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Autore: Anima97    15/02/2013    1 recensioni
Dietro quella che sembrava un'assurda lunga passeggiata tra le pagine di un libro,
c'era in realtà qualcosa di ben più articolato e ancora confuso.
Qualcosa che nessuno, oltre lei e chiunque l'avesse mandata, doveva conoscere.
Qualcosa che andava oltre il Bene Superiore.
E questo, lei lo sapeva.
Tra misteri, sentimenti e avventure, può una banale ragazzina sconfiggere ciò che è più grande di lei con l'amore?
Genere: Avventura, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Remus Lupin, Sirius Black
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da V libro alternativo
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In missione per conto di Dio.


Grimmauld Place numero dodici.
Prima parte.

Gli abitanti di quel villaggio nella grande radura del castello non sembravano essersi accorti, quella sera di Giugno, di ciò che succedeva a pochi chilometri dalle loro apparentemente sicure abitazioni, su quella piccola collina di sassi e terra arida, abitata solo dalla figura illuminata dalla luce lunare di un faggio nodoso e spoglio che nascondeva tra le sue radici una cavità spaziosa, simile a una grotta.
Poco lontana dal quell'albero una catapecchia decadente, con le finestre sbarrate da assi in legno, circondata da una staccionata ormai integra solo per alcuni pali che facevano fatica a reggersi e un giardino che somigliava più a un cimitero abbandonato immerso nella giungla, tra carcasse di piccoli animaletti, piante morte, alberi abbattuti da quelli che sembravano enormi artigli. Era li che nessuno avrebbe voluto trovarsi, soprattutto in una notte come quella, perchè gli abitanti di quel villaggio, nonostante fossero passati anni, non si fidavano di quella che veniva chiamata "Stamberga Strillante" e chiunque altro non li avrebbe biasimati.
Eppure il luogo abbandonato quella notte godette di una vita. Ignara, addormentata, davanti la porta miracolosamente ancora appesa ai cardini, giaceva una ragazza.
Quando aprì gli occhi la prima cosa che vide fu il cielo stellato oltre i rami senza vita di un albero e la luna che si nascondeva timida oltre una nuvola bassa. La ragazza si rese subito conto che certamente quella non era la sua camera da letto e, nonostante ricordasse di essersi messa il pigiama dopo aver letto come al solito un capitolo (e forse qualcosa in più) di un libro a suo parere poco interessante prima di dormire, ora si trovava addosso i vestiti che indossava più spesso, logori e sporchi di acrilici dall'uso eccessivo. Si guardò intorno confusa, le faceva male la testa e sentiva freddo, mentre l'ansia venne preceduta da uno sfuggente senso di sicurezza: stava sicuramente sognando, eppure sentiva la terra infertile sotto le sue mani e la brezza estiva sul viso. Quel panorama le era lontanamente familiare, ma quelle case poco lontane, vicine a quel castello abbandonato e decadente le provocavano solo timore. Non era la sua città, quella, non c'era traccia della presenza di qualcuno, ma non poteva esserci arrivata da sola.
Si volse alla sua sinistra, come a voler ritrovare il comodino dove solitamente poggiava l'orologio, ma al suo posto c'erano solo radici e pietre e poco più in la uno zaino piccolo e logoro come i suoi vestiti. Fulminea, si mise a quattro zampe e gattonando si avvicinò all'unico appiglio di speranza in quel luogo sconosciuto. Ansimando nel grande sforzo di rimanere calma e con le mani più ferme possibili cercando di aprire la cinta, frugando con morbosa curiosità nei meandri dello zaino e provando a non gemere dallo sconforto e dall'indignazione trovandovici soltanto una specie di tessuto.
Tutto qui?, si disse, chiunque l'aveva abbandonata li le aveva soltanto lasciato uno zaino pieno di stoffe? 
Si sedette, osservando delusa la sua unica speranza svanire: a primo impatto le sembrò lo straccio che solitamente usava per pulire i pennelli, ma improvvisamente lo vide brillare alla luce della luna appena sbucata dalle nuvole. Con un sussulto afferrò violentemente lo zaino, la vista leggermente appannata dallo stupore: guardando meglio l'oggetto all'interno era molto più ingombrante di un semplice pezzo di stoffa e al tatto era scivoloso, come acqua. 
