più, adesso.

Quando vidi gli occhi del manager spalancarsi in modo impressionante, mi alzai, girai la sedia al contrario , mi sedetti appoggiando le braccia conserte sopra al poggia schiena e appoggiai il mento su di esse per godermi meglio la scena.

“E cosa vorresti fare, Simone??”, aveva ricominciato ad urlare.

“Lo troveremo noi!”, questa volta quattro paia di occhi la guardarono sbalorditi, ma solo David continuò a parlare, o meglio, gridare.

“Ti sei bevuta il cervello, per caso?!”, avevo paura che in un momento all’altro qualcuno sarebbe entrato in quella stanza e ci avrebbe cacciato fuori dall’ospedale a calci.

Già era un privilegio poter stare in cinque in una stessa stanza e non avere orari di visita, ma litigare come pazzi era troppo anche per una band multimilionaria. Ah, cosa facevano i soldi.

“Assolutamente no, David!”, disse puntandogli il dito lungo e sottile contro. “Non resterò qui inerme a piangere vicino al capezzale di mio figlio!”

“Ma mamma…”, cercò di dire Tom, ma lei lo fermò subito.

“Ma mamma niente, Thomas! Vuoi vedere tuo fratello morire e non sapere neanche chi ha provocato la sua morte?!”

A quelle parole Tom scoppiò.

“Bill non morirà, mamma! Non ci pensare neanche! E io non…”, non riuscivano a non interrompersi a vicenda o a non parlare uno sopra all’altro.

“Questo non lo puoi sapere! Chi ti garantisce che Bill si risveglierà? Eh?”

“Dobbiamo avere fiducia, mamma! Non è questo che ci hai sempre insegnato tu?!”

A quel punto non li ascoltai più, anche se mi era molto difficile. Le mie orecchie si erano concentrate su un altro rumore, che era nuovo in quella stanza: era un suono acuto e veloce, e stava aumentando in fretta. Non riuscivo a capire cosa fosse, se era reale o frutto della mia immaginazione.

“Magari l’assassino ucciderà anche te!”, sentii urlare Tom, ma non gli diedi peso.

Mi guardai intorno per capire la fonte di quel rumore snervante e quando la trovai, mi congelai sul posto.

“Tom…”, sussurrai a causa del groppo che mi chiudeva la gola.

Guardavo quelle righe verdi andare su e giù troppo velocemente.

TOM!”, urlai con tutte le mie forze.

Di colpo sia il rasta sia la madre tacquero e mi guardarono allibiti. Ora quel suono echeggiava nella stanza. Tutti non sapevano che fare di fronte al monitor della macchina elettrocardiografica, che stava disegnando segmenti troppo alti e troppo ripidi emanando BIP troppo alti e ripetuti.

Improvvisamente la porta della stanza si spalancò ed entrarono quattro persone, una delle quali gridava:”Codice rosso! Codice rosso stanza 88!”

Tutti e quattro avevano lunghi camici bianchi e altrettanto bianchi erano i pantaloni che avevano sotto, l’unico colore diverso era quello della mascherina che indossavano, che era verdognola. Tre di essi corsero subito vicino al letto di Bill e lo scoprirono da tutte le coperte. Io mi alzai subito dalla sedia e mi allontanai, lasciano completamente la zona libera. Il corpo di Bill era quasi mostruoso: era così magro che potevo vedere la cassa toracica. L’infermiera che aveva urlato, non si unì al gruppo ma si avvicinò a noi, che ci eravamo ammassati nell’angoletto più lontano dal letto.

“Devo invitarvi a uscire, è un’emergenza.”, ci annunciò con molta rapidità, spingendoci uno ad uno verso la porta.

Quando appoggiò la mano sul braccio di Simone, per accompagnarla fuori, lei l’afferrò per le spalle e gridò:”Cosa sta succedendo a mio figlio?!”

Sul suo volto era dipinta una vera maschera di paura e disperazione. Vedendo che l’infermiera non rispondeva, ma scuoteva solo il capo, urlò di nuovo la stessa domanda. Noi quattro guardavamo allibiti la scena.

“Dobbiamo usare il defibrillatore, il suo cuore sta cedendo.”

A quelle parole, Tom si avvicinò alla madre come un automa e la prese delicatamente dalle spalle e la portò fuori di lì. Fuori da quell’incubo in cui stavamo vivendo. David, Daisy ed io li seguimmo e appena misi i piedi nel corridoio, sentii la porta sbattere dietro di noi. Ci sedemmo tutti sui sedili di plastica attaccati al muro e rimanemmo tutti a fissare quel pezzo di legno che ci divideva da Bill e Viola.

L’unico rumore che sentivamo era il medico che urlava. “Uno, due, tre, scarica!”

   
 
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