Capitolo 23
Lasciare quella che per loro era diventata la casa del loro
amore non fu facile. Violet osservava ogni singola stanza di quella villetta,
ricollegandovi un pensiero felice ciascuna.
La cucina era stata luogo di dolcissime colazioni preparate dal
suo Cioccolatino; la camera da letto era il luogo dove per la prima volta si
erano uniti dando sfogo al loro amore. Ricordava ancora l’impaccio della prima
volta, ma ricordava anche le altre volte che quel letto era stato ospite delle
loro unioni e del senso di pienezza e felicità che poi provava; la camera da
letto di Jackie l’aveva collegata alla favola della buona notte che le aveva
raccontato la sera che si era rappacificata con Nate, ma ricordava anche i
momenti in cui aiutava la piccola a prepararsi per andare a dormire e ogni
volta lei le ripeteva che il suo fratellone era fortunato ad averla, perché lo
rendeva felice; il bagno o meglio la doccia e tutte quelle bollenti, ma anche
rilassanti che aveva fatto con la sua dolce metà; ed in fine il salotto:
l’ultima stanza che avrebbe visto di quella casa, ma anche la prima ad averla
accolta. Ricordava ancora quando vi era entrata di corsa il primo giorno che
aveva messo piede in quella casa. Era bagnata fradicia per colpa di
quell’improvviso acquazzone e gocciolava per tutto il parquet.
Ne erano cambiate di cose: ora stava partendo; stava lasciando
West Newbury alla volta della California. Stava per andare all’università e
iniziare davvero la sua vita, mettendosi in gioco in un ambiente che non le era
famigliare. Era spaventata all’idea di abbandonare quel suo porto sicuro e
dolce che l’aveva cullata innumerevoli notti; proprio come iniziarono a fare le
braccia di Nate in quel momento.
“Scimmietta, dobbiamo andare. Se non ci mettiamo in marcia
adesso non arriveremo mai.”
“Lo so.” Il suo tono era triste. Stava lasciando tutto per
l’ignoto; ma questa volta non era da sola come quando si era trasferita nel suo
monolocale a sedici anni. Ora aveva Nathan, lui era la sua sicurezza, e sentiva
che quell’abbraccio l’avrebbe fatta sentire a casa ovunque.
Si voltò tra le braccia del ragazzo e gli scoccò un leggero
bacio a fior di labbra. “Andiamo. Diamo il via alla nostra nuova vita.”
“Abbiamo mangiato pane e melodramma stamattina a colazione?” Le
sussurrò Nate fra i capelli.
“Lo sapevi dal primo giorno che ci siamo incontrati.”
“Oh sì. Me lo ricordo bene! Ricordo il tuo viso scocciato per
la mia interruzione. Sembrava proprio fossi andato a risvegliare il can che
dorme.”
Violet sorrise a quel ricordo: l’irritazione che aveva provato
quel giorno era di livelli epocali. “Eri proprio un gran rompi scatole.
Distraevi una studentessa modello dai suoi libri.”
“Si, ma devi ammettere che poi certe distrazioni hanno iniziato
a piacerti.” Ammiccò il giovane.
“Ok lo ammetto. Hai proprio un brutto ascendente su di me.” Gli
cinse le braccia al collo e gli diede un altro bacio.
“A me questo sembra un ottimo ascendente!” rispose al bacio
prendendola in braccio. “Dobbiamo andare, Jackie ci aspetta in macchina.” La
rimise a terra e prese una mano tra le sue.
Insieme chiusero la porta di quella casa che per loro era tanto
importante. Aveva rappresentato un punto di svolta per entrambi: la fuga dalla
grande mela di Nate e Jackie e la conseguente liberazione dei problemi che li
stavano facendo colare a picco; il riemergere di Violet dalla sua ombra che per
anni l’aveva circondata.
Chiusa una porta si apre un
portone. Questo era il proverbio, ma anche la realtà che si parava ora davanti
agli occhi di quella particolare famigliola.
Il portone d’ingresso della
Berkeley – seppur ancora in lontananza - era enorme, per non parlare del
cancello e del cortile che li aveva appena accolti.