Una sensazione nuova accompagnata da un brutto presentimento le strinse il cuore, facendole perdere qualche colpo. 
Lo tirò fuori con poca grazia e osservò il mantello allibita.
No, non poteva essere! Non poteva esistere nulla di simile, era solo frutto della sua immaginazione. Forse aveva perso fin troppo tempo dietro quei libri per bambini, non avrebbe mai dovuto cominciare a leggerli, sapeva che l'avrebbero fatta impazzire con tutte quelle storie di incantesimi e creature magiche.
Improvvisamente, come colpita in testa da una padella, volse lo sguardo alla luna sopra la sua testa e rabbrividì. 
Non era stupida: se aveva trovato un mantello, quel mantello, in uno zaino apparso da chissà dove, in quel luogo selvaggio ma lontanamente familiare... La luna piena poteva portare solo guai.
Istintivamente si tappo la bocca con una mano e rimase immobile per terra vicina allo zaino. 
Un tonfo proveniente dalla grotta sotto quell'albero sinistro aveva attirato la sua attenzione, attese a lungo ma non le giunsero altri suoni. Guardò il mantello sudando freddo e controvoglia decise di agire come aveva tante volte letto dentro quei libri per bambini, sicuramente causa in qualche modo di tutto ciò che stava succedendo, però d'un tratto diventati fondamentali con tutte le loro avventure: si accucciò sotto il mantello, facendo attenzione a coprire anche lo zaino e i piedi, e aspettò immobile, fissando il buco nero della grotta.
Come a voler rispondere a delle sue aspettative, dal suo interno echeggiarono grugniti e sbuffi, seguiti da passi soffocati.
Come a volersi preparare ad una vista spiacevole (perchè in fondo sapeva cosa sarebbe apparso di li a pochi minuti), si sistemò meglio sulla terra, poggiando la schiena alla porta leggermente aperta della Stamberga Strillante. Scartò immediatamente la possibilità di entrarvi: quella casa era pericolosa quanto l'essere dentro la grotta.
Perchè l'avevano abbandonata proprio li in quella notte di luna piena? Forse era stato proprio ciò che ansimava minaccioso e nascosto a catturarla per potersene cibare.
Immaginò il suo corpo fatto a brandelli, il sangue e la bestia che gustava la sua carne e si lasciò sfuggire un gemito. Chiuse gli occhi tremando in quella posizione fetale, mentre l'orrore e la paura si diffondevano in lei come veleno.
I rumori da dentro la grotta aumentavano sempre di più. Gli sbuffi erano diventati ringhi e i passi che prima potevano essere sicuramente di una persona sola, ora si affrettavano talmente veloci da poter esser diventati due paia possenti, attribuibili solo ad un...
Riuscì a stento a trattenere un urlo terrorizzato, evitando di far saltare l'unica difesa che in quel mondo aveva, e con il terrore che le mangiava l'anima, cercò di allontanarsi il più possibile dalla grotta senza fare rumori, osservando la figura mostruosa ora illuminata dai raggi lunari e lei non osava neanche sbattere le palpebre per assicurarsi di non essere attaccata: aveva una stazza più imponente rispetto a quella di un qualsiasi animale, le zanne erano ben visibili sotto il muso allungato e nero e, la ragazza notò con orrore, le zampe posteriori erano gambe umane leggermente storte e pelose, sicuramente non ancora trasformate completamente. Delle pupille nere iniettate di sangue fissavano nel punto in cui la povera, terrorizzata ragazza giaceva inerme. 
Sarebbe morta davvero in quel posto sconosciuto, sotto un Mantello dell'Invisibilità, uccisa da un lupo mannaro.
Mentre la bestia avanzava fiutando l'aria, lei potè sentire un odore inconfondibile di terra umida e sangue e per un attimo parve cedere alla di urlare per chiamare aiuto, ma si limitò ad osare distogliere lo sguardo per cercare qualche figura umana, tentò di sporgersi più a lato per osservare meglio il villaggio dietro il lupo e si rese conto che le luci spente delle case presagivano che ben presto avrebbe affrotato la morte sola.