Avevano fatto quattro
giorni di viaggio con diverse tappe prima di arrivare a destinazione: avevano
portato Jackie a vedere le cascate del Niagara, dirottando un po’ la loro via,
ma ne era assolutamente valsa la pena. La piccola era felice e mentre indossava
quel piccolo impermeabile giallo correva lungo le ringhiere e si godeva le
piccole gocce d’acqua che le inumidivano il viso.
Dopo quella giornata ad
osservare quella meraviglia naturale si erano fermati anche al Disneyland Park,
ad Anaheim, in California. Volevano regalare a Jackie
un po’ di serenità visto che aveva dovuto abbandonare i suoi amichetti e alla
partenza era un po’ contrariata.
Anche quella tappa aveva
riportato il sorriso sulle labbra color cioccolato della bambina.
La loro vecchia Chevy procedeva lentamente lungo il viale alberato, mentre
Jackie osservava quei grandi prati dove già immaginava di poter scorrazzare;
Violet era incantata dall’enormità dell’edificio che si era abituata a vedere
sulle piccole brochure e Nate si sentiva un po’ diverso, come se non
appartenesse a quell’ambiente. Lo nascondeva bene però; non voleva far
preoccupare Violet con la sua inadeguatezza. Quello era il posto della sua
ragazza: non la immaginava altrove e lo poteva leggere nei suoi occhi color
ghiaccio che era quello che lei voleva. Il suo sogno stava diventando realtà e
lui era davvero felice per lei.
Seguì le indicazioni che
dirigevano agli alloggi, e fortunatamente non trovò molta gente ad intasare
l’ingresso. Avevano scelto il periodo ideale per partire: mancavano due
settimane dal rientro accademico, per cui poche matricole si erano già
accaparrate gli alloggi a loro riservati. Tutti pensavano a godersi la vacanza
in libertà, ma loro, avendo qualche preoccupazione in più da gestire avevano
deciso di anticipare un po’ i tempi.
Una volta arrivata a
Berkeley dovevano trovare un appartamento dove stare, perché Nate e Jackie non
potevano soggiornare negli alloggi studenteschi.
Nate non voleva che Violet
fosse già stressata i primi giorni dell’università, perché aveva sempre pensato
che quella dovesse essere un’esperienza bellissima e che se lui non poteva
viverla, la sua compagna doveva farlo appieno; così partire con un po’ di
anticipo gli avrebbe permesso di fare le cose con più calma.
Trovarono un parcheggio –
con molta fortuna, aggiunse Violet – non molto lontano dall’ingresso del
dormitorio.
Grazie ai voti esemplari
della ragazza e anche al suo colloquio che aveva colpito molto il rettore, le
avevano assegnato una stanza in uno dei migliori appartamenti per studenti sul
campus.
Al 2535 di Channing Way, le spettava un appartamento da dividere con
altri studenti che sarebbero arrivati per l’inizio dell’anno universitario.
Sapeva solo che le camere
erano doppie, e alcune dotate di letti a due piazze. Un lusso che non pensava
potesse esserle riservato.
Scesero dalla macchina
tutti insieme, quasi in sincrono, e tutti con lo stesso sguardo meravigliato.
“Benvenuti a Berkeley.” Una
voce alle spalle li accolse. Quella voce roca e profonda apparteneva ad un
certo Garth – così diceva la targhetta – un signore di mezza età dalle guance
leggermente scavate e un sorriso simpatico.
Violet sorrise e lui
continuò.
“Sono Garth, l’addetto
all’accoglienza per i nuovi arrivati, nonché il custode del dormitorio. E voi
siete?”
“Io sono Violet Peterson.”
“Ben arrivata, Miss
Peterson; come d’accordo le abbiamo riservato un alloggio che al primo piano. È
un alloggio per quattro persone, ma per ora i suoi coinquilini saranno due:
Miss Davemport e Mr Les Jardins. Prego, seguitemi. ”
Nate non poté fare a meno
di trovarsi in disaccordo con quella sistemazione: la sua Violet doveva
dividere l’appartamento con un ragazzo?! No non se ne parlava. Non finché c’era
lui a Berkeley.
“Chi è questo Mr Les
Jardins? Già dal nome mi sa di damerino.” Sussurrò alla sua fidanzata, per non
farsi sentire dal custode.
“E che ne so io, sono
appena arrivata; non sapevo con chi dovessi dividere l’appartamento.”
“Ma dove sono finiti i
dormitori separati? Maschi da una parte e ragazze dall’altra?”
“Non lo so, ma fa niente.
Tanto non mi interessa il francesino.”
“Come fai a dire che è
francese? Senti già la puzza?”
“No stupido, è per il
cognome.” Sghignazzò cercando di non farsi scoprire.
“Può venire anche dalla
Cina, per quanto mi riguarda, ma non sono d’accordo che sia nel tuo stesso
appartamento.”
“Sei geloso, Nate?”
“No.”
“No?” Domandò la mora,
impuntandosi sui due piedi e pugni ai fianchi.
“Ok, d’accordo sono geloso.
Ma mi sembra normale visto che anche Mr. Accoglienza si è ringalluzzito
vedendoti.”
“Ma non dire sciocchezze:
sai che per me ci sei solo tu.”
Entrarono nell’edificio
bisbigliando, mentre Jackie alle loro spalle ridacchiava vedendo l’espressione
corrucciata del suo fratellone.
Presero le scale di pietra
e seguendo Garth entrarono poi nell’appartamento 2. Il custode gli fece fare un
mini tour indicandogli dove erano le stanze, e i bagni e poi chiese loro se
avevano domande, altrimenti Violet poteva sistemarsi nell’appartamento.
“Oh finalmente un letto
comodo! Quello dell’ultimo motel non era il massimo.” Nate si accasciò sul
letto che aveva scelto la sua compagna. Non per egoismo, ma aveva scelto la
parte dell’appartamento più grande:
aveva bisogno di spazio per tenere anche le cose di Nate e Jackie.
Avevano portato tutti i loro averi in quel viaggio, l’unico a mancare era il micione rosso di Violet. L’aveva lasciato alla sua vicina,
perché all’università le avevano esplicitamente detto che gli animali non erano
ammessi negli alloggi multipli finché non c’erano tutti gli inquilini a dare il
loro consenso. Se anche solo uno avesse negato il permesso, allora l’animale
non poteva entrare nel territorio dell’università.
Violet sperava di poterlo
riavere con se per Natale. Era pragmatica, sapeva che non poteva viaggiare da una
parte all’altra dell’America per recuperare il suo gatto. Così, avendo
accettato l’invito per le feste da parte della sua famiglia, sperava di poterlo
riportare con sé in California alla fine di quel viaggio.
“Sono davvero lussuosi
questi appartamenti. Meno male che ho la borsa di studio che copre le spese,
altrimenti non potrei mai permettermelo.”
Nate la trascinò accanto a
sé sul letto e prese ad accarezzarle la guancia seguendo con lo sguardo i
riflessi della luce negli occhi di ghiaccio della sua compagna. “Non ti
crucciare, amore mio. Tutto quello che hai è ciò che ti meriti; per cui ora
portiamo dentro le valigie e poi usciamo alla ricerca di un posto per me e
Jackie.”
Se fosse stato per Violet,
i suoi due componenti della famiglia sarebbero rimasti con lei, ma la politica
del college era rigida anche su quello.
Negli alloggi non erano
ammessi in maniera permanente i non studenti, e non importava che loro fossero
un caso particolare.
Con tutta la buona volontà
possibile iniziarono la ricerca partendo dagli appartamenti più vicini al
campus.
Trovarono un paio di
soluzioni carine, che tuttavia non erano abbordabili per il loro budget, a meno
che non volessero prosciugarlo in poco tempo.
Violet aveva con sé i soldi
che avevano messo da parte i suoi genitori e Nate aveva i suoi risparmi di una
vita, ma non volevano sperperarli per una questione di pochi chilometri di
distanza.
Vagarono per ore per la
città, Jackie si addormentò tra le forti braccia del fratello, ma quel giorno
non trovarono niente che facesse al caso loro.
Avevano tentato anche con
appartamenti condivisi tra studenti, ma all’idea di avere una bambina per casa
gli affittuari si tiravano indietro. Insomma chi lo faceva fare a dei ventenni
di tenersi una marmocchia tra i piedi quando potevano spaccarsi e divertirsi
tutte le sere, lontani e protetti da occhi indiscreti?