Così giovane, si diceva, così piena di progetti, abilità da coltivare, sogni, speranze, vita!
Scappare, certo, l'unica soluzione, doveva farlo o sarebbe morta, o non avrebbe più respirato l'aria fresca del mattino, non avrebbe più goduto dei sapori, dei panorami, dei sentimenti, del semplice fatto che era anche lei viva in quel mondo di matti e... 
Si riprese, asciugandosi le guance con la mano che non intendeva scivolare via dalla sua bocca.
Scappare... No, si disse ansiosa, troppo pericoloso e stupido. Cosa fare, allora?! Se non l'avesse odorata prima, sarebbe sicuramente inciampato su di lei, assicurandogli una cenetta al chiaro di Luna. E la guardò, forse per l'ultima volta: la Luna. Era piena, bellissima, circondata da poche nuvole e un'infinità di stelle. Desiderò ardentemente poterla vedere ancora, le affidò tutti i suoi ricordi e ritornò di nuovo a guardare il lupo, ormai a pochi metri.
I pensieri le vorticavano velocemente in testa mentre il lupo si avvicinava.
Cercava di ricordare cosa avrebbe fatto una persona più competente e coraggiosa nei suoi panni sentendo il fiato dell'animale sul suo ventre.
Chiuse gli occhi, premette con più disperata forza sul naso e sulla bocca con la mano e pensò a tutto ciò che non avrebbe più rivisto, cercando di capire perchè.
Gli abitanti di quel villaggio nella grande radura del castello, quella notte sentirono solo un ululato, senza sapere che qualcuno, tra le colline, era in pericolo.
 
«Oh, no.» La voce profonda e stanca di un uomo le rimbombò nelle orecchie, in quel buio senza sogni.
Sembrava che fossero passati pochi secondi da quando aveva perso coscienza, ma quando si svegliò il sole la accecava, o forse era quel giramento di testa a farle credere di essere altrove, magari in paradiso o in un luogo simile. Era morta? Non ricordava.
«Svegliati, svegliati...» Nonostante venne cullata dolcemente da una mano, non aprì gli occhi. Si sentiva stanca, i sensi annebbiati, come se avesse corso per ore, con le membra infreddolite e assonnate e ora sentiva il dolore scivolarle addosso. Cercò di ricordare cosa le era successo, l'unica cosa di cui era sicura era che era impaurita da ciò che avrebbe potuto vedere: una grotta, o un albero (chissà perchè la spaventavano tanto), così cercò di illudersi che riaddormentandosi sarebbe tornata magicamente nella sua camera. Magia, perchè questa parola la innervosiva? Nulla le illuminò la memoria.
Quando provò a dormire, sentì solo un leggero formicolio ai fianchi.
La mano aveva smesso di cullarla e aveva sentito la presenza accanto a lei allontanarsi.
«E' viva, non può essere diversamente... non posso aver... devo svegliarla...»
Non ascoltava il borbottare e il gemere di quell'uomo, voleva solo riaddormentarsi e tornare a casa.
Improvvisamente sentì una frase che la turbò in modo eccessivo «Dov'è la mia bacchetta?»
Aprì gli occhi e terrorizzata si mise a sedere, sfiorando con la mano qualcosa di liscio e morbido, lo sguardo fisso sull'uomo con la bacchetta in mano. Era alto, magrissimo e pallido, dai vestiti consunti e in parte strappati, osservava un punto del suo corpo con espressione indefinibile, quasi terrorizzata e quando la vide muoversi, la sua bacchetta tremò.
Sentì una fitta al fianco destro e ben presto divenne un dolore insopportabile. Si portò una mano sul punto ricoperto di sangue e cominciò a boccheggiare con gli occhi sgranati, in un urlo senza suono. Qualcosa la stava mangiando viva, sicuramente, voleva morire e sembrava mancarci poco. Guardò il sangue sparso ovunque sul terreno, le mani che non riuscivano a bloccare la cascata che proveniva dalla ferita che non riusciva a vedere, ma percepiva come profonda e orribilmente grande.