Da un certo punto di vista
Violet capiva quei giovani, avevano finalmente la loro indipendenza e libertà
che lei aveva già ottenuto da ben due anni: l’ebbrezza di vivere da soli,
nessun controllo da parte dei genitori che probabilmente vivevano dall’altra
parte del paese e la possibilità di divertirsi senza dover rendere conto a
nessuno.
Ovvio, lei non aveva
utilizzato la sua libertà allo stesso modo, ma quante volte si era concessa di
andare a letto all’alba per poter finire un libro? Oppure per fare la maratona
del suo telefilm preferito?
Eppure non capiva come alle
volte la gente potesse essere così ottusa. Non capivano che, se un ragazzo e
una bambina cercavano un appartamento, non era per divertimento?
Non potevano mettere da
parte almeno per un momento l’idea di divertirsi?
Tornarono all’alloggio con
i piedi che chiedevano pietà per quanto avevano camminato. Stanchi decisero di
concedersi una pizza prima coricarsi.
Violet era leggermente
turbata; la sua paura era che da lì a un paio di settimane non sarebbe cambiato
niente e che allora sarebbero cominciati i problemi. Cosa poteva fare per far
rimanere il suo ragazzo con lei al college? Onestamente sapeva di non poter
sopportare di averlo lontano; era proprio per quello che non voleva accettare
l’offerta dell’università in principio.
Non sapeva come fare, ma
non poteva parlarne e turbare ulteriormente Nate. Almeno non dal primo giorno.
Si alzò dal letto senza fare
rumore, attenta a non svegliare il suo compagno, prese il cellulare dalla borsa
e uscì sul balcone.
“Bambi, tu davvero non sai cosa voglia dire chiamare ad un’ora
decente!” borbottò
il suo migliore amico dall’altra parte della cornetta.
“Hai ragione, scusami. Ma
non sapevo chi altro chiamare.” Le venne automatico di abbracciarsi da sola con
il braccio libero; voleva proteggersi dalle sue stesse parole.
“Problemi in paradiso?”
“Non proprio.”
“Non posso credere che Nate ne abbia combinata un’altra delle sue.” Violet sorrise; per quanto
Ricky stesse cercando di andare d’accordo con il suo ragazzo, era sempre
all’erta. Aveva paura che la facesse soffrire ancora.
“No no,
non è colpa sua questa volta. È che non so come fare per farlo rimanere a
Berkeley con me. Se non trova un alloggio al di fuori del campus, dovrà tornare
a West Newbury con Jackie.” Si sedette sulla sedia di paglia e si rannicchiò
abbracciandosi le gambe.
“Vì, che giorno è oggi?”
“Il 21 del mese, perché?”
“Perché sei lì da nemmeno 24 ore e hai già l’ansia. Prendi fiato e vivi
quest’esperienza giorno per giorno. Non puoi pensare di passare le giornate con
tutti questi problemi per la testa, altrimenti vivrai malissimo l’esperienza
del college.”
Sbuffò, possibile che
nemmeno il suo migliore amico la capisse?
“E non pensare che non ti capisca. So che hai paura di ritrovarti di
nuovo da sola, ma avete ancora tempo e sono sicuro che qualcosa troverete. Nate
ti ama e scommetto che si farà in quattro per trovare una soluzione.”
Sentire quelle parole
pronunciate ad alta voce tranquillizzò la giovane matricola e la spinsero a
salutare Ricky e lasciarlo al sonno che lei stessa aveva interrotto.
Rientrò silenziosamente,
prese un bicchier d’acqua e poi tornò in stanza.
Si addormentò presto, a
causa della stanchezza, ma il sonno non fu per niente ristoratore.
**
Si svegliarono di
soprassalto, disturbati dal forte bussare di qualcuno alla porta.
Violet si lagnò per un
momento, per poi iniziare a stiracchiarsi come una gatta. “Ma non hanno le
chiavi?”
“No piccola, le abbiamo noi
nell’appartamento. Ce le ha lasciate Garth, così da non essere disturbati.”
Ammiccò il suo ragazzo abbracciandola.
Il rumore si fece sempre
più intenso tant’è che Nate si convinse ad alzarsi e ad andare ad aprire.
“Era ora! Mi stavano
venendo i calli per quanto ho bussato.. Per la miseria!” fu il commento di una
bionda tutto pepe che aveva iniziato ad imprecare prima ancora di vedere
Nathan. Era rimasta a bocca aperta e senza parole; si era trovata in difficoltà
davanti alla bellezza del ragazzo ed era sicura di essere risultata poco fine
ai suoi occhi. Non che la finezza fosse una delle sue migliori qualità.
“Scusaci stavamo ancora
dormendo.” Aprì del tutto la porta per far entrare la ragazza.
“Fino a quest’ora? Ma solo
già le nove.” La sua tenuta da notte – canottiera e boxer – di certo non
aiutava gli ormoni ballerini della bionda.
“Sono ancora le nove vorrai dire.” Sorrise Nate andando a chiamare
Violet.
“Scimmietta, sembra che sia
arrivata la coinquilina.”
“Hai un animale? Non
pensavo si potesse portare animali negli alloggi.” Il moro scoppiò a ridere
capendo il malinteso, lasciando la nuova arrivata interdetta.
Violet uscì dalla stanza da
letto e, solo allora, la bionda capì di aver fatto l’ennesima figuraccia.
“Oh scusami, i-io.. non
volevo darti dell’animale.” Era arrossita.
“Non ti preoccupare. È
colpa di questo cafone che non si è nemmeno presentato.” Tirò una gomitata al
suo ragazzo. “Io sono Violet.” “E lui è Nathan, il mio ragazzo.” Aggiunse,
notando come gli occhi della nuova arrivata analizzavano il suo ragazzo.
Se possibile la biondina
arrossì ancora e poi si presentò: “Io sono Sarah.”
“Beh, ben arrivata Sarah.”
Si sforzò di sorridere, non voleva instaurare un cattivo rapporto con la sua
coinquilina a causa dell’effetto che Nathan faceva sulle ragazze. Era bello, e
lei ne era consapevole, lo aveva notato anche quando erano andati alla ricerca
dell’appartamento la settimana prima.
“Dove posso sistemarmi?”
“Scegli tu, ci sono ancora
tre stanze a disposizione.” Le disse indicandole le porte alle sue spalle.
Sarah si fiondò subito su quella più vicina, giusto per dare un’occhiata.
“Tu vatti a vestire!”
ordinò Violet sottovoce al suo ragazzo.
“Ritira gli artigli, micetta. Non mi piacciono le bionde.” Sogghignò sparendo
oltre la porta della loro stanza.
Leggermente compiaciuta si
affacciò alla porta dove era entrata Sarah.
“Ti piace qui?”
“Cazzo, mi hai spaventato.”
Urlò sorpresa dall’ingresso della mora.
Wow, quella ragazza non
aveva peli sulla lingua, diceva esattamente quello che le passava per la testa.
Era un po’ come Violet, ma decisamente più volgare.
“Scusa, non volevo. Avevo
solo bisogno di parlarti di una cosa.”
“Sono tutta orecchi.”
Trillò Sarah incuriosita.
“Vedi.. ecco… Volevo solo
dirti che presto Nate e Jackie se ne andranno da questo appartamento, visto che
non sono studenti.”
“Wow, una relazione a tre? Figo, non pensavo potessero funzionare.”
Violet scoppiò a ridere,
l’ingenuità mista alla malizia di quella ragazza erano proprio divertenti.
“Ho detto un’altra cazzata,
non è così?”
“Sì, beh per quanto possa
essere una situazione allettante non è il nostro caso. Jackie è la sorellina di
Nate. È una storia complicata e che ora non mi sento di raccontarti nel
dettaglio. Volevo solo avvisarti di non spaventarti nel caso vedessi una
bambina gironzolare per l’appartamento.”
“Posso vederla?” si fece
avanti incuriosita.
“Veramente adesso sta
dormendo; magari dopo, okay?”
“Certo, non c’è problema.”
Le due ragazze si sorrisero a vicenda.