Rivolse uno sguardo intorno a lei, sudando freddo, e vide il mago inginocchiarsi accanto e con aria febbrile e colpevole la sollevò e le borbottò qualcosa come un "andrà tutto bene". Infine vide solo un buio che le mozzò il fiato, sopprimendole i polmoni e per una frazione di secondo si disse morta, poi però poggiò i piedi su una strada circondate da case. Il mago la pose per terra e le porse con mano tremante un fogliettino «Leggilo, veloce, altrimenti non potrò portarti dentro!»
Ma lei sapeva già di cosa si trattava, non lesse il biglietto, cercò di parlare e portò la testa all'indietro stirando i muscoli del collo come se avesse qualcosa incastrato in gola, soffocando.
«Gr... mma... ma...» 
«Cosa stai blaterando? Leggi, ti prego, leggi...»
Anche se avesse avuto intenzione di farlo non ci sarebbe riuscita: il mondo intorno a lei stava svanendo in una nebbia di colori. Il dolore era talmente acuto, era sicura che da un momento all'altro il suo corpo avrebbe cominciato a farsi a pezzi da solo. Sentiva ogni muscolo irrigidirsi e fremere, persino gli occhi sembravano voler scivolare all'indietro, dentro la sua testa, ma doveva farcela, doveva parlare se voleva essere salva.
«Grimm... ace...»
«Cosa?!»
«Numero... Grimmauld Pla... numero dodici! Grimmaul Place numero... dodici!»
Non avvenne niente, nessuna casa apparve tra il numero undici e tredici, lei rimase li stesa insieme a quel mago allibito e confuso.
Vide il foglietto ancora nella mano tremante dell'uomo e lo afferrò con rabbia, passò di sfuggita uno sguardo sulla scrittura elegante, leggera e confusa e finalmente vide i colori sfocati davanti a lei cambiare. L'uomo la prese di nuovo in braccio e si catapultò dentro la casa, chiamando a gran voce qualcuno che la ragazza non sentì.
Sembrava che il fianco fosse un'entità esterna che la stava divorando, sentiva il sangue caldo scorrerle lungo la gamba rigida e qualcuno lo stava succhiando via.
La stesero su una piattaforma morbida, probabilmente un letto, e le sembrò che il cervello rimbalzasse dentro la sua testa, provocandole ancora più dolore.
Quando qualcuno le toccò la ferita con qualcosa di duro, seguito da un senso di freddo, come se fosse linquido, che sentì arrivare in ogni vena del suo corpo, irrigidì ancora di più i muscoli, sentendo le ossa stridere e schioccare tra loro come se avessero perso ogni distanza. 
Non riuscì più a trattenersi e urlò disperata.
«FATELO SMETTERE!»
Nessuno rispose ai suoi strilli, al suo dolore, sembrava abbandonata di nuovo alle grinfie di un lupo mannaro. Altri leggeri tocchi con qualcosa di duro la inondarono di altro freddo e si sentì presa in giro. Cosa diavolo stavano facendo?! Ad ogni ondata di quel liquido nelle vene si sforzava per urlare il più possibile e sfogare la rabbia e il dolore.
Urlò, urlò e urlò ancora, a lungo, troppo a lungo.
Dopo quella che parve un'eternità tutto cessò, veloce come era cominciato, il dolore abbandonò le sue membra ormai disubbidienti ad ogni richiamo del cervello.
Tenne gli occhi chiusi, sentendo il fianco bruciare ad ogni respiro. In quei minuti di pace che parvero secondi, seguì con la mente il percorso delle gocce di sudore freddo sulla sua fronte. Qualcuno cominciò a tastargliela con qualcosa di morbido.
Riuscì ad aprire gli occhi e mettere a fuoco la stanza intorno a lei: le pareti erano piene di ragnatele, con la carta da parati strappata ogni tanto tenuta su da qualche quadro vuoto o di gente che la fissava severa. I mobili in mogano erano antichi ed eleganti, si abbinavano perfettamente col legno scuro e consumato del pavimento, abitato da tantissimi ragnetti. Posò lo sguardo sul soffitto, stanca come non mai e respirò a fondo, nonostante il bruciore al fianco.
Davanti a lei due uomini slanciati e pallidi la osservavano, uno con disgusto, l'altro con orrore.