“Credo che mi sistemerò in
questa stanza; mi piace la vista sul parco.”
“D’accordo. Io vado a
preparare la colazione, tu vuoi qualcosa?”
“Cazzo sì, ti prego. Sto
morendo di fame.”
“Pancakes?”
“Io ti adoro.”
“È Nate il cuoco, però non
adorarlo troppo.”
“Oh, sì sì,
okay. Anche prima non intendevo mancarti di rispetto, non avevo capito che
fosse fidanzato...”
“Tranquilla. Sono
consapevole dell’effetto che faccia. Sono io che tendo a marcare il
territorio.”
“E fai bene, cazzo. Se fosse
il mio ragazzo lo farei anche io.” Violet non era abituata a sentire tutte
quelle parolacce, però non le davano fastidio. Nel complesso le trovava
simpatiche, come la ragazza che le pronunciava. Sarah era una bionda alta quasi
un metro e ottanta, formosa in certi punti e sprizzava gioia anche stando in
silenzio. Da quando era entrata nell’appartamento, figuracce comprese, aveva
sempre avuto il sorriso.
L’unico problema era che
doveva contenere la sua prorompente simpatia con Jackie, non voleva che crescesse
scaricatrice di porto, per colpa/merito della sua coinquilina. Per ora decise
di non dirle nulla, magari ci sarebbe arrivata da sola.
“Ci dispiace signorina
Peterson, conosce la nostra politica riguardo agli ospiti degli alloggi.”
Quella era l’ennesima volta che tentava di dare una chance a Nate di rimanere
nel suo appartamento. Per vie lecite non c’era nulla da fare, e la sua
coinquilina le aveva suggerito di percorrerne altre; dopotutto se non avevano
ancora un posto dove stare, lui e Jackie non potevano di certo dormire sotto un
ponte.
Iniziarono così i primi due
giorni di orientamento delle matricole e Violet si trovò immersa in un ambiente
freneticamente affollato e che lasciava poco spazio alle insicurezze. Non aveva
immaginato che potesse essere così, ma nell’ambiente universitario si era
lasciati a sé stessi. Non c’era nessun professore che si affezionava
particolarmente al tuo caso perché ne conosceva la storia, nessuno sapeva
niente della vita personale degli altri a meno che non fossimo noi i primi a
raccontarla. Era un ambiente dove ognuno poteva sviluppare la propria
individualità e a Violet piaceva molto.
Nessuno faceva troppe
domande, totalmente assorto nei propri pensieri, altri prendevano costantemente
appunti e altri ancora – proprio come lei – memorizzavano tutto quello che
vedevano e sentivano. Era completamente affascinata dalle strutture
architettoniche imponenti, dall’enorme biblioteca e la loro giovane guida, a
suo parere, doveva essere completamente innamorata di quel posto perché lo
descriveva come il paradiso.
La prima giornata
d’orientamento volò via in un baleno e Violet e Sarah tornarono
nell’appartamento con un bel po’ di brochure illustrative di tutti i corsi
possibili e immaginabili.
Violet era orientata verso
letteratura e giornalismo mentre Sarah cercava qualcosa di più esotico.
Continuava a ripeterle che non era venuta fin lì dal Mariland
per studiare qualcosa di così comune.
Il secondo giorno fu
organizzato in modo differente. Una parte dell’ateneo era dedicata solo ai
nuovi arrivati e ad ogni aula corrispondeva una facoltà, e per ognuna era
possibile parlare con un professore e con un paio di alunni già laureati in
quel corso.
Mentre le due coinquiline
si separavano e seguivano ognuna la propria cartina, Nathan e Jackie si
diressero in città. Le scuole elementari sarebbero iniziate in nemmeno un mese
e loro dovevano darsi da fare e vedere quale scuola della zona accettasse
ancora iscrizioni.
“Fratellone, io non voglio
andare a scuola.”
“Jackie, che capricci sono
questi?”
“Non ci voglio andare!” si
impuntò sui piedi, interrompendo così la loro passeggiata.
“Da quando hai cambiato
idea? Hai passato tutta l’estate a dire di volerci andare.” Nathan si chinò
davanti a lei, non lasciandole la manina.
“Ma io non posso andare a
scuola.” Asserì contrita e con lo sguardo fisso verso il basso.
“E perché non potresti?” Le
chiese il fratello alzandole il mento, per fissare i loro occhi scuri gli uni
negli altri.
“Perché non ho le cose per
andare a scuola.” Faceva di tutto per evitare di incontrare gli occhi di
Nathan.
“Le possiamo comprare.” Non
capiva bene cosa turbasse la sorellina, eppure dove essere qualcosa di
profondo, tanto da renderle gli occhi lucidi.
“No, la mamma dice sempre
che se compriamo le mie cose per la scuola poi non possiamo mangiare la cena.”
Ecco qual’era il problema:
la vita a New York le aveva lasciato cicatrici più profonde di quelle che
sarebbero mai potute rimanere sulla sua pelle.
Era evidente che non aveva
vissuto come una comune bambina; ed ecco svelato anche il motivo per il quale
non aveva mai chiesto dei giocattoli nuovi e si ostinava ad abbracciare quel
logoro orsacchiotto e la foca di Violet.
“Jackie, piccola, non ti
preoccupare: possiamo comprare tutti i pastelli colorati che vuoi. Adesso fammi
un sorriso che alle maestre non piacciono i bambini tristi.”
“Davvero mi compri i pasteli?” gli
occhi le brillavano.
“Certo! Adesso andiamo a
scuola e poi andiamo al centro commerciale a comprarli.” Jackie lo abbracciò di
slancio e lui ne approfittò per prenderla in spalletta come piaceva a lei e
riprese a camminare tranquillo e sorridente per le vie di Berkeley.
Jackie venne accettata
dalla Walden Center School,
poco fuori dal campus dell’università, e come le aveva promesso suo fratello,
quella sera rientrarono a casa con tanti pastelli colorati, dei blocchi da
disegno e un diario con tante fate colorate. Jackie era sorridente e rilassata,
mentre invece Violet era tutta un fascio di nervi.
Non era la prima volta che
la trovava così quando rientrava a casa. Evidentemente era l’ennesimo tentativo
di trovare una soluzione andato male. Seduta al tavolo, con le mani nei
capelli, quasi rantolava esasperata.
“Piccola non ti
preoccupare. Ce la caveremo. Per ora possiamo ancora rimanere qui, no? Domani
penseremo ad una soluzione.” Le baciò il capo e poi si sedette accanto a lei.
“Nate, ho paura. Ho
chiamato adesso il municipio per sapere se avevano degli annunci sotto mano, ma
la risposta è stata ancora negativa.”
Intrecciò le dita alle sue e continuò nel suo discorso. “Ho paura perché
non abbiamo trovato niente prima che iniziassero i corsi, dubito che troveremo
qualcosa ora.”
“Io non sarei così
scettica.” Intervenne Sarah. “Non volevo origliare, ma non ho potuto farne a meno;
comunque vedrai che nel giro di un mese si libererà qualcosa. Ne sono certa. Ci
sono ancora le ultime lauree e gli studenti che se ne andranno lasceranno
liberi i loro alloggi.” Si diresse al frigo e prese un po’ di succo di frutta
per poi sparire nuovamente nella sua stanza.
“Ecco, hai sentito Sarah?
Ci possiamo pensare domani. Adesso hai bisogno di rilassarti.”
“Nemmeno un soggiorno
termale di un weekend intero potrebbe rilassarmi.”
“Io avrei un’altra idea.”
Ammiccò indicando la camera da letto.
“E Jackie?”
“È impegnata con i pastelli
e l’album per disegnare.” Nate si alzò e tenendola per mano la avvicinò a sé e
inizio a posarle leggeri baci sul collo per poi passare alle sue labbra.
Dopo un bacio che di casto
aveva ben poco, con gli ormoni più ballerini che mai si rinchiusero nel loro
nido e si presero l’uno cura dell’altro, stando attenti a mantenere un certo
livello di discrezione.
***
“Nate, cazzo la sveglia.”
Violet si alzò di soprassalto convinta di aver dormito troppo. Il suo compagno
dormiva ancora beatamente; dopotutto erano ancora le cinque di mattina.
Si perse per un po’ ad
osservarlo e poi senza far rumore si alzò dal letto.