«Chi sei?»
«Non credo sia il caso...»
«Taci, Remus.»
Anzichè rispondere, lei abbassò lo sguardo alle mani dell'uomo sconosciuto, sporche del suo sangue ancora fresco: nella sinistra teneva una bacchetta. Non se ne stupì più di tanto, un senso di angoscia ormai si stava impossessando di lei. Non era possibile, eppure era li la verità, palese e dura: era davvero a Grimmauld Place numero dodici, davanti a lei c'erano veramente quei due maghi di cui conosceva già i nomi e il passato, e lei era stata sul serio morsa da un... il solo pensiero le creò un magone in gola.
Il mago che non aveva mai visto, nonostante in fondo al cuore sapeva già di conoscere, si avvicinò a grandi passi, sovrastandola sul letto, facendola sentire infinitamente piccola.
Aveva un volto a primo impatto orrbile ed emaciato, ma da più vicino nascondeva un fascino lontano, come se gli fosse stato strappato via con pochi successi.
I capelli erano neri come pece e circondavano due occhi scuri e penetranti, iniettati di rosso, segnati da due pesanti occhiaie scure; la barba incolta nascondeva una bocca dai denti scuri e rari e il colore della sua pelle, insieme alle guance scavate e facevano pensare a terribili malattie. Era così diverso dal mago che l'aveva portata sin li, il quale, nonostante le cicatrici che sfiguravano il suo volto segnato, ora dava un senso di consolazione, anche se l'aveva conosciuto in circostanze poco amichevoli.
«Chi-sei.» la ragazza non si era dimenticata di quella domanda posta con veemenza, sapeva che sarebbe stato rischioso far conoscere troppo di se a un uomo instabile, fuggito dalla prigione più sorvegliata del mondo magico e pronto ad ucciderla da un momento all'altro.
Abbassò gli occhi da quel volto emaciato e in un sussurrò mentì col primo nome che le passò per la mente «Nadia.». Solo dopo si ricordò di essere in Inghilterra e quello sicuramente non era un nome inglese, quindi non rimase offesa all'espressione divertita dell'uomo quando gli rivolse di nuovo lo sguardo. Presto ritornò serio e minaccioso, con le nocche bianche dallo sforzo sul manico della bacchetta «Stai mentendo. Che razza di nome è?»
«Sempre meglio di "Sirius".»
Le parole si erano pronunciate da sole, non seppe mai dove aveva trovato quella faccia tosta, della quale se ne pentì subito, infatti vide Sirius Black dilatare le narici furioso, e in un istante l'aveva presa per i capelli e l'aveva quasi fatta vomitare puntando con poca gentilezza la bacchetta tra il mento e il collo.
Remus Lupin, dietro di lui, lo afferrò per un polso «Sirius!»
«Chi ti manda?» soffiò l'uomo.
Era impazzita, ne era certa. Fare la spiritosa in una situazione del genere, come se non si trovasse abbastanza nei guai. Adesso erano convinti che fosse una spia di Voldemort o del Ministero della Magia... Assurdo!
Lui lasciò e riprese i capelli per assicurarsi una presa talmente forte da farla lacrimare dal dolore. Quando sarebbe finito quel supplizio? Odiava quel posto, fino alla sera prima le aveva recato solo danni. Come c'era arrivata li? Perchè? Voleva tornare a casa. Magari era possibile con la Smaterializzazione...
«CHI TI MANDA?! SEI UNA SPIA! COME FAI A SAPERE IL MIO NOME? PARLA!»
Gemette, lanciò a Lupin un segnale di aiuto nonostante fosse evidente la sua intenzione di non aiutarla: arrendevole la guardava con ancora il polso di Black tra le dita. Probabilmente sapeva di non poter fare granchè per aiutarla ed era sicuramente indeciso sulla sua colpevolezza.
Si guardò intorno nella speranza di trovare un aiuto, mentre Black continuava ad urlare e imprecare contro il suo silenzio. Le sembrò di vedere una piccola figura grigiastra al di la della porta aperta, quando un insulto particolarmente offensivo e alcuni capelli che sentì strapparsi dalla nuca la fecero reagire e senza neanche rendersene conto aveva in pugno la bacchetta di Black e gliela puntava contro con entrambe le mani tremanti.