Il silenzio regnava
nell’appartamento e, guardandosi in giro, decise di sistemare un po’ i pastelli
di Jackie e raccogliere il disordine che aveva lasciato sul tavolino del
salottino.
Nel sistemare si soffermò
sul disegno lasciato incompiuto dalla bambina: vi era un bel giardino grande
con qualche albero tremolante e poi c’erano tre persone nel mezzo. Due scure e
una magra ragazza dalla pelle chiara e con lunghi capelli neri.
C’era un tetto che
galleggiava nell’aria sopra le loro teste, ma quello era un dettaglio
insignificante in quel momento. Violet era commossa da quel disegno. Non si
aspettava che Jackie la considerasse davvero parte della sua famiglia;
dopotutto una mamma lei ce l’aveva, eppure di Renée
non c’era traccia in quel disegno.
“Ti vuole davvero bene. Lo
vedo come osserva i tuoi movimenti e poi li ripeta come un’ombra.” Sarah era
appoggiata allo stipite della porta e la osservava.
“Eh?” rispose interdetta.
“Un esempio? In bagno la
mattina: vi spazzolate allo stesso modo. Lei ti osserva seduta sul bidè e poi
appena tu esci ripete minuziosamente i tuoi gesti.”
Gli occhi di ghiaccio della
mora diventarono lucidi. “Non ci avevo mai fatto caso.”
“È da tanto che Jackie vive
con voi?”
“No. Da marzo.” Rispose
tirando su col naso.
“Beh, non sarà tanto, ma si
è sicuramente affezionata molto.” Si sedette anche la bionda sul divano.
“Sì, come avrai capito
siamo una famiglia un po’ particolare.” Ammise timidamente Violet.
“Non devi raccontarmi nulla
se non vuoi.”
Ci fu un momento di
silenzio, e quando Sarah si stava per alzare la mora riprese a parlare.
“Nate ha ottenuto
l’affidamento di Jackie a marzo. Prima viveva nel Bronx con la madre e il
fratello Ryan.” Pronunciare quel nome scatenò un brivido in lei. “Nathan non ha
un bel passato. Sta ancora cercando di lasciarsi tutto alle spalle. È proprio
così che l’ho conosciuto.” Sorvolò abilmente sui dettagli della vita di Nate
prima di West Newbury.
“Lui si è trasferito nella
mia cittadina e il giorno che ci siamo conosciuti abbiamo discusso.” Sorrise.
“Insomma, prima io non ero così.. così aperta caratterialmente diciamo. Mi
comportavo davvero da stronza se vogliamo dirla tutta. Mi nascondevo dietro il
mio muro e non davo retta a nessuno, ma Nate è entrato nella mia vita prima
schiantandosi contro quella mia barriera, ma poi è riuscito ad abbatterla
mattone dopo mattone. Mi ha fatta innamorare dei suoi modi gentili e del suo
umorismo alle volte fuori luogo e dei suoi occhi profondi.”
“Wow. Sembra quasi la
storia di un romanzo.”
“Ma non lo è: è vita vera.”
Concluse quella breve sessione di confessioni sorridendo ed alzandosi dal
divano. “Vuoi qualcosa da mangiare? Io sto morendo di fame.” Cercò di portare
l’attenzione della sua coinquilina lontana dalle sue ultime affermazioni, ma
non ci riuscì.
“Grazie per avermelo
raccontato. Poi ti racconterò anche io la mia storia. Adesso però, diamoci
sotto col cibo che il mio stomaco mi sta implorando di essere riempito.”
Sorrise la bionda e prese a collaborare in cucina con Violet.
♥♥♥ Buon San
Valentino donzelle! ♥♥♥
Scusatemi per l’infinita attesa, ma la mia ispirazione era partita
per Boston invece che per Berkeley con Violet e Nate.
Spero che questo aggiornamento vi faccia piacere! ^^
Non dimenticatevi di Mr Les Jardins! Presto arriverà a portare
un po’ di scompiglio! :D
Se volete lasciarmi un parere, sarò ben felice di leggerlo!
Un bacione e un cioccolatino virtuale per ognuna di voi.
Giuliet.