Era in piedi sul materasso, adesso, ed era poco più alta del mago rosso in volto e stupefatto, che con gli occhi storti osservava la punta della sua bacchetta e con le mani si massaggiava la pancia. Poteva aver paura di lei, adesso? Non si sentiva più piccola e inerme come pochi minuti prima o come davanti al lupo. 
Che sarebbe successo qualcosa o no con quella bacchetta, non aveva importanza, doveva riuscire a far credere di detenere lei il potere, adesso.
«Remus, se vuoi aspettare la prossima luna piena fai con comodo, ho tutto il tempo del mondo qui.» disse Black, per la prima volta con tono sarcastico e con un sorriso di scherno sul volto. 
Infatti Lupin appena l'aveva vista dare un pugno nel ventre dell'amico, fulmineo aveva puntato la bacchetta contro la ragazza, ma non sembrava convinto di volerla fatturare.
La fissava come perso in chissà quali pensieri, le gambe piegate come se dovessero cedere da un momento all'altro, le mani tremanti, i muscoli tesi, il volto pallido e gli occhi... La ragazza si perse in quegli occhi terrorizzati e le sembrò che la ferita al fianco bruciasse un po' di più.
«Black.» disse, interrompendo bruscamente quel contatto visivo «Come riesci a scherzare in una situazione del genere? Silente si arrabbierà molto quando saprà che avete permesso il mio ingresso nel quartier generale dell'Ordine e che...» deglutì, rabbrividendo alle sue stesse parole «Tu, Remus Lupin, mi hai morsa.»
Sirius Black non parlò, si limitò ad accennare un allontanamento impercettibile dal letto come se fosse infetto e puntare lo sguardo sulla sua bacchetta, avido.
Intanto, Lupin, la guardò con gli occhi acquosi e il viso sempre più pallido e disperato «Mi dispiace... non volevo... io... cos'ho fatto!» e si portò le mani sporche di sangue ai capelli grigiastri. A quella vista, il cuore della ragazza ebbe un sussulto e un istinto protettivo la tentò, proponendole di abbracciarlo.
Ma il pensiero di trasformarsi in lupo mannaro alla prossima luna le attanagliò le viscere, sentendo bruciare ancora la ferita fresca sul fianco.
«Cosa stai farneticando, Remus!» sentì dire Sirius, mentre l'amico bisbigliava tra se «Sta mentendo, quello è soltanto un graffio!»
«Ah si?» lo guardò accigliata lei, volgendo lo sgardo al fianco destro, abbassando suo malgrado la guardia.
Black le si buttò addosso cercando di afferrare la bacchetta tra gli strilli della ragazza, lottando contro le gambe di quest'ultima che nonostante fossero magre e stanche sembravano molto forti e calciavano pericolosamente. Cercò di darle un pugno sulla faccia, ma lo scanzò con uno strillo più forte, infine riuscì ad afferrarle la bacchetta con una risata simile ad un latrato e la puntò sul petto ansante della ragazza. 
La vide sgranare gli occhi, la bocca ancora aperta in un urlo ora soffocato dal terrore.
Stava per pronunciare le parole mortali, finchè partì un fiotto di luce rossa che gli colpì la schiena e si accasciò sulla ragazza ancora sconvolta.
Spinse con violenza il corpo privo di sensi di Black, esitò ad alzare lo sguardo per guardare il volto di colui che l'aveva salvata per due volte in poche ore.
Si sentiva immensamente stupida ad aver abbassato la guardia, faticò nel bisbigliare un «Grazie.» ma tacque all'espressione animalesca in risposta di Remus Lupin.


 
Mondo Nutopiano:
Salve,
sono contenta di avere ancora la vostra attenzione,
nonostante siamo a fine pagina.
Lo so, lo so, questa prima parte è assolutamente veloce e assurda,
ma deve essere così.
Non giudicate la storia solo dalle prime righe,
potreste perdervi qualcosa che tutto sommato non è malaccio.
Credo.
Spero.
Oibò, io vò.

E grazie!

Pace, Amore e Poc'anzi.
MelinAnima.
  
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